10.
Baseball
Sentii
il pick-up fermarsi in
salita e capii che Jacob aveva fermato la macchina nel cortile di casa,
davanti
al garage.
I
miei occhi erano aperti, li
sentivo aperti, ma era come se fossi cieca.
Mi
sentii trasportare prima fuori
dal veicolo, poi percepii il cigolio appena accennato della porta di
casa e lo
sbattere di essa.
Fu
come se qualcuno mi avesse
urlato nell’orecchio.
Mi
irrigidii e cercai di
scendere, di allontanarmi da Jacob, di riprendere a respirare.
Ero
completamente stordita e
nonostante riuscissi a distinguere i mobili a me familiari non mi
riuscii di
metterli a fuoco.
Sentii
qualche lieve passo al
piano superiore e mentre Jacob si avvicinava a me e cercava in ogni
modo di
farmi reagire, sentii la familiare calma esterna raggiungermi.
Jasper
stava scendendo le scale
di casa mia –come avevo immaginato era tornato proprio quella
sera– e io capii
che era preoccupato.
Doveva
aver sentito le mie
emozioni e in quel momento vedermi barcollare per stare in piedi non
doveva
essere un bello spettacolo.
Era
come se qualcuno mi stesse
comprimendo la testa: non era doloroso, sono molto fastidioso e
opprimente.
L’ossigeno
non ne voleva sapere
di entrare nei polmoni e più cercavo di respirare
più mi sembrava di soffocare.
Sentii
l’abbraccio freddo e
sicuro di Jasper, avvertii la sua voce chiedere prima a Jacob cosa
fosse
successo –dato che non poteva leggere nel pensiero come suo
fratello– poi lo
sentii rivolgersi a me.
Mi
stava pregando di guardarlo,
di parlargli.
Io
aprii la bocca e cercai di
parlargli, ma ero come drogata, la bocca non rispondeva e la lingua era
come
addormentata.
Portai
una mano alla tempia
sinistra, afferrandomi i capelli. Stavo cercando quella cosa che mi
stava
comprimendo la testa, ma non esisteva.
Il
mondo si spense qualche
secondo dopo, con Jasper che chiamava il mio nome e il volto lontano
del mio
angelo biondo contornato da un alone scuro di formiche brulicanti.
Riaprii
gli occhi quello che mi
sembrò un’eternità dopo.
Ero
in un letto d’ospedale e
seduto accanto a me c’era Jasper, con la sua espressione
preoccupata.
Il
suo potere stava accarezzando
dolcemente il mio cuore, in modo da non farmi cadere nel panico quando
avessi
ripreso totalmente coscienza «buonasera
principina»
mi disse nel suo adorabile accento meridionale «come
ti senti? »
aggiunse, avvicinandosi e
alzando una mano per scostarmi dal viso una ciocca di capelli.
I
suoi occhi dorati mi stavano
scrutando a fondo, per capire come stavo «una
drogata»
risposi, guardandomi la mano destra: mi sembrava di
vederla sempre ricoperta di sangue.
Lui
ridacchiò, afferrandomi la
mano e portandosela alle labbra; lasciò sulla mia pelle un
piccolo bacio e lo
sentii inspirare a fondo l’odore del mio sangue «sto
iniziando ad abituarmici»
disse con tono scherzoso e
guardandomi di nuovo con le sue iridi preziose.
Io
sorrisi, un sorriso debole e
delicato, ma riuscii comunque a farlo calmare «Jacob
mi ha detto tutto. Mio padre è ancora in quella
zona e…beh»
mi disse, lasciando cadere un attimo i suoi occhi sul
mio collo «devo
dirti che noi non siamo gli unici vampiri qui a
Forks»
e i suoi occhi tornarono di nuovo a fissarmi.
Sperava
che io non mi
arrabbiassi?
Come
mai avrei potuto? Come se
fosse stata colpa sua «mi
dispiace, avrei dovuto essere li con te. Se quei
nomadi fossero stati nei dintorni e ti avessero uccisa…»
«n-nomadi?
»
riuscii a dire.
Le
forze mi stavano ritornando
poco a poco, ma ricordare il sogno, la realtà, era dura da
morire «i
vampiri che hanno ucciso tuo
nonno. Non vivono in un posto fisso più o meno come noi, ma
vagano in
continuazione di luogo in luogo. E si cibano di sangue umano».
Non
dissi nulla, completamente
rassegnata. Ero entrata in un mondo più grande di me e se
non ci fosse stato
Jasper con me a guidarmi, sicuramente ne sarei rimasta schiacciata.
