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Autore: StregattaLunatica    03/09/2019    1 recensioni
Mentre gli occhi del mondo sono puntati su Skyhold e l'Inquisitore, pochi si chiedono cosa facciano alcuni dei loro membri.
Gli Agenti dell'Inquisizione vengono inviati negli angoli più remoti del Thedas, a risolvere e prevenire qualsivoglia genere di problema venga indicato loro alla Sala di Guerra.
Tre di loro si incontreranno per la prima volta, partendo in viaggio per il regno di Nevarra dove dovranno fronteggiare i nemici dell'Inquisizione.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I due elfi si muovevano silenziosamente nel sottobosco, tanta era la loro bravura che a fatica i loro piedi scalzi smuovevano il terreno. I loro grandi ed attenti occhi sondavano la zona in cerca di prede, mentre imbracciavano i loro archi. La freccia incoccata, ma la corda tenuta morbida per non sprecare le forze. I cacciatori erano molto simili fra loro per via della stratta parentela che li legava, fratello e sorella. Entrambi avevano la pelle olivastra, ed i capelli lunghi color mogano acconciati in una stretta treccia, mentre i lati del capo erano rasati. Sul volto di tutti e due era presente il Vallaslin, letteralmente scritta col sangue, tatuaggi fatti seguendo un antica arte elfica. Come tutti i tatuaggi Dalish aveva un significato preciso. Il loro era dedicato ad Andruil, la loro dea della caccia. Ma mentre i grandi occhi di Farron erano verdi scuri, quelli di Fanora erano di un singolare color miele.
Poco distante da loro sentirono un ramo spezzarsi, ed i due bloccarono il loro avanzare. Rimasero in ascolto alcuni minuti, prima di scivolare dietro ad un folto cespuglio che li celava alla vista.
La giornata era calda, il vento caldo piacevole sulla pelle. Nell'aria quell'odore caratteristico di sempreverde e terra, misto ai fiori selvatici.
Fanora scostò delicatamente alcuni rami del cespuglio, assottigliando lo sguardo per trovare la fronte del rumore.
Nella radura, una splendida cerva brucava l'erba in tranquillità. Il suo vello ambrato pareva risplendere sotto ai raggi dorati del sole, che filtravano dalle fronde degli alberi sopra di loro. Non sembrava essersi accorta della loro presenza. I cacciatori Dalish sapevano muoversi nella natura come uno spettro farebbe fra le ombre.
I fratelli si guardarono, e bastò un semplice cenno del capo perchè si accordassero. Tesero silenziosamente le corde dei loro archi, mentre sussurravano una preghiera in elfico ad Andruil.
Ma la quiete del bosco venne improvvisamente interrotta da delle urla, accompagnate dal rumore assordante di zoccoli che pestano con forza sul terreno.
La cerva, spaventata da quella improvvisa confusione, scappò via lasciando i cacciatori a bocca asciutta. Farron non tentò nemmeno di tacere un imprecazione in elfico, mentre la sorella lo costringeva a terra per nascondersi.
«Che succede?» sibilò fra i denti, anch'ella irritata per l'esito infausto della caccia. «Non ne ho idea. La Guardiana aveva detto che questa zona non è frequentata. Non c'è nemmeno un sentiero!» i rumori si fecero sempre più assordanti, finchè la fonte d'essi non schizzò proprio di fronte ai loro occhi.
Prima passò davanti loro una donna a cavallo, i suoi vestiti erano umili, e stringeva un fagotto di stracci fra le braccia, alla sella vi erano agganciate altre borse.
Subito dopo, tre uomini sulle rispettive cavalcature che la inseguivano a tutta velocità, spronando i cavalli a dare il meglio di loro.
«Oh no!» esclamò di colpo Fanora sollevandosi di scatto «Si stanno dirigendo verso l'accampamento! Dobbiamo fermarli prima che lo trovino!» I fratelli partirono all'inseguimento, utilizzando scorciatoie che il bosco svela solo a coloro che ritiene degni. Ma per quante strade potessero conoscere, non sarebbero mai stati all'altezza della velocità raggiunta dai cavalli.
