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Autore: Blackberry23    11/09/2019    2 recensioni
Ichigo aveva capito che poteva farcela benissimo da sola e che non aveva bisogno di lui. Non le serviva un uomo che decidesse ogni aspetto della sua vita, non voleva diventare una semplice casalinga come sua madre. Così, il “per sempre” le era sembrato una minaccia. E aveva osato: aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio, lasciandolo. A nulla erano valse le sue proteste, lei era stata irremovibile. Era cresciuta. E aveva voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ryan aveva ultimato il progetto del raggio laser ed ora si trovava accucciato in una piccola cella scarsamente illuminata e dal soffitto basso, ammanettato ad un sifone di metallo attaccato saldamente ad una parete. 

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Sbuffando, il giovane alzò la testa. La tubatura sul soffitto continuava a perdere acqua rugginosa: si era ormai formata una copiosa pozza scura sul pavimento verniciato di verde. 

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Quel rumore a lungo andare era terribilmente fastidioso. Che diamine, non bastavano le manette fluorescenti di fuoco azzurro? Aveva appreso a sue spese che al minimo movimento delle braccia quelle strane fiamme si stringevano ai polsi, bruciandoli per interminabili secondi... addio quindi al progetto di liberarsi strattonando il sifone. 

« Una soluzione... che soluzione può mai esserci a questa situazione? » pensò, mordendosi le labbra. 

Keiichiro... Keiichiro era morto. Morto. Morto cercando di proteggerlo. Gli alieni lo avevano ucciso perché non serviva. Lui, invece, era stato picchiato, portato su un pianeta sconosciuto, picchiato di nuovo, obbligato a progettare un raggio laser, ripicchiato svariate volte e alimentato forzatamente. Aveva infatti provato a fare lo sciopero della fame, ma gli extraterrestri gli avevano infilato velocemente un sondino nasogastrico dove avevano riversato un intruglio noto come latte di qarth. No, non voleva assolutamente sapere cosa fosse un qarth, aveva già vomitato abbastanza. Aveva anche subito minacce di mutilazioni... e siccome non era così forte da sopportare persino quel dolore, si era risolto a realizzare quel dannato progetto. Ora si trattava solo di costruire l’arma.
I suoi rapitori si erano rivelati come seguaci di Deep Blue. Sapeva che c’era solamente una guardia che parlava la sua lingua, mentre gli altri aguzzini si limitavano a sputargli in faccia e a massacrarlo di botte. Ma perché volevano quel raggio? Chi erano i “target mirati” che volevano colpire con il virus? Le ragazze? I terrestri in generale? Alieni di un altro pianeta? 
Aveva così tante domande e così poche risposte...

Le ragazze... chissà come stavano. Ichigo lo aveva chiamato su Skype per dirgli che si era iscritta ad un Master a Tokyo e che sarebbe rientrata a giorni in Giappone... quanto tempo era passato da quella telefonata? Da quanto era rinchiuso lì dentro?

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« Una soluzione... » rifletté, chiudendo gli occhi, cercando di ignorare il dolore delle bruciature causate dalle manette.
Trasformarsi in Art? E che accidenti avrebbe potuto fare un gatto in una base aliena per salvarsi la pelle?

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« Una soluzione... una soluzione! » pensò, stringendo forte i denti.
Contattare il governo USA per farlo venire a prendere con l’esercito e le astronavi della NASA? FBI e CIA? Grazie, ma come? 

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– Una soluzione... – sussurrò.
« Forse i computer alieni sono come quelli terrestri, ma Keiichiro deve venirmi incontro con un segn... »

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« ... Keiichiro è morto... è morto... » si disse lentamente.

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– È morto... – esclamò con voce roca.

