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Autore: Ellie_x3    09/08/2019    7 recensioni
Aveva sperimentato un tipo ben diverso d'amore, lui, un sentimento crudele e meschino che non faceva altro che male.
Tagliava in profondità le membra di un uomo, recidendo i muscoli, non lasciando altro che languore, scavando nelle ossa fino a prosciugare qualsiasi ricordo dell'essere umano che era stato in passato. Il sentimento mostrato da Alain aveva in sé la dolce sfrontatezza dell'attrazione: inequivocabile, sì, ma di gran lunga meno disperato e violento di ciò che provava Rossignol.
Magari, si disse, non esistono tipo diversi d'amore, ma solo uomini che lo vivono diversamente.
Forse Rossignol stava mentendo e non era affatto amore quello che provava per Alain, ma una cosa era certa: Alain era innamorato di lui.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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VII
 


Le ultime parole di Rossignol per il principe T.  avevano lasciato i due giovani storditi ed in preda ad un torpore che Rossignol, sebbene ancora convinto dell’impossibilità di qualsiasi altra conclusione, non aveva previsto. Come febbricitanti, annoiati da ogni cosa, disgustati dal mondo intero, si erano trascinati l'uno lontano dall'altro nel disperato tentativo di rimanere separati.
Nessuno dei due era certo di cosa avrebbe fatto, detto, provato in presenza dell'altro — e più il principe T. allungava una mano per colmare lo spazio fra loro, più Rossignol si ritraeva dietro un muro di ostinato silenzio. Più i suoi stessi desideri, le sue stesse speranze, si chiudevano su di lui come una cella, più T. si riscopriva incapace di urlare, di scappare, di scrollarsi di dosso la sensazione che si sarebbe consumato solo ed al buio, ergastolano nel suo personale, immutabile purgatorio mentre la sua anima tendeva ogni giorno più disperatamente verso Rossignol. Mai un solo giorno prima di allora T. si era domandato cosa avrebbe comportato vivere in un palazzo dove i muri avevano occhi ed orecchie, e dove il pettegolezzo era una merce travestita da abitudine.
La giostra costruita ad immagine di sua cugina si rivoltava contro di lui; dopotutto, Antoinette era sempre apparsa infinitamente più vicina alla luce di quanto non lo fosse lui.
Slavato, inquieto, incapace di tenere a mente un solo motivo per sorridere.

 ‘Vostra Altezza, voi siete la notte calata troppo presto sul vostro casato, deprimente da vedere e oltremodo difficile da comprendere.
Come pretendete di essere amato? Su, sorridete.’ 

Finalmente in grado di scorgere qualche nota veritiera in quel giudizio, l’uomo si rendeva conto che era troppo tardi: proprio come la notte si era ritirato al momento meno opportuno, sfuggendo quando il sole iniziava a mostrarsi oltre le montagne.
Con un sospiro, T. si era detto che lui e Rossignol avevano utilizzato i nomignoli sbagliati per troppo tempo. 

