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Autore: iron_spider    21/09/2019    3 recensioni
"Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela Ned.
Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria.
Vorrebbe avere la metà del coraggio che ha lui.
È un eroe. È un eroe.

[Traduzione // HungerGames!AU // Tony&Peter]
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 10: Muori in pace



 
 
Tony percorre a passo di marcia il corridoio col palmare in mano, ansioso di uscire da quel cazzo di posto e tornare al Centro Tributi. Fissa l’immagine sullo schermo, e Peter sta ancora avanzando lentamente verso la torre, cercando ovunque uno zaino. Il suo cuore batte a tempo con quello di Tony, entrambi in uno stato di fibrillazione decisamente non salutare.

Prende un respiro profondo, asciugandosi gli occhi.

Apre una schermata con riprese degli altri Tributi, e vede che Steve, Natasha e MJ sono sparpagliati, il più lontano possibile gli uni dagli altri, maledizione. Sembra intenzionale. Clicca sul nome di Beck, vedendo che è il più vicino a Peter.

“Dannazione,” esala in un sospiro. Apre la mappa e vede che si stanno muovendo entrambi nella stessa direzione. Felicia Hardy è con Beck, e Tony si chiede se anche la loro alleanza sia stata concordata.

“Tony!” lo chiama Janet, davanti a lui.

Qualcosa gli si spezza in testa, nel sentirla, e non alza nemmeno lo sguardo. Continua a osservare Peter che si muove tra le macerie, fermandosi ad esaminare una macchina abbandonata. Furbo. Troverà uno zaino prima di subito. Starà bene, starà bene.

“Ehi,” risponde Tony, cogliendo a malapena la sagoma di Janet con la coda dell’occhio, e continua a camminare. Al momento a mantenerlo integro ci sono solo pochi fili sottili. “Allora. Sembra una città devastata, o qualcosa del genere. Il ragazzo ha avuto una buona idea, sta andando alla torre, ma dovrà stare attento là dentro, sono sicuro che sia piena di trappole.”

“Tony–”

“Sta anche perquisendo le macchine da cima a fondo, sono fiero di lui,” continua, osservando Peter che controlla un vicolo. Il bracciale che ha al polso batte e batte e batte, troppo rapido per un ragazzo di sedici anni.

“Tony, stai–” 

Lui continua a camminare, con passi rumorosi. “Speriamo che Michelle riesca a trovarlo, quei due pensano in modo simile e probabilmente si starà dirigendo anche lei alla torre. Steve e Natasha devono mettersi in pari col loro–”

Janet lo aggira rapidamente, piazzandosi di fronte a lui e tagliandogli la strada. Gli sottrae il palmare di mano proprio mentre Peter esamina un’altra macchina.

Tony percepisce uno scatto nervoso all’occhio.

“Ehi!” esclama, tendendo una mano col cuore che barcolla. “Jan, andiamo–”

“Stai bene?” chiede lei, testarda.

“Starei meglio se mi restituissi il palmare,” ribatte Tony, teso, disperato per riaverlo. “Janet.”

“Evidentemente, non la stai gestendo bene,” dichiara lei.

Lui si asciuga di nuovo gli occhi prima che ne sfugga una lacrima, e fa un passo verso di lei. Sta tremando. “Il palmare, per favore. Per favore.”

“Solo se parli con me,” replica lei. “Non chiudermi fuori. Lo affrontiamo insieme.”

Gli occhi di Tony si abbassano di scatto sul bracciale, e grazie a Dio il cuore di Peter sta ancora battendo. Troppo veloce, ma batte. È ancora vivo. Ricorda tutti quelli prima di lui, quando ha sentito il momento in cui... quel silenzio terribile, improvviso, dopo troppi battiti accelerati. “Non ce la faccio, a gestirla,” sbotta, e flette le dita prima di contrarle in un pugno.

“Ma devi parlare con me–”

“Va bene,” scatta Tony. “Va bene, va bene.”

Janet glielo restituisce, con riluttanza. “Probabilmente Michelle sta per incrociare Steve: lui sta andando dalla sua parte, a meno che non venga dirottato. Quelli del Sei sono diretti verso l’area periferica, ma non so se ce la faranno.”

“Beck e Hardy sono già insieme,” dice Tony, riportando gli occhi allo schermo e guardando con un clic la loro avanzata, come se fossero in una battuta di caccia. “Non ne sono entusiasta.”

“Sono contenta che quella Hela sia da sola,” dice Janet. “Pensa se fosse stata anche lei con loro.”

Tony scuote la testa, sentendosi in trappola. Alza lo sguardo al soffitto e gli si torce lo stomaco, a sapere che l’arena è proprio sopra di loro. Il suo ragazzo. “Sembra abbastanza basilare, come arena, ma non lo è mai davvero, quando lo sembra,” ragiona, cercando di non lasciarsi sopraffare dall’impotenza.

“Spero di non scoprirlo presto,” ribatte Janet. “Probabilmente hanno attivato delle trappole. Mine.”

Tony fissa ancora lo schermo, vedendo Peter che si guarda intorno, e l’idea che potrebbe star cercando una telecamera gli stringe il cuore. Lo guarda e vuole riavvolgere il tempo, plasmarlo con le proprie mani in modo che questo non sia mai uno dei futuri possibili. “Jan,” dice, con voce spezzata. “Io non–” Pensa a Hope e serra la bocca, deglutendo a fatica.

“Lo so, caro,” dice lei, passandogli una mano sulla schiena. “Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo.”

Tony annuisce, mentre vede finalmente l'uscita del tunnel. Vuole uscire da questo cazzo di posto, vuole mettersi al lavoro, ma ha la sensazione che lasciare questo luogo voglia dire abbandonare del tutto Peter. Alza di nuovo lo sguardo, scuotendo la testa, poi torna al suo palmare. Osserva Peter che corre.

Apre una veduta aerea dell’intera arena, quelle riprese che fanno trattenere il fiato ai cittadini di Capitol, e gli sembra un ambiente uscito fuori da un libro di storia. Ha qualcosa di familiare. Sa che devono averci lavorato da quando l’ultimo corpo si è abbattuto a terra l’anno scorso… la torre in particolare è un exploit piuttosto raro anche per loro. È probabilmente straripante di cose necessarie ai Tributi, e di altre che non lo sono affatto.

Sul lato, in alto vicino alla pista d’atterraggio, spicca la scritta STANE a caratteri cubitali.

 
§

 
Ogni passo che Peter fa è rumoroso, ma non vuole smettere di muoversi. Guarda all’interno di ogni singola macchina, perché Capitol nasconderebbe di sicuro qualcosa in modo che nessuno riesca a trovarla. Continua a stupirsi dei dettagli in cui si imbatte, come chiavi abbandonate, cestini della spesa, orsacchiotti sui sedili posteriori. È come se ci fosse stato un intero popolo che è semplicemente scomparso all’improvviso. È inquietante, un ulteriore tassello nel loro gioco perverso.

Si acquatta dietro un albero, correndo basso, e teme di subire un’imboscata da un momento all’altro. È tutto molto diverso da come cominciano solitamente i Giochi, e si chiede se abbia a che fare con la nomina di Bruce.

Alza di nuovo lo sguardo verso la torre, e spera di essere più vicino di chiunque altro. Deve trovare MJ e gli altri, e vorrebbe che questa fosse una situazione normale, in cui potrebbe semplicemente chiamarli per individuarli… lanciare un razzo di segnalazione, accendere un fuoco, ma quello è un modo per attirare attenzioni indesiderate. Non rivelare mai la tua posizione, a meno che tu non sia preparato a uno scontro.

C’è una macchina rossa rovesciata e Peter si inginocchia, intrufolandosi all’interno attraverso la portiera posteriore spalancata. Ha un tuffo al cuore quando lo vede: uno zaino. Striscia più vicino, stringendo i denti e facendo scricchiolare i vetri, e allunga una mano, afferrandolo e trascinandolo verso di lui. È mezzo schiacciato contro il sedile posteriore, ma è ben nascosto, e quando apre la zip quasi ha un mancamento per il sollievo.

Due bottiglie d’acqua, crema solare, una corda, carne essiccata, una torcia e un coltello seghettato. Un buon inizio.

“Grazie a Dio,” esala, richiudendo la cerniera. Si ritrae in punta di piedi da quello spazio ristretto, facendo attenzione a non tagliarsi, e tira a sé lo zaino. Si raddrizza, infila le braccia nelle spalline e riprende a dirigersi verso nord. O quello che ritiene sia il nord.