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All’improvviso, la porta della cella si spalancò. Sulla soglia apparvero tre alieni.
Erano venuti a prelevarlo.
– Forza, alzati. È ora di tornare al lavoro! – gli intimò la guardia che parlava la sua lingua, mentre gli toglieva le manette. Poi continuò, sghignazzando: – Certo che puzzi come un qarth, Umano! Senti che tanfo: cos’è, te la sei fatta addosso, eh? 
L’alieno gli tirò un calcio alle parti basse, facendolo finire a terra dal dolore.
– No, non te la sei fatta addosso... ma appena il laser sarà completato, te la farai, non ti preoccupare!
Gli altri due scagnozzi lo sollevarono di peso da sotto le braccia e lo trascinarono fuori dalla sua prigione, in direzione del laboratorio.

« Una soluzione... »

Sì, nella cella c’era un terribile fetore di sudore, sangue, vomito, escrementi e carne bruciata. Ma lui era ancora padrone di tutto il suo corpo. In particolare, del suo cervello. Ad un tratto, il ragazzo scoppiò a ridere, noncurante delle occhiatacce e delle numerose sberle dei suoi carcerieri.

Forse aveva appena trovato una soluzione.

***​

Retasu sospirò, lasciando cadere il cucchiaio nella ciotola della colazione.
Era passato qualche giorno dalla prima sessione di esperimenti, ma le vesciche che aveva sul braccio non si erano ancora rimarginate. In compenso, i test continuavano ad andare avanti senza successo e il suo corpo (il braccio destro in primis) era tutto dolorante. Non aveva nemmeno la forza di mangiare la poltiglia che gli alieni offrivano come primo pasto della giornata. Non aveva ancora capito bene cosa fosse esattamente, ma assomigliava ad una zuppa d’avena. O meglio, era lei a voler credere che assomigliasse alla zuppa d’avena, perché non voleva ascoltare la seconda alternativa che le suggerivano Minto e la vocina segreta nella sua testa. Sì, quella pappetta era decisamente zuppa d’avena. Punto.
Sospirando di nuovo, la ragazza si alzò da tavola e andò in bagno a cambiarsi le bende che le coprivano le dolorosissime vesciche. Ichigo era già uscita perché aveva cominciato ad allenarsi regolarmente con Kisshu per “ordini superiori”, ma tornava sempre prima dell’inizio dei nuovi esperimenti, anche se esausta: l’amica le aveva confidato in gran segreto che la missione nella base dei ribelli avrebbe avuto luogo prima del previsto e che quindi doveva lavorare duramente. Non tutta la squadra aveva accettato il fatto che solo Ichigo avrebbe combattuto a fianco dell’esercito alieno contro i seguaci di Deep Blue. Inoltre, era chiaro che gli scienziati extraterrestri le stavano riservando un trattamento di favore proprio per questo motivo, facendole provare esclusivamente i preparati meno aggressivi. Ichigo però non aveva colpe... era solo l’ennesima pedina di un gioco più grande.
Retasu uscì dalla stanza per incontrarsi con le altre. Nessuna delle ragazze Mew Mew aveva idea di come gli alieni misurassero il tempo. L’unico calcolo approssimativo che potevano fare era quello dei giorni: in effetti, anche se non erano mai uscite dall’edificio governativo per beneficiare della luce della stella di quel sistema planetario, potevano basarsi sull’alternanza tra le sessioni in laboratorio e i momenti in cui era obbligatorio ritornare in camera per dormire. Per il resto, dovevano affidarsi ai soldati alieni: erano loro che svegliavano le ragazze con due allarmi sveglia (il primo era per Ichigo), erano loro che facevano apparire “magicamente” il cibo ed erano sempre loro a scortare la squadra dalle camere al laboratorio e viceversa. E sicuramente, anche quella mattina si sarebbe svolta la solita routine.
– Buongiorno ragazze! Avete dormito bene? – salutò Retasu.
– Buongiorno! – la salutò di rimando Zakuro. – Oh, ieri sera sono proprio crollata...
– Buongiornissimo Retasu-chan! Io sì, ho sognato che mangiavo tante caramelle! – disse Purin, alzando le braccia al cielo in segno di vittoria.
– Buongiorno! Retasu cara... sai anche tu che quelle brandine sono semplicemente or-ri-bi-li... quindi per favore, non farmi più questa domanda. Ah, e prima che tu ce lo chieda, sì, Purin continua a grattarsi come una scimmia! – rispose Minto. Poi proseguì, guardandole le bende: – Non smettono di sanguinare, vero? 
– Oh, beh... no... ma non preoccuparti, sono certa che domani andrà meglio! – esclamò Retasu, accennando un piccolo sorriso... e dopo pochi secondi il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore.
« Ouch... »
Prima che le altre potessero dire qualcosa, la ragazza si affrettò a cambiare discorso: – Non c’è nessuno oggi che ci accompagna? 

Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

A quel suono, le ragazze si irrigidirono.
« L’allarme? Cosa... cosa sta succedendo adesso? » si chiese spaventata Retasu.

– Aaaaaaaaaaaaargh! 

« ... Kisshu...? »

– Noooooooooooooooooooooo! Torna subito quiiiiiiiiiiii!

« Ichigo! » 

Scambiandosi un cenno di intesa con Minto, Purin e Zakuro, la giovane tirò la spilla fuori dalla tasca, pronta a trasformarsi e...

Un gigantesco scarafaggio peloso con tre corna spuntò alla fine del corridoio, dirigendosi verso di loro come un toro impazzito e sputando fuoco.

– AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! – urlarono in coro le ragazze. Fu un attimo: la prima a scappare fu Zakuro, che afferrò la carrozzina di Minto e corse alla velocità della luce. Dimenticate le spille, Purin e Retasu seguirono il suo esempio un millesimo di secondo dopo, dandosela a gambe per i vari corridoi dell’edificio.

***​

Retasu stava correndo come non aveva mai corso in vita sua.
« Corri... puff... corri... pant... corri... » si disse tra sé e sé, ansimando.
Non aveva la più pallida idea né di dove stesse andando né da quanto tempo stesse correndo. Ma le gambe e il fianco sinistro stavano cominciando a farle male: quando mai era stata brava nella corsa? A scuola odiava le ore di educazione fisica!
Girandosi per controllare di non essere seguita dallo scarafaggio, Retasu si accorse piano piano di essere da sola...
« Oh no! Abbiamo preso tutte delle direzioni diverse! » pensò, rallentando la corsa e piegandosi leggermente in avanti, sorreggendosi l’addome. Non ce la faceva davvero più, aveva il fiatone: non era abituata a correre come una matta.
Un terribile frastuono proveniente da un punto imprecisato alle sue spalle la fece rabbrividire.
« ... no... »
Di tutti i corridoi... proprio quello che aveva preso lei doveva imboccare quel bestione? Terrorizzata e ansimante, riprese subito a correre. Sì, non ce la faceva più, ma non voleva essere spiaccicata da uno scarafaggio.
Retasu corse, corse e corse. Girò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra e ancora a destra, quando ad un certo punto vide...
« Un coniglio? Puff... che... che ci fa un coniglio bianco fermo nel bel mezzo di un corridoio del Palazzo del Consiglio? Ma... pant... è veramente un coniglio? Ha solo... ha solo le zampe posteriori ed è bassissimo... pant... sembra che abbia la gobba! E che orecchie lunghe! » pensò, respirando affannosamente. 
– Devi... devi andartene da qui... pant pant... c’è... c’è uno... uno sca... sca... anf! – cercò di dire la povera Retasu.
In tutta risposta, il coniglio extraterrestre piegò gentilmente la testa di lato e zampettò nella direzione da cui veniva la giovane.
– No... bisogna andare via! Per favore! – supplicò Retasu, provando ad acchiapparlo. Ma l’animale non aveva alcuna intenzione di essere preso, così cominciò a saltare velocemente, facendosi inseguire dalla ragazza ormai al culmine della disperazione. Il coniglietto portò Retasu in un vicolo cieco. A sinistra c’era però una piccola porticina rossa di metallo che arrivava all’altezza del ginocchio della ragazza e che aveva sul fondo una minuscola gattaiola. Guardandola con aria di sfida, il coniglio passò attraverso l’apertura. Prima che Retasu potesse dire o fare qualcosa, una potente fiammata le sfiorò la testa: lo scarafaggio l’aveva trovata! Ed era così grande e mostruoso, le corna sfioravano il soffitto! Senza pensarci, la ragazza si chinò, aprì immediatamente la porticina (grazie al cielo, non era chiusa a chiave) e la richiuse velocemente una volta entrata. Era completamente al buio. Con le spalle appoggiate alla porta per tenerla ferma, poteva sentire che il Chimero non era assolutamente contento di averla persa: batteva con le zampe sul metallo, ringhiava e sputava fuoco (qualche fiamma riusciva ad entrare attraverso la gattaiola e Retasu doveva stare attenta a non bruciarsi, anche perché il metallo stava diventando molto caldo). Ma quel passaggio era troppo piccolo per lui, non sarebbe mai potuto entrare.
