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Autore: Ardesis    12/08/2019    8 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gennaio fu governato da un inverno severo, ma non turbolento. Nei primi giorni del mese, i Francesi si convinsero, attraverso un superstizioso passaparola, che l’anno nuovo avrebbe portato una grande svolta per il Paese. Ma febbraio era arrivato alle porte senza che si fosse ancora palesata alcuna novità che confermasse quelle fulgide previsioni. Le quantità e i prezzi del cibo, del legname e dei medicinali erano pressoché uguali a quelli degli inverni precedenti, le condizioni della città e delle istituzioni non erano mutate di una virgola e il Re perseverava nel suo silenzio scostante. Non ci furono peggioramenti, ma nemmeno miglioramenti. Era chiaro -pensò Oscar, scrutando il cortile deserto dalla finestra del proprio ufficio- che tutta la rabbia della popolazione fosse causata proprio dall’insofferenza per quella perenne situazione di staticità. Il volgo rimaneva impantanato nel fango della propria mediocrità, senza nessuna speranza di ascesa, eppure, a differenza dei secoli precedenti, ora ne era cosciente e questa consapevolezza produceva rabbia.

Oscar sospirò forte. I pochi mesi che aveva trascorso al comando della Guardia di Parigi erano stati molto educativi. Lei aveva insegnato ordine e disciplina ai soldati e i soldati le avevano insegnato a guardare la realtà senza filtri. Aveva finalmente compreso su quali basi si fondassero le pretese del popolo, era entrata nelle viscere della miseria e aveva preso atto, come non aveva mai fatto in vita sua, di quanto fosse effettivamente squallida e tremenda.

-Se il Re potesse vedere quello che vedono i miei soldati tutti i giorni...-

Guardò la propria immagine riflessa nel vetro della finestra e le sembrò di notare delle rughe nuove intorno agli occhi. Era invecchiata molto in quell’ultimo anno. I conflitti vecchi e nuovi tra cui doveva destreggiarsi la rimodellavano giorno dopo giorno. Il fisico era ancora atletico, ma il volto non mentiva. Era diventato spigoloso e la pelle aveva perso lucentezza. Certo, lei aveva ben poco tempo per curarsi del proprio aspetto. Ed oltre al tempo, le mancava anche lo stimolo. Nel clima effervescente di Versailles essere di gradevole presenza, soprattutto per gli Ufficiali di alto rango, era un obbligo. Nella caserma della guardia di Parigi, invece, era quasi una colpa.

Sbuffò. Guardò il quadrante dell’orologio sullo scrittoio. Aspettava André, ma non era ancora ora che arrivasse. Tornò a scrutare il cortile diviso dall’ombra lunga e dritta gettata dall’angolo dell’edificio.

Le visite di André erano una consuetudine che avevano inaugurato da poco tempo, ma a cui entrambi si erano subito abituati con facilità. A giorni alterni, non appena lasciava lo studio di Moreau nel tardo pomeriggio, André si presentava in caserma, saliva nell’ufficio di Oscar e si tratteneva con lei per qualche ora. Le portava giornali, libri, pamphlet e qualsiasi altro genere di materiale su cui in un paio di giorni riusciva a mettere mano. Leggevano, discutevano insieme, si confrontavano, sovrapponevano le parole dei testi agli eventi della realtà con cui venivano a contatto, ognuno col proprio mestiere. Erano ore di conversazione, ma anche di scoperta. Si distraevano dal grigiore della quotidianità e si stimolavano a vicenda, come facevano da ragazzi quando ripetevano le lezioni. Parlavano di tutto, tranne che di loro stessi, ma, intanto, il loro legame riprendeva lentamente spessore.

Oscar era molto affezionata a quegli incontri. Le piaceva apprendere le dinamiche della realtà, senza lasciarsi ingannare dall’inaffidabilità delle chiacchiere annacquate di corte. Le piaceva la voce di André, il suo tono caldo, il suo lessico, la sua limpidezza. Le piaceva porgli domande e farsene porre a sua volta. E le piaceva l’interesse sincero che muoveva i loro discorsi. 

Ragionando sul mondo, si sentivano più coinvolti nella sua fitta trama. E più prendevano atto di quanto fosse friabile la società in cui vivevano, più si fidavano di loro stessi e del loro legame.

