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Autore: Flaminia_Kennedy    24/07/2009    1 recensioni
Per la sesta volta in un giorno mi chiesi perché mi ero voluta trasferire a Forks, la zona più piovosa di tutto il continente americano.
Certo, non adoravo il sole di casa mia in Texas, ma nemmeno il perenne strato di nubi che nascondeva il cielo.
[...]
Ridacchiai, perché il volto di quel ragazzo dai capelli bruni e corti mi ispirava simpatia, un po’ come gli orsacchiotti che avevo nella mia vecchia camera a Dallas.
Quando l’auto, guidata da un ragazzo dai capelli ramati e sparati in aria, arrivò a pochi metri da me il ragazzone si infilò dentro la vettura, parlando concitatamente con il ragazzo vicino a lui.
Era un tipo dai capelli color miele e in quel momento il volto meraviglioso e pallido era contratto da una smorfia addolorata.
Genere: Azione, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jasper Hale, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
Phenomenal

Dormii un sonno senza sogni e il mattino dopo mi sentii peggio del giorno prima.
Ero uno straccio, i miei capelli erano più indomabili che mai, non riuscivo ad aprire l'occhio sinistro e le mie spalle chiedevano pietà.
Quando scesi le scale per andare in cucina saltai l'ultimo gradino e per poco non mi spalmai contro il muro del salotto «buongiorno Sarah» disse nonno Arthur, sollevando la tazzina di caffè a mo' di saluto.
Io mi posai una mano sulla metà dolorante del mio viso e mi sedetti senza salutare nessuno «oggi tua zia è dovuta andare fino a casa di tuo zio giù a Port Angeles» mi disse iniziando a sfogliare il giornale.
Stavo fiutando guai, ma non dissi nulla lo stesso e mi riempii –con qualche problema di coordinazione– una scodella con latte e cereali al cioccolato «e visto che il tuo pick–up è ancora dal meccanico, ho pensato di accompagnarti io fino a scuola».
Mi andò di traverso il latte e ebbi paura che un fiocco d'avena mi passasse per una narice «dici sul serio? » domandai.
Il nonno non aveva altri mezzi di locomozione se non una vecchia Ford piena di ruggine e tenuta insieme dal nastro adesivo.
Non che fosse pericoloso guidarla, dato che non andava più di 50 km/h, ma era per il fatto che sarei diventata lo zimbello della scuola.
Sorrisi un po' in imbarazzo, alzandomi lentamente e prendendo lo zaino «non ti preoccupare nonno, posso andare a piedi! » esclamai caricandomi lo zaino improvvisamente pesantissimo.
Vidi il nonno ridacchiare e bere una sorsata di caffè dalla sua tazzina «meglio che mi incammini allora sennò faccio tardi un'altra volta» aggiunsi dandomela praticamente a gambe.
Chiusa la porta di casa dietro di me mi misi a camminare lungo il marciapiede e sentii la mancanza della praticità di un veicolo.
«Sei qui da un paio di giorni e prendi già la residenza all'ospedale» mi dissi, arrabbiata con me stessa.
Per quella mattinata mi ero preparata un bel paio di scuri occhiali da sole, per coprire l'orrendo livido che durante la notte si era allargato, e mi sentii una stupida.
Come se mi fossi messa un maglione per andare al mare d'estate: una cosa dannatamente assurda.
Non incontrai nessuno per mia fortuna durante il mio vagabondare verso la scuola, a parte lo sceriffo Swan che mi offrì un inutile passaggio fino all'istituto «no grazie» negai cortesemente «posso camminare».
L'uomo mi scrutò da capo a piedi, poi mi guardò serio attraverso gli occhiali scuri «abbiamo arrestato quel camionista, è risultato positivo al test anti–droga» mi disse soltanto, come se mi facesse piacere ricordare che avevo quasi messo le alucce da angioletto.
Sorrisi garbata, sistemandomi i capelli corti e ribelli «ora devo proprio andare, arriverò in ritardo» dissi allo sceriffo, dopodiché corsi via lungo la strada.