Sollevai
la mano libera e me la
posai sulla faccia, come per impedire alle lacrime di uscire dai miei
occhi o
almeno per non lasciare che Jasper le vedesse.
Sentivo
la stretta della sua mano
farsi più salda e sapevo che se avesse potuto mi avrebbe
abbracciata, come
aveva fatto quelle rare volte in passato.
Poco
dopo arrivò la zia Lind, con
gli occhi rossi e gonfi un po’ per quello che mi era successo
e un po’ per
quello che era successo «Sarah!
Oh Sarah stai bene! »
esclamò, avvicinandosi e
prendendomi la testa per posarvi un bacio sopra «sono
venuta prima che potevo! Grazie per esserle stato
vicino caro»
disse poi rivolta a Jasper, che si era alzato in
segno di rispetto nei confronti di mia zia.
Io
dentro di me ridacchiai,
pensando che era proprio di un’altra epoca «zia
sto bene…»«sua
nipote ha solo avuto un piccolo shock, ed è stato
un piacevole dovere starle accanto, signora».
La
mia ilarità interiore aumentò,
sentendolo parlare così ossequiosamente a mia zia, una donna
di campagna molto
alla buona «se
volete vi lascio sole»
e senza aspettare risposta si girò per andarsene;
arrivato dalla porta voltò il viso verso di me e mi fece
l’occhiolino,
sorridendomi in quella maniera assolutamente divina.
La
zia si sedette esattamente
dove prima era Jasper e in quel momento ogni mia singola cellula le
stava
sbraitando che quello era il suo posto e che doveva togliersi da
lì «Mi
ha contattato la polizia e
sono subito corsa qui».
Dov’era
la zia quando tutto era
successo? Forse a casa di qualche altro uomo «mi
hanno detto che tuo nonno è…»
si fermò, cercando le parole più
giuste.
Per
dirmi quello che Jasper mi
aveva già detto nel suo modo tutto speciale «non
è più tra noi. La polizia mi ha detto che si
è
trattato di un animale, ma devono ancora indagare e per ora non potremo
riavere
la salma».
Quello
non fu per me una novità;
sapevo che nessun animale sarebbe riuscito a fare quello che un vampiro
sapeva
fare e mi era sembrato strano che la polizia si fosse fermata a
un’ipotesi così
banale.
Consolai
la zia meglio che potei,
nonostante il mio cervello non fosse ancora del tutto sveglio.
Dovevo
esser svenuta e in quel momento
mi diedi della stupida: svenire per del sangue non era mai stato da me
e mai
avrei pensato di cadere in quello stato così deprimente e
vergognoso.
Tornai
a casa con la zia dopo una
mezz’ora e non vidi Jasper per tutta la sera; tra i vicini e
gli amici che ci
venivano a trovare, anche se ci fosse stato non avrei trovato tempo
nemmeno di
chiedermi se fosse già in camera mia.
Il
primo a presentarsi a casa mia
fu Jacob, sollevato nel vedere che stavo bene «mi
hai veramente spaventato sai? Per poco non ci
rimanevo secco! »
mi disse, scherzoso.
Io
feci spallucce e lo guardai da
capo a piedi: doveva essersi alzato ancora e non dovevo essermene
accorta.
Sembrava
un ventenne «che
hai da guardare? »
domandò allargando le braccia e
guardandosi anche lui «sei
diverso...più grande»«non
te l’ha mai detto nessuno che noi maschi cresciamo
tutti d’un botto? »
mi rispose facendomi la linguaccia.
Magari
era così, ma io non ci
credevo molto.
C’era
qualcosa che mi nascondeva,
un segreto che sentivo essere simile a quello di Jasper.
Finalmente,
quando giunsi in
camera mia era praticamente l’alba e io non mi reggevo in
piedi.
Mi
chiusi la porta alle spalle e
mi ci appoggiai, tirando un sospiro di sollievo: lo sceriffo Swan ci
aveva
assicurato che avremmo avuto indietro la salma in appena qualche giorno
e alla
zia bastò.
Per
me era indifferente: ormai era
solo un cadavere, mio nonno non esisteva più «stai
bene? »
mi chiese la voce dolce di Jasper, dal mio letto.
Era
seduto sul materasso, tenendo
in mano uno dei miei libri preferiti «potrei
stare meglio»
risposi piatta e andai a sedermi vicino a lui.
Il
biondo vampiro posò i miei
racconti gotici sul comodino e alzò un braccio per cingermi
le spalle «mi
dispiace, davvero»
mi borbottò vicino all’orecchio
e sfregando la sua fronte contro la mia tempia.
