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Autore: Ardesis    16/07/2019    8 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scoccò la mezzanotte. Il Palazzo già dormiva, tiepido delle ultime braci dei camini.

Annette si avvolse in un lungo mantello di lana insufficientemente pesante e sgattaiolò nel cortile sul retro, uscendo dalla porta delle cucine. Camminò in fretta affondando gli stivaletti usurati in uno strato spesso di neve e raggiunse i cespugli di rose che segnavano il perimetro del parco.

L’aria era gelida, ma il vento era debole. In quel momento non nevicava.

Affidandosi più alla memoria che alla vista, Annette individuò quella precisa zona di siepe dove i rami più radi permettevano, durante il giorno, di intravedere i boschi che si stendevano al di là del parco. Tremando di freddo e di ansia, si accucciò accanto a quel muro di vegetazione e rimase in attesa. 

Erano passati solo pochi minuti quando udì, dall’altro lato della siepe, un fruscio di stoffa, un rumore di passi ovattati dalla neve soffice e poi una voce roca che chiamava il suo nome in un sussurro:

-Annette!-

-Louis?-

-Sì, sono io!-

Annette si accese come un ciocco secco colpito da una scintilla e si dimenticò completamente del freddo che le stava arrivando alle ossa.

-Ho ricevuto il tuo messaggio, Annette, ed eccomi qui. Che informazioni hai per me?-

Premendo il volto contro i rami spinosi della siepe, Annette diede il suo resoconto con voce eccitata:

-André Grandier, il ragazzo moro che abita nel sottotetto, sopra la tua stanza, ha rapporti stretti con la famiglia Jarjayes e in modo particolare con Oscar François. È intervenuto per salvare la vita del Generale Jarjayes e del Generale Bouillet ed ora è qui a Palazzo.-

Quando concluse, le sfuggì un risolino compiaciuto e tese l’orecchio per ricevere un grazie o un complimento. Il lungo silenzio che seguì le fece male. Cominciò a pensare con angoscia che Saint Just fosse rimasto deluso, che forse non sapesse cosa farsene di quell’informazione, ma mentre si mordeva le labbra, tormentata, udì uno scalpiccio di foglie e di rami e intravide, nella penombra, la mano di Saint Just che emergeva dalla siepe, sfidando le spine, per cercare di raggiungerla. Commossa da quel gesto, che le sembrò un’appassionata dimostrazione di affetto e gratitudine, Annette intrecciò le dita alle sue, le strinse forte e vi posò le labbra.

-Sei stata brava, Annette.-

Le sussurrò lui con una voce di miele, per poi subito aggiungere, duro:

-Nessuno deve sapere che mi conosci.-

-Lo so.-

-Bene, ora torna a Palazzo.-

-A presto, Louis.-

-A presto.-

La mano di Saint Just si ritirò e Annette tornò di colpo a sentire il freddo. Doveva tornare subito a Palazzo. Ripercorse a ritroso il sentiero di impronte che aveva fatto per arrivare alla siepe, smuovendo la neve col mantello per cancellare le orme che lasciava dietro di sé.

Poco prima di raggiungere la porta delle cucine, si accorse che aveva ricominciato a nevicare. Sorrise come una bambina. Indugiò qualche istante sulla soglia a contemplare i fiocchi di neve, con le mani premute contro il petto e gli occhi sognanti. Poi, quando il freddo divenne intollerabile, mandò un bacio verso il buio della notte, immaginando che sospeso nell’aria potesse raggiungere Louis, e finalmente rientrò.

 

 

 

 

André aggiunse un pezzo di legno nel camino per nutrire la fiamma e si sedette con un sospiro stanco sulla poltrona. La biblioteca era sempre stata la sua stanza preferita in inverno. Il clima che vi si respirava era come intriso di saggezza antica. Il silenzio, la luce fumosa, l’odore della polvere, la compagnia discreta dei libri, il colore cupo e rilassante del legno, il porpora dei tendaggi. Tutti quei dettagli, nell’insieme, gli regalavano un raro senso di calore e di pace.

Appoggiò i talloni sul bordo della poltrona e si abbracciò le ginocchia, avvolgendosi nella coperta come in un bozzolo. La febbre era calata, ma il fisico era ancora debole.

