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Autore: SusanTheGentle    02/07/2019    6 recensioni
Ricordo il periodo delle medie…
Nella mia scuola c’era un ragazzo che non parlava quasi con nessuno. Era diverso da tutti i miei compagni, privo di quell’aria anonima tipica degli studenti della Toho, la carnagione un po’ più scura di un comune giapponese, come se avesse passato tutta la vita sotto il sole. E, come il sole, brillava di luce propria. Fu per questo che attirò la mia attenzione.
Lui spiccava prepotente tra la folla, simile a un felino dentro un recinto di pecore tutte maledettamente uguali.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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14. Volersi bene
 
 
 
«Hai preso tutto?»
«Sì»
«Sicura di avere abbastanza soldi?»
«Sì, mamma, mi bastano i miei. Le giostre sono gratis»
«D’accordo. Mi raccomando ancora una volta, Kira: attenta alle lenti a contatto»
«Certo, stai tranquilla. Non salirò su nulla che vada troppo veloce, così non rischierò»
«Mh». Risa le lisciò la maglietta sulle spalle e scese con lo sguardo fino ai piedi. «Non sono un po’ troppo corti quei pantaloncini?»
Kira sospirò. «Uffa, mamma…fa caldo, è quasi estate»
Ultimamente, Risa stava diventando esigente anche sul modo di vestire della figlia. Arricciò le labbra in una smorfietta critica ma arrendevole. «Mm…va bene. Vai e divertiti. Ah, vedi di non creare problemi alla signora Lenders» la rabbonì in ultimo. «E ti voglio a casa per le otto, intesi?»
Kira corse via salutandola con la mano, rassicurandola con parole convenzionali che, da lontano, Risa non udì.
«Calmati, figliola, non è il suo primo appuntamento» disse la voce di Kaori Brighton proveniente dal salotto.
Risa tornò in casa e sedette lentamente sulla poltrona di fronte a sua madre, riprendendo la tazza di tè lasciata sul tavolino poco prima. «Lo so, non è questo che mi preoccupa»
«Allora non c’è nulla per cui stare in ansia» sentenziò Kaori.
«Anche tu, quando io avevo l’età di Kira, eri molto apprensiva, mamma» replicò Risa da sopra il bordo della tazza finemente ricamata. Era un vecchio servizio regalatole proprio da Kaori per il matrimonio. Risa sapeva che l'anziana madre teneva a prendere il tè con lei proprio in quel servizio ogni qualvolta veniva a trovarla. «Inoltre, permettimi di ricordarti che a quattordici anni io ero molto più assennata di quanto lo sia Kira»
«Assennata, posata e coscienziosa, certo. Tutte qualità che a vent’anni avevi già scordato, mia cara ragazza»
Risa ingollò una sorsata con un suono molto poco elegante. Tossicchiò. «B-beh… a vent’anni ho fatto qualche sciocchezza, lo ammetto»
«Ma certo. Come tutti, del resto» ridacchiò Kaori. «Non tenere quella ragazza al guinzaglio, Risa. Dopotutto lo sai: Kira è figlia di suo padre e sappiamo entrambe che nessuno potrà mia cambiare questo»
Risa posò la tazza sul piattino di fine porcellana. «Mi hai giusto ricordato che devo telefonare a Kei. Avrà una licenza tra pochi giorni ma ancora non mi ha saputo dire la data precisa». Si alzò dalla poltrona, diretta verso l’anticamera. «E comunque, perché tu lo sappia, mamma, non sono preoccupata per il fatto che Kira esca con un compagno di classe. Ci sarà anche la famiglia del ragazzo questo pomeriggio, perciò non saranno da soli, altrimenti non le avrei mai permesso di uscire con quel Lenders!»
Rimasta sola in salotto, Kaori Brighton sollevò gli occhi sul vano della porta lasciato vuoto da sua figlia. Un sorriso le increspò le labbra. Risa era veramente un’ingenua: quanto potevano metterci due ragazzi di quell’età a creare la giusta occasione per stare da soli, se lo desideravano?
 
 
 
Alle due del pomeriggio Kira arrivò puntuale alla stazione di Shibuya per accogliere i Lenders, e dieci minuti dopo ancora erano tutti sulla metropolitana che fermava direttamente davanti al Tokyo Magic Land. Sorrideva allegramente e pareva non avere un problema al mondo. Mark ne fu felice e in qualche modo soddisfatto: dopotutto, quell’aria serena sul viso di lei era anche un po’ merito suo e dell'invito al parco. Quel giorno gli sarebbe piaciuto capire cosa preoccupasse tanto Kira ma non voleva forzarla a parlare. Lei non credeva nelle sue capacità osservative, ma Mark era veramente in grado di comprendere diverse cose, oltre a percepire i suoi malumori. Anche se, per certi versi, c’erano cose che, per quanto si impegnasse, non riusciva proprio ad afferrare…
«Cosa stai facendo?»
«Uhm…niente» mentì Kira. Era da parecchio che tentava di specchiarsi nelle nel finestrino del treno per attestare se i suoi pantaloncini fossero troppo… audaci, per dirla come avrebbe detto sua madre. Ma non riusciva a vedere bene e la propria immagine, c’era troppa luce sulla metro esterna, e anche troppa gente in piedi per avere una visuale libera; lei stessa e Mark avevano ceduto il posto a due anziani signori, accontentandosi di rimanere in piedi accanto a una delle sbarre di ferro nel mezzo del vagone.
«Dio, che vanitosa…è mezz’ora che non fai altro che ammirarti» continuò Mark, guardandola con una faccia poco meno che schifata.
«Non mi sto ammirando!» sibilò lei, intimandogli con un gesto seccato della mano di abbassare la voce. «Sto cercando di stabilire se siano troppo corti»
«Cosa?»
«I miei pantaloncini. Li trovi troppo corti?» insisté.
Mark non ci aveva fatto caso. «Boh. No, vanno bene credo. Sono pantaloni corti, come devono essere? Corti»
Lei fece roteare gli occhi. Che considerazione incredibile…
«Non ho capito qual è il problema, Kira»
Lei sospirò. «Lascia stare, non importa…»
Mark alzò le spalle e si perse nella conversazione tra Nathalie e Teddy su chi avrebbe avuto il coraggio di salire sulle montagne russe.
Ecco, su certe questioni era veramente ignorante. Se lei provava imbarazzo ad indossarli perché li aveva messi? Effettivamente, quei pantaloncini lasciavano scoperta una porzione abbondante di gambe, o forse era l’impressione che davano addosso a lei. Mark aveva quelle gambe sotto gli occhi ogni giorno, dal ginocchio in giù – il regolamento scolastico non permetteva alle studentesse di accorciare le gonne – ma vederle quel giorno senza una barriera… Gambe lunghe, snelle e toniche, da sportiva. Il più bel paio che Mark avesse mai visto.
Si imbarazzò per il proprio pensiero, spostando lo sguardo su tutto e niente per non guardarla ancora.
Era diventato un maniaco? Beh, no.
Una volta, Ed aveva detto che Kira era carina e... sì, lo era, ma affermarlo non significava nulla. Insomma, era normale notare un bel paio di gambe.
«Quanto ci mettiamo ad arrivare?» chiese il piccolo Matt, inginocchiato sul sedile arancione del treno, le manine premute contro il vetro che sua madre tentava in vano di fargli staccare.
«Tra trenta minuti esatti» gli rispose Teddy.
«Quanti sono trenta minuti? Quanti?»
«Guarda, Matt» Kira si sporse dal suo posto per attirare l’attenzione del bambino. «Vedi il mio orologio? Ecco, quando la lancetta lunga punterà sul sei, saranno passati trenta minuti»
«Uhm». Gli occhi di Matt passarono dal viso di lei al quadrante.
Kira lo slacciò dal polso per metterlo a quello del piccolo. «Tieni. Controllalo per me, ti va?»
Matt annuì, sistemando l’orologio sull’avambraccio, dove si incastrò meglio che sul polso, e lasciando che la ragazza glielo allacciasse per bene fino all’ultimo buco del cinturino. Dopodiché accettò di sedere composto come sua madre richiedeva da diversi minuti.
«Peste» ridacchiò Mark, vedendosi arrivare in risposta una bella linguaccia. Gli altri bambini, Kira e la mamma risero.
«Tu non eri poi tanto diverso alla sua età» rivelò Judith Lenders, scoccando un’occhiata al figlio maggiore e alla sua compagna di scuola.
Kira sorrise. «Non fatico a immaginarlo»
«Mamma, non dire cose di cui potresti pentirti» protestò Mark, coprendosi il volto con la visiera del cappello bianco che portava sul capo. La mamma ne aveva portati per tutti, prevedendo che sotto il sole del pomeriggio i bimbi avrebbero potuto lamentarsi. Ma Mark continuava a preferire quel vecchio berretto dai bordi leggermente consunti, comprato con le prime paghette dell’epoca in cui consegnava i giornali o faceva commissioni per il signor Sugimoto.
«Eccolo, eccolo!» esclamò d’un tratto Matt.
In lontananza erano apparse le sagome delle attrazioni più imponenti del parco. Dal treno in movimento, la ruota panoramica somigliava a un grosso fiore stampato nel cielo e le cabine minuscole nuvolette immobili. Le rotaie dell’ottovolante somigliavano alle spire di un enorme serpente metallico ingarbugliate tra loro, e le punte delle torri di un piccolo castello facevano capolino coi loro colori vivaci.
Judith Lenders faticò a tenere a bada Matt e Nathalie, e l’aiuto di Mark fu provvidenziale. Il ragazzo prese il fratellino più piccolo sulle spalle, mentre la bambina si aggrappò alla mano della madre saltellando allegramente come un piccolo folletto. Kira e Teddy chiudevano il gruppo. Il secondo genito dei Lenders si guardava in giro con le guance accese ma deciso ad imitare Mark e comportarsi da ‘grande’, nonostante i suoi dieci anni.
Kira recuperò una piantina del parco da una bancarella di souvenir accanto all’entrata. Il complesso era molto grande e c’erano un mucchio di cose da fare. Da dove cominciare?
«Tanto vale iniziare da qui» propose la signora Lenders molto saggiamente, indicando la giostra dei cavalli che accoglieva i visitatori nel centro del grande piazzale di ingresso.
Grazie ai biglietti omaggio tutte le giostre erano gratis e alla piena portata dei tre piccoli Lenders, che quel giorno sfogarono la loro inesauribile energia salendo su quante più attrazioni possibili. Teddy suscitò l’invidia di Nathalie e Matt quando fu ritenuto abbastanza grande per concedersi la sua prima corsa sugli autoscontri insieme a Mark e Kira. Una volta a bordo, per i due ragazzi fu quasi inevitabile competere. Ben presto, Teddy si schierò dalla parte del fratello maggiore per tamponare Kira quante più volte possibile.
«In due è scorretto!» gridò la ragazza accerchiata dai due Lenders.
«Valle addosso, valle addosso!»
«Mark!» tentò di frenarli Judith, ma vedendo che anche Kira rideva con loro decise di non intervenire oltre. Dopotutto erano ragazzi…
Provarono diverse altre attrazioni scegliendo quelle dov’era possibile salire tutti insieme. Evitarono perciò una nave pirata che oscillava come un pendolo da sinistra a destra, optando invece per un percorso sull’acqua che simulava il letto di un fiume, accompagnato da due discese e molti spruzzi. Passarono poi ad un percorso a piedi: una foresta incantata popolata da creature fiabesche. Quando attraversarono un punto che rappresentava la tana di un drago, Nathalie e Matt, che avevano otto e cinque anni e credevano ancora alle fiabe, si aggrapparono l’una alla mano della mamma e l’altro a quello di Mark, osservando con i grandi occhi scuri le figure misteriose che si muovevano nell’ombra. 
«Non avrai paura, vero giovanotto?» disse Mark al più piccolo dei fratelli.
«N-no, non ho paura!» Il bambino allentò la presa sulla mano del ragazzo e strinse il pugnetto di quella libera in un gesto determinato.  
Mark intercettò lo sguardo di Kira, che gli sorrise intenerita.
L’antro degli specchi fu un altro tranquillo e divertente labirinto di corridoi e riflessi buffi e distorti. In seguito, per lasciare i due ragazzi liberi di provare qualche giostra più estrema, e visto che Teddy, Matt e Nathalie insistevano per le montagne russe, Judith portò i tre bambini sui Vagoni del Far West, una sorta di ottovolante per piccini senza giri della morte ma con un percorso disseminato di un discreto numero di curve, lunghe salite e discese piuttosto veloci.
«Allora siamo d’accordo» raccomandò la signora Lenders a Kira e Mark. «Ci vediamo alle cinque per lo spettacolo all’anfiteatro sotto il castello»
Kira tenne d’occhio l’orologio che Matt le aveva restituito non appena entrati nel parco: erano le quattro, avevano un buon margine di tempo.
«Dove vogliamo andare?» chiese la pattinatrice quando la madre di Mark si fu allontanata con i bambini.
 