« Fa’ che regga... » pregò la ragazza. All’improvviso, uno terribile scossone alla porta la fece sbalzare in avanti e... siccome non aveva più il pavimento davanti a sé, Retasu non poté far altro che cadere giù.
– Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah! – gridò.
Dopo interminabili secondi, rimbalzò su qualcosa di estremamente morbido e si trovò sdraiata lì sopra dove era atterrata. Nella caduta aveva perso gli occhiali: vedeva tutto sfuocato... c’erano luci azzurre e verdi... e tante ombre... 
– Nooo... dove... dove sono? – borbottò Retasu, strisciando a carponi fuori dalla cosa morbida e scivolando sul pavimento freddo. Tastando alla cieca alla ricerca dei suoi occhiali, la ragazza andò a sbattere contro un tronco d’albero... 
« Un albero? » si chiese, toccando il punto che le bloccava il passaggio. Al tatto non sembrava un tronco d’albero... era simile ad una... gamba? Una gamba vestita? Due gambe vestite?
– Voi Umane siete un pochino strane a volte...
« Oh no... » pensò Retasu, arrossendo come un peperone. Si alzò di scatto in piedi, sprofondandosi in diversi inchini.
– Chiedo scusa, chiedo profondamente scusa, mi dispiace, mi dispiace tantissimo Signor Onorevole Generale Ikisatashi, io non vol...
– Non sono in servizio oggi, puoi chiamarmi Pai. Oh, mi sa che questi sono tuoi, ecco... – disse Pai, sistemandole gli occhiali. Riacquistata la vista, Retasu poté notare che l’alieno non indossava l’uniforme militare, ma dei pantaloni sportivi scuri, una giacca azzurra con il cappuccio annodata in vita e una maglia nera a maniche lunghe molto aderente che evidenziava tutti i muscoli del suo... oh, Retasu si sentiva le orecchie fumare da quanto erano calde...
– Gr... grazie mille, onorevole Gen... cioè Pai. Pai-san. Grazie.
– Di nulla. Ma dimmi, come hai fatto a trovare la nostra area relax?
« Area relax? »
Ora che glielo faceva notare, effettivamente era una sala molto tranquilla: la luce era soffusa e di colori tenui e alle pareti c’erano degli immensi e bellissimi acquari con tantissime creature e piante acquatiche. Retasu rimase a bocca aperta per la meraviglia: che spettacolo! C’era una stella marina a dieci punte di dieci colori diversi che fluttuava placidamente nell’acqua... una strana specie di medusa violetta che si dondolava a testa in giù, appesa al bordo dell’acquario con i suoi tentacoli... un parente del cavalluccio marino con piume dorate al posto della coda... una sottospecie di pesce spada senza pinne ma con cinque spade... e mille altre creature!
Nella stanza erano presenti anche diversi tavoli con sopra grandi cesti ricolmi di frutta extraterrestre e terrestre (gli Ikisatashi avevano importato qualche albero da frutto) ed erano sparse numerose poltrone sacco. Dato che era atterrata su una di esse, poteva certificare che erano molto confortevoli: sembravano quasi di pelliccia...
Un leggero colpetto di tosse da parte del suo interlocutore la fece tornare al presente.
– I... io... beh... mi ci ha portata un coniglio bianco. 
Pai corrugò la fronte, pensieroso.
– Un coniglio bianco? 
– Sì... – rispose flebilmente Retasu. Quanto era assurda quella situazione da zero a cento? Centodieci?
– Oh capisco! – disse Pai, distendendo la fronte. Poi continuò: – Ma non è un coniglio quello che hai visto.
– Ah... e... e che cos’è?
– Ewu.
– Salute!
– No, no. Non ho starnutito. Si chiama proprio così: è un ewu. Guarda, qui ne siamo pieni.
– Ma... ma io... – disse Retasu guardandosi intorno, – io qui vedo solo delle poltrone... poltrone morbidose... – proseguì incerta.