Arrivai a scuola mentre stava suonando la campana di inizio delle lezioni.
Mi precipitai immediatamente in segreteria per consegnare la giustificazione firmata da mio nonno la sera prima e presi un lungo respiro mentre uscivo.
Mi sentivo soffocare e non sapevo perché: era come se la scuola si fosse chiusa attorno a me ermeticamente.
Sapevo che avrei dovuto affrontare mille domande e il volto preoccupato del mio amico Jacob, ma ancora di più mi disturbava il fatto di rivedere il volto di Jasper Hale.
Il suo viso perfetto, nella mia mente, mi guardava con quell'aria sofferente.
Ripensai un attimo all'immagine che non voleva allontanarsi dal retro delle mie palpebre: in quel frangente il ragazzo mi stava guardando come se stesse osservando del cibo a cui lui era proibito.
Magari era stata la confusione del momento a farmelo vedere così, ma non smisi di dirmi che mi aveva guardata come io guardavo dei cannoli siciliani in un periodo di dieta ferrea.
Arrivai giusto in tempo per la lezione di ginnastica –da cui io ero esonerata grazie a un foglio firmato dal dottor Carlisle– e vidi con somma tristezza che Jake era assente.
Sarebbe stata una giornata molto noiosa senza il mio amico di scorribande; a sostituire Jacob arrivò la ragazza dai capelli neri Raven, che attirò gli sguardi di tutti i ragazzi della palestra.
Anche se era vestita con la divisa bianca della scuola, sembrava sempre una modella per le riviste di moda e io mi sentii una sciacquetta quando lei mi si sedette a fianco.
Mi guardò e inclinò la testa curiosa «ti senti una vip che vai in giro con gli occhiali da sole? »mi domandò, apparentemente seria.
Anche la sua voce era di una nota particolare, un po’ asiatica, e mi imbambolò per un secondo, poi mi riscossi quando riuscii a capire la frase.
Un po’ cinica, abbassai con due dita gli occhiali da sole fino alla punta del naso, mostrando il grosso livido scuro «ahia, quello deve aver fatto male» mi disse la ragazza ridendo.
Stava scherzando fin dall’inizio, ma in quel momento non ero in grado di decodificare i mezzi toni delle persone «io sono Raven, ma credo che tu sappia già chi sono. Il tuo amico della riserva ti avrà sicuramente parlato di noi» aggiunse, senza tendere però la mano come avrebbe fatto una persona normale.
Io fissai il mio sguardo sul muro aldilà del campo da pallavolo, facendo finta di seguire il match di allenamento; stavo pensando se socializzare con quella ragazza come mi suggeriva l’istinto oppure se seguire il consiglio di Jacob e tenermi praticamente alla larga da loro.
Guardando bene la ragazza, non mi sembrava così inaffidabile «si in effetti mi ha spiegato su per giù qualcosina…» incominciai, parlando a voce bassa.
Sembrava però che Raven non facesse fatica a sentirmi «senti, tuo fratello…vorrei ringraziarlo per ieri» e mi guardai le scarpe da ginnastica.
Con la punta del piede destro iniziai a giocherellare con un pezzo di plastica della suola che stava per rompersi «lo ringrazierai un’altra volta» mi disse la ragazza «oggi ha saltato scuola perché papà aveva bisogno di lui per una specie di consegna. Sai materiali medici, troppo delicati per uno spedizioniere» ridacchiò.
Mi sentii amareggiata, quasi delusa: perché avrei dovuto esserlo comunque? Non lo conoscevo nemmeno, a malapena lo avevo visto il giorno prima.
Se non avessi origliato la conversazione del dottor Carlisle, avrei mai scoperto che si fosse trattato veramente di Jasper.
Risposi con un “oh” non molto convincente e rimasi in silenzio per tutta la durata della partita.
Quando la campanella suonò all’ora di pranzo mi alzai e mi diressi da sola verso il refettorio; presi il mio solito piatto –pollo impanato e verdure miste– e presi posto a un tavolo vuoto.
Senza Jake e senza poter esternare la mia gratitudine al mio salvatore, mi sentivo esonerata da tutti.
Persino Bella era troppo impegnata con le sue amiche del posto, per poter pensare a me.
Caddi in un silenzio fitto, quasi impenetrabile e ci misi quasi tutto il tempo disponibile per il pranzo per spezzettare e mangiare controvoglia il pollo.
Gettai il resto, sospirando: avevo tenuto sott’occhio il tavolo dei Cullen, forse sperando che Jasper arrivasse da un momento all’altro scusandosi per il ritardo.
E invece vidi solo Edward e Raven fare i due piccioncini e la bionda Rosalie sgridare bonaria un Emmett un po’ pazzerello.
Cambiai tre aule prima di capire che avevo lezione di storia dopo il pranzo.
E quella lezione fu la più sconvolgente della mia vita.
Entrai che quasi tutti avevo preso posto in una posizione diversa, come solito; quasi mi mancarono le gambe quando vidi che Jasper, assieme a Raven si erano seduto uno alla mia destra e l’altra alla mia sinistra.
Come se avessero deciso di attaccarmi con una formazione a tenaglia.
Nel mio cervello esplosero migliaia di soluzioni differenti, dal semplice ignorare l’accaduto fino ad afferrare una penna dal banco più vicino e piantarmela in un occhio –per avere una scusa valida e saltare la lezione, a mio dire–.
Con un respiro profondo e lento, mossi un piede pesante come cemento dopo l’altro e presi posto.
Mi sentivo come se fossi stata rinchiusa in una cella frigorifera: se fosse stato abbastanza caldo da sudare, le goccioline mi si sarebbero congelate addosso.
Presi con disinvoltura il libro, gli appunti di storia e mi misi in testa di seguire per bene l’argomento di quel giorno, ovvero la guerra civile americana.
Dopo appena due minuti l’entrata del professore e l’inizio del professore, mi cadde accanto alla penna che stavo usando per scrivere un foglietto appallottolato.
Io non mi ero nemmeno accorta che qualcuno si fosse mosso per consegnarmelo.
Lo aprii senza farmi notare e lessi cosa c’era scritto:
Mi sono sbagliata in palestra,
a quanto pare ha fatto in tempo per l’ultima lezione.
Puoi ringraziarlo adesso ;)
R.