 
 
Il treno dell'ottovolante sfrecciava sulle rotaie verso il suolo veloce come un razzo. Le persone sul loro stesso vagone urlavano, chi di terrore chi di divertimento. La corsa era assolutamente fantastica e loro due si divertirono un mondo. Al primo giro della morte Mark e Kira si aggrapparono forte all’imbragatura e lei chiuse gli occhi per proteggerli dal vento forte.
«Se non guardi ti perdi metà del divertimento» le gridò Mark al suo fianco.
Il reticolato si appianò e il treno rallentò un poco, si inclinò a destra, poi a sinistra, una breve salita ingannevole, poi curvò e in lontananza apparì la seconda salita.
«Sei pronta?»
«No!»
Si guardarono, ridendo e urlando forte insieme. Di nuovo giù verso terra e ad una nuova curva il convoglio si capovolse, lasciandoli sospesi in aria mentre il mondo intero vorticava sottosopra.
Seduti – anzi stravaccati – su una panchina all’ombra di un albero poco lontano dalla giostra, inspirarono a boccate profonde. Una volta scesi, la corsa iniziò a far sentire i suoi effetti: testa che girava, stomaco sottosopra... Niente che un poco d'aria non potesse sistemare e magari una bibita fresca.
«Hai chiuso gli occhi, ti ho vista. Vinco ancora io» disse Mark.
«Ma non era una sfida»
«È sempre una sfida con te»
Voltarono il capo per guardarsi. Sorrisero.
Mark si alzò con un movimento fluido. «Vado a prendere qualcosa da bere»
«Oh sì, è un’ottima idea» annuì Kira, facendosi aria con una mano ad occhi chiusi, mentre con l’altra sollevò i capelli che le facevano caldo.
«Ehi, stai bene?»
«Mi gira tutto ma sì, sto bene»
«Fifona…»
Lei intuì il sorriso sarcastico senza vederlo e aprì gli occhi guardandolo seccata. Allungò una gamba per tirargli un calcetto. «Vammi a prendere quella bibita invece di fare il cretino»
«Ci metto un attimo, stai seduta»
«Grazie, Mark, sei davvero un tesoro» gli gridò dietro in tono sarcastico. Per tutta risposta lui le mostrò il dito medio.
Kira ridacchiò in solitaria, scivolando più giù con la schiena in modo da riuscire a posare la nuca sulla sponda della panchina. In quella posizione armeggiò con la borsa a tracolla, estraendo prima un nastro con cui legò la lunga chioma in una coda di cavallo, poi prese uno specchietto tondo e vi guardò dentro. Controllò con attenzione le lenti a contatto, sbattendo le palpebre più volte. A posto. Non si erano spostate di un millimetro. Quella sì che era fortuna!
Mark fu di ritorno con le bibite acquistate a un distributore automatico. C’erano un mucchio di chioschetti per la ristorazione ma costavano di più ed era sempre meglio risparmiare.
«Tieni, mollacciona». Allungò una lattina di limonata a Kira, sedendo di nuovo accanto a lei stappando quella di coca cola che aveva preso per sé.
Kira ringraziò e bevve con calma. La bevanda la rimise in sesto e la rinfrescò. Il malessere da montagne russe passò a poco a poco.
«Oh, aspetta» disse, frugando nella borsa. «Ti restituisco i soldi della bibita»
«No, lascia stare» rifiutò il ragazzo.
«Ma ci tengo»
«Posso permettermi di offrirti una bibita, Kira»
«Non è per quello…» Lei bevve un lungo sorso, lanciandogli un’occhiata in tralice. «Non vergognarti di me»
«Non mi vergogno di niente» chiarì lui, laconico.
«Ora non ti arrabbiare» Kira si sollevò dallo schienale e si sporse un poco verso il calciatore. «Non mi va di essere in debito, tutto qui»
«Sono solo pochi spiccioli». Mark bevve un altro sorso e spostò lo sguardo su di lei. «Posso offrire una bibita a un’amica che sta male?»
Un’amica. Quelle due parole le scaldarono il cuore. «Non sto più male»
«Okay, allora riformulo: posso offrire una bibita a un’amica e basta?»
Lei sorrise e gli diede un colpetto alla spalla con la propria. «Come sei docile, oggi. Che ti hanno fatto?»
«Se stai male e tua madre lo viene a sapere mi classificherà come individuo pericoloso»
«Ma tu sei un tipo pericoloso, Lenders» scherzò ancora lei.
Mark ricambiò il gesto di prima con una spallata poco calibrata che fece accasciare Kira dal lato opposto della panchina. «Mi dispiacerebbe se venissi rinchiusa in casa solo per essere salita sulle montagne russe»
Lei si raddrizzò a sedere massaggiandosi la spalla, ostentando molto più dolore di quanto ne avesse provato. C’era molto di più dietro quella frase e ne fu lusingata. «Stai dicendo che ti dispiacerebbe non uscire più con me?»
Mark non rispose. Si alzò e andò a gettare la lattina vuota nel bidone dell’immondizia. «Andiamo a provare un’altra attrazione, dai» disse senza guardarla.
Kira terminò la limonata con un ultimo, lungo sorso e la lanciò al volo in un altro cestino. Raggiunse Mark e si aggrappò alle sue spalle dal dietro. «Tu mi adori»
L’andatura sicura di lui vacillò quando se la ritrovò avviluppata al collo. Cosa le saltava in mente? Lo stava…abbracciando. Lui non voleva essere abbracciato!
«Dai, dillo» Lei spostò il viso da una spalla all’altra di lui per poter vedere entrambe le angolazioni del suo volto. «Mi adori e non puoi più fare a meno di me»
Mark le afferrò i polsi e la costò da sé con un gesto un po' brusco. «Dev’esserti volato via il cervello sull’ottovolante. Vallo a riprendere»
Kira rise e cercò di liberare i polsi dalle grandi mani del calciatore. Le sue sembravano tanto esili a confronto… Era strano persino che quel giorno le sue battute non la innervosissero. Forse perché finalmente aveva trovato un’ottima espediente per contrattaccare: metterlo in imbarazzo era molto più divertente che arrabbiarsi. Sì sentì un po’ perfida ma in fondo era solo un gioco. Si era affezionata a Mark Lenders alla velocità della luce, tra alti e bassi, e sapeva – lo capiva – che anche lei era diventata importante per lui. Non pretendeva si sciogliesse e le dicesse che le voleva bene, si sarebbe accontentata delle sue gentilezze velate e quelle attenzioni distaccate, tutrici del grande cuore che batteva dentro l’ampio petto dello scontroso capitano della Toho.
«Attenzione, attenzione!» annunciò d’un tratto una voce all’altoparlante. «Il trenino del Tokyo Magic Land sta per partire dall’area uno! Venite a scoprire l'avventura nel Paese degli Animali!»
«Carino! Ci andiamo?» esclamò Kira in tono animato.
«No»
L’entusiasmo di lei evaporò in un istante. «Ma che palle… quando propongo qualcosa io non ti va mai bene»
«Tu fai cose stupide da bambina dell’asilo e mi fai vergognare»
Lei grugnì indispettita. Le ci voleva qualcosa di più tranquillo, soprattutto per le lenti a contatto… ma non poteva spiegarglielo, ovviamente. «Beh, io vado sul trenino. Tu sei vuoi aspettami qui»
«Ehi, un momento…» Non era una prospettiva allettante, pensò Mark. Sarebbe stato indubbiamente più seccante restare lì da solo a far nulla, seduto su una panchina come un genitore apprensivo, o peggio, come un fidanzato apprensivo…
No e poi no.
Ancora leggermente sgomento per l’abbraccio – dal quale si era definitivamente liberato borbottando un «Staccati, stupida femmina» che lei aveva deliberatamente ignorato – Mark la seguì verso la stazione ferroviaria che avevano sorpassato all’ingresso, vicino alla giostra dei cavalli.
La locomotiva ricalcava la fisionomia di un normale treno in miniatura, ma il resto del convoglio non somigliava quasi per niente a un vero e proprio trenino. Mark osservò con dubbio la serie di vagoncini a forma di animali della foresta e della giungla. Le ampie groppe fungevano da sedile, sulle quali era possibile gustarsi una tranquilla gita su rotaia lungo l’intero perimetro del parco, fingendo di viaggiare a dorso di animale. Alcuni bimbi erano abbastanza grandi da poter montare da soli, mentre i più piccini dovevano essere accompagnati dai genitori o dai fratelli più grandi. Non c'era molta coda, però... lui non poteva salirci, era pieno zeppo di marmocchi! E la maggior parte non superava il metro di altezza.