L'uomo intesta al gruppo, armato di balestra, sollevò l'arma per poi premerne il grilletto. Il dardo partì con brutale violenza, andando a conficcarsi nella schiena della donna che urlò di dolore, cadendo da cavallo.
Farron si fermò, ponendo un ginocchio a terra, mentre teneva l'altro sollevato. Tese la corda dell'arco, portandosi la mano destra all'altezza dell'orecchio. Non lo puntò dritto contro la schiena dell'uomo che cavalcava di fronte a lui, non ce l'avrebbe mai fatta. Ma puntò verso il cielo.
La freccia lasciò l'arco con un sibilo, fendendo l'aria lungo il suo percorso per poi scendere con letale precisione e trafiggere il collo dell'uomo. Questo urlò, per poi gorgogliare il suo dolore mentre il sangue schizzava copiosamente dalle sue labbra, facendo voltare gli altri due uomini. «Ma che succede!?» esclamò il primo, voltando il cavallo per vedere il compagno cadere rovinosamente a terra.
Assottigliò lo sguardo, sino a vedere Farron in lontananza, da solo. L'elfo si rimise in piedi, ed incoccò un altra freccia, tenendo però ancora la corda morbida e l'arma puntata verso il terreno. «In questo bosco risiedono i Dalish! Andatevene!» urlò in loro direzione, mentre i due si avvicinavano coi cavalli al trotto, sogghignando.
«Ma tu guarda un orecchie a punta!» esclamò il primo uomo, appellandosi a lui con spregio «Cosa pensi di fare con quell'arco? Mh?»
«Questo.» rispose per poi sollevare di scatto l'arco e puntarlo contro il torace del secondo uomo. Egli deviò la freccia con la lama della spada, per un colpo di fortuna. Farron ne incoccò un altra, ma i due uomini erano già partiti al galoppo verso di lui.
Un ombra sembrò scendere dal cielo per piombare diritta sul primo uomo. Fanora, si era arrampicata sulla cima di uno degli alberi, aveva riposto l'arco dietro alla sua schiena, per poi estrarre i pugnali che portava in vita. Non appena l'uomo era passato sotto al suo albero, era saltata giù come un falco sulla preda. Caddero entrambi a terra mentre l'elfa gli piantava un pugnale al fianco ed uno al collo. L'altro uomo frenò il cavallo per lo stupore, ma prima che potesse fare qualcosa, Farron riuscì a centrargli il petto con la freccia.
Guardarono l'erba macchiarsi del loro sangue, mentre riponevano le armi. «La caccia è andata male.» brontolò Fanora, mentre il fratello le sorrideva. «Ma no! Guarda, abbiamo preso tre maiali!» Farron la spinse amichevolmente, ridacchiando assieme a lei.
Iniziarono a levare le selle di dosso ai cavalli, per poi lasciarli liberi di andare dove volessero. Mentre Farron setacciava i corpi in cerca di qualcosa che potrebbe esser stato riutilizzato, Fanora si avvicinò al corpo della donna più in là. Vide un debole movimento, e con espressione dubbiosa si chinò su di lei. «Farron! Vieni qui!» scostò il mantello della donna, solo per scoprire che lei era effettivamente morta. Ma attaccato al suo corpo, c'era ancora il fagotto di stracci, dal quale sbucavano due piccole manine che stringevano la veste della donna. Sfasciò velocemente le logore coperte, e sgranò gli occhi. «Che c'è? È ancora viva?» domandò l'altro con voce insofferente, per poi bloccare i propri passi quando vide cosa stringeva fra le braccia Fanora.
Era un bambino di circa tre anni, capelli corti e castani, gli occhi pieni di lacrime. Guardava i due elfi spaventato, ma non stava piangendo, stringeva solamente i pugnetti; tremando.
