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Autore: blackjessamine    10/07/2019    4 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 19 
Progetto Odette





Sirius osservò Alhena scomparire tra la folla nel tentativo di raggiungere il chiosco dei produttori di sidro. Il sole si stava dolcemente abbassando sui pendii verdeggianti della piccola isola, e la folla che poco prima aveva assistito piena di entusiasmo al Torneo si stava riversando sotto l’ampio pergolato attorno al quale sorgevano gli stand riservati alla gastronomia. 
Alhena e Sirius, al termine del Torneo, si erano ritrovati risucchiati in un’allegra compagnia seguendo Olvier e Katie: Sirius, assieme a quei ragazzi tanto giovani, si sentiva un po’ fuori posto, ma non aveva avuto tempo per metabolizzare il suo disagio. Oliver Baston, infatti, si era da subito esibito in una accorata perorazione della sua causa: in quanto padrino di Harry Potter, Sirius avrebbe dovuto cercare di far ragionare seriamente il ragazzo, convincendolo almeno a provare a fare un provino e a non abbandonare completamente l’idea di fare del Quidditch un mestiere. Era un suo dovere morale, secondo Oliver. 
Alhena, nel frattempo, aveva messo all’angolo il povero Carbry Bell: il giovane Guaritore era un ragazzo alto e magro, dotato di grandi occhi grigi dall’espressione un po’ malinconica e di lunghe dita nervose sempre impegnate a rollarsi una sigaretta, ad accenderla o a fumarla. Il poverino, che di certo non si aspettava un assalto simile da Alhena, si era ritrovato seduto sul limitare della panchetta di legno a cercare di sopravvivere a quello che, Sirius comprese sgomento, sembrava più che altro un interrogatorio. L a folla era tanta e molto rumorosa, e Sirius, seduto di fronte ai due, faticava a cogliere l’intero scambio di battute, ma sembrava che Alhena fosse particolarmente interessata a ricostruire tutti i movimenti di Carbry durante la guerra. 

Quando la ragazza si offrì di andare a prendere da bere per tutti, Sirius e Carbry si ritrovarono a sorridersi, circospetti e un po’ a disagio. Il giovane gli offrì una sigaretta, che Sirius, con una scrollata di spalle, accettò. Non era mai stato un fumatore accanito, nemmeno da giovane, quando le sigarette servivano soprattutto per darsi un tono,  ma il profumo di tabacco, fresco e fragrante, gli aveva solleticato le narici. 
Oliver Baston e Katie Bell erano impegnati in una fitta chiacchierata con un uomo del posto, mentre Cormac, il vincitore del torneo, era troppo preso a perdersi negli occhi chiari della sua compagna per prestare anche la minima attenzione a Sirius e Carbry.
Nel tentativo di spezzare quel silenzio carico di imbarazzo, Sirius gettò una nuvoletta di fumo verso l’alto, prima di domandare:
“E quindi tu sei un Guaritore, giusto?”
“Quasi”, il ragazzo si strinse nelle spalle, fissando lo sguardo sull’orizzonte alle spalle di Sirius.
“In realtà sto concludendo ora la specializzazione a Chicago...”
Guardandolo meglio, in effetti, la sua giovane età, oltre le occhiaie scure, era evidente.
“Ah. Allora avevo capito male, credevo che tu… che ti fossi occupato tu di Alhena”.
Carbry sorrise appena, un sorriso pieno di malinconia, che non gli raggiunse davvero gli occhi.
“Lo scorso maggio c’era talmente bisogno di Guaritori che probabilmente avrebbero affidato un moribondo anche a un ragazzino al primo anno di college. Al San Mungo sono stati più che felici di ospitare per qualche mese un Guaritore quasi del tutto formato”.
Sirius annuì, cercando di non pensare a come potessero essere le corsie del San Mungo in quel periodo. 
“Be’, sì, ti ringrazio per aver fatto qualunque cosa tu abbia fatto. È stato una specie di miracolo, no?”
Carbry scrollò di nuovo le spalle, apparentemente imbarazzato.
“Non so cos’è stato, ma so che Alhena è stata fortunata: ci sono stati momenti in cui non ero certo che saremmo riuscita a riportarla qua. Ma immagino che coi Macnair sia cosi”, aggiunse con uno strano brillìo divertito negli occhi, “più cerchi di ammazzarli, più quelli si ostinano a restare vivi, anche solo per non dartela vinta”.
A Sirius venne risparmiata la difficoltà di trovare una risposta plausibile – al momento, la sua mente era concentrata più che altro sulla ricerca di un metodo per resuscitare Bellatrix e vendicarsi di lei – dal ritorno di Alhena, che faceva levitare sopra la sua testa un vassoietto di rame carico di bicchieri.
La ragazza si sedette di nuovo accanto a Carbry, ma, per la prima volta, sembrò ricordarsi anche della presenza di Sirius.
“Sirius, prima di ripartire devi far vedere la tua moto a Carbry! Anche lui ne guidava una volante!”
Lo sguardo già malinconico del giovane si fece ancora più cupo, mentre mormorava, mogio:
“In realtà, io mi limitavo a farmi scarrozzare in giro. Non sono molto portato per la guida…”
Ma Alhena, le guance arrossate da un’eccitazione che Sirius raramente le aveva visto in volto, gli occhi luminosi e vagamente febbricitanti, aveva già ripreso a parlare:
“Durante la guerra ha allestito un Ambulatorio Volante: ha sorvolato il paese in lungo e in largo per prestare soccorso a maghi e babbani feriti. Ha dato anche una bella mano a Charlie Weasley, sai?”
Carbry aveva di nuovo puntato gli occhi all’orizzonte, mordendosi un labbro. Sembrava che l’attenzione di Alhena lo mettesse un po’ a disagio. 
“Oh, eri tu, allora… ho letto un articolo su di te”, mormorò Sirius, ricordando qualcosa che aveva letto di sfuggita sulla resistenza organizzata dagli ex studenti di Hogwarts. Eppure, chissà perché, gli sembrava di aver capito che Carbry, a Hogwarts, non ci fosse andato affatto, diplomandosi invece negli Stati Uniti. 
“Be’, sì, ma mi hanno dato una mano, mica ce l’avrei fatta, da solo”.
“Sì, ecco, anche io ho letto quell’articolo, e ho pensato… mi sono ricordata che Charlie aveva detto di aver avuto un brutto incidente e di essere stato salvato da due Guaritori Volanti, e quindi sono risalita a te. George Weasley mi ha detto che Oliver, il suo ex capitano, avrebbe potuto mettermi in contatto con te, e quindi eccomi qui”, concluse Alhena, come se, in questo modo, ogni cosa fosse stata del tutto chiarita. 
Carbry e Sirius si scambiarono la stessa occhiata confusa.
E dire che Sirius aveva creduto che Alhena fosse giunta fin lì soltanto per ringraziare l’uomo che un anno prima le aveva salvato la vita…
Dopo aver bevuto un lungo sorso di sidro fresco, la ragazza si scostò dal viso una ciocca di capelli, prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione a Carbry e domandare, con voce bassa e determinata:
“Mi spiegheresti com’è che facevate a capire dove trovare chi aveva bisogno di aiuto?”
E la serata trascorse così, tra le domande sempre più precise e specifiche di Alhena e le risposte un po’ imbarazzate di Carbry, che pareva un po’ a disagio nel parlare delle sue imprese in tempo di resistenza. Alhena era talmente presa dal suo interrogatorio che nemmeno si accorse del gruppo di giovani streghe che, armate di violini e tamburelli, avevano cominciato a suonare motivetti allegri e ballabili. 