A capo del treno c’era un signore grassoccio vestito come il domatore di un circo, che agitava il berretto rosso e tirava una cordicella annunciando l’imminente partenza.
«Su, stanno aspettando solo noi» disse Kira prendendolo per mano e trascinandolo verso gli animali-sedile più vicini: una giraffa e un…
«Io sul gorilla non ci salgo»
Appena messasi a cavalcioni della giraffa, Kira soffocò le risate piegandosi sul lungo collo.
«Che hai da ridere?!»
«N-niente» rispose evasiva. «Trovo solo che il gorilla si adatti perfettamente alla situazione»
Lui l’avrebbe strangolata seduta stante se il trenino non avesse fischiato.
Stupida...
Mark gettò una gamba dall’altro lato del dorso del gorilla.
fastidiosa…
Sedette sul sedile e si aggrappò alla maniglia di ferro sopra le spalle dell’animale.
ragazzina.
«Visto che non era difficile salire?» disse Kira voltandosi per parlargli.
Mark si sentiva molto sciocco. Si sistemò meglio sul sedile, sbirciando intorno per assicurarsi che non ci fossero conoscenze in giro… sembrava di no. Pensò fosse un peccato, dopotutto, che Teddy e gli altri non fossero lì: gli sarebbe piaciuto quel trenino. Magari poteva provarlo prima lui per poi risalirci tutti insieme a fine giornata. Ecco, insieme alla sua famiglia sarebbe stato meno imbarazzante.
In seguito riportò l’attenzione su Kira: aveva una visuale completa della sua schiena e anche di qualcos’altro poco più in basso che preferì evitare di guardare. Si prese un attimo per ammirarle ancora una volta le lunghe gambe snelle.
«Anche la giraffa si adatta perfettamente alla situazione»
Kira, davanti a lui, voltò il busto. «Mh? Che vuoi dire?»
«Spilungona…»
Lei aprì la bocca in una ‘O’ indignata. «Ha parlato quello alto quanto una pertica!»
Il trenino partì tra urletti di bambini e risate di genitori, soffocando il resto della breve lite.
Il conducente tirò nuovamente la cordicella e in aria si levò un fischio insieme a uno sbuffo di fumo. 
«Aspettateciiii!!!» gridò un gruppo di ragazzi in corsa verso il trenino.
Quelle voci…
Mark si voltò e, non appena notò la testa quasi rasata di Bruce Harper si rigirò di scatto, tornando a guardare avanti a sé.
Ditemi che non è vero, ditemi che non è vero…
«Saltiamo su, forza!» esclamò la voce di Holly Hutton, seguita da un coretto di: «Hop!»
«Attento, Tom!»
«Ci sono, Alan, ci sono!»
Tom Becker e Alan Crocker. Mark volle sprofondare.
«Evviva, ce l’abbiamo fatta!» esultò la voce di Paul Diamond. E se c’era lui non potevano mancare Johnny Mason e Ted Carter: il trio della Saint Francis. E infatti…
«Non possiamo stare in due su un sedile, Ted»
«Ma ormai il treno è partito, e poi non c’è più posto»
Mancava solo…
«Dovevamo aspettare la prossima corsa» concluse Bob Denver.
C’era praticamente tutta la New Team! Perché diamine uscivano sempre in gruppo?! Non voleva che lo vedessero a bordo di un ternino per bambini, assolutamente no! D’accordo, c’erano saliti anche loro ma… Ma loro erano Hutton e compagni, lui era Mark Lenders, soprannominato la tigre della Toho School e prima della Muppet. Non poteva permettere che i suoi più acerrimi rivali lo vedessero in quelle vesti.
Fissò lo sguardo sulla schiena di Kira, restando immobile. C'era la possibilità che non lo notassero, bastava non voltare troppo la testa. Fortuna che la mamma e i fratellini non fossero lì. Non c’era pericolo che i piccoli attirassero l’attenzione. Doveva avvertire Kira di fare la stessa cosa, o meglio di non fare: non farsi notare.
«Ehi…» Mark allungò un braccio per tirarle la coda di cavallo.
«Ahi…che c’è?» Kira ruotò il busto a metà.
«Non girarti!» ringhiò.
Spaventata, lei ritornò a guardare avanti.
Mark fece leva sulle ginocchia e si sporse in avanti sulla testa del gorilla per arrivarle più vicino possibile. Non c’era molta distanza tra un animale e l’altro. Le tirò di nuovo la coda come se stesse suonando una campana.
«Ahia! Si può sapere cos’hai?» protestò lei.
«Non alzare la voce e non girati, ti ho detto»
«Va bene, va bene…»
«Non rivolgermi la parola, chiaro? Per tutto il tragitto non mi parlare e non chiamarmi per nome»
Perché mai avrebbe dovuto non fare una cosa tanto bizzarra, si chiese Kira. «Che succede?»
«Ci sono delle persone a bordo che non voglio mi vedano» bofonchiò il calciatore.
«Chi…?»
Il trenino imboccò una curva e saltellò. Kira scivolò dal sedile e non cadde solo perché Mark era ancora aggrappato ai suoi capelli. L’urlo di dolore che la ragazza lanciò attirò inevitabilmente l’attenzione di alcune persone sia dietro che davanti a loro.
Dannazione!
Il treno tornò a muoversi normalmente. Kira piangeva dal male, tastandosi la testa per assicurarsi di avere ancora i capelli attaccati al cranio e imprecando verso Lenders.
«Stronzo, demente, imbecille! Mi hai quasi staccato le testa!»
«Ringrazia il cielo che ti ho tenuta, cretina, o ti saresti ribaltata sulle rotaie!» Quando lei si incavolava dava sfogo al francesismo più puro. Che ragazza fine…
«Cretino sarai tu e quelle tue zampacce maledette! Che diavolo ti sei attaccato a fare ai miei capelli?!»
Una mano picchiettò sulla spalla del capitano della Toho. «Mark? Sei tu?»
Kira alzò lo sguardo sul ragazzo alle spalle di Mark, notando a poca distanza altri cinque o sei estranei della loro età sfoderare sguardi curiosi in direzione di Lenders.
«Sono loro che non devono vederti?»
Cretina, deficiente, linguaccia della malora…
Ormai era inutile nascondersi. Mark prese coraggio e si voltò, salutando Bruce, Holly e gli altri con voce inespressiva. «Ehilà»
Immediatamente, Paul, Ted e Johnny sghignazzarono. Holly invece lo salutò con un sorriso.
«Che sorpresa, Mark! Come stai?»
«Ehm…bene» Beh, rannicchiato su quel gorilla non stava poi tanto bene.
Il viso di Bruce Harper si deformò in un ghigno ebete. «Non sapevo ti piacessero queste attrazioni, Lenders. Che vergogna, non sei più un bambino»
«Potrei dire la stessa cosa di voi altri, se è per questo»
Bruce rimpicciolì, il trio della Saint Francis smise di ridacchiare e Holly e gli altri sfoggiarono sorrisi imbarazzati.
«In effetti hai ragione, ma ogni tanto è bello tornare bambini» disse Tom. Tra i ragazzi della New team, Becker era quello ad avere più confidenza con Mark per il fatto di essere stati compagni per un anno alla Muppet.
«Sei da solo?» continuò Holly come nulla fosse. «Perché se sì puoi unirti a noi»
Nemmeno se mi paghi… «Non sono solo»
«Oh, capisco». Holly allungò il collo per guardare meglio la ragazza sul vagoncino antistante.
Kira incrociò lo sguardo del numero dieci della New Team. Holly le sorrise, lei ricambiò.
«Ciao» la salutò timidamente Hutton. «Sei una parente di Mark?»
«Ehm, no. Sono una sua compagna di classe. Mi chiamo Kira Brighton, piacere»
Era certamente uno strano modo di conoscersi, e ancor più lo era il luogo.
«Ooohhh! Lenders si è trovato la ragazza!» cantilenò Bruce sfoderando un sorriso stupidissimo. Si sporse verso Mark e gli diede un paio di manate sulla schiena. «Ma bravo! Invece di allentarti per il campionato porti fuori la tua fidanzata, eh?»
«Dai Bruce, smettila…» lo ammonì Tom, conoscendo fin troppo bene il temperamento di Lenders e sapendo quanto lo infastidissero certe cose.
In risposta, Mark allontanò bruscamente la mano di Bruce, alzandosi in piedi con aria aggressiva. «Tieni a freno quella lingua, Harper, o te la farò ingoiare alla prima partita di campionato!»
«Sto solo scherzando» si difese Bruce, ma ormai la bomba era innescata.
Mark puntò un dito contro i ragazzi della New Team. «Statemi a sentire, mezze calzette: quest’anno la vittoria sarà della Toho! Allenatevi per bene o sarò io a ridere di voi la prossima volta che ci vedremo!»
«Ma noi non…» riprese Holly senza avere il tempo di concludere.
«Mark, dove vai?» esclamò Kira.
A una nuova curva il trenino rallentò un poco e Mark e saltò a terra.
Kira ignorò gli altri ragazzi e scendendo dalla giraffa, lo seguì.
 