Il sonno profondo che lo aveva accompagnato per tutta la notte precedente era stato un farmaco efficacissimo e svegliarsi immerso nei colori della propria vecchia stanza gli aveva dato l’impressione di essere tornato indietro negli anni, quando il suo corpo era un po’ più giovane e molto più energico. Così aveva lasciato il letto carico di questa impressione di gioventù e aveva attraversato il Palazzo fino a raggiungere le stanze del Generale Jarjayes per avere notizie sulle sue condizioni.

Una volta raccolti i ringraziamenti del Conte, e dopo aver rimediato qualche biscotto in cucina e un’umile bottiglia di vino dalla cantina, si era accomodato nella solitudine della biblioteca secondo vecchie abitudini e aveva finalmente permesso ai propri pensieri di rivolgersi ad Oscar.

Non l’aveva ancora incontrata da quando aveva lasciato la propria stanza, anche se, camminando nei corridoi, aveva avuto l’impressione di sentire il suo profumo e di percepire la sua vicinanza, come se lei fosse nascosta, in agguato, dietro qualche tenda, come quando giocavano da bambini.

Non aveva chiesto a nessuno di lei né aveva provato a cercarla. Palazzo Jarjayes non era immenso come poteva essere Versailles, prima o poi l’avrebbe incontrata. Un po’ sperava, poi, che la sola forza del proprio desiderio di vederla, fosse sufficiente ad attirarla a sé. 

Stappò la bottiglia e si passò il tappo di sughero sotto il naso per sentire l’aroma che lo impregnava. Versò il vino nel calice fino a un dito dal bordo. Il gorgoglio cupo di quel fluido rosso sangue che sgorgava dalla bottiglia era un suono sensuale, eccitante, quasi erotico. Sollevò il calice pressoché pieno, lo avvicinò alle labbra lentamente e prese un sorso ad occhi chiusi.

-Sapevo che ti avrei trovato qui.-

La voce di Oscar emerse dal silenzio, d’improvviso, come se fosse sempre stata appartata in qualche angolo della stanza ad osservarlo. 

Il vino gli si bloccò in gola. Tossì per riprendere fiato, battendosi più volte la mano sul petto, e si voltò verso la porta col viso in fiamme. 

Oscar era entrata nella biblioteca silenziosa come un felino e se ne stava sulla soglia della porta, in attesa di ricevere il permesso di entrare, come se la padrona della casa non fosse proprio lei.

-Spero tu non abbia intenzione di finire quella bottiglia da solo.-

Gli disse con voce liquorosa. André le rivolse un sorriso teso e si alzò.

-Ti prendo un bicchiere.-

Oscar scosse la testa e chiuse la porta.

-Non ti preoccupare, ci penso da sola.-

André si riaccomodò sistemandosi la coperta sulle spalle e, mentre Oscar apriva l’anta di un mobile per procurarsi un calice, si chiese quale ruolo, da quel momento, dovesse attribuirsi. Chi era ora per lei? Era regredito alla tiepida condizione di “amico d’infanzia”, poco più di “conoscente”? Oppure, più banalmente, non esisteva una definizione unica e precisa che riassumesse tutto?

Seguì Oscar con lo sguardo mentre gli si avvicinava con un sorriso cortese sulle labbra e notò che dissimulava un imbarazzo latente, tentando di comportarsi con leggerezza, come se gli ultimi mesi delle loro vite non fossero esistiti. Si sedette sul tappeto di fronte a lui e vicino al camino, proprio come amava fare da ragazzina, forse per dimostrargli che la loro confidenza era rimasta integra e che il legame tra passato e presente era ancora saldo.