Gli si ghiaccia il sangue quando sente un cannone. E poi un altro, in rapida sequenza. Corre, appiattendosi dietro un’altra macchina, e il suo cervello grida MJ! MJ! Ma non può essere lei. Non è possibile, assolutamente, non può accadere. Non mostrano in cielo i Tributi caduti fino al calar della notte, e Peter non può impedire a quella sensazione strisciante di riversarsi nelle sue vene come acido. Non può essere lei. Non può essere. Non possono neanche essere Steve o Natasha, perché poi cosa diavolo farebbe lui? Non può far funzionare il loro piano raffazzonato senza di loro. E di certo non ha notato nessuna ovvia via di fuga.

Rimane in attesa per un lungo momento, temendo nuovi cannoni, ma non vi sono altri spari, e alla fine si sente abbastanza al sicuro per muoversi. Vede un ponte davanti a sé e deve compiere una scelta, se passarvi sopra o sotto, e infine opta per passare sotto, giusto nel caso qualcuno abbia già una posizione di vantaggio e volesse provare a farlo fuori dall’alto. Il ponte è una buona copertura, e ripensa a tutte le simulazioni che ha fatto, cercando di tenersi basso.

Ha visto Tony pochi minuti fa, ma vuole già disperatamente tornare da lui. La paura occupa quasi tutto lo spazio della sua mente, ma è stranamente settata su un volume basso, come se la stesse respingendo perché adesso deve sopravvivere. Aggira altre macchine fuori uso e vede una fila di porte sotto il ponte, che probabilmente conducono all’interno dell’edificio squadrato con le finestre allungate [1]. Non sa quanto sia furbo entrare là dentro, perché è sicuro che si imbatterà presto in qualcosa che Capitol ha preparato apposta per lui.

Non pensa ai ragni.

Crede che potrebbe essere più al sicuro, se si muovesse entro il perimetro di quel posto, con un occhio sempre all’erta verso l’esterno, ma poi potrebbe non essere in grado di trovare una via d’uscita. Peter sa che tutti lo stanno guardando, che l’intero paese lo osserva mentre pondera le sue scelte e se ne sta fermo lì. E si chiede se non stia accadendo qualcosa di più interessante da qualche altra parte.

Sobbalza per come ha formulato quel pensiero. Nulla di tutto questo è interessante, cazzo, è tutto maledettamente terrificante, è malato e sadico e brutale e–

Peter sente delle voci.

Non quelle nella sua testa, non Tony che lo incoraggia, non la voce rassicurante si May o le parole sagge di Ben, ma reali, assolutamente reali, e urlano da qualche parte alla sua destra. Si copre la bocca e si affretta a cercare riparo dietro un furgone, mentre le urla continuano. Sente il sangue addensarsi nelle vene.

“Ti prego, ti prego, no!” implora la voce. Sembrerebbe la voce del maschio del Nove, e Peter non si sporge per verificare.

“Oh, mi dispiace, bello,” dice una voce molto familiare. “Eri solo nel posto sbagliato al momento sbagliato, okay?”

Ovviamente doveva capitare così vicino a Beck.

“Ti prego, ti prego, non–”

“Dolcezza,” dice una donna. “Si basa tutto su questo.”

Il suo cuore sta battendo così forte che è sicuro possano sentirlo, e striscia lungo il veicolo, verso il retro, perché vuole capire quanto sono vicini. Si tiene basso, muovendosi lentamente, e sbircia oltre il portabagagli. Riesce a vederli sul lato destro del ponte, un po’ più giù lungo la strada, e sono troppo, troppo vicini. Sono Felicia Hardy e Beck, quello che lo guarda sin dall’inizio in modo strano, ed è il tizio del Nove, accasciato a terra di fronte a loro. O almeno lo era, perché Beck si avventa su di lui, sbattendogli la testa a terra ancora, e ancora e ancora. Ci sono degli schizzi di sangue.

Il cannone tuona, e loro ridono.

Peter si accovaccia, strizzando con forza gli occhi, e deve andarsene, deve andarsene prima che lo vedano. Non c’è più Tony a proteggerlo. Deve andarsene, deve andare.

“Sono piuttosto bravo,” dice Beck. “L’ho sempre pensato, ma non credevo sarebbe stato così facile. Così divertente.”

“Non darti troppo credito,” dice Hardy.

“Lo so, lo so, lo so. Ma non provare ancora ad ammazzarmi, ce la stiamo cavando bene.”

Peter scarta del tutto l’idea di entrare nell’edificio, sapendo che là Beck potrebbe facilmente metterlo all’angolo, soprattutto con Hardy dalla sua parte. Non sa se si stiano dirigendo verso di lui e si gira, strisciando alla sua sinistra nel modo più rapido e silenzioso che gli riesce, e procede in fretta finché non supera il lato dell’edificio. E poi corre. E corre e corre e corre.

Qui ci sono fin troppi dettagli, ma non li vede, perché tutto gli schizza accanto in un lampo sfocato. Non guarda, non vede, è ridotto ai suoi istinti più ancestrali, e tutti gli urlano di allontanarsi il più possibile da Beck. Qua sono solo in pochi quelli che vogliono davvero uccidere, e sta scappando a rotta di collo da due di loro: conclude che se si dovesse imbattere in qualcun altro, ha delle buone probabilità che siano persone che vuole incontrare, qualcuno che fa parte del piano o che vuole semplicemente vivere, come lui. Tutto è una massa confusa. Deve solo continuare a respirare.

Tutto in quest’arena sembra troppo semplice. Peter si aspetta di posare il piede su una mina, si aspetta di trovarsi dei cani killer alle calcagna, si aspetta una pioggia di sangue, pozze acide, qualcosa. Di solito non c’è mai una calma prima della tempesta nei Giochi, perché si basa tutto sui punteggi, ruota tutto attorno a momenti e morti spettacolari. Quindi che diavolo sta succedendo?

Si sente solo, con un profondo buco nel cuore che cerca di cavarglielo fuori, che diventerà sempre più ampio fino a inghiottire tutto. Niente amore, niente sentimenti. Si sente come se stesse perdendo la propria voce, i propri pensieri, e deve trovare MJ.

Peter smette di correre solo quando si rende conto che si sta allontanando dalla torre.

“Merda,” esala, sfiancato. Il cielo si sta già scurendo, e sa che il tempo scorre diversamente qua dentro rispetto a là fuori, perché se vogliono possono oscurare il sole, possono creare una notte chiara e stellata o mandare sei giorni di pioggia di fila. Ma al buio è più pericoloso, e questa è già una città fantasma in rovina; non riesce a immaginare in quanti guai potrebbe cacciarsi dopo il tramonto. Ha una torcia, ma è come un faro di segnalazione che grida venite a prendermi. Si chiede se non stiano aspettando. Se non stiano aspettando il buio per scatenare i loro ibridi.

Pensa ai propri genitori, incatenati al loro lavoro, agonizzanti, consci di quanto dolore stessero causando, di quante morti. È lieto che non debbano vederlo qui, vedere il pericolo in cui lo stanno mettendo le loro stesse creazioni.

Si volta a guardare la torre. Sa che deve arrivare là, lo sente dentro di sé, ma non può farlo stanotte. Non vuole farsi sorprendere dal buio.

Si imbatte in un altro zaino che penzola da un albero: dentro ci sono una coperta termica, qualche fiammifero, tre mele e delle garze; trasferisce tutto nel proprio zaino e riprende ad avanzare. Deve assolutamente trovare un palmare, e gli ingredienti per il fluido, e magari qualche componente per un repulsore. È certo che quella roba, la roba d’alto livello, sia nella torre, e digrigna i denti forzandosi a non tornare sui propri passi. Ma non vuole allontanarsi troppo.

Sente un altro cannone.

Lo sente nel petto, che lo schiaccia. Serra gli occhi e alza il volto al cielo, striato di rosa e viola troppo belli per essere qui, e prega che non sia MJ. Non sa cosa farebbe se dovesse perderla, e in quel momento realizza davvero cosa significhi per lui. Adesso che è qui, qui, e anche lei è qui. Spera lì vicino. Adesso sembra tutto così chiaro, e ripensa a ciò che hanno detto riguardo al Dopo. Riusciranno a farcela fino al Dopo.

C’è un grande edificio con almeno un milione di scale, due grossi leoni di pietra e colonne che affiancano l’ingresso [2]. Gli sembra il posto ideale per fermarsi. Si guarda intorno, tendendo le orecchie: Tony ha detto che ci sono dei segnali, se sta per accadere qualcosa. Un piccolo click, un basso ronzio. Perché a volte inseriscono le loro mostruosità, quelle camere di tortura, direttamente nell’arena dalla stanza di controllo. Con mani allegre e gioiose, che selezionano il Tributo da fare a pezzi.