 
 
«Ma insomma, qual è il problema?». Lei cercava di farlo parlare ma Mark si era chiuso all’improvviso in un mutismo ostinato. Possibile che i giocatori della New Team avessero un effetto così incendiario sul suo umore? Tutte le volte in cui Mark aveva affermato di non sopportarla si convertivano in un eufemismo di fronte all’odio palpabile di quel momento.
«Senti, anche se ti hanno visto su quel trenino che importanza vuoi che abbia? Ci sono saliti pure loro»
«Non è questo, Kira!» Mark parlò per la prima volta dopo diversi minuti di silenzio. Camminava a passo spedito davanti a lei, poi si voltò a fronteggiarla. «Sono loro il problema! La New Team al completò lo è, Hutton in prima linea!»
Nessuno riusciva a fargli saltare i nervi come lui! Bastava incrociarlo a smuovere il suo animo suscettibile.
«Una volta abbiamo giocato insieme. Due anni fa, dopo il campionato nazionale, nell’estate tra la sesta elementare e la prima media vennero convocati i migliori giocatori under quindici per formare la nuova nazionale giovanile giapponese» ricominciò, voltando di nuovo le spalle alla pattinatrice. Lei rimase ferma ad ascoltare. «Io, Ed e Danny fummo chiamati nella squadra insieme a molti altri ragazzi che avevamo affrontato durante il campionato. Ci fu un ritiro in Francia per giocare i mondiali juniores. Arrivammo secondi». Kira non trattenne un’esclamazione ammirata ma Mark la fermò dal fare altri commenti. «Da quando abbiamo giocato come compagni, le cose tra me e Holly sono un po’ cambiate. C’è rispetto tra noi, ma io…»
«Tu non sei soddisfatto» concluse Kira per lui. Fece un paio di passi e azzerò la distanza. «Anch’io non sono contenta di me stessa. L’anno scorso sono arrivata quinta ai campionati scolastici: c’è chi dice sia un buon punteggio per una principiante, ma io non mi accontento. Io voglio la medaglia d’oro, anche se è solo una gara tra scuole»
Mark annuì lentamente, le labbra socchiuse in un’espressione di stupore. Sì, era esattamente quello: la prima posizione, l’essere riconosciuti come i migliori, i più forti.
Lei lo capiva.
Kira sorrise appena. «È un chiodo fisso, vero?»
«Lo è»
«Lo so, Mark. Anch’io quando sono tornata sulla pista e in palestra dopo le gare continuavo a ripetermi: “devo recuperare. Devo diventare più forte”»
«Vedere la New Team mi ha…dato fastidio» proseguì lui stringendo i pugni. «Ogni volta che penso al campionato so di essere indietro rispetto a Holly. So che mi manca qualcosa per fare il salto di qualità, per raggiungerlo in tecnica e bravura, per diventare come lui. Ma non so cosa!»
Lo ammise con difficoltà. Non era abituato a esternare i propri sentimenti a qualcuno. Solitamente teneva tutto dentro e si sfogava giocando a calcio, non parlando. Solamente con Ed e Danny riusciva ad aprirsi e nemmeno sempre. Aveva un carattere chiuso per natura.
Avvertì il tocco leggero di lei sul braccio.
«Ti capisco, Mark. Comunque non devi rovinarti la giornata per questo»
«Eh?»
«Io non conosco bene Oliver Hutton ma ho visto come gioca e se qualcuno può eguagliarti, quello è proprio lui. Avete un modo molto diverso di giocare ma possedete la stessa determinazione. Però ti devi ricordare che tu non sei lui»
Gli faceva la predica? «Questo lo so bene!» scattò, allontanando il braccio così che lei non poté più toccarlo. Si era sbagliato, non capiva.
Kira indurì lo sguardo restando immobile. «No, non lo sai. Se lo sapessi ti impegneresti per affinare le tue capacità e non per imitare le sue.  Non sarete mai uguali per quanto ci provi»
Istintivamente, Mark chiuse di nuovo le mani a pungo. «Cosa vuoi dire con questo? Che dovrò rassegnarmi a rimanere in seconda linea?!»
«No, ma tu stesso hai affermato poco fa di voler essere come lui»
«Non intendevo dire che il mio scopo è emularlo!»
«Appunto!» Kira puntò le mani sui fianchi. «Sostieni di voler diventare come Oliver Hutton, ma tu sei Mark Lenders!»
Mark rilasciò le dita, le spalle si distesero. Holly era il suo rivale, la sua nemesi, non un avversario qualunque ma il peggiore e il migliore al tempo stesso. Da lui poteva imparare ma non doveva imitare. Lui era Mark. Holly era Holly.
E Kira aveva ragione.
«Scusa» le disse. «Non volevo aggredirti»
«Oh, figurati». Lei gli sorrise. «Sai, spesso anch’io cerco di copiare le grandi campionesse che vedo gareggiare in tv, ma poi riconosco il mio errore. Posso arricchirmi guardando le tecniche altrui, capire dove sono debole rispetto a un’avversaria e dove sono più forte, ma non devo mai ricalcare le orme di qualcun altro»
«Cavolo…»Mark sbuffò una risatina.
«Che c’è?»
«Sembrano le parole di Jeff Turner»
Kira fece un'espressione smarrita. «Chi?»
«Il mio vecchio mister. Parlava sempre di non prendere mai a modello nessuno, nemmeno i nostri idoli»
Kira mosse brevemente la testa da una parte. «Mh. Non aveva torto»
Mark tirò un respiro. Si era calmato.
Era destabilizzato da come lei riuscisse a infondergli sensazioni positive. Non era bravo a dare una definizione alle cose ma in fondo lo sapeva: voleva bene a Kira, solo che ogni volta era una rivelazione rendersene conto e molto più difficile era esprimerlo. Non considerò nemmeno per un istante la possibilità che lei iniziasse a piacergli, ma dovette dare atto alle tesi di Ed: c’era un legame tra loro, viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda e sembrava che qualsiasi cosa accadesse si ritrovassero comunque destinati a condividere ogni cosa. Provò una nuova sensazione che null’altro poteva essere se non empatia.
«Coraggio, decidiamo la prossima meta» lo invogliò Kira tirandolo per un braccio.
Mark voltò lo sguardo intorno con trascuratezza. «Fai tu, per me è uguale»
«Oh, guarda!» disse lei, indicando un punto poco avanti a loro nascosto da alte siepi incolte. Erano giunti nei pressi della Casa degli Orrori. «Entriamo?»
Lui osservò la casa con poco entusiasmo. «Sei proprio sicura di voler andare là?»
«Sì, certo. È da quando siamo arrivati che non vedo l’ora di provarla»
Kira sembrava elettrizzata alla prospettiva ma lui non era per nulla convinto. «Va bene, ma vedi di non starnazzare come una papera ad ogni mostro che salta fuori. Sarebbe estremamente fastidioso nonché imbarazzante»
 