Abbozzando un piccolo sorriso, Pai le disse: – Sicura? Guarda meglio!
A quelle parole, la poltrona più vicina (era di un dolcissimo color nocciola) si tramutò in un ewu grassottello che saltellò subito sopra il pouf su cui era atterrata Retasu... pouf che si rivelò essere nientemeno che il coniglio bianco che aveva rincorso! 
– Ooooooooooh! 
– Usiamo gli ewu da millenni, tengono caldo e sono eco-friendly... – spiegò Pai. Poi aggiunse: – Mi dispiace per la caduta. Sai, qui non ci si può teletrasportare, ma noi di solito voliamo quando usiamo quell’entrata... 
– Non... non preoccuparti, mi... mi sembra giusto...
D’improvviso, Retasu si ricordò il perché della sua folle corsa.
– C’è... c’è... c’è uno sca... sca... sca...
– Lo scarafaggio gigante dici? Sì, lo so... – asserì Pai. Tirando un forte sospiro e incrociando le braccia al petto, disse: – Uno non può andare a correre in santa pace nel suo unico giorno libero che quello sciagurato di Kisshu si lascia scappare il Chimero scarafaggio. Il bestione è impazzito e ha provocato molti danni, chi è di turno oggi sta ancora cercando di prenderlo... ma io non ho alcuna intenzione di immischiarmi. Spetta a mio fratello in primis... e poi anche alla tua amica. Che coppia, quei due. Insieme creano solo dei problemi. Non voglio nemmeno sapere come sia potuta accadere una cosa così.
Pai si sedette su un ewu in versione poltrona sacco, invitò con un gesto Retasu a imitarlo e spiegò: – L’allarme suona in base alla gravità dell’emergenza da una a sette volte. Quando suona una volta sola, vuol dire che c’è un problema di poco conto, come in questo caso. Se suona cinque volte, come quando vi siete trasformate e avete rotto i vetri del laboratorio, è un’emergenza molto grave. Se invece suona sette volte, siamo in serio pericolo di vita: ancora non è mai successo. Ma prima o poi Kisshu lo farà scattare, me lo sento... 
Chiudendo gli occhi, continuò: – Quando i nostri genitori portarono a casa Kisshu appena nato, me lo diedero in braccio per farmelo conoscere. Ricordo di averlo cullato un po’ e di aver subito proposto di riportarlo all’ospedale... sfortunatamente, mamma e papà non mi hanno mai voluto dare ascolto... peccato...
Retasu trattenne a stento una risatina.
– Temo che il laboratorio oggi non sarà proprio accessibile a causa del Chimero: avete anche voi un giorno libero. Se vuoi, ti riaccompagno io nella tua camera. 
– Oh... grazie, Pai-san. Sei molto gentile!
Pai la fissò a lungo in silenzio. Retasu si sentiva sempre più rossa.
– “Gentile”... sono un Generale dell’esercito regolare del Pianeta e ho dato un grosso contributo all’organizzazione dell’operazione “Sakura”... operazione che vi ha portate qui con la forza per essere usate come cavie. E tu dici che sono “gentile”! Non so proprio come io possa essere definito “gentile”... 
– Ma... mi hai aiutata anche prima a trovare gli occhiali. Ed è molto carino da parte tua offrirti di riaccompagnarmi, soprattutto perché è il tuo giorno libero!
Scuotendo la testa, Pai affermò: – Non sei cambiata di una virgola, Retasu... lo stesso cuore puro di allora...
Dopo un’altra pausa silenziosa, Pai si alzò in piedi. Retasu era incerta se si dovesse alzare anche lei in segno di rispetto. Schiarendosi leggermente la gola e guardandola negli occhi, il ragazzo le chiese: – Dato che oggi sei libera, ti va di venire a fare un giro nella nostra capitale? Non hai visto granché del nostro Pianeta, se non ricordo male...
Retasu si sentì mancare il respiro. Era un... un appuntamento? Un appuntamento con Pai?
– Mi... mi... mi farebbe molto piacere! 
Alla ragazza sembrò che il volto dell’alieno si illuminasse per un attimo.
Pai le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.
– Vieni con me allora. Ti porto io volando!
Retasu gli prese la mano e sorrise timidamente.