Erano state le voci di due nobili a farlo immobilizzare, riconoscendo il suo nome in quella conversazione: da dov’era poteva intravederli mentre conversavano degli ultimi pettegolezzi di fronte ad un’ampia finestra che guardava sull’Orangerie. Due uomini discorrevano scaldati dai luci del sole, che ne illuminava i bottoni decorati delle le marsine in taffettà pesca e le parrucche incipriate: chi l’avrebbe mai detto, pensò, che la reggia potesse trasformare persone tanto giovani in esseri assetati di chiacchiere. E a che prezzo? L'onore altrui era una merce sin troppo facile da sottovalutare: l'aveva sempre temuto, ma Versailles gliene dava la conferma.
“Avete visto il principe T., ultimamente? Dicono che sua altezza abbia confessato di essere innamorato!”
“Ve ne stupite?”, seguì un verso indispettito, un momento di silenzio in cui T. Soppesò l’idea di andarsene e dimenticare, “mi stupisce l’aria miserabile con cui si mostra tutto il tempo. Non trovate anche voi che sarebbe un buon partito, se solo non spaventasse le signore con quegli occhi disturbati?”
Rabbrividendo, T. Si chiese se non fosse il caso di intervenire, di obbligare al movimento quei piedi che improvvisamente sembravano incollati al pavimento.
Signore? Monsieur, siete male informato. Non sapete?”
“Ah! Dunque è quello il motivo della confessione—”
“Ingenuo, lasciare nelle mani di un confessore un’informazione del genere. Cosa si aspettava, che non si venisse a sapere?”
“Non lo definirei impossibile, mon ami: se si ripone ogni certezza nei dettami della fede si rimarrà necessariamente delusi dai suoi ministri.”
“Il nostro buon Cardinale1 di certo non fa il volere della chiesa, quello è certo.”
Una risata accorata risuonò per i corridoi, scherno e sincero disinteresse che fecero rabbrividire l’uomo.
“Ad ogni modo, è stato fatto il nome di un certo duca da poco tornato a palazzo.”
“De Gramont?”
“E chi sennò? Credetemi, mon ami, ha il principe sul palmo della mano e non vedeva l’ora di schiacciarlo per il proprio divertimento. Quel pover’uomo non vi fa pena? Così devoto che mi riferiscono volesse prendere i voti, eppure nel momento in cui si cade nell’inevitabile peccato tutto crolla come un castello di carte. Perché mi sono trattenuto fino a questo momento? Dunque ho creduto in una menzogna? E se non fosse che una tentazione? È terribile, assistere alla fede di un uomo che cede come il fianco di una montagna, sgretolandosi in fango.”
T. Si umettó le labbra, stringendosi contro il muro.
Origliare come una qualsiasi pettegola era umiliante, ma mai come le parole che erano riferite. Mai come la consapevolezza di essere una slavina in caduta libera, ciò che era roccia trasformato in sabbia...e da chi? Da Rossignol? Non era il ragazzo più bello che avesse mai visto, ma allo stesso tempo aveva la sensazione di non aver mai posato gli occhi su nessun altro prima di lui. Aveva la sensazione di esser stato cieco fino al momento del loro incontro.
“E di fede parlando, avete sentito? Principe a parte, Rossignol non ha perso tempo per fare la sua mossa politica.”
“Ah?”
“Stamane a messa sedeva accanto a sua Altezza Relae e il suo amico, il duca di Ort Sur Mer.”
Il sangue sembró cristallizzarsi nelle sue vene; non voleva dire nulla. Non voleva dire niente.
“Non vi erano delle chiare spinte in quella direzione...?”
Ça va sans dire. Rossignol ha una meravigliosa giacca nuova da Parigi, ed un nuovo pianoforte per le sue composizioni.”
“Mi prendete in giro!”
“Non mi permetterei; il suo nuovo patron è un uomo generoso. Sospetto che vi sia noi sappiamo chi dietro queste donazioni, colui che ha caldeggiato questa liason...”
“Il duca

Un suono brusco, che fece sussultare T.
“Zitto! Meglio fingere di non sapere con quella persona, non avete ancora imparato? Mon dieu, finirete in uno scandalo se non sarete più cauto e non sarò io a tirarvi fuori d’impiccio, ricordatevelo bene.”

Con il cuore che gli scoppiava in petto, T. si ritirò nell’ombra, avendo udito abbastanza.
Cosa sarebbe stato di Rossignol? Non gli importava di sè stesso, ed era bizzarro perchè mai prima d’allora aveva pensato a qualcun altro se non alla propria soddisfazione, alla quiete del proprio animo. Gli era stato insegnato che se non ascoltava sè stesso, se non si occupava dei propri interessi, sarebbero sorti problemi per tutti.
Crescere all’ombra del chiostro l’aveva ammorbidito, rendendo gli abissi della propria mente meno terrificanti, gli angoli del silenzio che gli tagliava la carne quando I servi soffiavano sulle ultime candele erano meno spigolosi in un’abbazia dove l’aria era fresca e la notte brillante di centinaia di stelle. Eppure quegli uomini di cui non sapeva nulla e che tutto sapevano di lui avevano ragione, si sentiva come un dato nelle mani di un ragazzo.
Erano anni che non si sentiva così.
Aveva pregato di non sentirsi mai più così.