Mi
allontanai da lui, guardandolo
seria e arrabbiata «non
va a genio neanche a me»
sbottai.
Jasper
mi guardò confuso,
sentendo le emozioni che in quel momento mi stavano facendo salire il
sangue
alla testa «smettila
di dispiacerti, non è stata colpa tua. Doveva
succedere. Basta»
continuai a dire, con il tono più tagliente che
avessi.
Lui
mi guardò con quei suoi occhi
dorati e liquidi, caldi «ma
se ti fosse successo qualcosa? Se fossero stati
ancora là e avessero ceduto al profumo del tuo sangue? »
«non
mi è successo niente! »
gridai, alzandomi di scatto dal
letto e fronteggiandolo in piedi.
Presi
il libro dal comodino –ricordo
che era della stazza di Guerra e Pace– e glielo lanciai
contro; ovviamente lui
lo aveva deviato se glielo avessi lanciato da un chilometro di distanza
e il
volume andò a schiantarsi con il muro alle sue spalle con
uno schiocco secco «basta
sangue! Basta vampiri e
morte! Basta uccisioni! Basta! »
gli urlai ancora, mentre calde e grosse lacrime mi
rotolavano giù dagli occhi «non
voglio più pensarci. Non voglio più avere niente
a
che fare col passato»
sussurrai, stando in piedi davanti a lui e stringendo
i pugni «ho
solo bisogno di te ora»
gemetti, lasciando che le
lacrime uscissero tutte, senza ritegno.
Jasper
si alzò e mi abbracciò,
per poi prendermi in braccio e appoggiarmi sul letto dove mi
cullò e stette
vicino a me finché non mi addormentai.
Non
ebbi alcun sogno quella
notte, il mio corpo era immobile e avvolto dalle coperte e rinfrescato
dalla
vicinanza del mio vampiro.
Il
mattino aprii gli occhi mentre
sentivo delle carezze sulla mia testa.
Jasper
era sdraiato dietro di me
e un suo braccio mi cingeva la vita, mentre l’altro mi aveva
fatto da cuscino «buongiorno»
mi disse dolce, lisciandomi i
capelli.
Dovevo
aver un covone di paglia
al posto della testa e me ne vergognai altamente «sei
bellissima anche il primo pomeriggio»
continuò, scherzando, e i miei
occhi si fissarono sulle sue labbra.
Non
mi aveva mai baciato e in
quel momento avvertii la solita adrenalina arrivare di soppiatto a
farmele
desiderare.
Lui
mi scrutò attentamente,
ridacchiando «già
appena sveglia sei così attiva? »
mi domandò.
Ma
notai che anche lui stava
subendo il riflesso del mio desiderio e i suoi occhi si erano incupiti
un po’ «beh
non è colpa mia se appena mi
sveglio vedo il tuo meraviglioso viso»
lo ammonii di rimando, alzandomi e tendendo la
schiena fino a sentire un debole crock «sei
stato tutta la notte con me? »
domandai e lui negò scrollando
la testa «se
fosse stato così saresti morta congelata»
mi disse «sono
tornato a casa per una
riunione di famiglia e abbiamo deciso di fare una partita a baseball
oggi
pomeriggio»
continuò, alzandosi e abbracciandomi delicatamente la
vita «il
meteo ha messo pioggia come solito».
Io
lo guardai confusa, pensando
di aver sentito male perché ero ancora mezza addormentata,
ma lui mi fece l’occhiolino
e si alzò «non
c’è nemmeno da dire che tu sei invitata»
mi disse ancora, porgendomi la
mano per aiutarmi galantemente ad alzarmi dal letto.
Io
a una partita di baseball? Io
che non ero capace nemmeno a prendere una palla ferma con la mazza di
gommapiuma?
Una
partita di baseball vampiresco poi
era il massimo «ma
voi vampiri non andate solo a
caccia? »
domandai ridacchiando e dirigendomi verso l’armadio.
Cos’avrei
potuto mettere per un’occasione
simile.
Poi
un’idea mi fulminò da parte a
parte «non
è che mi vuoi portare con te per presentarmi ai
tuoi, vero? »
domandai, voltandomi appena.
Lo
avevo colto sul fatto «ringrazia
che i vampiri non
possono arrossire»
borbottò, guardando dall’altra parte della stanza
mentre mi cambiavo «e
anche se fosse? »
«mi
avevi detto che non ero la tua ragazza».