Indossava i suoi soliti abiti comodi e informali. Un paio di pantaloni di stoffa lucente e una camicia di lino bianco. Non si era preoccupata di chiudere a dovere il laccio del colletto, cosicché dal punto di vista di André si potevano intravedere con facilità le fasce che le stringevano il seno. Lui si affrettò a mettere in salvo lo sguardo spostandolo sul suo viso. I bagliori rossastri del fuoco danzavano sulle sue guance di ceramica e le accendevano gli occhi. Nonostante l’atteggiamento confidenziale e quella postura così poco adatta al suo titolo e al suo ruolo, della ragazzina che Oscar era stata non le erano rimasti addosso che pochi frammenti. Il suo volto era compatto, indurito, segnato da molte parole non dette e molte emozioni trattenute. Ad André sembrò di intuire che fosse stanca, stanca dentro. Stanca, forse, di continuare a graffiarsi il cuore nei vani e ostinati tentativi di sfuggire alla morsa della foresta di rovi in cui era stata deposta da suo padre quando era nata.

-Ti senti meglio oggi?-

Gli chiese lei con un sorriso gentile, mentre si versava il vino nel bicchiere.

-Sì, ti ringrazio.-

-Mi fa piacere.-

-Tu come stai, Oscar?-

-Sto bene.-

Bevvero entrambi un sorso e si dedicarono con molta concentrazione ad assaporarlo.

-Hai salvato la vita a mio padre.-

Disse lei di colpo, come se si trattasse di una notizia di cui lui non fosse al corrente, e tuffò gli occhi nel vino.

-Non trovo parole per esprimere la mia gratitudine, André.-

-Ho soltanto...-

-No! Non sminuire l’importanza del tuo gesto. Non ho mai sopportato questa tua ostinata modestia.- 

Lui sorrise e piegò il busto in avanti fino ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia.

-Lasciami dire che la Provvidenza ha fatto la sua parte. Mi sono trovato nel posto giusto al momento opportuno.-

Gli angoli della bocca di Oscar si sollevarono, ma gli occhi rimasero aggrappati al bicchiere.

-È strano...-

Mormorò.

-Che cosa?-

-Tu, io, il vino, il fuoco.-

-Sì, capisco cosa intendi.-

Oscar si spostò i capelli dalla fronte e sospirò.

-È come se il presente non riuscisse a combaciare con il passato, nonostante ogni cosa sembri immutata.-

Gli spiegò.

-Noi siamo cambiati, Oscar. Non combaciamo più con noi stessi.-

-E tra di noi?-

Alzarono entrambi gli occhi per guardarsi.

-Tra noi?-

Ripeté Andrè.

-Sì. Riusciremo a combaciare tra noi come un tempo?-

-Non lo so, forse, ma in modo diverso.-

Oscar sospirò e premette le labbra sull’orlo del calice.

-Ho commesso molti errori, André. Il peggiore di tutti è stato quello di arrogarmi il diritto di scegliere per la tua vita e importi ciò che io credevo fosse giusto per il tuo bene.-

-Io ho commesso lo stesso errore con te. Pretendevo che tu avessi bisogno di me, del mio appoggio, solo perché temevo di perderti.-

-Anche io temevo di perderti.-

Si guardarono, occhi negli occhi, a lungo. Il lieve senso di disagio che avevano provato all’inizio della conversazione si era dileguato. Il velo di cordiale distacco era scivolato via e si accorsero che una forza quasi magnetica li attraeva l’uno verso l’altra, l’uno dentro l’altra.

-Smettiamo di fingere di essere vecchi amici, ma anche di essere due estranei. D’accordo?-

Oscar annuì.

-Va bene, da questo momento, niente più mezze verità.-

Stabilì a bassa voce e lui le rispose con un profondo sospiro d’assenso.

Cominciarono a svuotare e riempire i bicchieri in silenzio. I loro sguardi presero a cercarsi, a rincorrersi, a sfuggirsi, mentre i pensieri nelle loro teste si disordinavano e le coscienze nei loro petti si alleggerivano. 

Mentre si leccava il vino dalle labbra, Oscar si ricordò del bacio che gli aveva rubato nel sonno. Le parve di riuscire perfino a rintracciarne, sulla propria bocca, un lievissimo, gradevole sapore pepato, come di zenzero, che non aveva di sicuro a che fare con il vino. Quel bacio aveva esercitato uno strano potere sulla sua mente, l’aveva offuscata, arruffata, confusa. Era stato un momento di nitidissima realtà, in mezzo ad un guazzo di emozioni e sensazioni sbiadite e fumose come le immagini dei sogni. Realtà che emerge dal sogno. Come le parole scivolate dalle labbra di André mentre dormiva, quella supplica che lui avrebbe sicuramente preferito che non rompesse gli argini dell’incoscienza per fuoriuscire nella realtà. 