Alhena e Sirius, inizialmente, avevano pensato di fare ritorno a Ballincollig quella sera stessa, ma poi la stanchezza ebbe la meglio. 
Tornarono alla loro locanda a notte inoltrata, dopo aver bevuto troppa birra scura e osservato con gli occhi pieni di meraviglia – e le orecchie piene di belati spaventati – lo spettacolo pirotecnico organizzato da alcuni giovani del luogo. 
Il mattino dopo si erano alzati di buon’ora, svegliati da un cielo plumbeo e da una pioggia fredda e fitta. Mentre facevano colazione seduti ai minuscoli tavolini nella sala principale della locanda, fissando le grosse gocce di pioggia che si abbattevano come sassi sui vetri sporchi, Sirius si ritrovò a domandare:
“Adesso che ce ne stiamo andando mi vuoi spiegare perché ti interessava così tanto parlare con questo Carbry?”
Sirius avrebbe voluto farle quella domanda già la sera precedente, dopo aver assistito all’interrogatorio del povero Guaritore, ma quando erano finalmente tornati alla serenità della loro stanzetta, erano entrambi crollati addormentati entro pochi minuti. 
Alhena finì di masticare con tutta calma il toast che reggeva tra le dita, si pulì diligentemente le labbra e disse, come se si trattasse della cosa più semplice del mondo:
“È solo che credo sia arrivato il momento che io mi decida a trovarmi un’occupazione. E quello che ha fatto Carbry Bell mi sembra abbastanza nelle mie corde”.
Sirius fissò Alhena senza trovare nulla da dire. Non avrebbe mai immaginato che Alhena avesse qualche aspirazione da medico, ma insomma, era una ragazza sveglia. Di certo non sarebbe stato facile riprendere gli studi a ventinove anni, ma Sirius era certo che, se avesse voluto, avrebbe potuto farcela. Quello che Sirius proprio non riusciva a immaginare, nemmeno nei suoi sogni più arditi, era che Alhena accettasse di salire di sua spontanea volontà su una motocicletta che aveva intenzione di sollevarsi in volo.