Ridacchiai;
per una volta lo
stavo mettendo in difficoltà e la cosa mi stava piacendo da
impazzire «diciamo
che ho cambiato idea»
rispose lui, alzandosi e andando
verso la finestra.
Stava
guardando verso la foresta,
ma sapevo anche che mi controllava usando il riflesso nel vetro.
Io
mi vestii con tutta calma,
indossando un maglioncino smanicato e un paio di pantaloni pesanti che
non mi
avrebbero impacciato nei movimenti «te
l’ho già detto una volta, ma te lo ridico: sei uno
stalker»
gli dissi.
Lui
lasciò uscire la sua risata
allegra e calda, ma non si girò.
Scendemmo
entrambi –Jasper aveva
detto che mia zia era partita, così eravamo solo io e lui in
casa– e ci
dirigemmo in cucina.
Lui
si appoggiò con la schiena al
muro e, incrociando le braccia sul petto, mi guardò mentre
mi preparavo una
tazza di caffè e la univo ai miei cereali col latte «sei
l’umana più strana che abbia
mai visto»
ridacchiò Jasper mentre divoravo velocemente la mia
colazione.
Anche
se erano le due del
pomeriggio.
Lavai
la mia tazza, sistemai un
po’ la cucina e finalmente potei uscire da casa con il mio
vampiro; salimmo sul
mio pick-up, come solito lui al posto di guida, e aspettai di partire
magari
verso il centro di Forks, dove si trovava il campo sportivo.
Invece
lui fece inversione e si
diresse verso la foresta «ma…dove
stai andando? »
domandai e lui sorrise, pigiando sull’acceleratore «noi
abbiamo in nostro luogo
privato dove giocare»
mi disse.
Come
si poteva giocare a baseball
in mezzo alla foresta? Mah, roba da vampiri, pensai.
Ci
mettemmo poco più di un quarto
d’ora per arrivare nel grande spiazzo che Jasper aveva
chiamato “diamante
privato”; in effetti era grande abbastanza da contenere due
dei normali campi
da baseball che in passato avevo visto.
Tutti
i Cullen erano già lì, chi
a scaldarsi i muscoli e chi a chiacchierare in attesa del giocatore
mancante.
Lo
guardai un po’ nervosa: improvvisamente
mi chiesi che cosa sarebbe successo se non fossi piaciuta a sua madre o
a qualcun
altro della famiglia.
Mi
avrebbe lasciata oppure
avrebbe sostenuto una possibile faida famigliare? «stai
tranquilla»
disse a un certo punto, fermando
il pick-up e scendendo.
Fece
il giro del veicolo e mi
aprì la portiera «andrai
benissimo»
e mi prese la mano.
Camminammo
verso il campo e io
vidi tutti i Cullen avvicinarsi.
Riconobbi
quasi subito la madre
adottiva di Jasper: ovviamente bellissima, aveva i capelli lunghi e
mossi,
color cioccolato con alcuni riflessi rossi, il viso delicato e un
grande,
enorme sorriso.
Camminava
attaccata al dottor
Carlisle e fu la prima ad avvicinarsi a me «così
tu sei Sarah! Oh che piacere conoscerti, Jasper
non fa altro che parlare di te»
disse, abbracciandomi come faceva spesso mia zia.
Si,
dovevo esserle piaciuta «e
non fa altro che pensare a te»
mugugnò divertito Edward «la
cosa stava iniziando a
diventare seccante».
Jasper
guardò in tralice il
fratello ridacchiante, mentre io mi sentii letteralmente sollevare da
terra:
Emmett mi aveva presa per la vita e mi aveva posata sulla sua spalla
come un
sacco di patate «ci
siamo tutto no? È ora di giocare! »
esclamò e questa volta non mi
intrattenni dal ridere.
Anche
se vidi la bionda Rosalie
fulminarmi con lo sguardo.
Risposta
alle recensioni:
Norine:
Grassie, veramente :3 La
tua fiducia nella mia fantasia veramente mi commuove! Non posso mica
dirtelo sai?
Sennò ti spoilerizzo tuttoooo XD
Sa chan: la
curiosità è sintomo
di intelligenza XD Edward riesce a leggere nella mente di tutti in
questa fict –putroppo
per noi! ND. Sarah– e Bella è semplicemente una
ragazza come un’altra che vive
a Forks col padre. Spero di aver soddisfatto il tuo sintomo di
intelligenza
hihihi.
Sono contenta che ti piaccia, sta coinvolgendo molto anche me, il che è tutto dire XD