 

#

 

Rossignol, proprio malgrado, era oramai abituato al senso di angoscia che aveva caratterizzato quell’incontro: da giorni ne assaporava il presagio, accusando sè stesso d'essere un vile ma non sapendo come altro tirarsi fuori d'impiccio. L'illusione che vi fosse una via d'uscita, mandata in pezzi al ritorno a Versailles nel momento in cui si era ricordato cosa, quanto, per chi avrebbe rischiato, aveva reso quei giorni simili a sogni, costantemente ondeggianti tra onirico e cosciente, irreali, pigri.
Il giovane era fatto carico dei non detti, delle cupe premeditazioni, della atroce responsabilità di fermare T. ben prima che potessero nascere incomprensioni e pettegolezzi. Aveva bisogno d'una pausa, nient'affatto consolato dalla consapevolezza d'aver agito per il meglio.
Da quanto tempo non si concedeva la compagnia di Madame D.?
Rossignol ricordava a malapena l'ultima volta che l'aveva vista dischiudere le lunghe ciglia in quell'attimo d'estasi che la immobilizzava, appena prima di sentirla sciogliersi sotto le sue dita. Faticava a ricordare le sue risate, quando lo accarezzava e lo rimproverava d'essere un ragazzo indisponente, ed insieme si scambiavano giudizi sulle conoscenze in comune.
C'era stato un tempo, prima del principe T., quando Madame D poteva definirsi senza alcuna presunzione la cura a tutti i mali di Rossignol.
Ma in quell'istante, per la prima volta in vita, il ragazzo non desiderava la morbidezza d'una donna. Agognava piuttosto la sicurezza di una figura paterna, dove gli occhi che l'avrebbero guardato non avrebbero mostrato nulla di simile alla tenerezza.
Sapeva dove trovarli, quegli occhi chiari e freddi come ghiaccio, e sapeva anche che gli sarebbero stati fedeli.

La fontana nascosta nel boschetto d'Apollo era di gran lunga il luogo preferito di Rossignol fra tutti gli angoli privati del giardino; di rara bellezza e maestosa, con la sua enorme cascata scolpita nella roccia grigia, gli dava l’impressione di essere un’opera grandiosa che si tuffava nella sua idea di un laghetto di montagna. Regalava la sensazione d'essere un piccolo uomo sul tetto del mondo, circondato dalla più magnifica delle bellezze d'Europa.
Sapeva anche, Rossignol, di spartire tale sensazione con un uomo particolare: Alain d'Ovigny, lo spirito granitico della Bretagna, non poteva essere altrove. Dopotutto, nessun altro luogo ricordava la sua casa come quella particolare porzione di giardino.
Rossignol sorrise nello scorgerlo di spalle, seduto su una delle panchine di marmo che puntellavano il campo di erba gialla.
“Temevo di avervi offeso in qualche modo.”
Alain sussultò violentemente e subito si irrigidì ma senza voltarsi, cosa che riempì Rossignol di divertimento. Credeva di potersene stare solo in una corte così popolata o si stupiva che il ragazzo si fosse accorto di come s'erano separati?
“Non potrei essere offeso con voi, ve l’ho già detto.”
“Perchè ho avuto la sensazione opposta, dunque?”
Alain sospirò nuovamente senza guardarlo.
Un passo, un passo ancora…
“Vi è mai capitato di essere spaventato dall’intensità dei vostri stessi sentimenti?” replicò l'uomo, lentamente. Rossignol aggrottò la fronte, indispettito, e la fredda sensazione che sarebbe stato abbandonato una seconda volta lo immobilizzò.
Ma era Alain, il fidato Alain, e fu solo un istante di titubanza prima di convincersi che T. non aveva il diritto di farlo dubitare del comportamento di tutti gli uomini che conosceva.
“Vi ho spaventato?”
“Come avete avuto occasione di notare, a volte mi terrorizzate.