 
***

Ballincollig, vacanze di Natale 2000
Quartier Generale del Progetto Odette


Sirius si materializzò proprio in mezzo al piccolo orto gelato: se fosse stata estate, Alhena lo avrebbe ucciso per aver calpestato la verdura. Del resto, nemmeno Bill Weasley e la sua squadra di Spezzaincantesimi erano riusciti a fare troppo conto l’incantesimo Antimaterializzazione dei Macnair; era un incantesimo antico e particolarmente potente, e anche dopo tanti anni spesso giocava qualche brutto scherzo: ora era possibile Materializzarsi o Smaterializzarsi all’interno del perimetro della dimora di Ballincollig, ma era impossibile prevedere dove esattamente si sarebbe comparsi. Qualche volta si atterrava nell’orto, qualche altra volta si faceva la propria comparsa con un piede infilato nel portaombrelli posto all’ingresso principale, oppure ci si ritrovava chiusi nel capanno degli attrezzi sul retro, o ancora seduti accanto al centrotavola sul tavolino della stanza del pianoforte. Una volta, Sirius era stato così sfortunato da comparire proprio sulla riva fangosa e viscida del piccolo fiume che scorreva nei terreni sul retro della casa, aveva perso l’equilibrio e aveva fatto il suo ingresso a casa coperto di fango dalla testa ai piedi.
Nonostante questa piccola difficoltà, Sirius non avrebbe mai cambiato quella dimora con null’altro al mondo. La villa era grande e isolata, e i lavori di ristrutturazione di Alhena, assieme al suo buongusto, l’avevano trasformata in una casa dall’aspetto luminoso e curato, vivace, privo di inutili orpelli e pieno di spazio per costruire un futuro sereno. 
Sistemandosi meglio il mantello attorno al viso, Sirius strinse fra le mani la sporta della spesa e si preparò ad affrontare il sentiero coperto di neve fresca che portava all’ingresso sul retro. 
Passando davanti a quella che, nelle intenzioni, doveva essere una serra rivelatasi poi troppo piccola per accogliere più di un paio di piante in vaso, Sirius non poté fare a meno di gettare un’occhiata ai vetri appannati: la sua motocicletta nera era parcheggiata di fianco a un buffo aggeggio a cui ormai aveva fatto l’abitudine: la parte anteriore era composta da una vecchia Vespa di un ridicolo rosa porcellino – rosa quarzo, diceva Alhena, nell’inutile tentativo di salvaguardare un po’ di dignità al suo trabiccolo – mentre sul retro, dove si innestava il portapacchi, c’era il sedile posteriore di una vecchia automobile, munito di cinture di sicurezza e incantesimo riscaldante. Erano serviti diversi incantesimi di bilanciamento per far stare in piedi quell’aggeggio (e soprattutto per non far finire Alhena in un fosso ogni volta che cercava di affrontare una curva), ma alla fine il perfetto equilibrio era stato raggiunto. Arthur aveva completato il tutto con discreti Incantesimi Respingibabbani, con un pulsante per la Materializzazione Congiunta Estesa, con un Sortilegio Liberastrade, così che il traffico, all’avvicinarsi della Vespa rosa, si dileguasse. 
Sirius sorrise: se la moto di Alhena era nella serra, significava che Alhena era tornata a casa.

Sirius aprì con sollievo la porta di casa, lasciandosi invadere dal calore del camino e dal profumo, inconfondibile e paradisiaco, di quei dolcetti ungheresi ripieni di crema che era solita preparare Margit. 
Dopo essersi sfilato gli stivali sporchi di neve e fango, appese il mantello irrigidito dal freddo accanto alla giacca a vento babbana che Alhena usava quando lavorava, pregustando il calore della sua vasca da bagno.
Quando fu a metà del corridoio, un proiettile a forma di bimba dalle treccine scure gli tagliò la strada, pedalando furiosamente su un vecchio triciclo di legno che, con l’aiuto di Arthur Weasley, Sirius aveva dipinto di rosso. 
“Ehi, peste, non si saluta?”
Blanka, per tutta risposta, gli mostrò la lingua, e procedette nella sua corsa. A inseguirla, dopo un attimo, comparve Margit, avvolta in un grembiule infarinato, le mani sui fianchi e una serie ininterrotta di richiami in ungherese sulle labbra.
Quando la bimba sparì oltre il corridoio, la ragazza si voltò verso Sirius con un sospiro esasperato.
“Io non so più cosa fare! Non è una bambina, è… è una…”
L’unico epiteto che Margit riuscì a trovare per descrivere sua figlia fu una parola ungherese che Sirius non comprendeva. 
Blanka era cresciuta per diventare una bimba vivacissima, capace di cacciarsi nei guai anche da ferma, di disubbidire a qualsiasi ordine e di farsi perdonare immediatamente con uno dei suoi sorrisi pieni di fossette e uno dei suoi abbracci da scimmietta affettuosa.
Lei e Margit abitavano nella casetta al limitare della proprietà, quella che, se i Macnair non fossero stati i Macnair, solitari e allergici alla compagnia di chiunque, sarebbe forse stata l’abitazione del custode della villa. Di solito Margit si impegnava a mantenere la sua indipendenza, cercando di pesare il meno possibile sull’ospitalità di Alhena e Sirius, ma spesso i quattro finivano per trascorrere molto tempo insieme nella grande dimora che Blanka aveva preso come suo parco giochi personale – complice anche l’atteggiamento dei padroni di casa, che la viziavano e coccolavano come fosse una nipotina. 
“Ma qualcuno oggi non aveva un esame?” domandò Sirius, osservando il volto di Margit illuminarsi e aprirsi in un ampio sorriso. 
“Promossa con lode!” gridò lei, strappando dalle mani di Sirius la borsa della spesa e avviandosi canticchiando verso la cucina. A settembre, infatti, Blanka aveva cominciato a frequentare l’asilo di Ballincollig, e Margit, grazie a una generosa borsa di studio, si era finalmente iscritta alla facoltà di Psicologia di Dublino, che frequentava con entusiasmo e promettenti risultati. 