Nel mezzo del raggrumarsi di quei pensieri nebulosi, Oscar ebbe l’impressione di dover rispondere ad una domanda rimasta sospesa a lungo. Niente più mezze verità, si erano appena promessi. E così, senza un’apparente continuità logica, gli disse seria:

-Non sposerò Girodelle.-

Si accorse che le sopracciglia di André si stropicciavano, allora ripeté, più piano, con la stessa voce carezzevole con cui gli aveva risposto il giorno prima senza che lui avesse potuto udirla:

-Non sposerò Girodelle.-

La fronte di Andrè si distese, i suoi occhi si dilatarono. Oscar non capì con chiarezza quali pensieri e quali emozioni lo stessero attraversando, comprese soltanto di averlo lasciato senza parole, così continuò a parlare lei, ma con un tono più duro, quasi cinico.

-Girodelle non ha bisogno di una donna come me e io non ho bisogno di un uomo come lui.-

Rifletté un momento sulle proprie parole, bevve un sorso di vino e approfondì:

-Ho una teoria. Ritengo che lui abbia bisogno di due donne diverse: un’alleata con cui perpetuare il nome della famiglia e un’amante con cui condividere gli slanci lirici della sua indole. Credeva forse che io fossi un buon compromesso tra dovere e sentimento, ma non sarei stata adatta ad interpretare nessuno di quei due ruoli.-

Sorrise con una sfumatura di tristezza e concluse stringendosi nelle spalle:

-E io non ho bisogno di un uomo, né di un marito né di un amante. Mi comporterei da ipocrita con entrambi e sarei solo una fonte di fastidi e sofferenze.-

Ci fu un breve silenzio, in cui entrambi assimilarono quelle considerazioni.

-È vero...-

Borbottò André. Lei lo guardò come se non si fosse affatto aspettata una sua conferma, poi gettò lo sguardo nei guizzi delle fiamme, mordendosi il labbro.

-È vero,- ripeté lui facendosi cadere nel bicchiere le ultime gocce di vino rimaste nella bottiglia -tu non hai bisogno di un uomo. Però hai bisogno di amare.-

Fece una pausa e attese di ricevere il suo sguardo.

-E forse hai anche bisogno di accettare di poter essere amata.-

-L’amore mi fa paura.-

Rispose lei con voce fioca ma ferma, poi abbassò gli occhi e sospirò. Con uno sguardo ringraziò il vino per averle sciolto la lingua, permettendole di navigare in quel discorso burrascoso, senza vacillare troppo.

-L’amore rende schiavi. Promette tutto, toglie molto e non dà nulla. Non è forse così, André?-

-Ti sbagli. Per quanto lenta e triste sia l’agonia, l’amore fa sentire vivi come nient’altro al mondo.-

Oscar tacque e gli diede ragione con il silenzio. Guardando i suoi occhi, prese atto che lui sapesse molto bene di cosa stava parlando e capì di non avere abbastanza competenze in materia per replicare. Per di più, il vino, validissimo alleato per sostenere quel difficile esercizio di onestà, era ormai terminato e Oscar decise di essersi esposta a sufficienza. 

Osservò con un guizzo di curiosità l’occhio cieco di André. La pupilla sembrava piombo fuso e l’iride il bordo di un crogiolo.

Percepì la passione che bruciava silenziosa nel cuore di lui, la percepì con la stessa intensità di quella sera in cui si era trovata con i polsi stretti nei suoi pugni, la schiena contro il muro e le labbra prigioniere della sua bocca. André la amava e non si sforzava di dissimularlo, non ne aveva più bisogno. Il suo sentimento era come il calore del fuoco, astratto ma palpabile.

-C’è qualcos’altro che vuoi dirmi, Oscar?-

Lei lo guardò come se si fosse dimenticata della sua presenza.