I due fratelli si guardarono in silenzio, per poi fissare il bambino. «Lascialo lì.» disse improvvisamente Farron, facendo sgranare gli occhi a Fanora «Sei impazzito?! È soltanto un bambino!»
«Uno shemlen!» quasi sputò la parola Farron, arricciando il labbro con disgusto. «Un bambino! Questo è un bambino, Farron! Non possiamo lasciarlo qui così! Morirebbe di sicuro!»
«Pensi che gli shemlen accoglierebbero un bambino Elvhen se lo trovassero!? No! Perchè dovremmo farlo noi!?»
«Perchè noi siamo meglio di loro.» rispose Fanora lapidaria, fissando dritto negli occhi il fratello e stringendo a se il bambino in un istintivo gesto protettivo.
Si osservarono in silenzio, sfidandosi con lo sguardo per alcuni attimi che parvero eterni.
«Mamma?» la voce flebile del bambino ruppe quel silenzio senza preavviso, mentre guardava il corpo della madre. «Mamma?» chiese ancora, per poi guardare l'elfa che lo teneva in braccio. Fanora sospirò, scuotendo il capo. «Dobbiamo portarlo dalla Guardiana. Hai un nome piccolo?» rimase in silenzio un momento, prima di risponderle. «Hall»

«Hall! Torna subito qui!» urlò l'anziana elfa arrabbiata, mentre il ragazzino correva via ridendo ad alta voce. Stretto fra le mani il suo bottino di guerra. Del pane caldo, appena sfornato. Mentre l'elfa urlava alle sue spalle, lui scappava a zig zag fra l'accampamento, diretto verso i margini del bosco.
Rallentò solo quando le urla della donna divennero appena un eco, ed intravide delle figure piccole e snelle fra gli alberi. «C'è l'ho fatta!» esclamò trionfante sventolando il pane davanti al naso degli altri bambini elfici. «L'ho preso!» i bambini gli si avvicinarono, iniziando a passarsi il pane per spezzettarlo in modo da dividerlo fra loro. «La vecchia Ewen ti ha scoperto però. L'abbiamo sentita urlare fino a qui.» commentò abbastanza seccata una bambina elfica mora. «Però non mi ha preso!» esclamò il ragazzino, fiero di se stesso. Uno degli elfi rise, dandogli una lieve spinta alla spalla «Sei proprio uno shemlen!» Hall sorrise, ma poi abbassò gli occhi, sapendo che sotto sotto non era un complimento. Shemlen era la parola che gli elfi utilizzavano per indicare gli umani, letteralmente significava “figli veloci”.
Hall viveva con i Dalish già da sei anni ormai. Elfi nomadi divisi in vari e distinti clan, che avevano rifiutato di finire in schiavitù o servitù nelle città umane come molti dei loro fratelli e dimenticare la loro cultura. Viaggiavano fra le terre, in cerca degli antichi manufatti e conoscenze del loro passato, oramai dimenticato. Disprezzavano gli esseri umani, tutti i loro guai erano iniziati con loro, e con loro continuavano.
Quando Fanora e Farron lo avevano portato all'accampamento, la loro Guardiana e gli altri anziani si erano riuniti per decidere cosa farne del bambino. Dopo lunghe discussioni, avevano optato perchè rimanesse con loro, sinchè non avesse raggiunto la maggior età e fosse stato in grado di cavarsela da solo. Dopodichè, se ne sarebbe andato.
Hall venne così cresciuto con gli altri bambini. Gli vennero insegnate le tecniche di sopravvivenza e di caccia. Ma non gli era permesso di presenziare alle lezioni di storia e lingua elfica. Cosa che faceva puntualmente di nascosto.
Faceva di tutto per cercare d'integrarsi, ma persino i bambini talvolta erano diffidenti o schivi nei suoi confronti. Gli elfi più vecchi quasi lo evitavano, a meno che non fosse strettamente necessario.
