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Autore: Red Owl    13/07/2019    1 recensioni
Agnese e Caterina non si incontreranno mai, perché le dividono quasi cent'anni di storia. Eppure hanno qualcosa che le accomuna: qualcosa celato nei boschi che circondano il paesino di San Giorgio della Valle, dove entrambe sono cresciute. C'è un segreto antico, nascosto tra i castagni e le vecchie mura di un paesino della montagna lombarda: Agnese ha scelto di dimenticarlo, Caterina, forse, non l'ha mai conosciuto. Verrà però un giorno in cui entrambe dovranno fare i conti con il passato, quando un nemico subdolo e ingannatore verrà a bussare alla loro porta, alla ricerca di qualcosa che soltanto loro possono dargli.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quasi cent’anni prima

Ha appena smesso di piovere e l'aria è pregna di un'umidità densa e persistente. A fine ottobre, il sole non riesce più a scavalcare le creste delle montagne e l'intero lato nord della valle è immerso in un'ombra perenne. Fa freddo, nel cuore del bosco, un freddo che penetra nelle ossa e toglie la sensibilità alle dita delle mani e dei piedi, ma Agnese non vi bada.

Accoccolata su un masso ricoperto di muschio smeraldino, la bambina non presta alcuna attenzione alla macchia scura e bagnata che le si sta formando sul retro dell'abito di lana, così come non si preoccupa di liberare gli scarponcini dallo strato di fango e di foglie morte che vi si è depositato sopra.

È interamente concentrata sulla sottile chiave nera che tiene nel palmo della mano: la gira e la rigira, osservandone la superficie perfettamente uniforme, senza riflessi, senza scintillii, senza ombre, purissima nella sua totale assenza di colore.

Non era stato facile mostrarsi delusa quando, due settimane prima, Margherita le aveva dato appuntamento in gran segreto alla fine della giornata scolastica e le aveva mostrato il dono che aveva ricevuto dalla Zingara. Quando aveva visto la piccola chiave arancione comparire dalla tasca del grembiulino dell'amica, Agnese aveva sgranato gli occhi per la sorpresa, ma aveva tenuto la bocca ben chiusa, simulando un silenzio mortificato. La bambina mora era arrossita, mentre gliela mostrava quasi di soppiatto. «Non so se faccio bene a dirtelo», aveva confessato tenendo lo sguardo basso, «però mi sembra giusto così.»

In silenzio, Agnese aveva lasciato che Margherita le raccontasse come la Zingara l'avesse invitata a casa sua, l'avesse (forse) presentata a suo marito e le avesse infine affidato quella chiave fatta di resina secca, facendole promettere di custodirla con cura fino al suo ritorno. «Perché, sai, presto avrà una bambina e dovrà andare via per un po'.»

«Non è giusto che a te abbia dato quella chiave e me, invece, non abbia dato niente» le aveva fatto notare Agnese con un tono controllato, quasi da persona adulta.

Margherita I'aveva guardata con aria dispiaciuta. «Lo so» aveva sospirato con una vocina sottile sottile. «Non so perché abbia deciso di fare così.»

Agnese aveva finto di rifletterci per qualche istante, poi aveva scrollato le spalle. «Va be', non fa niente. È solo una chiave: non me ne faccio niente, di una chiave che non posso nemmeno usare.»

La ragazzina mora l'aveva fissata per qualche secondo ancora, poi si era infilata in tasca la chiave ambrata e aveva abbozzato un sorriso impacciato. «Magari uno di questi giorni chiamerà anche te e ti regalerà qualcos'altro» aveva suggerito, con l'aria di una che ci credeva davvero.

Agnese aveva reclinato graziosamente il capo. «Magari sì» aveva concordato con voce leggera. L'aveva detto sorridendo, ma dietro la piega amichevole delle sue labbra si nascondeva un'espressione di scherno. Margherita pensava forse di poterla prendere in giro? Lo sapeva benissimo, che la Zingara non l'avrebbe mai chiamata. Era esattamente come aveva sempre sospettato: lei e Margherita si incontravano di nascosto, alle sue spalle, escludendola da quella che le sembrava sempre più un'amicizia a due nella quale non c'era posto per lei.

Ma, proprio come aveva appena detto alla bambina bruna, non faceva niente. Che si incontrassero pure per bere il tè, la Zingara e Margherita, che si facessero promesse e si scambiassero regalini: lei aveva un'altra amica, ben più speciale della Signora Mursciù, e non aveva niente da invidiare a nessuno.

E, caso strano, la sua amica aveva giustappunto regalato anche a lei una chiave, qualche giorno prima, ed era ancora più bella di quella che la Zingara aveva dato a Margherita.

Per ringraziarla di quel dono, da allora Agnese va a trovarla ancora più spesso di prima: è per questo che oggi, appena la pioggia è cessata, è corsa nel bosco senza dire niente a nessuno e ha raggiunto il Böcc dal Seerp.