Mi girai subito verso Raven, che sembrava annoiata a morte dalla lezione; appena notò che il mio sguardo era caduto su di lei, mi fece un occhiolino complice e mi indicò con un cenno del capo il fratello, seduto rigido accanto a me.
Era la prima volta che lo vedevo con uno sguardo diverso dalla solita facciata in agonia.
Era più rilassato, un po’ annoiato dal tono di voce del professore e i suoi occhi erano color oro; mi preoccupai un attimo, credendo che avrei dovuto fare un salto dall’oculista.
La prima volta che avevo visto i suoi occhi erano scuri come il carbone e non si erano mai staccati da me un solo istante.
In quel momento invece stava distrattamente prendendo appunti seduto in modo quasi militare al banco.
La schiena era dritta e i capelli scarmigliati color miele gli ricadevano a volte sul viso, anche se lui non pareva dargli peso.
Con un enorme sforzo –la mia mano sembrava fatta di piombo– strappai un angolo del foglio su cui stavo scrivendo e mi misi a tracciare con la mia biro alcune frasi:
Ciao…
Volevo ringraziarti per ieri…

Grazie.
S.

Sentii il sangue salirmi fino alla faccia mentre ripiegavo il foglietto il più lentamente possibile, come se quello potesse salvarmi dal patibolo che mi stavo costruendo da sola.
Ero nel giusto, ringraziarlo era simbolo di educazione…allora perché era come se avessi tracciato un cuore su quel foglietto?
Il professore sembrava sempre girarsi quando stavo per passare il foglietto a Jasper e finalmente dopo tanti tentativi, riuscii a lanciarlo furtivamente sul suo foglio.
Lo sentii aprire il foglietto e leggerlo con la mente, poi avvertii –mentre stavo guardando lo schema che era comparso sulla lavagna e che io non avevo ancora copiato– che lui stesse scrivendo qualcosa.
Qualche secondo dopo mi arrivò indietro il mio stesso biglietto, con una risposta:
Figurati.
Rilassati o esploderai.
All’uscita fermati dalle scale.
Ti riaccompagno a casa.
J.