Oscar rimase ferma accanto alla finestra a seguire con lo sguardo il lento spostarsi dell’ombra della caserma sul selciato del cortile, finché finalmente non vide un uomo avvolto in un mantello nero che entrava dai cancelli. Lo riconobbe senza sforzo.

Guardò l’orologio e sorrise. “Puntualissimo” pensò sollevata. Attese solo qualche altro minuto, poi André bussò con discrezione alla porta.

-Avanti.-

-Buonasera, Oscar.-

-Buonasera a te.-

-C’è un gelo impietoso oggi.-

-Siedi accanto al fuoco e riscaldati.-

-Grazie.-

Oscar lo osservò con attenzione mentre si sfilava i guanti e il mantello e si sedeva su una poltrona accanto al camino. Anche André era invecchiato. Il volto di ragazzo dai lineamenti dolci si era indurito. Il taglio degli occhi si era allungato e intorno alle ciglia erano comparse ombre scure e linee morbide di rughe che rendevano il suo sguardo penetrante e assorto. Si era trasformato in un uomo con la stessa velocità con cui da bambino si era trasformato in un ragazzo.

Andò a sedersi di fronte a lui, senza distogliere gli occhi dalla sua figura. Com’era gradevole la sua presenza. Le parve che la stanza si fosse scaldata solo ora che era arrivato. 

Per settimane, era stata convinta che le acque tra loro non si sarebbero mai davvero calmate, invece era accaduto. Guardarlo negli occhi era ogni giorno più semplice. L’amore paziente e silenzioso che lui le dimostrava con estrema discrezione non le infondeva imbarazzo o timore come si era aspettata. André amava bene. Amava in un modo difficile e garbato, con la maestria di un funambolo. Per questo lei non solo lo ammirava, ma gli era perfino grata. 

Lui le sorrise gentile ed estrasse dalla propria borsa di cuoio dei giornali spiegazzati, sfogliò rapidamente qualche pagina e infine le indicò un articolo di Bernard.

-La salute del Principino Joseph è cagionevole e la Regina pare sia sempre al suo capezzale. Si dice che verrà trasferito a Meudon per essere curato, non appena il Principe Aldelos in visita a Versailles non farà ritorno in Spagna.-

Le spiegò sfregandosi le mani per scacciare il freddo dalle dita.

-Mmh.-

Commentò lei disttatta, guardando le righe stampate di fresco ma senza leggere nemmeno una parola.

-A proposito del Principe Aldelos...-

Mormorò ad occhi bassi.

-Sì?-

-Tra un paio di giorni dovrò partire per scortare il Principe spagnolo e la sua famiglia fino a Bordeaux.-

André tamburellò le dita sulle cosce e borbottò crucciato:

-Non è un compito che spetta ai tuoi soldati.-

Oscar si strinse nelle spalle.

-È vero, ma Bouillet sostiene che per questa missione sia necessaria una scorta militare più consistente del solito.-

-E tu sei preoccupata?-

-No. Spero soltanto che ai soldati non vengano grilli per la testa e che abbiano voglia di seguire i miei ordini.-

-Tu cerca di essere morbida.-

-Ci proverò.-

Rimasero in silenzio. André si voltò verso il fuoco, lasciandosi incantare dai guizzi alti e vispi delle fiamme, e Oscar riportò gli occhi sull’articolo di Bernard. Fin dalle prime righe ebbe come l’impressione di conoscere già quel testo. Continuò a leggere con la fronte corrugata, finché non individuò la ragione di quel sospetto e storse la bocca con uno scatto di indignazione. Nell’articolo firmato da Bernard c’erano concetti e opinioni che lei e André avevano dato alla luce insieme nelle loro discussioni, idee che appartenevano alle loro due menti. Sollevò gli occhi stretti a fessura verso l’amico, che fissava ipnotizzato la danza del fuoco, ma non appena posò lo sguardo sul suo profilo, si costrinse ad ingoiare immediatamente tutte le rimostranze che le avevano riempito la bocca. Sospirò e strinse le labbra. André aveva fatto bene ad affidare i loro pensieri a Bernard, affinché lui potesse darvi voce e diffonderli. Si sentì in imbarazzo con se stessa per essersi fatta condizionare da un sentimento pericolosamente simile alla gelosia.