***​

Pai spiegò a Retasu che il loro sistema planetario orbitava intorno ad una nana gialla simile al Sole del sistema solare per dimensioni e luminosità. Anche il loro Pianeta era l’unico abitabile in quel sistema ma, a differenza della Terra, era molto più piccolo (era grande più o meno quanto il continente sudamericano) e si trovava in una posizione più lontana dalla stella madre: le temperature erano naturalmente molto più rigide e la quantità di ghiacci presenti era quindi superiore. L’Acqua Cristallo aveva però cambiato radicalmente la vita del suo popolo: non solo aveva innalzato di qualche grado la temperatura media, permettendo così di coltivare e di pascolare gli animali all’aperto, ma aveva anche fatto crescere nuove specie di piante mai viste prima. Sul Pianeta c’era un’unica massa d’acqua salata, chiamata Môr, e molti fiumi e laghi di ogni dimensione che adesso, sempre grazie all’Acqua Mew, ospitavano tantissime creature acquatiche.
A livello amministrativo, sul loro Pianeta non esisteva una divisione in Stati ma solo in ampie regioni. C’era una sola capitale, Antea, dove si trovavano il Palazzo del Consiglio, lo Stato maggiore dell’Esercito e il Prato della Giustizia e dove viveva la maggior parte della popolazione. In effetti, Antea non aveva ancora subito attacchi nemici: era difesa da una potente flotta di portaerei e dalle astronavi dell’esercito, gli ospedali erano i più avanzati e il livello dell’acqua potabile e dell’aria erano costantemente controllati dai migliori tecnici del Pianeta. Il resto degli alieni viveva in villaggi distribuiti equamente sul territorio. Ma a causa del virus dei seguaci di Deep Blue, purtroppo alcuni di questi villaggi non esistevano più: il Consiglio, con una sofferta decisione, aveva decretato la loro eliminazione per cercare di non far propagare la malattia.
Retasu non poteva credere ai suoi occhi: anche se la popolazione aliena continuava ad utilizzare edifici sotterranei, costruiti prima del miracolo compiuto dal Cristallo, oggi esistevano tante strutture anche in superficie e, come aveva potuto vedere un po’ dall’oblò dell’astronave, queste erano ricoperte da piante e fiori di ogni tipo. Gli abitanti si teletrasportavano o volavano indaffarati di qua e di là: il cielo era molto trafficato. Addirittura, per gli anziani, per i bambini piccoli o semplicemente per i più pigri, esisteva un tubo trasportatore trasparente che depositava gli alieni nel posto in cui volevano andare.
– Tieni, mettiti questa e usa il cappuccio: meglio non destare scalpore per le tue orecchie... – le disse Pai una volta che furono atterrati in un vicoletto nascosto, porgendole la sua giacca.
– Grazie.
Retasu fece come le aveva detto il ragazzo. Stringendo a sé la giacca, non poté far altro che sentirvi il profumo di Pai: era così... così... così meraviglioso! Sapeva di sapone, del piacevole odore che si avverte alla fine di un temporale, di erba appena tagliata e... e... lei ci sentiva anche il profumo di tiglio, possibile? 
Arrossendo, posò automaticamente lo sguardo sull’alieno, che era girato di profilo. Non portava più il codino a sinistra, adesso aveva i capelli corti. 
« Ora che ci penso, nemmeno Kisshu porta più i capelli legati in due codini... che sia un segno della maggiore età? » si chiese la ragazza.
– Qualcosa non va, Retasu? Ti sei bloccata con la bocca aperta. Stai bene?