Lei la stava aspettando: non ha dovuto attirarla verso la superficie con piccoli doni vegetali. Quando è comparsa dalla boscaglia, era già lì che la fissava con i suoi grandi occhi neri senza iride né pupilla. Quegli occhi non l'hanno lasciata neanche un istante, e anche adesso ce li ha ancora addosso, mentre quella le spiega per l'ennesima volta perché deve tenere nascosta la chiave, senza mai mostrarla a nessuno, nemmeno a Margherita o alla Zingara.

Non parla con parole umane, perché la sua lingua è biforcuta e la sua bocca piena di zanne affilate, ma i suoi pensieri sono suoni e onde di colore che dalla sua mente arrivano direttamente a quella della bambina. Dietro alle sue palpebre, essi si condensano in immagini, idee e sensazioni. Agnese vede bestie fantastiche, draghi come quelli combattuti da quel San Giorgio che da il nome al suo paese, cavalli più bianchi della neve, galli con la coda da serpente, leoni con la testa d’aquila e creature, piccole o immense, che nemmeno sa descrivere. Vede donne vestite di ferro e di piume che reggono tra le mani picche affilate e uomini immensi con corna ritorte e zoccoli di capra.

Sono solo lampi fugaci che la bimba riesce a malapena ad afferrare, poi arriva un’immagine più chiara, più netta, che quella le scaraventa in testa come per imprimerla per bene nella sua memoria. La bambina vede una porticina da niente, legno marcio incastrato sotto a un arco di roccia come se fosse la porta di un crotto* poco frequentato, e davanti a essa scorge schiere di guerrieri splendenti dai visi di ferro e di vetro. Non sa cosa siano, non sa cosa vogliano, ma avverte che desidererebbero oltrepassare quella porta striminzita. Dall’altra parte, in un mondo più caldo e famigliare di quello che ha visitato sino a pochi istanti prima, Agnese vede delle fanciulle dalla pelle bruna e dagli abiti sgargianti. Non fanno nulla, ma se ne stanno immobili, con le schiene dritte come fusi, con gli occhi fissi sulla porta e le mani tese verso di essa. Risplendono di una luce interna, potente come se al posto del cuore avessero una palla di fuoco pallido. La bimba pensa che hanno un qualcosa di famigliare, ma così, su due piedi, non riesce a definire meglio quella vaga sensazione.

Lei la scuote con il pensiero e Agnese sente crescere in sé qualcosa di strano. È paura, ma anche rancore, invidia, rabbia e un impeto di ribellione che non aveva mai provato, prima di allora. È un’ombra amara che le riempie l’anima, lava bruciante; è anche soddisfazione e trionfo e non c’è nulla di contraddittorio in tutti quei sentimenti contrastanti. Agnese si spaventa e lo stomaco le si contrae in preda alla nausea: perché sta provando quelle cose? Si chiede. Poi, all’improvviso, capisce che non sono emozione sue, comprende che lei le sta di nuovo mostrando qualcosa. Sono uomini, quelli che improvvisamente vede con gli occhi della mente, uomini mortali (perché le altre creature che ha visto non erano affatto mortali, oh, no) come quelli che conosce anche lei. Solo che non sono esattamente uguali a quelli che incrocia tutti i giorni per le stradine di San Giorgio: c'è qualcosa di diverso in loro, una tendenza all'infinito che avverte, ma non sa spiegare, il desiderio di innalzarsi al di sopra al mondo e al di sopra al tempo che lo regola, l'esigenza di sfidare la natura e di vincerla.

«Chi sono?» chiede Agnese, sentendosi turbata da quegli strani uomini. Non capisce perché la creatura che vive nel lago le stia mostrando quelle cose e il fatto di non capire le causa un dolorino preoccupato all'altezza dello stomaco.

Quella, però, sembra non essere in grado di fornire delle spiegazioni più approfondite. Davanti alla domanda della ragazzina, si limita a mostrarle di nuovo le stesse immagini che le ha mostrato pochi attimi prima, come se si aspettasse che queste fossero sufficienti a fare comprendere ad Agnese il messaggio che sta cercando di trasmetterle. Solo che lei non riesce proprio ad afferrarlo, quel messaggio: con un fremito di frustrazione, pensa che forse quella non è abituata a trattare con i bambini. Del resto, da quelle parti non ne devono passare proprio tanti, e Agnese pensa che, prima che lei capitasse lì per caso, doveva essere passato molto, molto tempo dall'ultima volta che qualcuno si era fermato a chiacchierare con la creatura del lago.

E allora cerca di spiegarsi meglio. «Mi dispiace, ma proprio non capisco che cosa mi vuoi dire» confessa, con il tono di voce più educato che le riesce di tirar fuori. «Non è che potresti provare a dire qualche parolina? Oppure potresti scrivere: se vuoi, la prossima volta ti porto il mio pennino e un quaderno che non uso più. Non ho l'inchiostro, ma magari possiamo usare il fango?»