-Oscar, io sono preoccupato.-

Mormorò André, emergendo all’improvviso dai suoi pensieri distanti. Lei lo guardò perplessa, inclinando la testa.

-Per cosa, esattamente?-

-Per te. Per questa missione.-

-Sarò in grado di gestire i miei uomini, André.-

-Oh, sì, su questo non ho dubbi. Ma ci sono altre questioni che mi preoccupano.- 

-André, cosa stai cercando di dirmi?-

Lui si mosse nervosamente sulla poltrona e si schiarì la voce. Non le aveva mai parlato di Saint Just, ma era giunto il momento di farlo.

-Io so chi è l’uomo che ha ferito tuo padre e che ha ucciso il Marchese di Nardien.-

“Sono stato troppo brusco” pensò, quando vide il volto di Oscar sbiancare.

-Il suo nome è Saint Just, è uno studente. Occupava una stanza nella mia stessa abitazione. Per questo motivo lo conosco.- prese fiato e continuò -Bernard ha frequentato questo Saint Just in passato e sostiene che sia un giovane assetato di rivolta che crede di agire nel nome della giustizia, falciando membri dell’aristocrazia. Il giorno in cui Saint Just ha assalito la carrozza di Bouillet e ha sparato a tuo padre, io lo stavo pedinando. Non mi trovavo su quella strada per caso.-

Oscar annuì piano con un’espressione smarrita. I ricordi dei fatti citati da André, recenti anche se ormai quasi del tutto sbiaditi, ripresero di colpo solidità e limpidezza nella sua mente. Ripensò a suo padre ferito, disteso nel letto sotto l’ombra del baldacchino, con le bende bianche e la macchia di sangue che si era fissata nei suoi ricordi come una piccola chiazza di un rosso brillantissimo.

-Perché non me ne hai mai parlato?-

Chiese rigida.

-Perdonami, so che avevamo detto “niente più mezze verità”.-

-Infatti.-

-Vedi, il fatto è che Saint Just è sparito, si è dileguato prima di Natale. L’ultima volta che l’ho visto è stato proprio il giorno dell’aggressione di tuo padre. Nemmeno Bernard ne sa più nulla. Deve aver lasciato Parigi.-

Oscar piegò la schiena per appoggiare i gomiti sulle cosce e sporse le mani in avanti quasi fino a sfiorare il ginocchio di André. Immersa nel suo flusso di pensieri, nemmeno se ne accorse, lui, invece, si ritrasse un poco.

-Che motivo aveva di lasciare Parigi? Forse quel giorno ti ha visto e ha creduto che tu potessi denunciarlo.-

-Lo escludo. Era già fuggito quando io ho raggiunto la carrozza di Bouillet.-

Lei annuì assorta.

-Vedi, Oscar, serpeggia tra il popolo una collera nera, di cui persone come Saint Just si servono per innalzarsi a paladini della giustizia, promettendo ai poveri un riscatto attraverso il sangue dei ricchi. Sono certo che Saint Just non si sia arreso. E, più ci penso, più mi convinco che il Principe Aldelos sarà un suo bersaglio.-

Oscar prese aria e la rilasciò in un sospiro amaro.

-A quanto pare, molti conoscono la pessima reputazione di questo soggetto, ma tutti tacciono. È protetto da qualche uomo potente come è stato per il Cavaliere nero in passato, non è così?-

Guardò Andrè che a sua volta guardava le proprie mani.

-André, una volta ho accettato di scendere a compromessi per risparmiare la forca a Bernard, perché, nonostante tutto, non la meritava. Ma con questo individuo che ha quasi ucciso mio padre, non sarò altrettanto tenera.- Allungò la mano destra e la adagiò su quella dell’amico. -Fosse anche sotto l’ala del Re o del Papa!-

I nervi della mano di André diventarono tesi come corde di violino, ma lei esitò comunque ad interrompere quel contatto. Le piacque sentire, sotto le proprie dita, le gobbe dure e sporgenti delle sue nocche e la pelle calda e piacevolmente ruvida della sua mano. Lo guardò in viso e scoprì che era pallidissimo. Si intenerì. Nonostante André sembrasse essere un uomo solido e compatto, fatto di ferro, difficile da piegare e impossibile da rompere, aveva un fragile tallone d’Achille, ed era lei. Si rischiarava come un cielo all’alba quando lei gli era vicina, ma bastava un semplice ed innocente contatto come quello e il suo viso sembrava prendere la consistenza friabile di un biscotto.