Peter si chiede se Bruce abbia una qualche influenza rispetto a tenerlo al sicuro, se possa fare qualcosa del genere senza farsi scoprire, soprattutto considerando l’attenzione che Peter si è attirato addosso finora. Probabilmente sarebbe più sicuro ferirlo leggermente, per non mostrare favoritismi. Può sopportarlo. Può stringere i denti, superarlo, combattere la paura. Versare un po’ di sangue. A patto di non morire.

Non pensa ai ragni.

Le scale sono invase da macerie, come tutto il resto; le sale con una corsetta, diretto all’ingresso. Non sa perché abbia meno paura di entrare qui dentro rispetto all’edificio di poco fa. Forse perché questo è più lontano da Beck. È decisamente per quello.

L’interno è bellissimo, ampio e spazioso, costruito in pietra liscia, e Peter si aggira qua e là a bocca aperta, per poi tornare in sé con un sussulto perché dovrebbe guardarsi le spalle, assicurarsi che non ci sia nessuno in agguato dietro l’angolo. Sale qualche rampa di scale, si muove silenzioso lungo i corridoi, e tutto tace in modo inquietante, come se questo fosse davvero stato un mondo a sé, dove tutti sono morti in qualunque cataclisma si sia abbattuto qui. Tutti. Ogni singola anima. Loro sono qui a rinfoltire il cimitero. Sono qui per scavare nuove tombe.

Si ferma in un’ampia stanza, con soffitti meravigliosi, dipinti di nuvole, e una miriade di lampadari di cristalli. Ci sono file e file di tavoli, e finestre che si rincorrono a perdita d’occhio. Questo posto sembra immacolato, come se qualunque cosa sia successa all’esterno non sia arrivata fin qui, e Peter si chiede se non ci sia una qualche storia dietro, una qualche narrazione in corso alla quale lui non è messo a parte.

Non gli importa. Non gli importa delle loro stronzate, del loro spettacolo. Vuole solo uscire, vuole solo tornare dalla sua famiglia. Vuole portare queste persone fuori di qui. Vuole scioccare Capitol, per una volta. E vuole anche evitare le loro ripicche crudeli.

Procede lungo il corridoio centrale, e lancia un’occhiata alle pareti: sono delimitate da scaffalature, con più libri di quanti abbia mai visto in vita sua. Ma, stranamente, più li guarda, più è convinto che davanti vi sia… un campo di forza. Vede delle sfumature verdi. Inclina di lato la testa, e ricorda tutto ciò che gli ha detto Tony riguardo ai campi di forza, come appaiono. E qui ce n’è decisamente uno a protezione dei libri.

Non lo dice ad alta voce, anche se ne è tentato, ma pensa sono davvero così stupidi da mettere qui dei libri che non dovremmo leggere?

Si avvicina, col cuore in gola, e punta una delle sfumature verdi, esitando davanti a un libro la cui costa recita IL RE DI CARCOSA [3]. Si fa largo tra due tavoli e allunga una mano, premendola tremante contro il libro.

La scossa è abbastanza forza da sbalzarlo all’indietro di qualche passo, ma non ha effetti deleteri, e non lascia alcun marchio fisico. Peter sospira, scuotendo la testa, e conclude che questo è un posto come un altro dove accamparsi per la notte, che si fa sempre più buia oltre le finestre. Sceglie una delle sedie di legno, tira fuori la coperta, la carne essiccata e una bottiglia d’acqua, e si posiziona in modo da poter vedere all’esterno.

Dopo circa due minuti da quando ha iniziato a mangiare, l’inno di Capitol inizia a risuonare, e vede il loro simbolo nel cielo. Guarda i volti dei caduti proiettati là in alto, con foto prese dai servizi precedenti a tutto questo. Trattiene il fiato, cercando di non entrare nel panico. Lei non ci sarà. Lei non ci sarà.

RICHARD RIDER, DISTRETTO TRE.
TRISH WALKER, DISTRETTO SEI.
ROBBIE BALDWIN, DISTRETTO NOVE.
NOH-VARR, DISTRETTO DIECI. [4]


Peter si odia per il fatto di provare sollievo, perché MJ sta bene, MJ è viva, e il respiro che emette trema.

Poi realizza. Quattro morti, di già. Lo sa perché ha sentito i cannoni, ma vedere i loro volti… gli si riempiono gli occhi di lacrime e scuote la testa, distogliendo lo sguardo. Gli fa male ogni anno, vedere questo bagno di sangue, e non ha conosciuto questi Tributi, non di persona. Ma tutto questo è molto più reale: sta succedendo qui, dove è lui, ed ha continuato a girare in tondo con quelle persone sin dall’inizio di tutto. Adesso sono andate, perse nel tempo, e lui aveva sperato che sarebbero riusciti a salvarli tutti, se il piano avesse funzionato. Si sente avvilito, e continua a oscillare tra il voler pensare che andrà tutto bene e il piangere la propria morte. Non sa chi sia, adesso.

Li fanno a pezzi fino a farli diventare meno umani. Sono degli animaletti trattati come celebrità. Sono pezzi su una scacchiera. Sono morti. Sono nomi nel cielo. E poi non sono niente. Sono perduti.

Peter si sfrega gli occhi e gli fa male la testa, un cerchio pulsante nel suo cranio. Sente incombere un attacco di panico, lo attraversa come un uragano, e ora non è nel suo privato, anche se così sembra. Non c’è nessuno a rassicurarlo, nessuno a cui aggrapparsi, e preme la fronte sul tavolo, strizzando con forza gli occhi, e quasi si strappa i capelli.

Calmati, calmati, calmati.

Emette un singulto, in iperventilazione, e scuote la testa, premendo così forte la fronte da farsi male, col legno che incide linee nella sua pelle.

“Là in fondo al prato,” comincia, con voce tremante. “C’è un salice ombroso… un manto d’erba… che culla il riposo…”

Continua a cantare, perso in ricordi passati; e a dispetto di tutto, il mese passato a Capitol è stato meglio di tutto questo.

 
§

 
Peter si sveglia di soprassalto al suono di un cannone.

Scatta sulla sua sedia, guardandosi attorno, ed è ancora qui, ancora in questa splendida biblioteca piazzata nel mezzo di un abisso infernale. Adesso il sole filtra attraverso la finestra, e si chiede per quanto abbia dormito. Si chiede se anche Tony abbia dormito con lui. Sussulta, perché ogni cannone, quando è solo, è un colpo al cuore, una potenziale perdita devastante. Si inclina in avanti, posando il mento sul tavolo e stringendo con forza la coperta termica al petto.

Sa che deve andare.

Ha lasciato fuori la carne essiccata per tutta la notte, ma per fortuna non sarà quello a farla andare a male, e mangia un altro paio di bocconi prima di metterla via assieme alla bottiglia d’acqua. Ripiega la coperta e ripone anche quella, per poi scegliere una delle mele e prenderne un rapido morso. Non vuole farsi distrarre da nulla, non vuole morire perché era troppo concentrato a mangiare una mela, e non lascia la sala finché non l’ha finita.

Non appena mette piede all’esterno, sente un’esplosione.

Rivolge lo sguardo alla direzione da cui proviene, deglutendo a fatica. Deve essere ad almeno cinque o sei isolati da là. Troppo vicino. Si chiede se qualcuno sappia che lui è qui. Non sa cosa diavolo dovrebbe fare… sa che laggiù deve esserci qualcuno, o in punto di morte o un nuovo bersaglio per via del rumore. Peter ha un coltello, sa che dovrebbe probabilmente estrarlo in caso quello sia Beck che crea scompiglio, o uno degli altri Favoriti che cerca di aggiungere un nome alla sua lista di uccisioni. Ma sa che… non vuole uccidere nessuno. Ha detto al Gran Maestro che ne era in grado, ma non pensa di esserlo, a meno che non lo stiano letteralmente strangolando a morte. Lui, o MJ.

Conclude che dovrebbe almeno tirarlo fuori, per dare l’impressione di essere in grado di usarlo. Rimane in ascolto, ma non ci sono altri rumori e sospira, facendo scivolare lo zaino su una spalla per frugare all’interno ed estrarre il coltello.

Rimane all’erta, e inizia a dirigersi verso la torre.

È paradossalmente difficile tenere sott’occhio qualcosa di così alto quando si è così vicini ad esso, e Peter pensa che gli verrà il torcicollo a forza di inclinare all’indietro la testa e girarla di qua e di là. Si chiede se questa sia tra le arene più grandi mai erette, e sa che, in qualunque Distretto si trovino, gli abitanti devono aver notato un qualcosa di così immenso. O magari Capitol l’ha schermata? Non ne ha idea, ma solitamente non sta mai per così tanto tempo da solo, e si sente sempre più folle.

Abbastanza folle, che quando vede MJ sul marciapiede davanti a lui crede che sia un’allucinazione.