Dopo aver scorso con gli occhi quella scrittura un po’ frettolosa ma elegante rimasi un attimo con il foglietto a mezz’aria e gli occhi persi.
Riflettere in fretta per me non era mai stato un’abitudine: spesso mi venivano in mente almeno tre possibili scelte e scegliere era sempre più difficile se si trattava di gente che non conoscevo.
Respirai a fondo, inchiodando lo sguardo sullo schema mezzo copiato sul mio quaderno, poi mi feci forza e girai la testa verso destra.
Vidi le stelle a causa del livido e del taglio appena richiuso, ma rimasi immobile nel guardare i suoi occhi.
Era sempre ritto con la schiena e le gambe erano leggermente incrociate all’altezza delle caviglie, ma la sua testa era quasi del tutto voltata verso di me e le sue iridi dorate e luminose mi stavano fissando con una intensità mai vista.
Era come se potesse vedermi dentro, se fossi completamente nuda di fronte ai suoi occhi.
Ruppi quella catena che ci aveva unito per un istante voltandomi nuovamente verso la lavagna, completamente rossa in volto.
Era stata una scarica di adrenalina quella che avevo sentito correre lungo la schiena? Sentii Jasper prendere un profondo respiro, come quando d’inverno ti infilano la neve nella schiena e tu non vuoi urlare.
Un respiro che era esattamente la copia di quello che avevo preso io in quello stesso istante.
Che anche lui avesse avvertito quel millisecondo di passione che anche io avevo provato sulla pelle? Sentii la peluria sulle braccia rizzarsi e sentii contrarsi gli addominali.
Che mi stava succedendo? Era come se avessi fame, anche se avevo appena mangiato.
Lo sguardo di Jasper non mi abbandonò un solo istante, fino alla fine della lezione dove ci separammo.

Aspettai seduta sull’ultimo gradino, guardando tutti i miei compagni camminare verso le proprie macchine.
Alcuni si fermarono a guardarmi, chiedendo poi se volessi un passaggio fino a casa.
Ogni volta negai con un sorriso, astenendo che avevo già un mezzo di trasporto; molti mi sorrisero e se andarono, altri sbuffarono –magari perché avevano perso l’occasione per farmi il filo–.
Il parcheggio era praticamente vuoto quando arrivò Jasper insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle; mi alzai e presi la cartella nera appoggiata a terra.
Raven ridacchiò e abbracciò meglio Edward, per poi girarsi verso Emmett e Rosalie «credo che nostro fratello oggi tornerà a casa da solo» disse, facendo l’occhiolino sia a me che a un irritato Jasper.
Rosalie ridacchiò mentre Edward mi lanciò uno sguardo divertito.
Emmett diede una pacca sulle spalle al fratello, dicendogli di andarci piano.
Non capii esattamente di cosa parlassero, ma non ci diedi peso.
Il ragazzo biondo scrollò la testa, poi salutò con un cenno del capo i familiari e si avvicinò a me; rimanemmo immobili a guardarci per qualche secondo –io mi sentivo andare a fuoco– poi lui alzò una mano e mi prese garbatamente lo zaino dalla mano «vieni» mi disse soltanto.
La sua voce era dolce e gentile, bassa ma non gutturale, una nota soave uscita da un ottone.
Mi venne in mente per un solo istante l’inno americano e paragonai la mia monotona voce a quella musicale di Jasper.
Ci dirigemmo con calma –con tutta la calma che potevo avere in quel momento– verso la jeep scura in cui l’avevo notato per la prima volta.
Mi accompagnò fino alla portiera del passeggero, me l’aprì e aspettò che io mi sedessi, poi fece il giro davanti al muso della vettura e salì al posto del guidatore, sistemando la sua borsa a tracolla e il mio zaino sul sedile posteriore.
Inserì le chiavi e le girò per accendere il motore, che rombò in un istante.
Mentre afferrava il volante per fare manovra, accanto a noi sfrecciò una Spider rosso fuoco: dai sedili posteriori sentimmo entrambi la vociona di Emmett gridare un saluto stile rapper a me e a suo fratello, fendendo l’aria con la grossa mano per fare uno sbracciato “ciao ciao”.
Io ridacchiai, voltandomi verso il finestrino di sinistra per guardare l’automobile correre lungo la strada, ma il mio sorriso venne sommerso dal rossore quando incontrai il viso del guidatore accanto a me.
Sulle labbra sempre un po’ imbronciate si era dipinto un sorriso degno di un modello, assolutamente raggiante e che mi sciolse in un solo istante.
Stava probabilmente sorridendo per il suo pazzo fratello, ma non si spense quando mi guardò con quei fenomenali occhi color pirite.
Ritornando a guardare la strada con un piccolo rimasuglio del sorriso, fece fare manovra alla jeep e partì, forse un po’ troppo veloce per i miei gusti.





Risposte alle recensioni:

Norine: Grazie per la recensione! Riguardo al molto sanguinamento, beh mi è sembrato giusto abbondare dato che la ferita era alla testa e di solito le ferite alla testa anche se superficiali sanguinano molto.
Hihi Poro Jasperetti, ne vedrà di tutti i colori X3
   
 
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