Il loro era un rapporto molto più complesso di quanto non sembrasse all’apparenza. Gli equilibri erano precari. Capitava -raramente, ma capitava- che le loro nuove consapevolezze irrompessero senza preavviso e senza apparente motivo in brevi scariche di tensione. Qualche volta colpivano lui, qualche volta lei. In quei momenti tutto ciò che li circondava diventava improvvisamente angusto. Il loro affetto resisteva a quegli attimi di terremoto interiore, ma loro si trovavano inevitabilmente ad domandarsi se non fosse un atto di ipocrisia accettare la verità e poi tentare di ignorarla.

Oscar sospirò e ritirò la mano. Dovevano imparare a convivere con quella situazione di instabilità, senza far oscillare troppo la bilancia. Mentre le menti potevano fondersi e mescolarsi senza scatenare turbamenti, bisognava prestare attenzione a mantenere sempre una cauta distanza tra corpi e cuori. Il loro equilibrio funzionava così.

Lasciò che la sensazione del contatto lentamente evaporasse dalle loro mani, poi guardò André negli occhi e decise di passare ad argomento molto più leggero:

-André, non ti ho ancora chiesto se al ballo in maschera ti sei divertito.-

Lui si rilassò visibilmente e aprì le labbra in un largo sorriso.

-Oh sì, Oscar, moltissimo.-

 

 

 

 

 

 

Per cinque lunghi giorni aveva trattenuto sulla punta della lingua così tante imprecazioni che ora si sentiva la bocca amarognola. Faceva freddo, un freddo del diavolo che toglieva la voglia di parlare e perfino di lamentarsi. Il mantello era uno straccio inutile e la divisa logora si impregnava di tutta l’umidità delle campagne. Quel viaggio era un vero calvario.

Guardò il Comandante Oscar che cavalcava dritta e impassibile sul suo cavallo bianco e si domandò se il suo essere femmina potesse in qualche modo tornarle comodo nell’affrontare le lunge cavalcate. Lui, invece, da un paio di giorni, non sopportava più il contatto con la sella. Il suo corpo, dalla cintola in giù, implorava costantemente una tregua.

-Alain, quanto manca al villaggio di Alancourt*?-

Gli chiese lei all’improvviso.

-Un paio d’ore, Comandante.-

Le rispose imbronciato. Un paio d’ore erano un’eternità, considerando che dovevano precedere la carrozza del Principe Aldelos, ma viaggiando alla sua stessa velocità, praticamente a passo d’uomo. Almeno -pensò- una volta giunti al villaggio, si sarebbero finalmente fermati a riposare.

-Sei stanco, Alain?-

Lui la guardò di sbieco e non si fece problemi ad ammetterlo.

-Sì.-

-Temo di dover mettere alla prova la tua pazienza. Dobbiamo perlustrare quell’edificio.-

Alain rivolse fiaccamente gli occhi nella direzione verso cui puntava il dito teso di Oscar e scorse la sagoma irregolare di un castello diroccato che si stagliava nel cielo celeste stinto del pomeriggio.

-Sì, Comandante.-

Borbottò cupo. Oscar fece fermare la sua squadra di soldati e ordinò con voce energica di non muoversi per nessuna ragione, poi diede un colpo di speroni al ventre del cavallo e partì al galoppo verso il castello. Alain la seguì malvolentieri.

Quando raggiunsero la rocca, lasciarono i cavalli nel cortile coperto di erbacce e di pietre cadute dalle torri e si guardarono intorno. Non c’era il più piccolo indizio che suggerisse la presenza o il recente passaggio di qualcuno. Il silenzio era denso e assoluto.

-Qui non c’è anima viva, Colonnello, torniamocene con gli altri.-

-Lo decido io se questo posto è davvero deserto. Tu controlla gli ambienti che si affacciano sul cortile, io perlustro le torri.-

-Agli ordini.-

Alain la guardò arrampicarsi sulle scale con l’agilità di un grillo e si chiese come facesse ad avere sempre tanta energia. “Quella donna non si stanca mai” pensò Alain, sputando per terra un grumo di saliva.