-Per la verità, sì.- rispose rinforzando il tono di voce -Ho fatto visita a mio padre questa mattina e mi ha comunicato che Bouillet organizzerà un ballo in mio onore, prima di Natale.-

-Un ballo?-

-Precisamente. Un ballo a cui dovrò partecipare in abito da donna, in modo da potermi sottoporre al corteggiamento di uno stuolo di nobili scapoli in cerca di moglie.-

Una sfumatura di sarcasmo sciupò le sue ultime parole e André capì che Oscar aveva intenzione di soddisfare il volere del genitore, ma facendo di testa propria.

-Vorrei che tu mi accompagnassi, André.-

-Io? Per quale motivo?-

Le labbra di Oscar si piegarono in un sorriso sottile e complice. Appoggiò il bicchiere sul tappeto accanto alla propria coscia e spiegò:

-Da sola non sarebbe divertente.- 

Lui si aggiustò la coperta sulle spalle e sorrise tra sé, scrollando la testa, in un modo che voleva significare “Sei incorreggibile”.

-Dicevi le stesse parole, Oscar, quando, da bambini, mi trascinavi in una delle tue marachelle.-

 

 

 

 

Nell’ampia aula del tribunale, la sentenza riecheggiò con una solennità quasi religiosa. André rabbrividì di orrore quando il giudice decretò la condanna a morte dell’imputato.

-...e sarà giustiziato mediante impiccagione, domani a mezzodì.-

Il colpo di martelletto sancì irrevocabilmente la decisione. Tra il pubblico che assisteva al processo da una balconata di legno sospesa sopra l’aula, si levò il grido acuto di una donna. Mentre l’ambiente si colmava fino al soffitto di brusii, invettive e dissensi, l’accusato crollò a terra privo di sensi, con un tonfo sordo. I carcerieri lo raccolsero per le braccia e lo trascinarono fuori come fosse uno spaventapasseri pieno di segatura. 

Il giudice si alzò dal suo seggio con aria affaticata e soddisfatta, trascinandosi dietro l’ingombrante toga scura e uscì dall’aula seguito da un coro di voci, in cui gli insulti non si distinguevano dalle grida di approvazione.

Moreau battè sul tavolo una pila di fogli per metterli in ordine e sospirò sinceramente dispiaciuto. Aveva tentato con grande solerzia di difendere l’imputato dall’accusa di furto, ma le prove erano schiaccianti, i testimoni numerosi e la giuria non si era preoccupata di considerare le cause che avevano spinto quell’uomo a rubare. 

-È una condanna pesante per un semplice furto.-

Commentò André sfilandosi gli occhiali dal naso. 

-Ah, ragazzo, hai ragione, eppure sappi che ho visto uomini impiccati per molto meno.-

André inorridì e uscì dal banco seguendo da vicino Moreau, mentre la folla di uomini di legge e di portacarte che affollava l’aula si disperdeva in un brulicante flusso di corpi.

Mentre si avviavano verso l’uscita, tra schiamazzi e gomitate, una voce profonda ma sonora si distinse dal rumorio nervoso e febbricitante della folla e chiamò il nome di Moreau. André e l’avvocato si fermarono in mezzo all’aula mentre un uomo alto, vestito interamente di nero, emergeva dalla calca per raggiungerli. André lo riconobbe subito. Era il distinto signore che aveva fatto visita a Moreau, il giorno in cui lui aveva dovuto lasciare lo studio per via della febbre.

-Maximilien, ero certo di trovarti qui!-

Esclamò Moreau cordialissimo.

-Ho seguito questa vicenda con apprensione, Basil, come sai, e sono addolorato per l’esito.-

-Io ho fatto del mio meglio.-

-Oh lo so, amico mio.-

Dialogarono tra loro con una cortesia al limite dell’artificio e ignorarono completamente la presenza di André, finché lui, colto da un’improvvisa illuminazione sull’identità dell’interlocutore di Moreau, si inserì nel loro scambio, fissando quell’uomo dritto negli occhi.

-Maximilien de Robespierre?-

Diede alla sua convinzione la forma di una domanda solo per pura cortesia e sorrise tentando di esibire disinvoltura, caratteristica che sembrava essere un requisito fondamentale per presenziare in quell’aula. 