Molte delle facciate dei negozi attorno a lui sono esplose, e la maggior parte di quelle che sembrano contenere oggetti utili sono sbarrate da campi di forza. MJ è in piedi di fronte a uno di essi, con quella sua personalissima espressione disgustata in faccia, e nei dintorni non c’è nessun altro. Solo lei. Sembra troppo bello per essere vero, come sentire un coro angelico. La fissa, col sole a picco, e si dà un pizzicotto sul braccio, aspettandosi di risvegliarsi nella biblioteca, ma è ancora lì, in piedi. E anche lei.

Rinfodera il coltello, perché non vuole brandirlo nel momento in cui lo vedrà per la prima volta.

Cerca di dire il suo nome, ma esce fuori in un gracidio, non sembra neanche una parola. Inizia ad affrettarsi verso di lei, con passi rumorosi, il respiro troppo accelerato, e lei si volta rapida: i suoi occhi si sbarrano quando lo vede, e protende le mani nella sua direzione.

“Peter!” grida. “Peter, fermo!”

“Perché?” chiede, ancora in movimento, sospinto da pura euforia.

“Fermo, fermati!”

“Okay, okay,” dice Peter, arrestandosi con piedi esitanti, vicino a un paio di cassette delle lettere appiattite e cartelli stradali divelti. “Perché? Che succede, cosa–”

“C’è una trappola,” dice lei, indicando frenetica un’area a pochi passi da lui. “Proprio lì, quindi… ti aiuto a superarla.”

“Una trappola?” chiede lui, abbassando lo sguardo. “Non vedo nulla, non–”

“Vedi quella fessura per terra?” chiede lei, indicando il bordo della ruota di una macchina. “Si vede appena, ma ho… ho tenuto gli occhi aperti per individuarle.”

Peter socchiude gli occhi, e quando guarda più attentamente può quasi vederla – ma adesso non gli importa, anche se dovrebbe.

“Qui, qui, è… sono large circa due metri, quindi… qui…” La aggira, radente al muro, e si protende verso di lui con entrambe le mani. “Fai… fai un piccolo passo verso di me.”

Lui obbedisce. Fa dei passetti piccoli e ridicoli, e quando è abbastanza vicino lei si sporge e gli afferra le mani. Lo sospinge verso il negozio che stava esaminando prima, lentamente, e mentre lei guarda la strada, lui guarda lei. La fissa come se non l’avesse mai vista prima, e forse non l’ha mai fatto, non così. Continua a tirarlo camminando all’indietro, e i suoi occhi scorrono sul suo volto, sulle sue ciglia e sopracciglia, sulla curva del naso, sulle sue poche lentiggini.

“Ecco, ci siamo,” annuncia lei, guidandolo verso le scalette del negozio con le vetrine rotte. “Eccoci.”

“Siamo a posto?” chiede lui. “Fuori dalla… trappola?”

“Fuori dalla trappola,” conferma lei, sorridendo.

Lui si slancia in avanti, abbracciandola come voleva fare pochi istanti prima. La stringe forte, e sa di non aver mai stretto nessuno così prima d’ora, ma nessuno è mai stato come lei. Non sa quando sia cominciato, non sa neanche cosa diavolo stia provando, o perché lei sia diversa. Lo è e basta.

“Ogni volta che ho sentito il cannone ho perso un battito,” confessa, nei suoi capelli.

“Anch’io, mi sono sentita male–”

“Anch’io, ho pregato che non fossi tu–”

“Ho visto i loro volti nel cielo ed è stato terribile…”

“… ma sono stato così contento di non vederti lassù,” completa lui. MJ ride, ed è forse il suono più bello del mondo, e si sente in dovere di scostarsi per guardarla in viso. Lei sospira, sorridendogli ancora, e non si sente più così solo. “Sei stata tu, un paio di minuti fa, con… con l’esplosione?” le chiede.

“Sì,” conferma lei. “Sto cercando di sbarazzarmi di questi cosi, insomma… giusto in caso.”

“Bella pensata,” concorda Peter. “Solo… non ho idea di cosa stessi facendo io. Non so cosa sto facendo, per niente. È tutto fuori di testa.”

“Lo so,” dice lei. “Ho pensato che ci dovessimo dirigere verso la torre.”

“Anch’io”, dice Peter, in fretta. “Insomma, potrebbe essere pericoloso…”

“Probabilmente lo è…”

“Ma altrettanto probabilmente là dentro ci saranno cose utili,” continua Peter.

“Tipo la roba per creare le tue ragnatele,” dice MJ. “E un punto di vantaggio.”

“Giusto,” dice Peter. Dio, è bello parlare con lei. È così felice che non sia morta che non riesce neanche ad esprimerlo come si deve, ha la vista sfocata, il respiro confuso. Vorrebbe essere ovunque ma non qui, ma sente un barlume di speranza solo a guardarla.

“Non hai ancora visto gli altri?” gli chiede.

“Non ancora,” risponde Peter. “Ma... oh! Oh! Ho trovato un paio di zaini–”

“Sì, lo vedo,” dice lei, torcendo il collo.

“Vuoi una mela?” le chiede. Porta in avanti lo zaino su una spalla sola con mani maldestre, cercando e incespicando con la zip come se non avesse mai toccato un singolo oggetto in vita sua. “Ho una mela, ho– ho due mele…”

Lei ride, e il suo sorriso si allarga. “Ne prendo una, conserviamo l’altra,” conclude.

“Va bene,” risponde lui, posandola nel suo palmo.

Lei la prende, conscia di quanto sia prezioso il cibo qui. È come se le avesse dato un milione di dollari. “Grazie,” gli dice.

“Di nulla,” dice lui, con un cenno, mettendosi di nuovo lo zaino in spalla.

Lei la addenta, schiudendo gli occhi verso un punto dietro di lui. “Sbarazziamoci di questa robaccia prima di andare,” dice. “Stavo cercando qualcosa da tirarci sopra prima che arrivassi tu…”

“Non tirare la mela,” la avverte lui.

Lei soffoca una risata, scuotendo la testa. “Che ne dici di aiutarmi ad alzare una di quelle cassette?”

“Ottimo piano,” concorda Peter, spostando lo sguardo verso di esse. Si posizionano uno per lato, la sollevano e la fanno oscillare avanti e indietro più in alto che possono, contando fino a tre. La lasciano andare e MJ lo trascina via prima che tocchi terra, e scappano inciampando dalla potente esplosione, con fuoco e rocce che sfrecciano ovunque attorno a loro. La cassetta delle lettere atterra con uno schianto su un tetto dall’altra parte della strada.

“E adesso corriamo,” dice MJ, prendendo un altro morso della mela. “Nel caso qua attorno ci sia qualche pazzoide.”

“Okay,” dice Peter. “A ovest, verso la torre.”

Si muovono in fretta e, dopo qualche secondo, lei gli prende la mano. Sembra rendere tutto più facile.

Si arrestano pochi minuti dopo, e Peter si guarda alle spalle per accertarsi che nessuno li abbia seguiti. Si sente più padrone della situazione, adesso che è con lei, meno incline a lasciarsi sprofondare nella depressione, o a dubitare di se stesso. Non può permetterselo, perché deve essere nel pieno delle proprie facoltà quando è con lei, in caso accada qualcosa.

Gli lascia andare la mano, e ammette a se stesso che avrebbe voluto continuare a stringerla.

“Allora, hai visto niente di… ovvio?” chiede lei, sollevando le sopracciglia

Peter si assicura che stiano procedendo nella direzione giusta, cercando di prendere nota delle strade e della posizione della torre. “Non ancora,” risponde, sapendo perfettamente ciò che intende. “Spero che Steve e Nat siano in una posizione migliore per, uh… vedere qualcosa.”

“Mi chiedo se non siano già lassù,” dice MJ, prendendo gli ultimi morsi della mela. Sospira, con gli occhi che scrutano il terreno, probabilmente ancora alla ricerca di trappole. “So che magari è stupido far esplodere le mine, perché fanno così tanto rumore, ma penso che, se possiamo impedire che qualcun altro muoia così, insomma…”

“No, ho capito,” dice Peter. “In effetti, è una cosa davvero altruista da fare…”

“È solo che… mi sembrano un colpo basso,” riflette lei. “Quasi non si vedono, io lo so solo perché ho visto quello che è successo a Richard.”

Peter la guarda. “Ha… ci ha messo un piede sopra–”

“Già,” conferma lei, scuotendo la testa. “È per quello che ho capito come sono fatte. Le linee per terra.”

Peter si sente il petto costretto, e anche lui scuote la testa. “Ho visto Beck e Felicia Hardy che uccidevano Robbie Baldwin,” dice, piano. “Sono… sono scappato.”