Viveva assieme a Fanora, l'elfa che lo aveva salvato decidendo di portarlo al campo anziché abbandonarlo come le aveva suggerito il fratello. Fanora era buona con lui, lo trattava come trattava tutti gli altri bambini elfici, senza fare troppe distinzioni. Suo fratello Farron, invece, non lo sfiorava nemmeno con lo sguardo. Lo disprezzava profondamente, e talvolta faticava a parlare anche con la sorella, ritenendo che si fosse in qualche modo “sporcata”.
Era difficile per Hall, ma quando tornava alla sua tenda, sapeva che Fanora era sempre lì per lui, con una buona parola ed un sorriso dolce che faceva risplendere i suoi occhi color miele.
Ma più cresceva, più i problemi crescevano con lui. Quando iniziò a spuntagli la prima barba, dovette imparare a farsela da solo. Agli elfi non cresce,e lui faceva sempre attenzione ad essere sempre perfettamente glabro, nel tentativo di assomigliare di più agli altri. Alcuni dei suoi problemi venivano creati proprio dai suoi coetanei. Specialmente quando Hall, all'età di quattordici anni, mise gli occhi su Yllia. Lei aveva la sua età, erano cresciuti assieme, e lei non era fa quelli che lo disprezzavano. Aveva lunghi capelli color del sole, ed i suoi grandi occhi erano di un azzurro così chiaro che verteva al lilla. I suoi tentativi di parlarle erano sempre più impacciati e poco pratici, ma lei gli sorrideva sempre. Quel giorno le aveva portato un mazzo di fiori di campo, lei l'aveva accettato con un lieve rossore sulle gote, prima di tornare dai suoi genitori.

«Per i Numi, che schifo!» esclamò una voce alle spalle di Hall, facendolo girare di colpo. Era un altro dei ragazzini elfici, che lo stava guardando con le labbra arricciate per il disgusto. «Non penserai davvero che Yllia potrebbe anche solo pensare di guardarti, vero Shemlen
«Mi chiamo Hall» replicò stringendo i pugni in un impeto di rabbia repressa. Quell'elfo faceva sempre di tutto per provocarlo. Ma Hall aveva imparato a controllarsi. Anche perchè, in un modo o nell'altro, facevano sempre ricadere la colpa su di lui.
«Shemlen va più che bene.» replicò l'elfo avvicinandoglisi con aria di sfida negli occhi ed un sorriso strafottente sulle labbra. «Non sarai mai, alla sua altezza. Guardati, non sarai mai uno di noi, per quanto tu ti possa sforzare di provarci. E Yllia non si sporcherebbe mai con te.» Hall era paonazzo per la rabbia, e decise non non star più ad ascoltare le angherie del coetaneo. Lo superò dandogli una forte spallata facendolo barcollare, mentre andava a chiudersi nella sua tenda.
Si rannicchiò in un angolino, mentre affilava con una pietra da cote il pugnale che usava per radersi con gesti secchi ed irosi. Per la mente gli passarono tutte le occhiatacce che aveva sempre ricevuto, i dispregiativi che gli venivano detti in faccia o sussurrati alle spalle quando credevano non sentisse.
Sollevò lo sguardo, puntandolo nel piccolo specchio posato poco distante da lui. Lasciò perdere il coltello, allungando le mani per prenderlo, e portarlo a se specchiandosi.
Pelle olivastra per via di tutto il tempo passato all'esterno, i capelli castani tagliati spartanamente, gli occhi erano umani perciò non particolarmente grandi come quelli elfici. Era più alto degli altri elfi della sua età, e la sua costituzione lo rendeva più massiccio degli altri, anche se non all'eccesso.
Osservò scrupolosamente il proprio riflesso, la mascella che già iniziava a squadrarsi, il naso dalla forma ben decisa e delineata, le orecchie dal padiglione largo ed ovale. Sospirò pesantemente, soffermandosi con gli occhi proprio su quelle. Le orecchie degli elfi erano lunghe ed affusolate e terminavano in una punta sottile. Al confronto, le sue sembravano rozze.