Un allegro motivetto proveniva, attutito, dallo studiolo accanto al salotto piccolo: Sirius aprì la porta di legno scuro, certo di trovarvi Alhena.
La ragazza, infatti, sedeva al piccolo scrittoio accanto alla finestra, china su un lungo foglio di pergamena che stava riempiendo della sua scrittura minuta e ordinata. Aveva le gambe accavallate, e dall’orlo dei pantaloni le sporgeva un piede nudo, che ondeggiava seguendo ritmicamente il suono proveniente dal vecchio grammofono nell’angolo, uno dei pochi oggetti che Alhena aveva conservato dalla sua vecchia casa.
Quando lo vide entrare, la giovane donna sorrise, ripose con cura penna e calamaio, per poi avvicinarsi a Sirius con passo lieve.
“Sopravvissuto alle nuove casse automatiche del supermercato?”, domandò ironica. Alhena, infatti, era decisa a non perdere i contatti con la piccola comunità di babbani della zona, e così insisteva per fare la spesa nel piccolo ma straordinariamente fornito – e pulito, e luminoso – supermercato. Dopo qualche mese, Sirius era finalmente riuscito a padroneggiare quasi con destrezza penny e sterline, ma probabilmente non avrebbe mai compreso il macchinario infernale che regolava le casse automatiche. 
“Certo che no, lo sai che non posso rinunciare alle occhiate della rossa…”
La rossa altri non era che un’arcigna cassiera che, in paragone, avrebbe fatto sembrare Madama Pince una tenera gattina senza unghie. 
“Tu sei già tornata, invece?”
Alhena annuì, raccogliendo svogliatamente i suoi capelli, che nell’ultimo anno erano molto cresciuti, in una coda di cavallo disordinata.
“Era solo un falso allarme: un bambino che non aveva la minima intenzione di condividere la sua stanza con i cuginetti, durante le vacanze. Quando sono arrivata io, stava già piangendo, chiamando la mamma… abbiamo concluso il pomeriggio a casa loro con tè e biscotti”. 
Sirius sorrise, contento: il periodo delle vacanze era sempre più complicato, e le giornate di Alhena si erano fatte imprevedibili.
L’uomo si chinò in avanti, con tutta l’intenzione di posare le labbra su quelle della sua compagna, quando un piccolo “oh!” di sorpresa di Alhena lo interruppe: un istante dopo, i bottoncini di madreperla che Alhena portava alle orecchie si illuminarono di un vago alone della stessa tonalità rosa della sua Vespa.
Sirius chiuse gli occhi, sospirando. 
“Merda… avanzatemi qualche camin dolce, per favore”.
La giovane sollevò il mento, raddrizzò la schiena e si preparò ad uscire. Gettando un’occhiata al rettangolo scuro della finestra, Sirius la trattenne:
“Vuoi che venga con te?”
“Me la cavo da sola, non ti preoccupare”, lo rassicurò lei, incamminandosi a passo spedito lungo il corridoio.
Che se la cavasse da sola, Sirius ormai lo sapeva. Eppure non gli piaceva saperla fuori da sola quando era buio.
Sirius la seguì lungo il corridoio, fino alla porta principale, dove la osservò infilarsi un paio di stivali pesanti e la sua giacca a vento che le andava troppo larga.
“Stai attenta”.
“Lo sono sempre”, lo redarguì Alhena, facendogli l’occhiolino. 
Sirius rimase sulla soglia, guardandola arrancare nella neve e poi, con una manovra agile, estrarre la sua assurda Vespa dalla serra. Alhena mise in moto con la sua solita sgasata fin troppo entusiasta, e prese subito velocità facendo schizzare la neve ovunque. Non appena la Vespa raggiunse il limite della proprietà, con un sonoro pop scomparve nel nulla, pronta a ricomparire in chissà quale angolo del Paese, in qualche strada improvvisamente priva di traffico.