“Sono contenta che tu l’abbia fatto,” replica lei.

C’è un brontolio premonitore sopra di loro, e alzano entrambi la testa. Peter vede nuove nuvole che vorticano nel cielo, e sembrano quasi uscite da un fumetto per quanto sono esageratamente sinistre, mentre oscurano tutto.

“Pensi che sia pioggia normale?” chiede MJ, un po’ ansiosamente. Finisce la sua mela e getta il torsolo in un cestino.

Hanno visto molte cose orrende nei Giochi passati, per quanto riguarda la pioggia, e Peter non ha intenzione di scoprirlo. “Non saprei,” replica. “Ma tu dovresti andare sotto quella tettoia mentre io–”

“Ah, no,” ribatte lei, negando col capo.

Lui sospira, lanciando un’altra occhiata verso l’alto. “MJ…”

“No, no, se tu rimani qua fuori sotto la pioggia, io rimango con te.”

Non vuole che si ferisca, e sta per controbattere, quando la pioggia inizia a cadere a secchiate. Non brucia, non è sangue, è solo… pioggia.

“Beh, adesso lo sappiamo,” conclude MJ, già zuppa.

Peter la sospinge comunque sotto la tettoia. “Sembra che si stiano trattenendo,” osserva, quando sono entrambi al riparo dal diluvio. Gli si torce lo stomaco, perché sta pensando troppo. “Sembra quasi… troppo facile. Come se stesse per accadere qualcosa di brutto.”

“Vorrei dire che spero che ti sbagli, ma so che hai quasi sicuramente ragione, quindi…”

Sospira, e anche lui sospira mentre si rimettono in cammino, cercando di tenersi al riparo dalla pioggia. Peter continua a ritornare di scatto al presente, in vita, al fatto che sono davvero qui. Questa non è una vita reale, non è un posto reale, è quello di cui ha avuto paura per tutti questi anni. È l’inferno.

Guarda MJ per smettere di pensare.

“È strano,” dice lei, mentre svoltano in una nuova strada. “Non… non averli qui con noi. Janet e Tony.”

Peter si avvicina a un’auto lì accanto, sbirciando all’interno. Niente zaini, niente provviste, e, in un certo senso, gli sembra quasi un affronto personale. “Lo so,” dice. Non è passato molto tempo, ma Tony gli manca più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, e già sapeva che sarebbe stata dura.

Non c’è più riparo ora, quindi camminano semplicemente sotto la pioggia, mentre i tuoni brontolano sopra di loro. È preoccupato, teme di essere colpito da un fulmine. Si preoccupa, si preoccupa, non riesce a smettere di preoccuparsi. È una sensazione che ha sottopelle, dove ha piantato radici. Deve rimanere concentrato. Deve tenerla al sicuro.

“Ci stanno guardando proprio ora,” dice MJ, nel chiaro tentativo di confortarlo.

Lo fa quasi sentire peggio, e non riesce a decidere se essere speranzoso o pessimista, non gli riesce di trovare un equilibrio, nulla di tutto questo ha senso, nulla…

“Ehi,” lo richiama lei, toccandogli la spalla, e smettono di camminare. Gli va la pioggia negli occhi, e continua a sbattere le palpebre. Si sente in bilico… alla faccia dell’essere meno incline a sprofondare nella depressione. Avrebbe dovuto saperlo: una singola menzione di Tony e già si sente precipitare. Chissà cosa diavolo accadrebbe se qualcuno menzionasse May.

“Scusa,” le dice, scuotendo la testa.” Scusa, è solo che…”

“No, no, lo so…”

“Sono a pezzi,” dice Peter, sentendosi accaldato e terribilmente imbarazzato, e distoglie lo sguardo. “Scusa, devo solo… fare di meglio e…”

Lei gli si accosta, posandogli un rapido bacio sulla guancia. Lui si irrigidisce di colpo per lo shock, e la segue con lo sguardo mentre si allontana, con ciocche di capelli bagnati a schermarle gli occhi. “Devi solo… essere te stesso,” dice, con un cenno convinto. E poi riprende a camminare senza di lui.

Rimane lì impalato a fissarla. Prima il suo cervello funzionava, ma adesso è definitivamente fuori uso. Si sente al centro di una corrente elettrica.

Viene strappato dalle sue fantasticherie da un cannone. Deglutisce a forza, e vede MJ che si volta, come a controllare che lui sia ancora là. Sente il rimbombo nelle ossa, e devono davvero trovare gli altri.

“Peter,” lo chiama, e ha una strana espressione in faccia.

“Andiamo,” risponde, mettendosi in marcia per raggiungerla. “Dobbiamo assolutamente incontrarci con Steve e Nat, odio sentire i cannoni e sapere che sono–”

“Peter,” dice un’altra voce. E gli si gela il sangue.

Peter si volta, lentamente, più lentamente di quanto si sia mai mosso in vita sua, persino alla Mietitura. E pensa che, magari, non vedrà ciò che si aspetta di vedere. Questo posto è un incubo, ma non è davvero un incubo.

Invece lo è.

Tony è qui. Tony, in ginocchio, con un cappio attorno al collo. Un cappio legato a un lampione, le mani dietro la schiena. Ha un occhio nero e sangue attorno alla bocca, e sta rantolando, come se non riuscisse a respirare. Peter non l’ha mai visto così spaventato.

“Tony,” esala, tremante, orripilato. “Tony, come–”

“Peter, non può essere reale,” dice MJ, dietro di lui.

Lui la sente appena. Non sente la pioggia. Sente solo la propria paura che gli ulula nelle orecchie. I brividi lo scuotono e il mondo si inclina. Minaccia di sbalzarlo a terra.

“Pete, aiutami, ragazzo,” dice Tony con le lacrime agli occhi, e si dibatte, ma non riesce a liberare le mani. “Fammi uscire di qui, ragazzo, dannazione, mi uccideranno…”

“Peter–” comincia MJ.

Ma Peter ha un unico pensiero, perché si sono abbassati a questo, l’hanno fatto, cazzo, hanno messo anche Tony qui, di nuovo, per torturarlo…

“Arrivo,” gracchia, affrettandosi verso di lui senza sapere cosa cazzo fare, perché adesso è tutto diverso. Stanno cambiando le regole. La sua speranza si tramuta in cenere nella sua bocca.

Non appena lo raggiunge, Tony si dissolve. Nel nulla. Come se non fosse mai stato lì. Peter gira sul posto, col cuore che gli batte nelle orecchie, e non c’è più alcuna corda, non c’è Tony, non ci sono più i suoi rantoli.

La pioggia smette di cadere a comando, e si sente sul punto di vomitare.

“Che succede?” implora Peter. “MJ…”

“Qualcuno ha un palmare,” replica lei, affiancandosi a lui e stringendogli un braccio. “Per forza.”

Peter si guarda attorno, mentre la pioggia residua scivola ancora dai tetti, in un concerto gocciolante. Il cielo non si schiarisce, è ancora nuvolo e cupo, e Peter si sente instabile sui piedi. Pronto a cadere a terra. Afferra l’aria nel punto in cui c’era Tony fino a un istante prima. Potrebbero averlo nascosto. Vogliono metterlo in difficoltà. “Sei– sei qui–”

Peter, aiutami!” chiama la voce di Tony, amplificata ovunque, densa di terrore.

“Tony?” risponde Peter, e fa per avanzare quando MJ lo trattiene fermamente per il braccio. La guarda, sentendosi isterico. “MJ, lo stanno–”

“Non è qui,” ribatte lei. “Te lo stavo dicendo, no? Qualcuno ha un palmare, Peter, qualcuno sta creando tutto questo–”

Peter batte le palpebre, col suo senso dell’equilibrio che sembra mal tarato, e sente ancora l’eco della voce di Tony nelle orecchie. “Ma non posso… devo– devo esserne certo, non posso– non posso rischiare di perdere–”

E poi scende l’oscurità, come un sudario che li avvolge, e tutto cambia. Non c’è più la strada, né la città, solo un corridoio freddo, umido e gocciolante, stretto e di un nero minaccioso, pieno di… cadaveri.

Adesso capisce. Adesso ne è sicuro.

“Merda,” sussurra. Ruota sul posto, cercando di capire se può muoversi all’indietro, ma ci sono cadaveri anche lì, cumuli su cumuli di corpi ammuffiti, mutilati, mezzi scheletrici, pieni di larve e mosche e Peter sente l’urgenza di dare di stomaco.

“Non è reale, Peter,” dice MJ, ma si avvicina comunque a lui di un passo. “Niente lo è. Non sono qui. Non sono qui.”

“Lo so,” esala lui, prendendosi mentalmente a calci per esserci cascato, per averli intrappolati qui dentro. “Ora lo so.”