Pur essendo certo di non incontrare nessuno se non qualche ratto, si mise a girovagare svogliatamente nel cortile, entrando e uscendo dai diversi locali che vi si affacciavano. Provò a rendere proficuo quell’inutile sopralluogo, impegnandosi a cercare oggetti abbandonati da raccattare e poi magari rivendere a Parigi, ma riuscì a rinvenire soltanto un vecchio forcone mozzo e arrugginito. Mentre osservava contrariato i denti aguzzi di quel vecchio attrezzo valutandole l’eventuale utilità, udì dei passi nel cortile. Gioì pensando che il Comandante avesse concluso la sua ispezione, ma quando tornò nello spiazzo, pronto a riprendere immediatamente la strada per Alancourt, scoprì che il cortile era deserto, ad eccezione dei tre cavalli. “Tre cavalli?”

Si guardò intorno. La terza cavalcatura apparteneva ad un soldato del suo reggimento, ma non riuscì a spiegarsi per quale motivo uno dei suoi commilitoni potesse aver deciso di disobbedire agli ordini del Comandante ed essersi scomodato a venire fin lì. Ad aggravare le sue perplessità, si aggiunse il botto improvviso di un colpo di pistola. 

“Guai” pensò subito, puntando gli occhi in alto. Qualcuno aveva sparato da una delle torri, forse il soldato, forse il Comandante, ma in nessun caso poteva significare qualcosa di buono.

Si precipitò sulla prima rampa di scale che trovò e prese a salirla di corsa, calpestando gradino dopo gradino, senza nemmeno riuscire a vedere dove stesse mettendo i piedi. Udì un altro sparo e accelerò il passo finché non si ritrovò di colpo su una terrazza ariosa e vuota. Prese fiato e udì delle voci. Le riconobbe subito. Guardò oltre il parapetto, restando cautamente nascosto dietro ad un merlo. Vide il Comandante e un soldato, l’una di fronte all’altro, sulla terrazza della torre adiacente, in atteggiamenti tutt’altro che amichevoli.

-Chi ti ha ordinato di uccidermi? Dimmelo e non ti denuncerò!-

Urlava lei, in piedi accanto al parapetto, con la pistola fumante in pugno.

-Non me ne frega niente di essere condannato! Ho giurato che vi avrei ucciso, ed è ciò che intendo fare, fosse anche l’ultima azione che compio.-

-Tu non sei un sicario, non riuscirai mai ad uccidermi con quella ferita!-

Alain puntò gli occhi sul compagno e si accorse che con una mano reggeva il fucile e con l’altra si premeva il petto per contenere un flusso copioso di sangue.

-Addio, mio odiatissimo comandante!-

Sbraitò il soldato sollevando l’arma e cominciando a sparare come un pazzo una raffica di colpi alla cieca verso di lei.

Alain reagì d’impulso. Imbracciò il proprio fucile, prese la mira e premette il grilletto. Il boato dello sparo ingoiò tutti gli altri rumori. Con le orecchie che fischiavano, Alain guardò il corpo del compagno che crollava con un tonfo a terra, sotto gli occhi del Comandante.

Abbassò l’arma e d’istinto si guardò le mani. Non aveva mai tolto la vita a nessuno prima di allora, mai. Gli era rimasta impressa sulle dita la brutta sensazione dello schiocco del grilletto. Realizzò di aver appena ammazzato un proprio commilitone per salvare la vita ad un’aristocratica, e senza nemmeno essere certo che lei se lo meritasse. Fu divorato dal dubbio. Avrebbe potuto sparare al Comandante, toglierla di mezzo, forse perfino dare inizio ad una rivolta. Aveva davvero colpito la persona giusta?

Sentì salire la nausea. Alzò lo sguardo su di lei che lo fissava da lontano con gli occhi vitrei. Osservò i suoi capelli biondi scompigliati dal vento e le mani bianche chiuse a pugno lungo i fianchi snelli. Bella era bella. Di una bellezza garbata, fine. Sparare ad Oscar François de Jarjayes sarebbe stato come sparare ad un cerbiatto. C’era dell’innocenza nel suo aspetto, nel suo sguardo pulito, nel suo portamento. 

Alain sperò solo di non doversi pentire del proprio gesto in futuro.