 
L’attrazione più terrificante del Tokyo Magic Land era una casa in stile vittoriano dalle mura fatiscenti e un incolto giardino sul davanti. Evidentemente era una delle strutture più frequentate poiché vi era un mucchio di gente in fila. Due attori vestiti e truccati da macabri portieri sogghignavano agli astanti che varcavano il cigolante portone a doppio battente, il quale si apriva e richiudeva autonomamente dando su una sala d’attesa quasi totalmente avvolta nel buio. Mark si sentiva un po’ stupido e forse soffriva anche un po’ di claustrofobia; al contrario di Kira che sembrava divertirsi un mondo.
«Non sapevo ti piacesse questo genere di cose» le sussurrò piegandosi leggermente verso di lei quando furono all'interno.
«Oh, sì. Amo il brivido» rispose la pattinatrice, guardandosi attorno per capire da che punto avrebbero dovuto proseguire.
D’un tratto una voce cavernosa spezzò il silenzio, presagendo il peggio per i visitatori che avessero osato varcare la soglia della casa. Un tuono risuonò nell'atrio semibuio, qualcuno gridò alla luce del lampo.
Mark udì Kira dire: «Comincia a farsi interessante».
Sul lato destro della stanza si aprì una parete, rivelando al di là un corridoio dove altri attori truccati con facce bianche simili a scheletri dividevano gli ospiti in gruppi di dieci persone. Non c’erano rotaie come Mark aveva immaginato, era un tour a piedi.
In sottofondo partì una strana musichetta accompagnata da suoni sinistri. Salirono un’ampia scalinata che conduceva al primo piano, dove iniziarono gli orrori veri e propri. Nel salone, un camino grande come una caverna sprizzò fuoco all’improvviso e forme grottesche presero a danzare nelle fiamme. Proiezioni di fantasmi svolazzanti passavano loro accanto, sparendo e apparendo tutto intorno con le loro facce deformi, le mani scheletriche.
Tutte le luci si spensero e le figure bianche iniziarono a vorticare per la stanza. Poi, il pavimento prese a muoversi, a salire.
Kira si riteneva piuttosto coraggiosa ma in quel momento non poté fare a meno di aggrapparsi forte al braccio di Mark, notando con stupore che anche lui cercava un contatto.
Il calciatore cercò di vedere il viso di lei nel riflesso delle proiezioni degli spettri. Kira gli restituì un sorriso nervoso. Quello faceva paura.
La pavimentazione tornò immobile e si riaccesero le luci: tenui, bluastre candele appese in candelabri sulle pareti di un lungo corridoio. La scenografia era cambiata. Iniziarono a percorrerlo e dalle mura subito spuntarono altri mostri urlanti, facendo urlare anche la gente. Poi, dalle pareti scesero enormi ragni e altre creature non ben identificate.
Kira cacciò un urlo assordante. «NOOOO! I RAGNI NOOO!!!»
Chiunque fosse il costruttore di quell’attrazione aveva lavorato proprio bene. Era tutto molto credibile, i ragni sembravano veri e per un attimo anche Mark vacillò di fronte alle grosse bestie nere che zampettavano sul pavimento. Non doveva aver paura, erano solo altre proiezioni, o magari pupazzi animati. Era anche sicuro che senza la musica lugubre, le luci che si accendevano e spegnevano abilmente e tutta la gente che gridava, avrebbe fatto molta meno impressione.
Kira gli si appiccicò addosso come se avesse l’intenzione di saltargli in braccio. Molte persone attorno a loro sembravano condividere il suo stato d’animo.
Dopo il corridoio sbucarono dentro una serra putrescente che dava su un cimitero, dal quale i morti viventi iniziarono a saltare fuori dal terreno: mani, braccia, corpi interi, proprio nel mezzo del passaggio.
«AIUTOOO!» esclamò la pattinatrice quando una mano le sfiorò la caviglia.
«Kira! Mi stai strozzando!» Mark tentò invano di levarsi le braccia di lei dal collo. «Ma non avevi detto di amare il brivido?!»
«S-sìsìsì ma…la casa dei fantasmi di Disneyland Tokyo non era così spaventosa!»
«Non sono tutte uguali, genio»
Un cadavere salì da una pozza d’acqua stagnate, la pelle e i vestiti a brandelli. Allungò le braccia e si sporse verso i visitatori generando un grido unanime, Mark incluso.
«Ma che razza di posto è questo?!»
«AAARGH!!!!!! VOGLIO USCIRE DA QUIII!!!» ululò Kira sconvolta. All’urlo successivo si riattaccò a Mark come un marsupiale all’albero.
In realtà, se lui avesse potuto si sarebbe messo a correre per raggiungere l’uscita prima di subito. Purtroppo era impossibile, ovviamente, dovevano attendere che il tour della casa finisse.
Alla fine del cimitero entrarono in una cripta dove i vampiri si alzavano dalle tombe facendo versi terrificanti. Poi fu il turno della tana di un lupo mannaro, anzi più lupi, che digrignavano i denti insanguinati e sparivano e apparivano dalla foresta fittizia che contornava la corsia. Gli ululati li accompagnarono fin nell’ultimo tratto, dove un calderone ribolliva e il pupazzo di una strega orrenda salutava i visitatori. Infine…l’uscita.
«Mio Dio, che esperienza terribile…» mormorò Mark sorreggendosi a un muretto.
«A me è piaciuto un sacco! Faceva paura, vero?» disse Kira, rabbrividendo d’entusiasmo.
Mark spostò gli occhi sbarrati sul viso di lei: era la serenità in persona. «Ma se hai urlato tutto il tempo! Come puoi trovarlo divertente?»
«È proprio questo il bello! Se entri senza avere un minimo di paura è del tutto inutile entrarci» Sogghignò, guardandolo appoggiato al muretto che tentava ancora di riprendersi. «Hai avuto paura, eh?»
Mark si staccò dalla parete. «Tu non sei normale»
«Ammettilo, non c’è mica niente di male»
«Tu-non-sei-normale» ripeté il ragazzo, agguantandola con un braccio attorno al collo.
Lei rise. «Mark Lenders ha paura dei fantasmi» lo canzonò.
«Facevano più orrore i ragni»
«Brrr! Sono d’accordo. I ragni facevano proprio schifo. E anche quegli zombie che saltavano fuori ovunque…»
«E quello che è sbucato dal lago…»
«I lupi mannari non mi hanno impressionato tanto, però erano fatti bene»
«Bugiarda, hai urlato anche con quelli»
Continuarono a parlare della Casa degli Orrori, percorrendo la strada fino al Castello delle Fiabe. Con un braccio molleggiato sulle spalle di Kira, Mark la ascoltava raccontargli quanto meno impressionante fosse stata la Casa dei Fantasmi di Disneyland Tokyo, anche se altrettanto credibile e affascinante. Mark non c’era mai stato, così Kira gli promise che la prossima volta che fossero andati in un parco divertimenti sarebbe stato proprio a Disneyland, magari anche in compagnia di Ed e Danny.
In seguito, lei volle sapere chi aveva vinto quella sfida. Mark ricordò di averle detto che sull’ottovolante era stato lui ad avere la meglio perché lei aveva serrato gli occhi, ma per quanto riguardava la Casa degli Orrori potevano considerarsi pari.
«Mm…aspetta» fece lei pensierosa. «Messa in questi termini vorrebbe dire che siamo uno a zero per te». Se tutte le vecchie sfide erano finite in parità e lui aveva vinto sull’ottovolante… «Accidenti! Voglio la rivincita!»
«Potrei anche dartela, ma saresti sempre sotto di un punto». Mark usò un tono leggermente divertito. Vide che lei attendeva una spiegazione più chiara. Ora l’avrebbe fatta arrabbiare. «Ricordi la partita di baseball?»
Kira annuì. Certo che la ricordava.
«Beh, mia cara, prima che tu rompessi la finestra della presidenza, io avevo segnato un punto. Se tu in seguito non avessi spedito la palla fuori avresti potuto pareggiare, ma…»
Una piccola ruga le increspò la fronte. Lei a questo particolare non aveva più pensato, se n’era perfino dimenticata. «Quel punto era nullo. La sfida era stata sospesa»
«Ma era pur sempre un punto. Perciò, siamo due a zero per me». Lui mimò il numero con le dita.
«Tu non hai vinto quella partita, Mark»
«Oh, sì che ho vinto»
«No!»
Il calciatore si allontanò pacatamente ai piedi del Castello, dove si trovava un gazebo per il tiro a segno. «Allora, svampitella: la vuoi la rivincita?»
«Certo che sì!» Kira lo raggiunse a gran passi, sistemandosi le maniche della maglietta arrotolandole sulle spalle. (1) «Ora ti faccio vedere io…»
«Salve ragazzi, volete provare?» li accolse l’uomo dietro il banchetto.
«Che bisogna fare?» chiese Mark.
«Prendi il fucile ad aria compressa e spara a quanti più palloncini possibile. Hai dieci tiri a disposizione»
Una ruota metallica a cui erano agganciati una decina di palloncini colorati iniziò a girare lentamente, acquistando velocità man mano che il gioco continuava. Mark afferrò il fucile mettendosi in posizione. Chiuse l’occhio sinistro e mirò: uno, due, tre palloncini in sequenza. Mancò il quarto, il quinto lo prese, i successivi due gli sfuggirono; l’ottavo scoppiò, acchiappò il nono e di nuovo mancò l’ultimo.