Non era stato facile far funzionare tutto nel migliore dei modi: le difficoltà organizzative erano state tante, e altrettanti i momenti di sconforto, in cui Alhena aveva pensato che il suo progetto fosse irrealizzabile. Eppure, se una sera si addormentava con le lacrime agli occhi, la mattina si risvegliava più determinata di prima a trovare una soluzione a qualsiasi problema. 
Tutto aveva cominciato a prendere silenziosamente forma nella mente di Alhena quando aveva portato via Margit da Budapest: era stato un gesto istintivo, su cui non si era fermata a riflettere nemmeno un secondo. In seguito, quando le cose si erano parzialmente sistemate, Alhena era arrivata alla conclusione che aveva trascinato Margit e Blanka a Dublino non solo perché era la cosa giusta da fare, ma anche perché lei lo sapeva, sotto sotto, cosa voleva dire aver bisogno di aiuto e non avere nessuno a cui chiederlo. Lei sapeva che cosa voleva dire volersene andare di casa e non avere la minima idea di dove andare a stare. Quando aveva quattordici anni, sprovveduta e imprudente, lo aveva fatto comunque, e, adesso che era più grande, e il mondo un po’ lo conosceva, si rendeva conto di quanto fosse stata fortunata a non riportare conseguenze drammatiche da quella fuga e dalle sue solitarie peregrinazioni. E si era resa conto, soprattutto, che qualcuno pronto ad aiutarlo lei lo aveva sempre avuto, soltanto che non lo sapeva. 
La dimora di Ballincollig aveva visto crescere tre bambini infelici, aveva assistito a disgrazie e a momenti difficili, e Alhena aveva deciso che le cose dovevano cambiare. Tutto quello spazio, tutti i soldi che lei aveva ricevuto in eredità erano decisamente troppi per rendere felice una persona sola, erano troppi anche per la famiglia che aveva formato con Sirius, e così aveva deciso che li avrebbe messi al servizio di chi ne aveva più bisogno: le persone giovani, spaventate sole. 
Da ragazzina, Alhena era stata salvata da chi aveva vegliato su di lei in silenzio, e ora quel ruolo di custode invisibile voleva assumerlo lei. 
E così era nato il Progetto Odette, che aveva il solo scopo di dare rifugio a qualunque strega o mago – Alhena avrebbe voluto aprire le sue porte anche ai babbani, ma non era ancora riuscita a conciliare i suoi scopi con lo Statuto Internazionale di Segretezza – minorenne in difficoltà. Adolescenti in rotta con la propria famiglia, bimbi vittime di maltrattamenti, ragazzi soli, giovani senza famiglia, chiunque. 
Aveva ottenuto il permesso di discutere con il Direttore dell’Ufficio per il Trasporto Magico, aveva preso parte a diverse riunioni con i manutentori del Nottetempo e, grazie anche alla buona parola di Kingsley, aveva potuto scomodare i membri dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia e anche Arthur, in qualità di Direttore dell’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti Babbani.
Dopo un lungo contrattare, dopo aver firmato scartoffie su scartoffie, dopo aver esposto le sue ragioni ad almeno trenta dirigenti diversi, aveva finalmente ottenuto il permesso di apportare tutte le modifiche del caso alla sua Vespa, ma soprattutto le era stato concesso il privilegio di usufruire di una Passaporta Eterna ad Intuito: si trattava di un Incantesimo estremamente complesso, che necessitava l’intervento di membri specializzati di diversi dipartimenti e funzionava, sostanzialmente, con lo stesso meccanismo utilizzato dal Nottetempo. Quando un qualsiasi mago minorenne, anche privo di bacchetta, avesse battuto per tre volte il piede a terra, gli orecchini di Alhena si sarebbero illuminati e scaldati, così da avvertirla che era necessario saltare in sella. Smaterializzarsi direttamente sul luogo in cui si trovava il ragazzino in difficoltà non era sempre possibile, motivo per il quale Alhena aveva scelto di dotarsi di una moto, per agevolare i trasporti anche in zone in cui con la magia sarebbe stato impossibile accedere. Gli orecchini avevano la capacità di guidarla come una bussola: aveva impiegato un po’ di tempo ad affidarsi alla Passaporta Eterna a Intuito, ma una volta compreso come lasciarsi andare e come fidarsi del proprio istinto, era l’incantesimo a dirle dove svoltare, quando accelerare, quando Smaterializzarsi e dove comparire. 
Non era stato facile nemmeno far arrivare ai piccoli maghi e alle piccole streghe la notizia dell’esistenza di un mezzo simile: Alhena non voleva fargli una pubblicità troppo esplicita, e soprattutto non voleva che fossero troppi gli adulti coinvolti, per evitare che qualcuno prendesse provvedimenti contro di lei. Era stato George Weasley il primo a ideare un passaparola efficace e ingegnoso: all’interno di ogni confezione dei suoi Tiri Vispi aveva inserito quello che, agli occhi di un adulto, sarebbe sembrato semplicemente un foglietto illustrativo, ma agli occhi di ogni ragazzino altri non era che un biglietto rosa quarzo con poche, precise istruzioni su come chiedere aiuto a qualcuno di “preparato, discreto, affidabile, fiero collezionista di punizioni ai tempi della scuola, portatore di un Voto Infrangibile con il quale ha giurato che mai tradirà la fiducia di un giovane”. Ovviamente Alhena non aveva fatto alcun Voto Infrangibile, ma era determinata a mantenere la sua parola: a lei interessava solo aiutare i ragazzi, portarli via da situazioni in cui non volevano più trovarsi, nient’altro. Non le importava che i ragazzi le raccontassero da cosa stavano scappando, non le importava sapere niente, di loro: era pronta ad ascoltare, nel caso loro avessero sentito il bisogno aprirsi e cercare conforto, ma non  era mai la prima a fare una domanda. Era pronta a intervenire per cercare di fare da ponte con le famiglie dei ragazzi, capitava spesso che si mettesse in gioco in prima persona per risolvere ogni situazione, ma quando capiva che invece uno dei suoi ragazzi, come li chiamava, non aveva intenzione di avere più niente a che fare con ciò da cui era fuggito, diventava un muro di gomma, proteggendo i suoi ragazzi con ogni mezzo. 
Inizialmente, la pubblicità di George aveva funzionato, anche se erano stati diversi i casi in cui Alhena aveva dovuto attraversare il Paese solo per trovarsi di fronte dei ragazzini curiosi di scoprire se quanto scritto nelle loro Merendine Marinare corrispondesse al vero.
E poi era arrivato settembre, e i maghi e le streghe più grandi erano tornati a Hogwarts, dove la preside McGrannitt aveva deciso di dare una possibilità al progetto della sua ex studentessa: per non attirare troppo l’attenzione e non dare al Progetto Odette un aspetto troppo istituzionale e dunque poco degno di fiducia per un ragazzino solo e spaventato, la preside aveva incaricato i Direttori delle quattro Case di tenere degli incontri informali con tutti gli studenti, con la scusa di informarsi su come stesse procedendo il loro ritorno agli studi, e fra le varie cose aveva anche chiesto di lasciarsi sfuggire in maniera casuale e apparentemente distratta qualche accenno al Progetto. 
Il primo Natale da conviventi, Alhena e Sirius lo avevano trascorso separati: Sirius era a casa con Brandon, un ragazzone di sedici anni che a scuola era preso in giro per la sua introversione e a casa viveva con dei babbani intransigenti, che temevano e denigravano costantemente ogni cosa riguardasse il mondo di Brandon. 
Alhena, invece, lo aveva passato discutendo con la famiglia un po’ assente e ignara di una ragazzina fragilissima, che sosteneva che ai suoi genitori non importasse niente di lei. 
Era tornata solo a tarda sera, senza la ragazzina, che aveva scelto di restare con la sua famiglia.
Davanti ai loro occhi, il Progetto era cresciuto quasi da solo: non erano moltissimi i ragazzi che loro ospitavano, soprattutto durante l’anno scolastico, ma almeno una volta alla settimana Alhena inforcava la sua Vespa rosa e partiva alla volta di qualche grido d’aiuto, senza prendersela se si trovava davanti soltanto dei bambini curiosi di scoprire la verità su quelle dicerie, o se invece si ritrovasse a dover Schiantare un padre alcolizzato e arrabbiato. 
Margit e Blanka, al momento, erano le uniche due babbane beneficiarie del Progetto Odette: oltre ad avere un posto dove stare, Alhena aveva incantato mezza segreteria universitaria per convincerla che la Borsa di Studio Black Swan esistesse davvero, e che Margit Birò ne fosse la beneficiaria. Margit, che stupida non era, aveva capito che il vero finanziatore della sua borsa di studio altri non era che Alhena, ma aveva accettato di iniziare quel percorso di studi in cambio della promessa che, una volta laureata, avrebbe messo la sua professionalità al servizio del ragazzi di Alhena.
Anche quell’anno Brandon era tornato a Ballincollig per trascorrere le sue ultime vacanze di Natale da studente in un’atmosfera serena: lo aveva fatto in silenzio, come se non volesse attirare su di sé nemmeno uno sguardo, ma per Alhena e Sirius era stata una gioia sincera riaverlo in casa. Brandon era un ragazzo taciturno, sensibile e gentile, che si prendeva cura della sua stanza e delle parti comuni della casa con un’abnegazione che aveva un che di commovente. Brandon aveva le dita svelte, e l’anno precedente si era dato da fare, riparando mobili e aiutando Alhena a rendere anche la mansarda un luogo abitabile. Suo padre era un elettricista babbano, e Brandon, che aveva imparato un po’ il mestiere, aveva promesso che, una volta diplomato, avrebbe aiutato Alhena a dotare Ballincollig di un impianto elettrico.