Lui voleva essere più come loro. Voleva che non lo pensassero solo come uno shemlen. D'altronde, era cresciuto con loro...lo sguardo si abbasso, e gli occhi incontrarono il coltello che aveva lasciato poco prima. Lo guardò distrattamente, mentre un idea folle iniziava a farsi strada in lui. Assottigliò lo sguardo mentre esse prendeva forma nella sua mente, sino a che l'idea non divenne una decisione. Prese il coltello fra le mani, deglutendo sonoramente.

Fanora rientrò nella tenda canticchiando, com'era solita fare ogni volta che la caccia aveva dato buoni risultati. Nella destra infatti stringeva due grasse lepri per le orecchie. «Hall! Sei qui? Andruil ha favorito la nostra battuta di caccia! Guarda cos'ho...» s'interruppe quando lo vide accovacciato in terra, le mani ed il viso sporchi di sangue. «Hall!» urlò spaventata, lasciando cadere a terra la cacciagione per accorrere al suo fianco. Lo prese per le spalle, posandosi in grembo il suo capo. «Per i Numi cosa ti è successo!?» esclamò mentre lo osservava. Le si mozzò il fiato in gola quando vide le sue orecchie. Il padiglione era stato rudemente tagliato, ed ora le sue orecchie erano una tragica parodia delle orecchie elfiche. Stava per chiedergli chi fosse stato, quando si accorse che in mano stringeva ancora il suo pugnale sporco di sangue. «Oh Hall...perchè?» gli chiese con gli occhi lucidi. Il ragazzo, provato dal dolore, la guardò con tacite lacrime che gli rigavano le guance. «Perchè non voglio essere solamente uno shemlen
La Guardiana lo curò, facendolo rimettere in sesto. Ma la situazione per Hall non andò migliorando, a causa della sua automutilazione, invece, lo spregio di alcuni sembrava essere aumentato. I genitori di Yllia le impedirono definitivamente di stare sola con lui, quando l'elfo antipatico fece loro la spia riguardo i sentimenti di Hall per lei.
Hall infine si rassegnò, capendo che non avrebbe potuta fare nulla per persuadere i Dalish.
Infine, arrivò il giorno per il quale era stato preparato sin da quando era stato in grado di imbracciare un arco.
Lo accompagnarono al margine del bosco, ma a salutarlo andarono solo Fanora, la Guardiana, qualche elfo.
«Il momento è giunto.» gli disse la Guardiana, mentre gli dava una sacca con dentro alcune provviste. «Fa tesoro di ciò che hai appreso con noi.» Hall chinò il capo con rispetto e gratitudine «Ma'Serannas Guardiana. Per...tutto ciò che avete potuto darmi.» gli elfi lo salutarono con pacche sulle spalle e mezzi sorrisi, mentre Fanora lo guardava in disparte, torcendosi le dita. Lei e la Guardiana si scambiarono uno sguardo, e l'elfa anziana annuì comprensiva. «Immagino vorrete salutarvi. Vi lasciamo soli, dunque. Dareth shiral, Hall.»
« Dareth shiral, Guardiana.» la salutò, osservandola allontanarsi con gli altri mentre si metteva la sacca in spalla.