La sua mente è invasa da una risposta negativa e, forse, anche da una punta di divertimento. Agnese fissa la creatura che ha davanti agli occhi e si chiede se è davvero impossibile, per lei, parlare. Non per la prima volta, guarda le zanne che le fuoriescono dalla mandibola e si chiede a cosa le servano dei denti così affilati, se mangia solo ortiche e borragine. D'accordo, forse quella non è una bocca fatta per parlare la lingua degli uomini, ma che dire delle sue mani? Sono belle ed eleganti, anche se del colore della pelle dei serpenti, e sono anche ornate da bracciali di legno e liane. Forse potrebbe veramente scrivere. È chiaro che capisce l'italiano, quindi Agnese pensa che ci siano anche buone possibilità che lo sappia riprodurre per iscritto. Forse dovrebbe dirle che non deve preoccuparsi di fare errori di ortografia, perché ne fa tanti anche lei e quindi non si formalizzerebbe di certo su un'acca mancata o su una doppia di troppo.

Prima che possa farle quella proposta, però, lei le riversa in testa un'altra serie di immagini e di sensazioni: chiave, segreto, nascondere, protezione. Agnese serra istintivamente il piccolo pugno grassoccio attorno alla chiave. «Sì, la tengo nascosta» sospira. «Ho capito, non c'è bisogno che tu me lo ripeta un'altra volta.»

Nascondere, nascondere. Ripete la creatura. Silenzio, segreto. E poi: non come Margherita. Perché lei lo sa, che Margherita ha tradito la promessa che aveva fatto alla Zingara e ha mostrato la chiave ad Agnese. La bambina bionda non deve fare lo stesso errore: quello è un segreto che si deve portare nella tomba.

A meno che... Agnese non sa nemmeno come fa a decifrarlo, quel pensiero, ma avverte che la creatura le ha appena detto che esiste una condizione in grado di spezzare il suo voto di segretezza.

«A meno che... cosa?» chiede, perché sente che c'è qualcosa che è rimasto in sospeso, capisce che quella ha omesso una parte fondamentale dell'informazione che ha cercato di trasmetterle.

Poi. Futuro. Vedrai.

Non vuole dire niente. Agnese non vuole indizi vaghi, ma istruzioni sicure. «No» protesta. «Me lo devi dire adesso, che cosa devo fare, perché altrimenti rischio di sbagliare qualcosa e poi tu ti arrabbi.»

La creatura del lago non le dà però la soddisfazione di una risposta e con un guizzo elegante si ripiega su se stessa, mostrando alla bambina la schiena nuda e poi sprofondando nelle acque scure del Böcc dal Seerp con un guizzo della sua lunga coda da serpe.

Vedrai, è la parola che riecheggia nella mente di Agnese mentre sulla superficie della pozza d'acqua rimangono solo dei cerchi concentrici che si fanno sempre meno pronunciati. Vedrai.

Lei è sparita, lasciando dietro di sé solo un'umida giornata autunnale. Un po' infastidita dal modo in cui si è conclusa la conversazione, la bambina sbuffa rumorosamente e il fiato le si condensa davanti al naso in una nuvoletta effimera. Inizia a fare freddo, il che significa che è proprio ora di tornare a casa, prima che la mamma si indisponga per la sua assenza non giustificata.

Prima di alzarsi in piedi, la ragazzina si rigira un altro po' la chiave nella mano destra, mentre la sinistra corre a tastare la forma appena accennata del medaglione donatole dallo strano amico della Zingara. Lo porta sempre con sé, nascosto sotto il vestito e il grembiulino. Seduta davanti al Böcc dal Seerp, la bambina si chiede se non sia forse il caso di disfarsene: ora che quella le ha detto che la chiave non la deve mostrare nemmeno alla Signora Mursciù, Agnese si chiede se la Zingara e l'uomo dalla pelle scura siano davvero suoi amici come ha sempre pensato. E se, invece di proteggerla, la spiasse? Però poi pensa che da quando lo porta non le è successo nulla di male – non ha mai preso un brutto voto a scuola e la mamma non le ha tirato nemmeno uno scapaccione – quindi almeno un po' deve funzionare.

Rassettandosi la sottana e facendo del proprio meglio per liberarla dalle foglie secche, dal fango e dagli aloni verdognoli lasciati dal muschio, la bambina prende una solenne decisione: terrà con sé il medaglione, ma terrà anche fede alla promessa che ha fatto alla creatura del lago. Nessuno saprà mai della chiave e dell'essere che gliene ha fatto dono. Mai. Quello sarà un segreto che la accompagnerà per tutto il resto della sua vita.

* I “crotti” sono degli anfratti naturali che si formano all'interno di frane antichissime. Tra un masso e l'altro scorre costantemente una corrente d'aria fredda (circa otto gradi) proveniente dal centro della frana: in alcune zone della Lombardia (la nostra storia si svolge in provincia di Sondrio) si sono ricavate delle specie di cantine che sfruttano questa sorta di frigorifero naturale per far stagionare vino, formaggi e salumi. Spesso è presente anche una sala o un tavolino esterno dove è possibile pasteggiare.

***

Capitolo breve, che, in teoria, avrebbe dovuto essere la seconda metà di quello precedente (postato secoli or sono). Però sarebbe venuto troppo lungo, quindi l'ho diviso.

   
 
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