Sirius, Margit, e Brandon cenarono insieme, allietati dal chiacchiericcio stentato ma incessante di Blanka. Brandon e Sirius furono silenziosi per tutta la sera – Brandon era silenzioso di natura, mentre Sirius, quando Alhena era fuori, non riusciva mai a rilassarsi del tutto fino a quando non la vedeva tornare a casa.
Margit aveva appena iniziato a servire il dolce, quando il rumore pieno e tondo dello scoppiettare del motore della Vespa di Alhena fece scattare in piedi Sirius, che si precipitò a tenere aperta la porta d’ingresso.
Alhena comparve sulla soglia con i capelli scombinati e il viso arrossato dal freddo: indossava soltanto il maglione con cui era partita. La sua giacca a vento era avvolta attorno al corpicino magro di un ragazzino esile, che giaceva inerte fra le sue braccia.
“Ma che cosa…”
“Dammi una mano a portarlo al caldo, è mezzo congelato!”
Sirius si affrettò a togliere il ragazzino dalle braccia di Alhena, e mentre lo trasportava con cautela in soggiorno, si accorse che sotto il cappotto di Alhena indossava soltanto un pigiama leggero, ed era scalzo.
Brandon, che aveva osservato la scena in silenzio, aveva già accostato la poltrona più ampia al fuoco che scoppiettava nel caminetto.
Mentre Alhena si affaccendava attorno al ragazzino, Sirius tornò all’attaccapanni della casa, dove prese il suo mantello: era caldo e pesante, e almeno avrebbe tenuto coperto il ragazzo, mentre gli procuravano dei vestiti asciutti.