– Eh? Oh, i... io... eh eh eh... sì, sì, sto benissimo, eh! È che... ho visto... ho visto il mercato! – rispose imbarazzatissima, indicando la prima cosa vicina.
Pai la guardò un po’ confuso, piegando la testa di lato.
– Va bene, andiamo pure a vedere il mercato.
Le bancarelle erano traboccanti di merci: c’erano delle spezie dall’odore molto pungente, svariate carni di animali, innumerevoli pietre preziose, stoffe colorate, lacci per codini, ewu portatili e addirittura dei prodotti terrestri DOC.
Retasu riuscì a sfuggire ad un commerciante insistente che voleva venderle del latte di qarth a metà prezzo (anche se Pai le aveva detto che era molto nutriente, aveva un odore troppo forte) e per poco non perse di vista il suo accompagnatore: c’erano così tanti extraterrestri a far compere quel giorno!
– Dai, dammi la mano. Ti porto sulla terrazza panoramica del grattacielo più alto della città!
Il teletrasporto le diede una leggera sensazione di nausea, ma il calore della mano di Pai bastò a non farla vomitare.
– Ora che siamo in guerra, il teletrasporto ad Antea è fortemente limitato: è stata messa una speciale barriera, l’esercito è in grado di vedere su un computer ogni forza vitale presente in città. I civili residenti possono teletrasportarsi ovunque all’interno del territorio della capitale, ma per andare fuori devono chiedere dei permessi speciali. Lo stesso vale per chi non abita qui: se vogliono venire, devono compilare un sacco di documenti e chiedere il DTS della città.
– DTS?
– Dispositivo di tracciamento sottocutaneo. Siamo tutti identificati grazie ai DTS, si iniettano nel braccio. A noi militari non servono permessi per ottenerli, quando dobbiamo andare in missione fuori ci vengono forniti automaticamente. Ogni città ha il proprio DTS. Chi non è in regola, è prontamente bloccato dai soldati. Voi terrestri siete un caso particolare perché la vostra forza vitale è diversa dalla nostra: siccome sappiamo che tu e le tue amiche siete sul nostro Pianeta, nessun militare ti darà fastidio oggi. E poi sei con me. 
I ragazzi si appoggiarono alla ringhiera della terrazza.
– Vedi quel grosso edificio rettangolare laggiù? Ecco, quello è il Palazzo del Consiglio visto da fuori. Come sai, continua ad estendersi anche sotto terra. Mentre quell’altra struttura a punta, alla tua destra... quella è l’Accademia militare, dove mi sono diplomato poco prima di venire sulla Terra. Là invece, la grande distesa verde, la vedi? È il Prato della Giustizia: il Consiglio e gli abitanti più anziani della capitale si siedono in cerchio sul prato, attorno all’attore e alla sua controparte, decidendo sulle varie controversie giuridiche. Tutti coloro che hanno interesse possono assistere. Ah e poi... là, guarda, dove c’è l’insegna con il cono gigante: quella è la gelateria più buona di tutto il Pianeta!
– Una gelateria?
Pai sorrise.
– Sì, abbiamo importato anche il vostro gelato... ci piaceva così tanto! E ha avuto un grande successo con il mio popolo!
– Capisco! – disse Retasu, sorridendo a sua volta. Poi, guardando il Palazzo del Consiglio, si fece seria.
« Devo chiederglielo... »
Prese coraggio, fece un bel respiro e disse: – Pai, non mi è chiara una cosa...
– Che cosa?
– Se nessuno è immune al virus e non c’è attualmente una cura, perché i ribelli stanno attaccando la loro stessa gente con quest’arma? Cosa vogliono ottenere? 