 

 

 

 

 

La disavventura nel castello diroccato era costata parecchio tempo. Era stato necessario segnalare l’accaduto e rimuovere il corpo del soldato, prima di riprendere il cammino.

Gli altri soldati ne erano rimasti turbati, qualcuno aveva assunto un’aria torva, ma tutti si erano ciecamente fidati del racconto di Alain, che sapeva bene come accattivarsi i compagni.

Malgrado l’imprevisto, il contingente comandato da Oscar riuscì a raggiungere Alancourt prima che facesse buio e, soprattutto, prima della carrozza del Principe.

Quando arrivò anche il primo manipolo della Guardia reale, Oscar e i suoi uomini furono invitati, senza troppi complimenti, a piazzare le tende al di fuori del paese, tra i tronchi spogli di un bosco sul crinale dolce di una collinetta, con il pretesto che da quella posizione fosse ben visibile buona parte di Alancourt e soprattutto la residenza in cui la famiglia nobile spagnola avrebbe trascorso la notte.

Il sole era già tramontato, ma il cielo era ancora luminoso, quando la carrozza del Principe varcò finalmente le porte della cittadina. Oscar rimase ad osservare il lento incedere del cocchio nelle strade, mentre alle sue spalle gli uomini sistemavano l’accampamento e accendevano i fuochi.

-Perché non passate la notte con gli altri Ufficiali, in una branda bella comoda, al caldo e senza questa dannata umidità?-

Chiese Alain con evidente sarcasmo, comparendo al suo fianco.

-Preferisco rimanere con voi.-

-Ho scoperto- esclamò lui sferzante, come se la precedente domanda fosse stata solo un pretesto per avviare il dialogo -che vi piace rinunciare agli agi.-

Oscar tacque.

-Ditemi, Comandante, perché un Colonnello con un bel titolo altisonante come il vostro e con la prospettiva di una carriera d’oro ai vertici della sciagurata piramide sociale dovrebbe preferire il pantano di Parigi al lusso di Versailles? E ancora, mi chiedo,- la incalzò con un tono sempre più allusivo -perché avete scelto di rinunciare ai vostri privilegi di Comandante non appena siete arrivata nella nostra caserma?-

A questo punto, Oscar si voltò verso di lui con il volto colorito.

-Come lo so?- la precedette Alain -Io so tutto della caserma e quindi anche di voi.-

-Sai tutto di me?-

Il soldato strinse le labbra, poi le fece schioccare. 

-No, forse non tutto, ma sicuramente molto e comunque troppo poco per potermi fidare di voi.-

-Però sei intervenuto in mia difesa questo stesso pomeriggio.-

-Voglio credere che possiate essere un buon Comandante.-

Oscar sospirò e incrociò le braccia sul petto.

-Diciamo che vi siete sottoposta ad una prova di coraggio ammirevole.- continuò Alain con ironia -Nessun Comandante prima di voi aveva avuto il fegato di accettare lo stesso rancio di noi soldati!-

Scoppiò a ridere e Oscar non riuscì a trattenere un sorriso, ma l’atmosfera lieve fu spezzata di colpo dal rombo di un’esplosione nelle strade del villaggio. Oscar e Alain piantarono gli occhi su Alancourt. Sui muri esterni della residenza che ospitava il Principe si diffuse un bagliore rossastro di fiamme e quando il boato dello scoppio si affievolì emerse un chiasso distante di voci agitate.

Oscar scattò come un congegno a molla e si rivolse ai soldati ad alta voce:

-Cinque di voi con me!-

Nonostante i postumi di quella giornata intensa, Alain si ritrovò d’impulso a seguire Oscar, quasi come se, dopo l’episodio al castello, si sentisse in dovere di rimanere appiccicato al suo fianco. Presero in fretta i cavalli e si precipitarono in paese.

-Qualcuno ha fatto esplodere una botte di polvere da sparo sotto la carrozza, ma il Principe e la sua famiglia sono in salvo nel Palazzo.-

Spiegò ad Oscar un Ufficiale delle Guardie reali con un’aria arrogante che sembrava voler dire “Non abbiamo bisogno di voi”, mentre un gruppo indaffarato di soldati gettava secchiate d’acqua sulla carrozza in fiamme.