Il giostraio gli regalò un sorriso soddisfatto, insieme ai suoi complimenti e al premio. «Sei su dieci. Mica male, ragazzo, mica male. Per te c’è questo». L’uomo parve imbarazzato e dispiaciuto nel porgerli il pupazzo di un cagnolino bianco con un gran fiocco rosso al collo. Ma Mark accettò comunque.
«Lo regalerò alla mia sorellina, le piacerà sicuramente». Il capitano della Toho infilò sottobraccio il pupazzo, poi, con l’aria di chi sa di aver già vinto, passò il fucile a Kira. «Prego, miss»
«Grazie». Kira lo afferrò e prese posizione, busto piegato e sedere in fuori.
Mark le scoccò uno sguardo incerto. C’era proprio bisogno di mettere in mostra le chiappe? «Tanto non ne beccherai che un paio»
«Un giorno ti pentirai di avermi sempre sottovalutata, Lenders». Kira iniziò a sparare ai palloncini, un colpo dopo l’altro – giallo, rosso – precisa e paziente – blu, arancione. Quando non fu sicura di centrare il bersaglio si fermò. La ruota cominciò a girare appena più lenta e lei riprese a sparare – rosa, verde e giallo andati – era una questione di attesa, Mark aveva troppa poca pazienza – viola, azzurro, fucsia. Finiti.
Si rimise dritta, soffiando sopra la canna del fucile. «Che classe, eh?»
Il giostraio rise allegramente. «Accidenti, ragazzina, dove hai imparato a sparare così?»
«Giocando ai videogame» rispose Kira, impaziente di ricevere il suo premio. «Cosa vinco?»
Mark la fissò sbuffando a braccia conserte, mentre lei accettava un enorme tigre di peluche con un gran sorriso di soddisfazione e gioia. Sbagliava davvero a sottovalutarla ogni volta.
«Non te ne andrai mica in giro con quella roba lì in braccio, vero?»
Kira affondò la guancia nel morbido pelo sintetico. «Non è un amore? È super morbidosissimo»
«Cos’è?!» Mark fece uno sguardo da miope ma lei non gli diede retta.
«Credi che faremo in tempo a fare qualcos’altro prima di tornare da tua madre?». Kira guardò l’orologio. Segnava le cinque meno un quarto. 
Mark non rispose. Teneva il viso contratto dal dispetto, facendo roteare in aria il cane di peluche e riprendendolo al volo.
«Oh, non farla lunga perché hai perso» lo apostrofò Kira, battendogli su una spalla. «Capisco, è seccante per uno scimmione nerboruto come te che una fanciulla bella e aggraziata come la sottoscritta abbia avuto la meglio al tiro a segno»
Mark le strofinò il cagnolino di peluche sulla faccia. «Non vedo fanciulle aggraziate né tanto meno belle, solo una ragazzetta boriosa con la lingua lunga»
«Smettila!» Kira gli strappò il cagnolino dalle mani. «Avrò pietà di te e un giorno ti inviterò da me per insegnarti a migliorare la mira»
Lui si riprese il peluche, sollevando un sopracciglio. «Giocando ai videogame?»
«Certo! Guarda che è vero che ho imparato così, mica l’ho detto tanto per dire»
Mark sembrò non crederle.
«A casa abbiamo una consolle Nintendo» spiegò allora Kira. «A mio padre piacciono molto i giochi sparatutto, quelli in cui si utilizza la pistola ottica (2). Gli ho regalato giusto un mese fa uno degli ultimi usciti, per il suo compleanno»
«Parli sul serio?» Il padre di Kira giocava con il Nintendo?
«Lo trovi strano?»
«N-no... Anzi sì, un po’»
A Mark scappò un sorriso imbarazzato, ma lei parve capirne il motivo.
«Mio padre è un tipo bizzarro. Adora questo genere di cose come i videogame, e colleziona modellini di robot che si vedono negli anime fantascientifici. Mia madre dice che è un bambino cresciuto e che io sono uguale a lui»
Mark la fissò a bocca aperta. «Aspetta: mi stai dicendo che tuo padre è un otaku?!»
Kira rise di gusto. «Non proprio. Credo lo sarebbe se avesse più tempo per coltivare le sue passioni, ma sai, è sempre in medio oriente per lavoro e spesso manca da casa per mesi»
«E quando è a casa, tu giochi con lui a questi giochi sparatutto?» le chiese Mark. Non ce la vedeva, ma lei sfatò i suoi dubbi una volta per tutte.
«Si capisce! Ti ho detto o no che ho imparato grazie ai videogame? Appena possiamo facciamo delle lunghe partite, anche se mia madre rompe le scatole» Kira arricciò il naso. «Dice che le facciamo venire mal di testa con tutti quei rumori. Mia madre è abbastanza noiosa»
Mark provò ad immaginare Risa Brighton rimproverare Kira e suo padre seduti sul tappeto di casa a sfidarsi. Provò un moto di nostalgia non desiderata, eppure inevitabile. Lui non aveva mai giocato ai videogame con suo padre... Però, allo stesso modo in cui si era divertita Kira, anche lui aveva corso e riso insieme a John per pomeriggi interi sul campetto pubblico di Saitama, o nel parco dietro casa. Lunghe giornate spensierate passate con papà a giocare a calcio, finché la luce svaniva dietro i tetti delle case di un bel quartiere residenziale e la mamma non li richiamava perché era pronta la cena. Matt non era ancora nato a quel tempo. Sembrava una vita fa ma erano passati solo pochi anni.
«Sei mai stata al Luna Park con tuo padre? Disneyland a parte»
Kira annuì, gli occhi che brillavano mentre parlava di Kei Brighton. «Ero piccolina quando mi ha portato in un parco giochi come questo per la prima volta. Volevo salire sulle giostre dei grandi, come i tuoi fratelli»
«Io non ricordo l’ultima volta che sono venuto al Luna Park con mio padre». Erano stati al mare, allo zoo, al planetario, alla mostra sui dinosauri… ma al Luna Park forse mai. Non lo rammentava affatto.
Mark scacciò quei pensieri e si accorse che Kira lo stava fissando. Immobile, stringeva tra le braccia la sua enorme tigre e sembrava sul punto di parlare. Mark intuì la domanda in arrivo. Fu pronto ad erigere un muro, ma il momento fu interrotto da un coro di voci che li chiamavano entrambi.
Camminando e parlando si erano spinti sotto il Castello delle Fiabe, dove li stavano già aspettando la signora Lenders con i bambini. Quando li raggiunsero, i fratellini si strinsero intorno a Mark, lanciandosi nel racconto di ciò che avevano visto mentre lui e Kira non c’erano.
«Allora andavano veloci i vagoni del Far West?» domandò ai fratelli.
«Sì!!!» gli rispose un coretto perfettamente sincronizzato.
«E voi cosa avete fatto?» chiese Nathalie, ammirando la gigantesca tigre di peluche in braccio a Kira.
«Siamo andati sulle montagne russe, sul trenino degli animali nella Casa degli Orrori, fatto una gara di tiro a segno… e questo è per te» Mark tirò fuori da dietro la schiena il cagnolino di peluche.
«Oohh! Che carino!» Nathalie strinse il pupazzo al petto e abbracciò il ragazzo in vita. «Grazie, fratellone!»
Lui le accarezzò il caschetto nero sorridendo affettuosamente.
«Avete giocato al tiro a segno?» chiese Teddy con l’aria di chi ha voglia di provare. «E chi ha vinto?»
«Io» risposero all’unisono Mark e Kira, scambiandosi un’occhiata ostinata.
«E noi? E noi?» si fece sentire il piccolo Matt.
Mark lo prese in braccio, rivolgendosi sia a lui che a Teddy. «Volete un peluche anche voi?»
Teddy sorrise esitante. Si sentiva un po’ grandicello per un peluche ma gli sarebbe piaciuto provare a vincere qualcosa. «Mi piacerebbe un pupazzo grande come quello di Kira-san» ammise.
«Io voglio un pesce rosso» esclamò invece Matt, lasciando tutti perplessi.
«Un pesce?» fece Mark, chiedendosi dove mai potesse prendergliene uno in quel parco.
Il piccolo Lenders indicò con la manina un altro gazebo simile a quello in cui il fratello e Kira avevano sparato ai palloncini. «Là ci sono i pesciolini. Me ne vinci uno, Mark?»
«Oh, la pesca dei cigni» disse Judith, capendo a cosa si riferisse. Era passata davanti al chioschetto con i bambini solo pochi minuti prima. Matt doveva aver visto i pesci allora.
Il meccanismo della pesca era molto semplice: bastava far passare l’occhiello di una canna da pesca attorno al collo dei cigni di plastica sistemati in una vasca. La difficoltà in questo caso stava nel fatto che la vasca era sistemata su un piano girevole. Ma Mark fu abile e ne acchiappò il numero giusto per vincere proprio ciò che il fratellino aveva chiesto.
«Ecco qua» disse, consegnando a Matt un sacchettino trasparente al cui interno nuotava pigramente un grazioso pesciolino. Nathalie e Teddy – col suo nuovo elefante azzurro di peluche sottobraccio – si chinarono per ammirare l’animaletto e decidere quale fosse il luogo migliore per collocarlo una volta a casa.