 
***

“Non credi sia meglio portarlo al San Mungo?”
Sirius sedette sul bracciolo della poltrona di Alhena, massaggiandole piano il collo teso. 
Il ragazzino si era risvegliato, ma non aveva voluto dire loro nulla, né il suo nome, né altro. Aveva solo detto di essersi perso, e quando Alhena gli aveva chiesto se volesse che lo aiutassero a tornare a casa, si era agitato a tal punto che Sirius aveva temuto si sentisse male. Erano riusciti a calmarlo, e subito dopo il piccolo era precipitato in un sonno profondissimo, che lo faceva apparire privo di sensi. 
Lo avevano vestito con abiti caldi e asciutti, lo avevano sistemato in una cameretta piccola, senza spifferi e con un camino vivace, ma Alhena non si fidava a lasciarlo solo, per paura che durante la notte si sentisse male. 
“Non lo so… sembra stia meglio, no?”
In effetti, il respiro del bambino si era fatto più regolare, il pallore malsano del suo volto era mitigato dalla calda luce del fuoco, e la sua fronte era calda, ma non febbricitante. 
“Aspettiamo di vedere come sta domani mattina. Tu però vai a dormire, non c’è bisogno che passiamo la notte in bianco in due”.
Sirius scosse la testa.
“Non ci penso nemmeno. O ci diamo il cambio, o resto con te”.
Alhena sorrise, poggiandogli il capo contro una spalla. Sirius le affondò una mano fra i capelli morbidi, attirandola a sé.
Era una vita senza orari, la loro. Una vita fatta di corse nella notte, di lunghi periodi in cui erano soli a godersi la grande casa vuota, e altri in cui la loro cucina sembrava quella di Molly Weasley. Non era la vita che Sirius avrebbe immaginato per sé, ne quella che i Guaritori, dopo il suo ritorno, avrebbero consigliato: aveva bisogno di una routine, dicevano, aveva bisogno di stabilità.
Eppure, ora Sirius lo poteva ammettere, era felice. Non sempre, e non in maniera assoluta: c’erano ferite che niente avrebbe rimarginato, c’erano notti in cui il gelo vuoto di Azkaban gli paralizzava ancora il cuore, c’erano i giorni cupi in cui dalla sua stanza non provava nemmeno ad uscire. Ma c’erano anche i giorni di sole, quelli in cui Felpato, con grande sgomento di Marmellata, si prestava a fare da destriero alla principessa Blanka e al prode cavaliere Teddy. E c’erano i giorni in cui i ragazzi di Alhena stavano bene, e qualcuno compiva gli anni, ed era solo una grande festa. C’erano le sere in cui lui e Alhena dimenticavano tutto ed erano solo una figurina sottile contro il tramonto, in sella alla sua motocicletta, e c’erano quelle notti che sembravano fatte soltanto per chiacchierare piano, fare l’amore e ricominciare a parlare.
A vent’anni forse Sirius era destinato a diventare un uomo diverso, un uomo che era stato ucciso più e più volte. 
A quarant’anni, Sirius non aveva una vita perfetta, ma aveva una vita che non avrebbe scambiato con nulla al mondo.