“Dobbiamo stare attenti,” dice MJ, muovendo un esitante passo all’indietro. “Siamo ancora dov’eravamo prima, e ci sono trappole che non abbiamo ancora individuato–”

SAPETE, MI SONO SEMPRE CHIESTO COSA NE FACESSERO DEI CORPI,” dice la voce di Beck, echeggiando il terrificante interrogativo che Peter ha sempre avuto. Non sembra essere vicino, ma nemmeno così lontano, e Peter deduce che l’illusione gli permetta di distorcere anche la propria voce. Così da non rivelare la propria posizione. “INSOMMA, QUEGLI IMBECILLI SE NE STANNO ANCORA LÀ DOVE SONO MORTI. VE LI IMMAGINATE, GLI ADDETTI ALLA PULIZIA CHE ARRIVANO E PORTANO TUTTI FUORI? NO, HO SEMPRE PENSATO CHE QUELLO SAREBBE STATO IL LORO LUOGO DI ETERNO RIPOSO. CAPITOL NE SAREBBE CAPACE, NO?

“Beck,” esclama Peter, schiarendosi la voce. “Non sei costretto a farlo.”

PETER CARO, TU SEI IL CAVALLO VINCENTE, LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO, CERTO CHE SONO COSTRETTO. MA HO DECISO DI FARLO CON UN PIZZICO DI TEATRALITÀ.

“Andiamo,” sussurra Peter, strattonando la mano di MJ. “Andiamo, corri.”

Gira sui tacchi, tenendola stretta, e iniziano a correre verso la direzione da cui sono venuti. Chiude gli occhi mentre avanzano spediti in mezzo ai corpi, perché sa che non sono qui, non per davvero, non per davvero, e cerca di ricordare dove diavolo fossero le macchine che erano per strada. Tende in avanti una mano, incontra un ostacolo e si sposta a destra, sente una porta aprirsi e si scansa di nuovo. Può quasi percepire dove sono le cose, può quasi aggirarle come se stesse facendo una corsa a ostacoli bendato.

Poi qualcosa di duro si piazza tra i suoi piedi e inciampa, abbattendosi a terra. La mano di MJ gli sfugge e lei scompare di colpo.

Lo scenario di fronte a lui si rimescola come un mazzo di carte, formando una visione nuova. Peter si rimette freneticamente in piedi, con nuovo panico nelle ossa.

“MJ?” grida, guardandosi intorno, ovunque, ma lei non c’è, non c’è. “MJ, dove sei?”

MA GUARDA CHE OCCHIONI DA CUCCIOLO,” dice Beck. “COSÌ DOLCI. COSÌ TRISTI. SU, PORTIAMO VIA QUALCUN ALTRO A PETER PARKER.

È in un cimitero. Si stende in lungo e in largo, con una chiesa gotica che si slancia verso il cielo privo di stelle e pace. Il cimitero in sé non è ben curato, è abbandonato alla furia degli elementi, con rampicanti che si contorcono ovunque a loro piacimento, e chiazze di erba secca che affondano nella terra.

“MJ, di’ qualcosa,” chiama Peter, osservando le tombe che emergono dal suolo, umido e mobile come se fosse un’entità senziente. Sa che lei è nei paraggi, sa che Beck deve averla intrappolata in un’altra illusione, o averla scacciata da questa, ma lei dovrebbe essere in grado di vederlo, dovrebbe poter–

È pronto a vedere la tomba di Tony, di May, di Ben, dei suoi genitori… ma quella che gli appare davanti è… la sua. Ricoperta di muffa, sul punto di sgretolarsi, senza epitaffi né parole d’amore, nessun verso o citazione. La fissa, con la data di oggi incisa nella pietra, e la terra di fronte ad essa è aperta, vuota.

In attesa.

Qualcosa lo spinge dentro, e prende a rovesciargli addosso palate di terra.

Tossisce, facendo scattare in alto le braccia, e non dovrebbe funzionare così, non può funzionare così, le illusioni non possono toccarlo, non possono–

Sta affondando come nelle sabbie mobili, con la terra che lo invade, gli entra in bocca, soffocandolo…

Una mano lo afferra e lo tira all’indietro, fuori dalla tomba. È pronto a sferrare un pugno, ma si blocca appena in tempo, perché è MJ, che lo attira a sé.

“Oddio,” esclama lei. “Oddio.”

“Grazie al cielo,” replica lui, stringendola forte.

La tomba occhieggia nella sua direzione, come delle fauci spalancate pronte a inghiottirlo.

Lo scenario cambia e li sprofonda in un’oscurità nuova e, d’un tratto, sono di nuovo nell’attico. Esattamente come l’hanno lasciato, con tutti i bei ricordi incastonati lì dentro a dispetto della loro terribile situazione. Ma… accanto al tavolino da caffè, con una nuova ondata d’orrore, Peter li vede. Tony e Janet, morti, sul pavimento. Li hanno picchiati a sangue, hanno i vestiti stracciati, gli arti piegati in angoli innaturali, e Peter distoglie lo sguardo con un sussulto. Non riesce a guardare, non ci riesce, non può vederlo. Tutta la sua determinazione sfuma nel nulla.

MJ fa un paio di passi verso di loro.

Deve risparmiarglielo, neanche lei può vederli, non se lo merita. “MJ…”

“Lo so,” dice lei, suonando distante, e Peter sta uscendo di testa al pensiero di essere di nuovo qui, anche se non è esattamente qui. “È solo che… dio Peter, mi sento male, sembrano così reali…”

“Quei palmari sanno tutto su di noi,” dice Peter, e non vuole guardare, non vuole vedere Tony così, non può. Ha paura di cos’altro possano offrire i palmari… una foto di May? Informazioni su Ned? La sua stessa, contorta storia con Capitol, fino ai suoi genitori?

Le luci si fulminano, e sono ancora nell’attico, ma è come se ci fosse un blackout. Peter si avvicina, prende la mano di MJ e si rifiuta di guardare in basso.

Sente qualcuno che respira.

Peter,” dice la voce di May, come se la paura che aveva lui di sentirla l’avesse portata in vita. È distorta, lontana. “Ti… ti voglio bene, piccolo mio. Mi dispiace. Non so come vivrò senza di te. Non so se posso. Non hanno… Dio, non mi hanno neanche fatto vedere il tuo corpo…

“Basta,” dice Peter, chiudendo gli occhi. “Basta.”

Non sei mai stato abbastanza bravo, Peter,” dice la voce di Tony. “Sei una delusione. Non puoi salvarti. Sei già perduto. Sei già morto.

“Non puoi ingannarmi, Beck!” grida Peter, sentendo montare la rabbia. “Non puoi più ingannarmi! So cosa stai facendo, e so che non è reale!”

Sei sempre rimasta nella sua ombra, Michelle,” dice la voce di Janet. “Nessuno ti ha mai notata quando eri vicina a–

“Stai zitto, idiota, Janet non lo direbbe mai!” grida MJ.

Peter sente ancora qualcuno che respira. Vicino, sulla sua nuca. Un respiro caldo.

Ha un brivido. È troppo buio, e lancia un’occhiata ai corpi, con lo stomaco che si ribalta. Non può vedere May così. Non può. Deve fermare Beck prima che gliela mostri. Attira vicino a sé MJ, si voltano assieme e ricominciano a correre, lui con la mano tesa in avanti come prima. Si muove verso il corridoio sul retro, e sale quello che crede sia il marciapiede al di fuori dell’illusione. Si muove più in fretta.

Poi sente dei passi striscianti.

Fanno irruzione nella sua stanza in nugoli densi e terrificanti, e Peter incespica all’indietro: ragni, ragni ovunque. Grandi, piccoli, mutanti, e trattiene un singulto mentre gli si avventano addosso, pronti a risalirgli le caviglie.

MJ lo afferra e gli pianta una mano davanti agli occhi.

“Non guardare,” gli dice. “Non guardare, non farlo… non sono qui. Non sono qui.”

“Okay,” mormora Peter, anche se li sente ancora muoversi. “Okay, okay.”

Lo fa voltare e lui le afferra il polso, scostandole lentamente la mano. Li sente ancora, ma non guarda. Li vede, con la coda dell’occhio, che si muovono ai suoi piedi. Ma non sono reali, non sono reali.

Sei morto, Peter,” dice la voce di Tony. “Sei già morto.

L’illusione trema di nuovo, comincia a mutare, e per un momento, solo per un istante, Peter riesce a scorgere l’esterno. La strada, la città, le macerie… e Beck. Beck, in piedi alla fine della strada, che orchestra il tutto.

Poi si ritrovano sulla cima di un’altura imponente. Il tetto del Centro Tributi.