Quando rimasero soli, Fanora lasciò andare il suo contegno, per andare ad abbracciarlo. A stento reprimeva i singhiozzi, ed Hall poteva sentirla tremare impercettibilmente fra le sue braccia. Lui ricambiò il suo abbraccio, stringendola con un pesante sospiro. «Starò bene. Non avrei potuto avere insegnante migliore. Vedrai che starò bene.» cercò di rassicurarla, mentre lei faceva un paio di passi indietro. Dopo tutti quegli anni alcune rughe ne avevano iniziato a scavare il volto, ma la sua bellezza non ne aveva risentito. «Tu sei forte Hall. Lo so. I Numi lo sanno, e ti proteggeranno in tutta la loro infinita saggezza. Ecco, tieni.» si portò le mani al collo, e si sfilò dal capo uno splendido amuleto intagliato a mano nel legno. Hall sbarrò gli occhi mentre glielo porgeva, sapendo quanto fosse importante per lei. Lo aveva intagliato suo padre, l'ultimo regalo che le aveva fatto. «Fanora, non posso accettare. Non questo. Io non...» Fanora lo zittì, allungando le mani e mettendosi in punta di piedi per farglielo indossare. «Il simbolo di Mythal, protettrice e madre degli dei. Voglio che tu lo tenga, per non dimenticarmi.» Hall sorrise, scuotendo il capo. «Non potrei mai. Sei stata...» s'interruppe qualche istante, quasi temendo di pronunciare quelle parole «...sei stata una madre per me.» Fanora gli sorrise, nonostante le lacrime che ne rigavano il volto. Gli pose le mani sulle guance, guardandolo negli occhi. «Sei cresciuto così tanto. Io sono davvero fiera di te.» lo abbracciò ancora, stringendolo come quando lo cullava da bambino. «Addio, lethallin.» gli sussurrò all'orecchio, sentendolo per un attimo irrigidirsi per lo stupore. Era un termine che i Dalish usavano solamente per coloro che facevano parte del loro clan, o per chi si fosse conquistato il diritto di avere tanta fiducia da essere ritenuto tale. Ed in sedici anni, era la prima vota che si sentiva chiamare così. «Addio, lethallan.» le rispose a sua volta, per poi staccarsi da lei, e sorriderle per l'ultima volta.

«Non ho più incontrato il clan.» spiegò l'uomo alle due compagne di viaggio, mentre passava loro ciotole con dentro il pranzo. Lafka notò la cordicella che aveva al collo, sparire dentro alla sua armatura. «Poi, qualche anno dopo, quando ho visto gli squarci aperti nel cielo; ho deciso d'investigare. L'Inquisizione mi è sembrata la mia chance migliore, così mi sono unito a loro. Potrò fare qualcosa di buono qui, con le cose che ho imparato.» ci fu qualche istante di silenzio, mentre Hall iniziò a mangiare tranquillamente.
Si erano fermati a ridosso di un fiume per accamparsi, facendo una pausa dal lungo cavalcare.
«Beh, tocca a te ora.» disse la guerriera, rivolgendosi a Veeta. La maga parve quasi cadere dalle nuvole. Smise di contemplare il paesaggio per voltare il capo e guardare i due con un sopracciglio sollevato. «Come, prego?» Hall rise, sputacchiando inavvertitamente un po' di stufato. «Beh, tu sai la nostra storia, ma noi non sappiamo la tua..»
«Chi ti dice che abbia voglia di parlarne?» domandò elusiva, sbocconcellando un pezzo di pane. «Fammi indovinare. Questa è la parte dove scopriamo che sei una maga associale, gelida e che non ha mai avuto amici in vita sua?» domandò Lafka con tono di voce sarcastico. «Perchè? Perchè sono silenziosa? Io avevo compagni di studio, amicizie, un marito e...»
«Cosa!?» la interruppe quasi urlando Hall, mentre la guerriera per poco non si strozzava con lo stufato. «Tu sei sposata!?» Veeta assunse un espressione offesa, irrigidendo le spalle e la schiena. Sembrò diventare più alta di qualche centimetro mentre osservava il cacciatore dall'alto verso il basso, le narici leggermente dilatate. «Posso sapere cosa c'è di tanto sconvolgente?» il cacciatore ridacchiò imbarazzato, grattandosi il capo «Beh sai, non è che hai proprio l'aria di una...ehm...di una che...» era strano vederlo senza parole, contando che di solito dalla sua bocca ne uscivano anche troppe. «Di una che..? Che cosa?» lo incalzò con tono di voce rigido. Fortunatamente intervenne Lafka, salvando Hall per un pelo. «Non credo che Hall volesse offenderti. Solo che sei così introversa...non per giudicare. Siamo solo...curiosi.» Lo sguardo di Veeta si rabbuiò mentre abbassava appena il capo guardandoli di sottecchi «E la curiosità...fu proprio la mia rovina.»
  
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