Riscuotendosi dal torpore in cui i due stavano precipitando, Alhena si alzò dalla poltrona per controllare che il ragazzino stesse bene.
Dopo avergli rimboccato le coperte, si chinò accanto al camino per attizzare il fuoco, e il suo sguardo venne attratto da un piccolo oggetto caduto per terra. Con un sorriso malizioso, si avvicinò a Sirius, mostrandogli il sacchettino formato dalla vescica di pecora che una buffa vecchina gli aveva regalato alla Fiera del Vello delle isole Shetland due estati prima. 
“Dev’essere caduto dalle tasche del tuo mantello…”
Sirius afferrò il sacchettino, perplesso: era quasi sicuro di averlo ficcato in fondo a un cassetto, non certo nella tasca di quel mantello.
“Dici che funziona?”, domandò Alhena, ridendo.
“Ma va, non ci crederai mica!”
Era ovvio, per Sirius, che quella vecchia fosse solo una signora molto particolare e incline a raccontare storie affascinanti per indurre la gente a comprare i suoi amuleti. Probabilmente era un banale sacchetto di pelle conciata e tinta di scuro, altro che vescica di pecora.
Sirius tastò meglio il sacchettino, constatando che era effettivamente vuoto.
“Peccato”, rise Alhena, “pensa, magari sarebbe saltato fuori un biglietto per un qualche bel posto nei Tropici, e ci saremmo fatti una vacanza come si deve”.
“Ma dove vuoi andare ai Tropici, che già ti è venuta la febbre con un pomeriggio sul fiume…”
Sirius, che d’estate assumeva un bel colorito brunito anche solo con un raggio di sole, non aveva mai smesso di prendere in giro Alhena per essere stata capace di ustionarsi e di farsi venire la febbre dopo aver passato un solo pomeriggio a nuotare nel fiume dietro la Tana. 
“Ma come siamo simpatici!”
Sirius tacitò ogni protesta di Alhena con un lieve bacio, e fece per ficcarsi in tasca il sacchetto di vescica di pecora, quando quello si ribellò.
“Ahia!”
“Che hai?”
“Mi ha dato la scossa!”
Sirius si massaggiò la mano indolenzita, guardando il sacchettino rotolare sul pavimento lucido. Era stato soltanto un secondo, dolorosissimo e intenso.
Alhena allungò la mano per prendere il sacchetto, e Sirius non fece in tempo a fermarla. 
“Stai attenta!”
Alhena, però, non si fece male: aveva gli occhi spalancati, e stringeva fra le dita sottili quel sacchetto con aria spaesata.
“Sirius… credo ci sia dentro qualcosa!”
Incredulo, l’uomo le strappò di mano l’oggetto, tastandolo con attenzione. C’era davvero qualcosa in quel sacchettino, qualcosa di piccolo e duro. 
Con dita incerte, Sirius sciolse il nodo che lo chiudeva, e si fece scivolare l’oggetto nel palmo della mano: era un oggetto piccolo e tondo, che catturò i bagliori del fuoco in un riflesso metallico.
Sirius e Alhena si fissarono a lungo, gli occhi spalancati dallo stupore.
Poi, come fossero una persona sola, esclamarono: 
“Oh, merda!”





Note:
Di nuovo, ci tengo a specificare che Carbry, la festa del Vello, Oliver e Katie, l’Ambulatorio Volante sono tutta farina del meraviglioso sacco di AdhoMu: non credo smetterò mai abbastanza di ringraziarla per avermi concesso la possibilità di usare le sue caratterizzazioni per questa storia. E mi scuso alla fine per aver reso così breve ‘intervento di Carbry, a cui mi sarebbe piaciuto dare molta più giustizia.
Al solito, io le storie non le so chiudere: mi perdo in mille dettagli all’inizio, e poi perdo completamente il senso del ritmo alla fine. 
Probabilmente, tutto avrebbe avuto più logica se avessi aggiunto la parte ambientata alle Shetland nello scorso capitolo, trasformando il finale nell’epilogo, ma ormai chi mi legge lo sa che i finali non sono proprio il mio forte. E sì, ci sarà comunque un epilogo (un po’ da diabete, preparatevi), perché sì. Perché questa storia è nata per levarmi alcuni sfizi, e voglio levarmeli fino in fondo.
Intanto, vi abbraccio forte: siete stati coraggiosi a seguirmi fino a qui, grazie di cuore! 
   
 
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