Sono proprio sul cornicione, e il vento frusta i capelli di MJ, portando con sé un’ondata gelida che manda brividi lungo il corpo di Peter. Si guarda alle spalle, e vede un plotone d’esecuzione di Pacificatori che avanza verso di loro, sempre più vicini. Coi fucili puntati.

Peter si volta, guardando in basso, verso la strada, verso le persone che da qua sembrano formiche. Tutto è così piccolo, così lontano, e una caduta del genere li ucciderebbe.

Ma tutto questo non è reale.

Respira come Tony gli ha detto di fare quando gli attacchi di panico sono troppo intensi, inspira dal naso ed espira dalla bocca, e si rammenta che tutto ciò è questione di vita o di morte. Non c’è spazio per gli errori. Beck sta giocando con loro, li sta rendendo vulnerabili, li sta distraendo così da poterli uccidere.

Tony sta guardando. Anche May e Ned. E farà in modo che non lo vedano morire. Non manderà a monte il piano per colpa di Beck.

Inspira dal naso, espira dalla bocca, e cerca di ripulirsi la testa di tutti gli ostacoli che vi si affastellano, cerca di scacciale la paura e i dubbi, anche solo per un istante.

Lascia la mano di MJ.

“Che stai facendo?” chiede lei, ondeggiando appena.

“Fidati e basta,” dice lui. “E forse… avrò bisogno di un piccolo aiuto, ma penso che capirai quando, altrimenti… resta al sicuro.”

“Resta al sicuro, cosa… Peter–”

Peter scatta in avanti e spicca un enorme salto. Per un momento sente di cadere, e il vento cerca anch’esso di simulare una caduta, ma poi prende a camminare in aria, corre, sfreccia, ricordando il momento in cui l’illusione si è dissipata, e punta nella direzione in cui ha visto Beck, più veloce, sempre più veloce.

Gli si schianta proprio addosso e lo abbatte a terra.

L’illusione si disgrega all’istante, e atterrano entrambi malamente in una buca colma d’acqua. Il palmare di Beck rimbalza sull’asfalto e Peter mette a segno un pugno prima che lui lo disarcioni, cercando di recuperare il palmare. Ma Peter gli afferra la caviglia, strattonandolo all’indietro e facendolo cadere di nuovo.

“Non puoi morire in pace, Parker?” abbaia Beck, e striscia verso di lui, agguantandolo per la maglietta e sbattendogli la testa a terra.

Peter vede le stelle e sussulta mentre Beck lo fa di nuovo, poi scalcia, colpendolo proprio in mezzo alle gambe. Beck si accartoccia su se stesso e Peter si rimette in piedi a fatica, facendo cenno a MJ di seguirlo. Lei aggira Beck, colpendolo sul lato della testa per sicurezza e facendolo accasciare. Entrambi scattano in una corsa.

“Non ci lascerà mai stare,” dice MJ.

E subito, Peter sente dei passi pesanti che li inseguono. Spinge MJ da parte appena in tempo e Beck lo afferra, scaraventandolo nella direzione opposta. Lo fa indietreggiare finché non incontra con la schiena l’edificio in mattoni al limite della strada, e lo inchioda lì. Prende a colpirlo, ancora, e ancora, e ancora. Peter sente la testa che sbatacchia contro il muro, con fiotti di dolore che gli esplodono nel cranio.

“Maledizione, ragazzino, non sei un vincitore, capito?” dice Beck, assestandogli un pugno dritto sul naso, e Peter ha un singulto, respira a malapena. Sente in bocca il sapore del sangue, metallico. “Non sei… non sei il tipo, tutto qua, sei davvero bravo a fare il carino, ma non sei in grado di fare nulla, quando arriva il momento.” Lo colpisce di nuovo, e la vista di Peter si sfoca. “Diamo una sistemata a questo tuo bel faccino. Poi non piacerai più così tanto alla gente, no? Quelli di Capitol sono davvero superficiali. Diamo loro un po’ di sangue.”

MJ gli arriva alle spalle, ma Beck sembra intuirlo e allunga la mano libera all’indietro, afferrandola per la gola. Lei lo graffia a sangue, facendolo urlare e aumentare di riflesso la stretta su di lei.

Peter vede rosso.

“Lasciala stare!” ringhia, scostando a forza il braccio di Beck e mollandogli un pugno nello stomaco. Beck si piega in due e allenta la presa, ma riesce comunque a fargli lo sgambetto, spedendolo a terra.

MJ tossisce e solleva da terra un cartello stradale divelto, abbattendolo sulla testa di Beck due volte di fila. Lui barcolla, subendo l’impatto, e si volta scagliando a terra anche lei. Peter si rimette in piedi, col suo intero corpo che urla di dolore, e afferra Beck per le spalle, spingendolo una, due volte, quanto basta per allontanarlo da MJ. Sente dei campanelli d’allarme che gli squillano in testa. Panico, orrore, e cerca di scacciarli via tutti. Non sa come fermare Beck.

“Dio, siete davvero una spina nel culo,” impreca Beck, cercando di mantenersi in piedi, ma Peter rimane all’erta, sapendo di non dover mai cedere. Beck si tasta la giacca, con mani tremanti. “Smettila– cazzo–”

“Non voglio ucciderti,” dice Peter, continuando a spingerlo. Ha un brutto presentimento che non riesce a scrollarsi di dosso, ma è probabilmente perché questa è la cosa più orribile che gli sia mai capitata. Cerca di superare il proprio dolore. “Okay? Non voglio–”

Beck agguanta la sua mano, tirandolo vicino. “Ruota tutto attorno alle uccisioni, piccoletto, è tutta una questione spettacolo. Non uscirai mai di qui se non riesci a uccidere la gente. Beh, non ne uscirai in ogni caso. Ciao ciao, carino.”

Sirene d’allarme. Sirene d’allarme. Il tempo rallenta.

“Peter, ha un coltello!” grida MJ, e Peter la vede scattare verso di loro. Al rallentatore.

Peter la vede, la mano che non lo sta tenendo, la mano che stava frugando nel giacchetto alla ricerca di una tasca. Peter balza via dalla sua traiettoria, ma il coltello scorre sul suo braccio: grida di dolore, e ricorda l’addestramento con Tony. Ricorda i combattimenti corpo a corpo con Sam. Il modo in cui Sam prendeva a pugni i sacchi da boxe finché non si staccavano dalla catena.

Peter lo respinge all’indietro, poi lo carica e gli dà un calcio nello stomaco, più forte che può. Beck scivola, inciampa, cercando di tenersi in piedi, la mano ancora serrata sul coltello.

Si ferma, annaspando, guardando Peter con una sorta di ammirazione.

E poi esplode.

L’onda d’urto spedisce Peter all’indietro di qualche metro, col fuoco che attraversa l’aria, e vede Beck che atterra sul tettuccio dell’ennesima macchina abbandonata.

Un suono acuto. Dolore pulsante. Paura gelida.

Peter scatta in avanti senza pensare, e gli fa male il petto, la testa, tutto quanto, il braccio gli pulsa violentemente nel punto in cui l’ha tagliato. Si affianca a Beck e lo vede carbonizzato, metà volto distrutta, la gamba mozzata. Si limita a fissarlo sotto shock, scuotendo la testa. Non trova parole. Non ci sono parole giuste.

Beck gli rivolge un sogghigno agghiacciante, rantolando. “Ecco… è così che si fa spettacolo.”

I suoi occhi si appannano e ha uno spasmo, poi rimane immobile.

C’è un cannone, e appartiene a Beck.

Peter continua a fissarlo. E a fissarlo. E precipita in un abisso profondo che è simile a un’altra illusione, solo che stavolta è reale, ed è tutto attorno a lui. Beck è morto, e Peter l’ha ucciso. È morto, è morto, proprio qui, davanti ai suoi occhi, ed è stato lui. È stato lui. L’ha massacrato. L’hanno visto tutti.

“Peter!” lo chiama MJ, ad alta voce, vicino a lui, e pronuncia il suo nome come se l’avesse ripetuto più di una volta. Sente un forte ronzio nelle orecchie e aghi dappertutto; il suo respiro è tossico.

Non sarebbe mai diventato un assassino se non fosse stato coinvolto in tutto questo.

“Peter, dobbiamo andare,” dice MJ. “Ho preso il suo palmare. Adesso abbiamo un palmare.”

Peter annuisce, a malapena presente a se stesso. Lei gli prende la mano, tirandolo via, ma lo vede ancora. Lo vede, sul retro delle palpebre. Fatto a pezzi. Morto, morto, morto.

MJ rompe il silenzio dopo pochi minuti.

“Peter, voleva ucciderci,” dice, esitante.