-Vado ad accertarmi che il Principe sia ben protetto.-

Dichiarò lei. L’Ufficiale si sciupò il viso con una smorfia di disapprovazione e borbottò acido:

-Non è necessario.-

Oscar non gli diede retta. Rimbombavano nella sua mente gli avvertimenti di André e sentiva bruciare sottopelle un pessimo presentimento.

Ordinò ai propri uomini di aiutare gli altri a domare il fuoco e li avvertì di tenersi in allerta, quindi entrò nella residenza che ospitava la famiglia del Principe. Trovò due soldati che parlottavano tra loro davanti all’ingresso dell’appartamento. Li interpellò brusca, quelli fecero spallucce. 

-Qui è tutto calmo, Comandante Jarjayes.-

Ma Oscar non si sentiva tranquilla per niente. Li fece spostare e bussò alla porta. Silenzio.

-Sono il Comandante Oscar François de Jarjayes. Vorrei accertarmi che stiate bene.-

Ancora silenzio. 

-Buttate giù la porta!-

Ordinò allora ai due soldati che la fissavano smarriti. Il più grosso dei due colpì la porta con una spallata e i cardini cedettero con uno schiocco.

L’appartamento era buio, la finestra spalancata sulla notte luminosa. Un uomo con una maschera bianca teneva la lama di un coltello sulla gola della figlia più piccola del Principe, sotto gli occhi terrorizzati della famiglia, che si stringeva tremante in un angolo della stanza. Non appena Oscar e i due soldati fecero irruzione, l’uomo spinse la bambina sul pavimento e fuggì verso la finestra.

Oscar si lanciò attraverso la stanza, mentre la madre della bimba raccoglieva la figlia da terra, mormorandole tra i singhiozzi parole in spagnolo, e i due soldati agitati chiamavano aiuto.

L’uomo sgusciò fuori dalla finestra e con un balzo atterrò su un tetto poco distante. Oscar lo seguì e lo guardò arrancare in equilibrio sulle tegole umide e scricchiolanti. Non ebbe dubbi che fosse Saint Just e fu accecata da una rabbia viscerale. Prese a camminare sul tetto a passo svelto per raggiungerlo prima che venisse ingoiato dal buio della notte. I coppi d’argilla stridevano e traballavano sotto le suole dei suoi stivali, ma riuscì a non inciampare. Non appena fu abbastanza vicina, gli si gettò addosso con un ruggito. Cadere fu inevitabile. Scivolarono insieme lungo il lato obliquo del tetto finché non si ritrovarono faccia a faccia col vuoto. Oscar riuscì a piantare i piedi sull’orlo della grondaia e afferrò il braccio di lui appena prima che precipitasse.

-Voi non avete onore!-

Gli urlò, stringendo il suo polso.

-E voi ne avete troppo, Jarjayes!-

Saint Just estrasse dalla cintola il pugnale che poco prima aveva premuto sulla gola della bambina e affondò la lama nella mano di Oscar. Non appena lei aprì le dita liberandogli il braccio, si lasciò scivolare oltre il bordo della grondaia. 

Stordita dal dolore e dallo sgomento, Oscar si sbrigò a legare un fazzoletto intorno alla mano per bloccare il sangue, poi si sporse oltre il bordo del tetto. Ebbe un capogiro. Le immagini davanti ai suoi occhi tremolarono come increspature su una superficie liquida.

-Non è il momento di perdere i sensi.-

Si disse con la fronte coperta di sudore freddo. Mantenne le palpebre abbassate, finché uno sbuffo di vento non le schiaffeggiò il volto restituendole la lucidità. Riaprì gli occhi e scoprì che il salto di Saint Just non solo era stato breve, ma perfino attutito da un covone di paglia. Lo vide salire in sella ad un cavallo nero e fuggire insieme ad altri due uomini. 

Non si diede il tempo di riflettere. Si gettò anche lei sulla collina di paglia e urlò il nome di Alain, che emerse all’istante da una strada, in sella al suo cavallo e con le redini di Cesar in una mano, come se non stesse aspettando altro che essere evocato. Si lanciarono entrambi all’inseguimento di Saint Just, oltre la cinta di case di Alancourt, lungo un canale che attraversava le campagne. 