Il ragazzo stette a lungo in silenzio. Poi, guardando il panorama, si risolse a parlare, lentamente e con voce roca.
– C’è un’antica profezia che si è tramandata tra la mia gente di generazione in generazione: la profezia del Luminoso Crepuscolo. Un giorno, ci sarà una grande battaglia tra luce e caos. Un potente guerriero guiderà il nostro popolo alla vittoria e, una volta distrutto il posto a cui siamo incatenati, ritorneremo tutti in pace sul Pianeta Azzurro. Vedi, fino a dieci anni fa, prima del Cristallo, eravamo “incatenati”: eravamo costretti a vivere in condizioni terribili su questo Pianeta, che era freddo e poco ospitale. Lo volevamo distruggere per avere una vita migliore. Abbiamo sempre definito voi terrestri come degli usurpatori. Eravamo convinti di potervi sconfiggere e di poter riconquistare il nostro Pianeta Natale sotto la guida di Deep Blue, che si era manifestato da poco. Poi, visto lo stato della Terra, pensavamo che per liberarci dalle catene dovevamo distruggere anche il Pianeta Azzurro e dopo ricrearlo dal nulla: credevamo che la profezia si riferisse a questo. Ora, a seguito della nostra sconfitta, chi si è ribellato al Consiglio pensa che la profezia debba ancora avverarsi. Pensano che siamo diventati tutti quanti impuri, che ci sono tanti traditori dello spirito del nostro popolo, che il Consiglio degli Anziani non rappresenti il vero potere. Pensano che solo Deep Blue sia la soluzione. Il loro compito è quello di annientare ogni opposizione riportando sulla retta via quanta più gente possibile. Secondo loro, dopo la distruzione di massa con il virus, Deep Blue farà rinascere i suoi fedeli seguaci sulla Terra, dove vivranno in pace e armonia. Il Pianeta Azzurro è la meta, ma ci possono arrivare solo i veri credenti.
– È... è... 
– È un omicidio-suicidio di massa.
Pai sospirò, continuando a guardare fisso davanti a sé.
Retasu non poté fare a meno di notare che per tutto questo tempo aveva stretto duramente la ringhiera del terrazzo tra le mani. Il suo viso era molto teso.
« Ha parlato di dieci anni... è quindi trascorso lo stesso periodo di tempo anche qui? » si chiese la ragazza, senza distogliere lo sguardo dal volto di Pai. Il giovane aveva cominciato a respirare in modo irregolare e le sue narici erano dilatate.
– Sono in molti ad odiare gli Ikisatashi, sai? Siamo quelli che si sono messi contro Deep Blue, che hanno perso la guerra, che hanno portato solo un frammento del Cristallo, che potevano fare molto di più... 
– A Deep Blue non importava niente della vostra gente, voleva l’Acqua Mew solo per se stesso!
– È stata la nostra testimonianza contro la fede di molti in una divinità. Come vedi, il Consiglio e i suoi sostenitori ci hanno creduto e continuano a farlo, ma...
– Pai...
– Si sono già presi mio fratello con il loro virus maledetto! 
– Pai... è ancora vivo...
– Per quanto tempo ancora? Dannazione! Per quanto? Sta soffrendo e basta, io...
– Pai, ti prego, calmati! – lo implorò Retasu con le lacrime agli occhi. Istintivamente, gli mise la mano destra sopra la spalla. Ma le vesciche sul braccio, ancora scoppiettanti e sanguinanti, le strapparono l’ennesima smorfia di dolore, facendole ritirare la mano. Le bende erano ormai intrise di sangue. Pai se ne accorse subito e si calmò. Guardandole il braccio, le disse dolcemente: – Ti riporto indietro, devi farti medicare.
   
 
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