Un’altra voce all’altoparlante avvertì i visitatori del parco di prendere posto nell’anfiteatro ai piedi del Castello per lo spettacolo degli eroi, durante il quale era previsto l’intervento di alcuni attori vestiti da celebri personaggi dei cartoni animati.
Le gradinate erano già gremite e fu difficile trovare un posto per sedere tutti vicini. Kira e Judith si accomodarono così su uno degli ultimi gradini in alto, mentre Mark condusse i fratelli un po’ giù, dove il palco si vedeva meglio.
«Kira-san, non sei costretta a rimanere qui con me» disse la signora Lenders. «Va pure a raggiungere Mark e gli altri»
La ragazza scosse la testa con un sorriso. «No, rimango qui. Se scendessi, lei rimarrebbe da sola e mi dispiacerebbe»
«Sei molto cara, grazie»
I bambini riuniti nell'anfiteatro esultarono quando partì una musica nota ai più: la sigla di un famoso cartone di supereroi. Kira vide la signora Lenders allungare il collo per controllare che i figli più piccoli facessero i bravi. Fece la stessa cosa e vide Matt e Nathalie che battevano le mani a ritmo; Mark doveva avere la situazione sotto controllo.
Le sorse spontanea la domanda. «Sono molto legati, vero?»
Judith si voltò verso di lei a intervalli. «Oh, sì, moltissimo»
«Mark è quasi irriconoscibile quando sta con loro. A scuola non è mai così spontaneo»
La signora Lenders si mosse sul gradino, mettendo le mani in grembo una sopra l’altra. «So bene che mio figlio possiede un carattere difficile, ma è un bravo ragazzo»
«Ma certo che lo è. Ho imparato a conoscerlo, ormai: è un tipo introverso ma non è cattivo. Io sto molto bene con lui»
Judith ammirò la sincerità con cui quella ragazza parlava agli altri. Non era un tratto tipico della loro società. «Sono felice che Mark abbia trovato una persona come te»
«Oh, no!» negò la pattinatrice in tono acceso. «Io e suo figlio non stiamo insieme!»
Judith piegò le labbra davanti a tanta risolutezza. «Certo che no. Siete solo amici»
«Sì, esatto». Kira prese a giocherellare con i baffi della grossa tigre di peluche. Era in imbarazzo. Anche la madre di Mark pensava che…
«Non è sempre stato così intrattabile» riprese la signora Lenders. «È cambiato molto dopo la morte del padre»
Kira sentì la terra aprirsi sotto i piedi. Il padre di Mark era…
Provò una sensazione di completo smarrimento. Tante erano state le sue congetture a riguardo e sì, doveva ammettere di aver considerato anche quello, ma non per davvero. Immaginava piuttosto un genitore assente, o che avesse lasciato la famiglia dopo un divorzio, ma non che…
Judith notò la sua espressione attonita. «Non…non te lo aveva detto?»
«No» esalò Kira con un filo di voce, scuotendo il capo lentamente.
Judith sostenne il suo sguardo smarrito per qualche istante, poi distolse gli occhi. «Mark non ne parla volentieri, perciò non mi stupisce che non l’abbia fatto. Sai, era molto legato a suo padre e quando è venuto a mancare è stato come se anche una parte di lui fosse svanita con mio marito. Ha sempre avuto un carattere introverso e caparbio ma era anche un bambino molto dolce. È cresciuto così in fretta rispetto ai suoi coetanei…»
Non dica altro, pensò Kira. Aveva voluto saperlo ma adesso sentiva che era un discorso troppo personale. Eppure rimase seduta ad ascoltare.
«Ricordo che una volta Mark sfidò tre bambini più grandi di lui per il possesso di un pallone da calcio (3). Vennero quasi a botte e quando suo padre lo scoprì non lo sgridò, anzi, si congratulò con lui per la sua tenacia». Judith si lasciò andare ad un sorriso ricordando l'episodio, tornando malinconica subito dopo. «Quando John ci lasciò, Mark mantenne entrambe le promesse che gli fece poco prima che morisse: diventare un calciatore professionista e prendersi cura della famiglia. Aveva solo nove anni ma si assunse il compito di badare ai fratellini come fosse stato loro padre, e così è tutt’oggi. Il mio Mark è un ragazzo di gran cuore»
Lo so, avrebbe voluto dire Kira, ma le si era formato un groppo in gola che proprio non riusciva a scacciar via. Era comprensibile il perché Mark non le avesse mai confidato nulla. C’era una crepa profonda dentro il suo animo che nessuno sarebbe mai riuscito a ricucire.
Spostò lo sguardo verso i quattro fratelli Lenders ma si rese conto di non riuscire a vederli bene. Un velo di lacrime le offuscava la vista. Il breve racconto della signora Lenders l’aveva segnata più di quanto pensasse.
«Ahi…». Con uno scatto, la ragazza si portò la mano all’occhio destro. Oh cavolo, le lenti a contatto!
«Cosa c’è?» Judith si chinò verso di lei.
La pattinatrice piegò in fretta la testa. «Niente. Mi scusi, vado un attimo in bagno» Si alzò dalla gradinata e corse verso i servizi pubblici più vicini.
 