Abbastanza da farvi scappare, insistette, inarcando un sopracciglio.
Parte della mia mente mi suggerisce tutto il tempo di scappare da voi; spero che il fatto che siamo ancora qui serva da conferma, e mi faccia perdonare per il modo in cui mi sono comportato.
“Ah sì? Bene, ecco infine il volere di D'Artois che si compie,” dichiarò Rossignol, stringendosi nelle spalle. Muovendosi ad ampie falcate verso Alain, il ragazzo si riscoprì a ridere della mancanza di risposta, “Perdonatemi, monsieur, non volevo dare l’impressione di spiarvi.”
Credeva che non fosse a conoscenza del favore del duca nei confronti del loro interesse reciproco? Ora, ciò non faceva che sottolineare come d'Ovigny, per quanto fosse indubbiamente un uomo intelligente, fosse totalmente digiuno delle dinamiche di corte.
In un silenzio disinvolto, soddisfatto della reazione ottenuta, Rossignol si sedette sulla panchina; un movimento sciolto, libero di ogni imbarazzo, ed allora Alain lo guardò per la prima volta come se gli costasse una tremenda fatica. Aveva la mascella serrata e le labbra strette e pallide. Sovrappensiero, Rossignol pensò che ciò non ssminuiva in alcun modo la bellezza spigolosa del suo viso.
“Vi stavo aspettando, Rossignol.”  rispose quietamente “Due cose vi tradiscono.”
Rossignol sorrise.
Era dunque così? Alain era limpido nei sentimenti, riflettendoli con la stessa franchezza con cui i suoi occhi deboli riflettevano la luce. Era tuttavia una dichiarazione rispettosa, che scosse Rossignol per la differenza con quella ricevuta in precedenza da ben altro individuo.
Forse, la preferiva.
“Ah, dunque è così? E da cosa mi avevate riconosciuto, se posso?”
“Prima di tutto, dal profumo.
Alain esitò un istante, Siete sempre preceduto da questo sentore di lavanda che è come un presagio del vostro arrivo. E, poi, stavo pensando a voi.”
Da quel conteggio, del quale peraltro Rossignol poteva dirsi pienamente soddisfatto, traspariva l'attenzione che Alain gli riservava. Pochi avevano notato il profumo di Rossignol e nemmeno il principe T., che pure si fregiava d'essere tanto innamorato, non ne aveva mai fatto parola. Ancor più che durante il loro ultimo incontro, in quelle parole il giovane vedeva con chiarezza ancora maggiore la devozione già anticipatagli da D'Artois, così forte e costante da sembrare amore. Era dunque giusto approfittarsi di un sentimento già dichiarato, pur sapendo di non ricambiarlo?
Rossignol credeva di sì.
Aveva sperimentato un tipo ben diverso d'amore, lui, un sentimento crudele e meschino che non faceva che male.
Tagliava in profondità le membra di un uomo, recidendo i muscoli, non lasciando altro che languore, e scavava nelle ossa fino a prosciugare qualsiasi ricordo dell'essere umano che era stato in passato. Ma l'amore di Alain aveva in sé la dolce sfrontatezza dell'attrazione, inequivocabile sì, ma di gran lunga meno disperata e profonda di quella che provava Rossignol.
Forse, si disse il ragazzo, non esistevano tipo diversi d'amore, ma uomini che lo provavano diversamente. Forse Rossignol si stava mentendo e non era affatto innamorato di Alain, ma una cosa era certa: Alain era innamorato di lui in una maniera ben più confortante di quella del principe T.
Per questo gli era così facile scherzare?, si chiese.
Perchè non l'amava affatto?
“Credete di avermi evocato, Monsieur?”
“Siete un angelo, Rossignol,” replicò Alain, stringendosi nelle spalle e scrollando brevemente il capo, “per evocarvi dovrei pregare come si conviene.”
Rossignol sbuffò una risata.
“Oh, molto bene allora. Voi mi siete caro, Alain, per questo vi concedo di mandarmi anche un semplice messaggio,” diede in una breve risata, limpida come quella di un bambino “Dopotutto, sapete bene dove vivo. E lasciatemi dire che la chiesa è estremamente fredda in ogni stagione e la trovo un luogo inadatto a pregare gli angeli.”
“E dove ritenete consono pregare?”
Rossignol sollevò le braccia, come a voler abbracciare l'interezza del paesaggio. Era verde, silenzioso e quieto; cosa buffa, data la bella giornata, ma ancora una volta Rossignol credeva nella perfezione del destino.
“Il giardino,” rispose, “Circondati dalla natura.”
Alain si umettò le labbra, inclinando appena il viso.
Un angelo— era aspettativa quella che lo pervadeva? Forse era il ricordo delle dita di Rossignol che gli sfioravano il volto. 
“Cosa siete venuto a dirmi, Rossignol?”
Che Rossignol non cercasse nessuno se non con uno scopo ben preciso era cosa nota e, una volta svelato l’inganno, non restava che l’uomo; se preso di sorpresa, Rossignol non era che un ragazzo biondo e con un bel viso, consumato dai propri appetiti come ogni altro. E sorrideva, mentre Alain gli porgeva quella domanda, ma alla fine non sorrideva più: s’era fatto cupo, pensieroso.
“Sono venuto perché so di essermi fatto attendere prima del nostro ultimo incontro, e che mi desiderate.”
"Non ve l'ho nascosto."
Una sfumatura di rosso tinse le guance del ragazzo, che scosse la testa.
"Intendo, in altro modo. Più personale di un incontro, più...intimo di quello che è accaduto fra noi."
Ah, non era un mistero per nessuno, dunque! Si leggeva negli occhi di D’ovigny, così chiari e pieni di luce.
Ciò non fece paura a Rossignol, il quale non aveva più nulla da perdere e riempì la distanza fra loro, afferrandogli le mani fra le proprie.
Alain si ritrovò a trattenere faticosamente il respiro.
“Ed io desidero voi. Non come un patrono ma come uomo, e non per qualcosa in cambio, non per un bel vestito, non per tutti i pianoforti di questo mondo.” graziosamente, con un sorriso illuminato dal sole, il ragazzo inclinò il volto ed una ciocca bionda gli cadde lungo lo zigomo. “Non trovate che sarebbe bellissimo se cessassimo di avere paura?”