Mentre galoppava tagliando il buio freddo della notte, Oscar sentì che le forze defluivano dal suo corpo come se le vene si stessero svuotando. Si chinò sulla sella, con la coscienza ormai opaca. Non fermò Cesar. Li stavano raggiungendo, non poteva rallentare. Le si chiusero gli occhi. Le mani abbandonarono le redini. Non fu più in grado di sentire altro che vaghe percezioni. I sobbalzi del cavallo, un forte tuono, vampe di calore, fuoco, poi vento freddo, una botta alla spalla, alla testa, erba, fango e poi buio.

 

 

 

 

Quando Alain riprese i sensi, si trovò disteso di pancia su un prato umido. Prima ancora che la vista gli si schiarisse, percepì l’odore pizzicante del fumo, il sapore agre di sangue in bocca, il gorgoglio del canale. Provò a muoversi. Dolore, dolore in ogni parte del corpo, e freddo fin dentro alle ossa di piombo. “Quei maledetti”, imprecò nel pensiero piantando le mani aperte al suolo per sollevarsi. Ripensò all’esplosione, a quella tremenda bolla di fuoco che gli era scoppiata davanti agli occhi e che aveva garantito la fuga a quegli uomini. Era stato tutto così breve, eppure così chiaro. Ricordava il nitrito stridulo dei cavalli terrorizzati, la violenza dello slancio delle loro impennate e poi la caduta, l’impatto col terreno, il rullo degli zoccoli degli animali che scappavano per lo spavento. 

-Comandante...-

Sollevò la testa, la cercò con lo sguardo e la intravide nel chiarore celeste della luna. Era ad una decina di passi da lui, distesa tra i sassi e la fanghiglia come se qualcuno l’avesse delicatamente adagiata a terra. Occhi chiusi, labbra aperte. Troppo fango e troppa poca luce per capire se respirava ancora.

Alain la raggiunse arrancando sui gomiti e sulle ginocchia, bestemmiando e mugolando per le fitte di dolore. Le prese il polso per cercarle il battito. Sì, era viva, ma non sembrava aver intenzione di riprender conoscenza. Notò un pezzo di stoffa imbevuto di sangue che le stringeva il palmo, glielo tolse e lo sostituì in fretta con il fazzoletto rosso che portava intorno al collo.

-È proprio una pessima giornata per voi, Comandante.-

Mormorò passandole le braccia sotto la schiena e provando a sollevarla. Non potevano restare lì. La notte era ancora lunga, il freddo crudele e lei era ridotta davvero male. Dalla mano continuava a sgorgare sangue e la ferita andava curata subito.

-Per vostra fortuna, ci sono io con voi.-

Si alzò da terra, ma gli ci volle tempo per riuscire a trovare una stabilità, dovendo reggere il corpo esanime di lei.

-Mi dovete come minimo un aumento della paga.-

Disse, pur consapevole di non poter essere udito, mentre faceva in modo che lei appoggiasse la testa sulla sua spalla. Si concesse un minuto per prendere fiato e ne approfittò per guardarla da vicino. Non capitava tutti i giorni di stringersi al petto la donna più chiacchierata di Francia, l’austera ed integerrima amazzone di Versailles. Solo poche ore prima guizzava energica sulle scale di quel castello, ora il suo corpo inerte assomigliava ad una marionetta coi fili tagliati. Eppure conservava ancora lo stesso fascino e la stessa dignità dell’incrollabile Comandante che cavalcava eretto e fiero a capo della sua squadra di soldati, dopo giorni e giorni in sella, senza mostrare la stanchezza.

C’era qualcosa in lei che gli piaceva. Non ne era attratto fisicamente, o meglio, non sentiva il bisogno di possederla come gli capitava con altre belle donne. Era intrigato dai suoi modi, dalla sua fredda razionalità, da suo senso antico dell’onore. Ma era troppo difficile circoscrivere le sensazioni che lei gli suscitava. Una cosa era certa, quella donna sprigionava una forza e un carattere che Alain non aveva mai percepito in nessuno dei Comandanti che l’avevano preceduta.

-Sì,- le sussurrò, prendendo a zoppicare verso Alancourt -tutto sommato, penso che siate un buon Comandante.-

 

 

 

 

*Alancourt non esiste nella realtà. Ho immaginato di collocarlo indicativamente a cinque giorni da Parigi, verso Bordeaux.

 

   
 
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