 
 
Qualcosa lo spinse a voltarsi per controllare che la mamma e Kira fossero ancora dove le aveva lasciate. Le vide parlare tra loro tranquillamente. Chissà cosa stavano dicendo…? Tornò a prestare attenzione allo spettacolo, tenendo Matt sulle ginocchia perché avesse una visuale migliore. Poco dopo si voltò di nuovo e vide Kira alzarsi in fretta e correre via. Sembrava...sconvolta. Ma non era possibile che mamma avesse detto qualcosa di male e l’avesse offesa. Sua madre era sempre altamente rispettosa con tutti, sapeva ponderare bene le parole, al contrario di lui.
«Venite» disse ai fratelli, facendo scendere Matt dalle proprie gambe.
«Dobbiamo già andare via?» chiese Teddy.
«No, ma finirete di guardare lo spettacolo vicino alla mamma. Forza»
Obbedienti come sempre quando Mark disponeva qualcosa, i tre bambini si alzarono dal loro posto arrampicandosi tra la gente verso i gradini più alti.
Vedendoli arrivare, Judith rivolse loro uno sguardo perplesso. «È successo qualcosa? Come mai siete saliti?»
«Nulla, è tutto okay» rispose Mark, lasciando la mano di Matt che andò a sedersi accanto alla madre. «Dov’è Kira?»
Judith gli rivolse uno sguardo mortificato. «È corsa in bagno tutt’a un tratto. Oh, caro, temo di averla turbata»
«Perché?» La mamma che turbava qualcuno? Impossibile.
«Stavamo parlando e le ho raccontato di tuo padre…»
Mark non fece commenti. Posò una mano sulla testa della grossa tigre di peluche che Kira aveva lasciato sui gradini. Per un attimo pensò che avesse deciso di andarsene. Se così fosse stato, lui non le avrebbe perdonato di aver rovinato una giornata praticamente perfetta. Ma se aveva lasciato il pupazzo significava che aveva intenzione di tornare.
«Mi dispiace, tesoro»
«Non è colpa tua, mamma, tranquilla». Ma nemmeno colpa di Kira. «Torno subito»
Mark si avviò a passo spedito verso le toilette poste in un angolo del castello, sotto una delle torri. Attese al di fuori per quelli che parvero minuti interminabili, pensando a cosa dirle una volta che fosse uscita.
Non ci stava mettendo un po’ troppo?
La porta si aprì, ma erano solo tre ragazze sconosciute che sghignazzavano di qualcosa che non afferrò. L’uscio rimase socchiuso: uno spiraglio lo invitava a guardare all’interno. Guardingo come un ladro, Mark spinse piano per sbirciare. Poi spalancò la porta, mettendo piede sul pavimento asciutto. Si complimentò intimamente per l’ottima manutenzione di quel parco; grazie a Dio i giapponesi erano un popolo molto rispettoso verso il prossimo. Richiuse l’uscio e sgattaiolò nell’antibagno dove c’erano altre due porte: uomini a sinistra, donne a destra.
Non poteva assolutamente entrare là dentro! Però…
Ma sì, chi se ne frega.
Afferrò la maniglia della porta di destra ma qualcuno dalla parte opposta l’aprì prima di lui.
«Kira…»
Lei trasalì nel trovarselo davanti. «Che diavolo fai nel bagno delle donne?!»
«Ah…ecco…» Mark indietreggiò come un animale in trappola. Era sicuro che lei avrebbe dato il via a una filippica sui maniaci, ma l’espressione del suo viso divenne così triste che quasi non la riconobbe.
«Stai bene?» Era la seconda volta in poche ore che Mark glielo domandava. «Mia madre ha detto che sei scappata via»
«Sì, io…». Kira aveva sciolto la coda e i capelli le circondavano il volto dagli occhi arrossati. Fece una lunga pausa, indecisa se dirgli o meno la verità. «Tua madre mi ha raccontato di tuo padre»
Di nuovo silenzio. Si guardarono. «Sì, me l’ha detto». Mark infilò le mani in tasca, puntando gli occhi a terra. In qualche modo lo infastidiva il pensiero che Kira lo avesse saputo. Non voleva la sua pietà. Non aveva bisogno di pietà. Nessuno ne aveva avuta quando suo padre era morto, tutt’altro: li avevano lasciati soli, solamente Sugimoto era rimasto ad aiutarli.
«Perché ne avete parlato?»
Kira alzò le spalle e scosse il capo una volta. «Non lo so. È successo». Sentì una lacrima scenderle su una guancia e l’asciugò in fretta. Ma ne scese un’altra e un’altra ancora. «Non pensavo che le cose stessero così. Mi domandavo spesso su tuo padre, solo che non credevo potesse essere questa la risposta»
«E che cosa pensavi, allora?»
«Che fosse sempre in giro per lavoro, come il mio, o…non lo so. Avevo diverse ipotesi»
«Perché piangi, Kira?» La voce di Mark tradì una nota seccata.
Lei abbassò il capo, i capelli davanti al viso. «Perché mi dispiace. Perché ora capisco tante cose» Kira tirò su col naso, tornando a guardarlo. «Sai, all’inizio mi eri antipatico a causa del tuo atteggiamento. Sembrava che tutto ti infastidisse e niente ti interessasse. Te ne fregavi dei commenti altrui, quando dicevano che eri lì solo per la borsa di studio invece che per la tua bravura. Poi ti ho visto la prima volta insieme alla tua famiglia e ho scoperto il tuo lato gentile; ho capito di sbagliarmi e ho iniziato ad affezionarmi a quella nuova parte di te»
Mark si mosse a disagio. Cosa aveva dato sua madre a Kira? Il siero della verità?
«Però non mi spiegavo perché a scuola continuavi a fare il prepotente e mi prendevi sempre in giro, soprattutto dopo che avevamo litigato» proseguì lei cacciando via altre lacrime. «E ti avrei mandato al diavolo definitivamente se non ti volessi bene, se non mi fossi resa conto che il tuo carattere chiuso e aggressivo, quando sembri non degnare nessuno della tua attenzione…sono tutte forme di difesa. Il fatto che tu abbia affrontato la morte di tuo padre quando eri solo un bambino ti ha costretto a cambiare. Adesso lo so»
Mark non parlò. Ordinò a sé stesso di rimproverarla, perché era stupida a frignare per una persona che non aveva conosciuto, non aveva senso. Non gli piaceva vederla così vulnerabile. Kira non era quel tipo di persona, lei era forte e decisa.
«Mi dispiace, Mark. Tanto»
Le lacrime sul suo viso stonavano come una macchia d’inchiostro su un lenzuolo bianco.
«Dai, smetti». Mosse mezzo passo in avanti allungando le braccia e semplicemente la strinse. Fu così naturale che gli sembrò di averlo fatto per tutta la vita. Kira non si spostò, ricambiando automaticamente la stretta.
Mark non pensava potesse rimanere tanto scossa. Rimase fermo con lei contro il petto, posando il mento sulla sua testa in attesa che si calmasse. Non singhiozzava ma lui sapeva che stava ancora piangendo.
Poi capì: non erano lacrime di pietà ma di amicizia.
«Grazie» mormorò contro i suoi capelli.
«Di cosa?» soffiò lei contro la sua spalla.
«Di piangere per mio padre»
«È stato un fulmine a ciel sereno. Non ero pronta»
Ora anche lui stava scoprendo un nuovo lato di lei: c’era tenerezza sotto il velo di orgoglio ed energia. Una Kira meno individualista, capace di condividere con lui un dolore tanto grande.
«È paradossale, lo sai?»
«Cosa?»
«Che io stia consolando te». La sentì ridere. Allentò la presa per guardarla: un sorriso stentato le attraversava il viso sottile. «Sei più carina quando ridi».
Così da vicino, Mark notò immediatamente il rossore farsi largo lentamente sulle sue guance.
Conscia di essersi imbarazzata, Kira partì al contrattacco. «Smettila immediatamente di provarci con me»
«Che schifo. Ma chi ci prova con te?»
Lei lo spinse via, sbuffando offesa. «Non cambierai mai! Sei e sarai sempre il solito arrogante buzzurro!»
Lui fece un sorrisino sghembo, felice di avere di nuovo di fronte la Kira che conosceva meglio. «Ehi, aspetta. Dove vai?» tentò di fermarla vedendola voltarsi di nuovo verso il bagno. «Dobbiamo tornare allo spettacolo»
«Devo sciacquarmi il viso, faccio in un secondo». Kira fece per richiudere la porta ma Mark la bloccò infilando un piede nel mezzo. «Mark, non seguirmi! Non puoi entrare qui!»
Lui ignorò la protesta. «Sicura di star bene?»
«Sì, certo» Lei si coprì gli occhi con una mano dandogli la schiena. Le si era spostata di nuovo una lente e bruciava da morire. Pazzesco, avevano tenuto sulle montagne russe e ora per poche lacrime minacciavano di levarsi.
«Kira…»
«Sto bene, ma tu esci di qui. È il bagno delle donne, e se non te ne vai subito ti spedisco giù per la tazza del water»
 

 
 
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Note:
 
1 - Come tutti sappiamo, una delle peculiarità del personaggio di Mark Lenders è la maniera caratteristica di tenere le maniche della maglietta sempre arrotolate sulle spalle. Qui ho voluto creare un parallelismo con Kira ;)
 
2 - La pistola ottica, detta anche light gun, è una periferica a forma di arma da fuoco, usata nei videogiochi sparatutto delle sale giochi e in seguito con console Nintendo e SEGA, negli anni ottanta e novanta. L’uso delle pistole ottiche è diminuito nel tempo causa l'impossibilità di utilizzarlo con monitor di televisori LCD. (fonte Wikipedia)
 
3 - Piccolo riferimento alla serie originale di Captain Tsubasa, dove si racconta la morte del padre di Mark.
 
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Hello carissime, come state? Io mi sto lentamente sciogliendo, vivo di ghiaccioli e piscine sognando il mare della Liguria (arriveròòòò!!!). Amo l’estate, ma quasi quaranta gradi con il sessanta per cento di umidità non sono esattamente il massimo.
Va bene, basta, tanto so che non ve ne frega niente di sapere cosa faccio io. xD Però io vorrei tanto sapere cosa state pensando in questo momento. Mi auguro come sempre che il capitolo sia stato di vostro gradimento anche se piuttosto lungo, ma non volevo dividerlo. E, soprattutto, spero tantissimo di non essere andata OC con il nostro Mark, né con Kira, visto che ho mostrato il suo lato fragile per la prima volta. Sto facendo grandi progetti per questi due, sappiatelo!!
Vi è piaciuto il piccolo cameo della New Team? Lo so, Tom in teoria non dovrebbe esserci visto che sarebbe in Francia e non tornerebbe in Giappone fino alla terza media, ma volevo che apparisse. Un po' di licenza poetica, dai xD
Forza, commentate e non trattenetevi!
 
Ringrazio tutte voi che leggete, avete inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate, e che mi aspettate sempre con pazienza.
Se volete conoscere il prossimo aggiornamento di "Haru no toki", vi invito a iscrivervi al mio gruppo Facebook Chronicles of Queen. Vi aspetto!
Un bacio grande,
Susan <3
   
 
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