Non sono in alcun modo innamorato del principe.
Ho smesso di avere paura
.

Come aveva mentito bene, e con quale facilità.  

 

#

 

L’autunno incalzava ed il Principe T., tormentato dai se e dagli errori del passato, dopo più di un mese decise che sarebbe stato opportuno andare di persona da Rossignol. Non avrebbe chiesto dei messaggi ignorati e mai consegnati, nè delle visite non accettate ed I saluti non ricambiati, ma l’avrebbe finalmente rassicurato che tutto ciò che avevano vissuto fino ad allora era stato un errore e che era possibile, necessario, ricominciare daccapo.

Se si ricerca certezza solo nei dettami della fede, nel momento in cui si disobbedisce tutto crolla come un castello di carte. 

Ed era crollato, era crollato senza dignità prima di potersene accorgere, agendo come un codardo nel momento in cui Rossignol aveva mostrato un accenno di vulnerabilità. Era crollato e che idiota era stato, quanto ingenuo.

Non so nulla di questi giochi, niente che mi possa aiutare.
Come ho potuto vivere tutti questi anni senza imparare niente?

Nonostante le regole degli svaghi sentimentali imponessero pazienza e dedizione, come sapeva bene chiunque fosse in contatto con la bizzarria della corte, il Principe T. ne aveva avuto a sufficienza.
Due settimane e non una lettera, non un biglietto né un cenno.
Dal momento che il giovane non s'era palesato nemmeno alle funzioni se non di rado per tubare con d’Ovigny fra i primi banchi e farsi coccolare dalla Duchessa di Polignac, per non parlare del lever reale che solitamente esercitava su Rossignol un'attrazione insopprimibile, il principe era giunto a pensare che, al culmine della follia, doveva essere scappato nella sua residenza di Parigi, se non nella sua casa di campagna.
Così incline a sminuire ciò che era accaduto come un capriccio fugace e già terminato, Rossignol aveva ben deciso di sparire con la velocità d'una lepre minacciata.  
Il ragazzo era testardo, ma T. si impose di esserlo di più.