-Ci conosciamo?-

Chiese l’altro con sufficienza, guardando André come se si fosse concretizzato davanti a lui all’improvviso. Moreau intervenne con uno slancio teatrale di entusiasmo.

-André Grandier, il mio assistente. È un ragazzo brillante e industrioso, farà strada.-

Robespierre assottigliò gli occhi per analizzare il volto del ragazzo e si soffermò sul ciuffo di capelli che ombreggiava il suo occhio cieco.

-Potrebbe essere che io abbia già sentito il vostro nome?-

-Sono parente di Bernard Chatelet.-

Robespierre mozzò il respiro per la sorpresa, ma lo fece con grande contegno.

-Sì, ma certo. Siete il falso Cavaliere Nero. Conosco tutta la storia.-

André annuì piano, chiedendosi se fosse un bene o un male avere la fama di falso Cavaliere Nero. Intanto Robespierre continuò con espressione più solenne:

-E mi ricordo anche di avervi incontrato, molti anni fa, sulla strada per Arras, in compagnia di Oscar François de Jarjayes. Sono lieto di vedere che avete smesso di essere l’ombra di un’aristocratica.-

Andrè strinse la mascella e decise di lasciare che la conversazione tra loro si estinguesse con quell’affermazione. Robespierre, come se gli avesse letto nel pensiero, tornò a rivolgersi a Moreau.

-Potremmo conferire in privato?-

-Non ho segreti.-

Replicò Moreau senza esitare. André fu sorpreso e orgoglioso di quell’inaspettata dichiarazione di fiducia.

-Ebbene,- cominciò Robespierre, sottilmente contrariato -l’affare di Nardien non è andato a buon fine. Non era previsto ciò che è accaduto, ma ormai il danno è fatto. Ora le terre del Marchese passeranno nelle mani della moglie, che non le gestirà meglio di lui. Cercherò, comunque, di occuparmene io. Tu hai fatto quello che hai potuto.-

Moreau fece un lieve inchino con la testa e ringraziò. Si salutarono con una calorosa stretta di mano, poi Robespierre, algido e distaccato, diede loro le spalle e si fece riassorbire dalla foresta di schiene. 

-Non ho più intenzione di tenerti all’oscuro della vicenda, André.-

Disse con calma Moreau mentre si avviavano verso l’esterno dell’edificio. Quando raggiunsero la strada, l’avvocato allungò una moneta al vetturino di una carrozza e scandì con voce aspra l’indirizzo del proprio studio.

Mentre saliva sul cocchio, cominciò a spiegare:

-Nella lettera che scrissi al Marchese di Nardien lo esortavo ad eliminare l’assurda tassazione che aveva imposto ai contadini nei suoi possedimenti. Insomma, non aveva il diritto di farlo, stava violando la legge. Io l’ho avvertito che rischiava una denuncia oltre che una probabile ribellione dei contadini.-

André si sedette di fronte a lui e lo ascoltò in silenzio.

-Ecco, questa fu la sua risposta.-

L’avvocato estrasse da un faldone di cuoio la lettera del Marchese e la porse al ragazzo. André riconobbe il sigillo di cera spezzato che recava il simbolo della casata di Nardien. La aprì e lesse a mente le poche righe.

-Dice di aver imposto le tasse col favore della Corona.-

Rifletté ad alta voce.

-Esattamente, ma se anche fosse stato vero, il Re non aveva alcun diritto di concedergli la facoltà di infrangere la legge con quelle modalità. Robespierre mi aveva assicurato che avrebbe chiesto ad un uomo di sua fiducia di persuadere il Marchese a regolarizzare le imposte, ma pare che quest’uomo abbia frainteso le nostre buone intenzioni.-

La carrozza imboccò un ponte e prese a sobbalzare sui ciottoli. André restituì la lettera a Moreau e incrociò le dita sulle ginocchia.

-Che cosa sapete del tentato omicidio del Generale Bouillet e del Generale Jarjayes?-

Chiese freddo. Moreau sospirò e gettò lo sguardo oltre il finestrino per osservare il fiume verdastro e opaco che si spezzava contro l’Île de la Cité.

-Ah, per questo temo di non poterti essere utile.-

   
 
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