Sono un castello di carta, il fianco di una montagna che crolla.
Non resisterei ad un rifiuto.
É il primo, eppure mi sembra di non aver conosciuto altro tutta la vita.

Con quel pensiero in mente si recò nelle stanze di Rossignol e chiese di farsi ricevere con estrema urgenza. Non mentiva quando diceva d'avere un tremendo bisogno di parlargli: sentiva che qualcosa, in lui, stava lentamente svanendo lontano dalla luce del ragazzo. Come s'era immaginato, fu Remis a dirgli che non c'era nessuno, in quel momento -che il monsieur le duc aveva avuto un imprevisto e che si era dovuto recare alla casa di sua sorella maggiore in tutta fretta.
Pur aggrottando la fronte e attendendo ulteriori dettagli, rimase in silenzio aspettando che Remis spiegasse che diavolo stava accadendo: Rossignol si allontanava raramente, se non per andare in città da Madame D.
Il giovane paggio, seppur imbarazzato, tossicchiò.
Si trovò, senza che l'altro dovesse chiedere apertamente, a spiegare la situazione con la voce concitata e la fretta di chi sa che non dovrebbe parlare. 

Josephine Anne de Girodin abitava poco fuori Parigi nella tenuta di campagna di suo marito, il marchese de Girodin, un uomo alto e cupo che pareva aver strappato il proprio titolo dalle mani della Morte stessa. La famiglia non versava in condizioni economiche rosee come quando Josephine viveva con i genitori, e voci malevole imputavano le loro modeste finanze ai numerosi vizi del marchese, ma Rossignol non vi prestava ascolto: bastava sapere che sua sorella era ben ricevuta da tutti e, qualora ne avesse avuto bisogno, sarebbe stata accolta a Corte da molti amici dalle tasche traboccanti.
Oltretutto, come T. apprese, era finalmente incinta.
Non passavano che pochi anni fra lei e il giovane Rossignol, eppure la ragazza era conosciuta in società per essere bella quasi come il fratello minore. Entrambi dotati d'una enorme delicatezza, quella di Josephine pareva distinguersi per essere sia di carattere che fisica.
“Alloggia presso la sorella?” domandò T., dichiarando subito dopo: “Mio fratello è un esperto in botanica, conosce bene le erbe. Me ne offre spesso coltivate da lui e vorrei portarne alla marchesa de Girodin.”
Remis si grattò la testa, tentennando.
“Non so se...” si morse le labbra, con la fronte aggrottata “Potrei passare dei guai.”
“Intendo solo fare del bene; ditemi dov’è Rossignol.”
Remis si guardò attorno e le sue guance, solitamente rosee, avevano perso ogni colore. Si piegò verso T., coprendosi il viso con una mano dopo aver lanciato uno sguardo attorno.
“A dire il vero, monsieur ha lasciato detto dove alloggerà nel caso...”
“Sì?” lo incalzò il principe, vedendo che esitava ancora.
Remis, ben cosciente dei sentimenti del proprio padroncino, sembrò cedere sotto la fretta del suo interlocutore e si convinse nel giro di pochi istanti che stava in un qualche modo eseguendo un volere superiore.
Nulla di più.
“Ecco, aveva detto di dirvi, nel caso aveste insistito per sapere dove si trovava, che alloggiava presso una tale osteria, che all'occorrenza affitta camere. Non vi sarà difficile trovarla.”

 

 

Come aveva detto Remis, non era stato affatto difficile trovare la vecchia locanda indicata da Rossignol.
Era bastato chiedere e l'oste, un uomo pingue e con una barba rossa e ispida lunga fino al torace, gli aveva riferito di attendere fuori dal momento che Rossignol aveva dato disposizioni perchè potessero parlare in privato. 
T. era deliziato di un tale comportamento, che altro non lasciava intendere se non l'intenzione del giovane di trattarlo ancora una volta come un amico, ed era intenzionato a parlargli con il cuore in mano. Si appartò dove gli era stato detto, in un giardinetto d'erba battuta vicino alle stalle per i cavalli degli ospiti dove la casa in mattoni grezzi faceva angolo. Era l'attesa a renderlo trepidante, gioioso e leggero. Un'attesa dolce fatta di orecchie tese e di immagini di un futuro dolce.
Giacchè i piedi del principe T. s'erano già staccati da terra verso il cielo fu tanto più stupito del vedersi venire un contro un ragazzo, sì biondo e piuttosto bello, ma nient'affatto somigliante a Rossignol. Dopo una prima occhiata i suoi capelli apparivano chiaramente più scuri e lisci, raccolti in una coda, e le sue spalle erano possenti. Aveva le sopracciglia aggrottate sopra l'attaccatura del naso quasi formando un'unica arcata, e una mano era già corsa alla cintura.
Il bagliore di una vecchia lama lo fece sussultare.
“Siete voi il principe T., che cerca un certo Rossignol?”
Pur sorpreso, il principe trovò il fiato per rispondere a testa alta
“Chi siete? Non ho chiesto di voi.”
No, di certo, ma un brivido gelido lungo la schiena iniziava a suggerirgli che c'era qualcosa di losco e che certo non era tutto frutto di un malinteso.

Non glielo aveva forse detto, Martin? Non era stato avvertito? 

Eppure lui, come uno sciocco, aveva deciso di proseguire e di avventurarsi dove non aveva idea di cosa avrebbe trovato, nel buio, aveva pensato fosse saggio avanzare insieme al castello di carte con cui era stato accusato di crollare: ed ora, ora aveva un po' di paura per Rossignol, a causa delle persone maligne alle quali si accompagnava e che era sospettava avessero preso in mano la situazione per conto del ragazzo.
“Sono un amico.” dichiarò l'uomo, gonfiando il petto. Come se un tale privilegio fosse riservato a lui, e lui soltanto. “Non desidera vedervi. Dunque, considerate le mie parole come sue."
“Non ne ho intenzione. Voglio solo parlargli.”
“Signore, state solo infastidendo Rossignol.”
T., a quelle parole, non seppe bene come reagire. Non accettando che fossero veritiere, non potè che esserne sdegnato ed offeso; d'altra parte, non poteva nemmeno negare che Remis gli avesse detto pressapoco le stesse cose.
Confuso ed incredulo, esitò.
“Non credo che possiate definirvi amico, signore, dal momento che Rossignol non ha mai parlato di voi: se lo foste, vi avrebbe nominato.” eppure, quanto avevano davvero condiviso lui e Rossignol? Parlavano sempre di passione e di sentimenti, ma non si conoscevano affatto. “Fatevi da parte e lasciatemi passare.”
Aveva in animo di dirgli molte cose, T.
Tuttavia, in un unico, breve, fatale istante, il ragazzo aveva estratto un'arma.
Era quasi un coltello da cucina, con il manico rozzo e rovinato, e tenuto come tale. La lama non brillava, nonostante il sole fosse alto nel cielo e rendesse prezioso tutto ciò che era sotto i suoi raggi, ed era anzi macchiata di unto. Come l'espressione dello sconosciuto si fece più feroce, il principe T. arretrò.
“Non ci siamo capiti, signore: il mio amico vi vuole lontano dalla sua vita.”

“Non vi erano delle chiare spinte—?”
“Ça va sans dire. Rossignol ha una meravigliosa giacca nuova, da Parigi, ed un nuovo piano per le sue composizioni.”

Il principe deglutì a forza, sentendosi gelare: quelle parole, sottolineate ingiustamente dall'arma, rendevano tutto molto più chiaro. Non s’era sbagliato, né l’inesperienza l’aveva tradito: Rossignol era perduto, l’aveva spinto via lui stesso e la vergogna che provava a quella realizzazione, l’odio verso sé stesso, bruciava come lava nel suo corpo.
“Non farete del male a chi sta a cuore al nostro comune amico.” replicò, con una certa durezza che andava inevitabilmente affievolendosi.
L’uomo sputò a terra.
“Certo che siete stupidi, voialtri.” abbaiò, con voce rauca. “É stato il vostro così detto comune amico a richiedere di mandarvi via con ogni mezzo. Se non la capite così, il prossimo avvertimento arriverà su una lama.”
Il principe aggrottò la fronte.
Un ultimo tentativo, gli urlava la mente.
“Fatemi parlare con Rossignol.”
“Ma siete serio?! Voi nobili— Rossignol. Non. Vi. Vuole! Non ha fatto che sopportarvi, ed è stanco di avervi tra i piedi.”
Era una trappola ordita da Rossignol stesso?
Gli sembrava impossibile che fosse stato lui a richiedere mezzi così meschini e totalmente inadeguati data la situazione, ma non sapeva niente di d'Ovigny: poteva essere il suo volere, quello, per quel che ne sapeva.

Ma quello è l'uomo che Rossignol dice di amare.

“Ora dunque ditemi, altezza, se preferite andarvene sulle vostre gambe una volta per tutte o se preferite che vi scacci come il parassita che mi hanno detto che siete.”
T. scosse la testa, stupendosi egli stesso dell'essere ancora in grado di parlare e muoversi. Si sentiva ancor più vuoto di com'era stato quando Rossignol l'aveva rifiutato e stavolta non c'era nulla a smuoverlo. Nè rabbia, né dolore; la rassegnazione si faceva strada dentro di lui rapidamente, come una mano gelida che uno ad uno afferrava i suoi organi, stritolandoli.
“E' questo il desiderio di Rossignol? Che io muoia?”
“A lui non interessa.” disse l'uomo.
Dunque, le cose stavano così.

 

Il principe T., nel dichiararsi sconfitto, nel comprendere infine che era innamorato a tal punto da non riuscire a lasciare il banco di gioco quando le luci erano spente sulla sala e tutto era perduto e nell'andarsene di sua spontanea volontà da quella locanda, decise che sarebbe stato apprezzabile tener fede all'unico desiderio di Rossignol che era in suo potere esaudire.
Gli parve quasi di vederlo, appoggiato alla finestra che dava sul luogo dell'incontro, nascosto dietro una tenda: un'apparizione fugace. Un angelo vergognoso.
Tornando a Versailles, trascinandosi verso le proprie stanze senza fermarsi né aver provvisto che governassero a dovere il cavallo, si accorse che camminare era faticoso. Tenere gli occhi aperti, muovere le dita e far battere il cuore non erano mai stati compiti tanto gravosi.
Non c'era sole, non c'era aria.

A lui non interessa. 

Cos'era, quella, se non una preghiera? Una profezia, ed come Ifigenia spariva fra le onde di un mare in tempesta per la buona riuscita della grande impresa, così si sentiva drammaticamente parte di qualcosa di più grande, di inevitabile. A lui non interessa. Nient'altro che una richiesta così semplice da esaudire. Gli regalava la quiete, infine, e T. era soddisfatto perchè Rossignol non si era aggrappato alla sua vita.
Lo amava abbastanza da non reclamare i diritti sul suo corpo ormai vuoto, oramai senza scopo.
L'avrebbe lasciato andare ed era la prova che ancora lo amava. Gli aveva regalato la possibilità di non soffrire più.

A Rossignol non importa, agite come credete sia meglio. Lui farà lo stesso.
Non sopporterei un rifiuto, 
aveva detto, eppure eccolo lì.

 

Non era una rissa da taverna, ma era abbastanza: c'erano mille motivi per cui un uomo poteva decidere di continuare a vivere.
Quel giorno, il principe T. scelse l'unico per cui valesse la pena morire.





Note:
1 Si fa riferimento al buon vecchio Cardinale de Rohan

Vi ricordate quando d'Artois diceva che T. era una personcina fragile? Ecco. Questo è quello che capita agli analfabeti selettivi come quello scemo di Rossignol, che vince mille punti karma negativo 🖤 congrats!


 
   
 
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