“Lo so,” replica lui, senza emozione. Non riesce a pensare lucidamente. Non riesce a smettere di vederlo, come si è mosso, come è successo. Come lui l’ha fatto succedere.

“Abbiamo appena eliminato una delle minacce più grandi,” dice lui. “Qualcuno che avrebbe potuto… mettere a repentaglio tutto. Tutto quanto.”

“L’ho ucciso,” dice Peter, con gli occhi che si gonfiano di lacrime che cerca di reprimere. Il suo cuore non può sopportarlo. Questo non è lui. Cerca di ripulirsi un po’ di sangue dal volto, ma sente che continua a macchiarlo.

“È finito su una mina,” ribatte MJ.

“Perché l’ho spinto,” puntualizza Peter.

“Guarda cosa ti ha fatto,” dice MJ, e gli inclina il volto verso di lei. Gli fa male, guardarla, visto cosa è diventato ora: qualcuno in grado di togliere la vita, qualcuno che l’ha appena fatto. Proprio di fronte a lei. Sì, Beck era un bastardo, sì, li avrebbe uccisi. Ma Peter avrebbe preferito… avrebbe preferito che non fosse andata così. Che niente avesse portato a questo. Ma è proprio quello il nocciolo del problema.

Lei gli si accosta, premendo la fronte contro la sua, e per un momento si sente quasi in grado di respirare.

“Non è che hai degli antibiotici, nel tuo zaino?” chiede, passandogli una mano sulla spalla.

“Delle bende,” risponde lui. “E basta.”

Lei annuisce, indugiando ancora per un momento, poi si porta dietro a lui. La sente aprire la cerniera della borsa, prendere qualcosa, posare qualcos’altro, e chiuderla di nuovo. Gli arrotola la manica del giacchetto, bendando rapidamente la nuova ferita. Peter sospira, alzando lo sguardo verso la torre, e sono vicini. Forse a una strada di distanza. Gli sembra che non ce la faranno mai.

“Sono sicura che in questo momento Tony si stia preparando a mandarti delle medicine,” dice MJ. “Ho messo il palmare nel tuo zaino, okay?”

Tony l’ha visto uccidere qualcuno. Tony l’ha visto uccidere qualcuno.

“Senti, ti capisco,” dice MJ. “Davvero. So come sei fatto. So quanto… sia dura per te.”

Peter deglutisce a fatica. Non può parlarne. È il tipo di colpa che vivrà per sempre dentro di lui. A prescindere da quanto gli resta da vivere. “Muoviamoci,” dice. “Siamo quasi arrivati.”

“Stai bene?” chiede lei.

“Per niente,” replica Peter. Fisicamente, emotivamente, non va affatto bene su nessuno dei due fronti, al momento. “Ma è quello che vogliono, giusto? È esattamente quello che vogliono.”

“Non dargli quello che vogliono,” dice lei, fermamente. “Okay? Non appartieni a loro.”

Deglutisce di nuovo, rivolgendole un’occhiata, e annuisce. Ha bisogno che lei continui a ricordarglielo. Gli sembra che lo stiano risucchiando, chiudendolo in gabbia. Ha bisogno di essere libero.

Devono attraversare altre due strade prima di vederla. Ma non prova la sensazione che si era immaginato, quando finalmente raggiungono la torre. Tutte le porte principali sono spalancate, in modo quasi accogliente, ma dentro vi divampa un violento incendio.

“Dannazione,” commenta Peter, lasciando ciondolare la testa. Gli fa male il braccio, il viso, non ne può già più di tutto questo.

“Forse c’è un altro modo per entrare?” si chiede MJ. “Forse dovremmo aggirare l’edificio, uno per lato–”

“No,” dice Peter. “Non ti lascio sola.”

“Va bene,” gli accorda. “Andiamo insieme.”

E così fanno. Il fuoco crepita mentre lo superano, e c’è un complesso di uffici sopraelevato collegato alla torre sul lato destro, con tavoli ribaltati, sedie contorte, ma nessun avanzo di cibo. Completano il giro e trovano una sola altra porta, del tutto sbarrata. Ovviamente.

Il posto è enorme, e impiegano un’infinità per tornare al punto da cui sono partiti. Quando lo raggiungono, l’incendio divampa ancora.

“Deve esserci un modo per superarlo,” dice MJ.

Peter sta per replicare quando sente dei colpi: sembrano piuttosto lontani, ma direttamente sopra di loro. Si guarda intorno e ne individua infine l’origine, con un colpo al cuore.

Shuri e Steve. In alto, oltre la finestra della torre, almeno al terzo piano.

“Guarda!” indica Peter.

“Dio,” esala MJ. “Beh, meno male.”

“Sono arrivati lì, in qualche modo,” ragiona Peter.

“Forse l’incendio è scoppiato dopo?”

Peter li fissa, sopra di lui. Entrambi stanno facendo dei gesti, formano cerchi con le dita. Shuri tende una mano, piatta, muovendo un dito attorno ad essa.

“No, non credo…” dice Peter, osservandoli. Stanno entrambi sillabando delle parole, e Peter strizza gli occhi, cercando di concentrarsi.

GIRATE…
INTORNO…
 
“Girate intorno?” chiede Peter. Fissa le porte d’ingresso, il fuoco, e torna a fissare Steve e Shuri. Stanno mimando quelle che sembrano gambe con due dita, che svicolano lungo il bordo delle loro mani. “Girate intorno. Girate… okay. Sembra che vogliano dire che possiamo… rimanere accostati ai muri, forse c’è una porta che possiamo usare per non bruciarci.”

MJ rilascia un respiro. Peter fa un pollice in su verso Steve e Shuri, che annuiscono in sincrono. Deglutisce a stento: sono finalmente qui, hanno raggiunto quella dannata torre, ha dovuto uccidere qualcuno per riuscirsi e ovviamente non è finita qui. Non sa nemmeno se essere qui sia la cosa giusta, ma almeno ci sono Steve e Shuri che li aspettano, spera anche con Natasha e M’Baku. Possono raggrupparsi. Cercare di capirci qualcosa.

Si avvicinano all’entrata, dove il fuoco è più rumoroso. Ci sono cinque porte d'ingresso, quelle centrali completamente avvolte dalle fiamme, ma individuano un piccolo passaggio nella porta più a destra. Si avvicinano, e vedono che c’è una stretta
 cornice rialzata lungo il muro dell'atrio, che che conduce ad altre cinque porte che si aprono sul resto dell’edificio. Non c’è molto spazio, e dovranno stare attenti.

“Va bene,” dice Peter, sfilandosi lo zaino così da assicurarlo sotto il braccio. “Vado per primo, dobbiamo solo… uh, solo–”

“Dobbiamo solo aggirarlo,” completa MJ.

“Già,” replica Peter, con la gola costretta. Annuisce. “Già, proprio… proprio così.”

Il calore dell’incendio richiama quello dell’esplosione che ha ucciso Beck, e cerca di non affondare nella propria testa, cerca di rimanere lucido. Va per primo, avanzando cautamente nella stanza e sopra la cornice. Lo zaino è ingombrante, è difficile tenerlo sottobraccio senza sbilanciarsi in avanti, e cerca di comprimerlo un po’ senza pugnalarsi in qualche modo col suo stesso coltello.

Osserva MJ che lo segue, e le fiamme guizzano nell’aria, pericolosamente vicine a loro. Non c’è molto in questa stanza, solo tre tavoli malmessi, un mucchio di scartoffie; non c’è alcuna assurda ragione per cui ci debba essere un incendio qui e solo qui. È un’altra delle stronzate di Capitol.

Peter tossisce, facendo una smorfia, e cerca di muoversi più veloce che può. Il fumo inizia a infastidirlo. La stanza è piuttosto piccola, e sono già a metà strada, ma il passaggio è stretto, ed è difficile rimanere in equilibrio con gli stivali che indossano. Ha troppa paura di voltarsi a guardare MJ. Ha troppa paura, punto. Il fuoco ruggisce, raggiungendo il soffitto, e Peter stringe i denti.

“Ci siamo quasi,” mormora, tossendo di nuovo.

È a soli pochi centimetri dalla porta quando mette un piede in fallo, inclinandosi pericolosamente, e lo zaino gli scivola dal braccio, trascinandolo ancor di più nella direzione sbagliata. Si tira indietro, appiattito contro il muro, ma il fuoco emette una fiammata al momento sbagliato, avvolgendo il suo braccio già ferito.

“Merda,” esala, contro il dolore acuto e pungente.

“Peter–”

“Sto bene,” dice lui aggrappandosi allo zaino, col sudore che gli cola dalla fronte.

Ancora tre passi e riesce a saltare attraverso l'entrata più vicina, lontano dalle fiamme, e allunga un braccio all’indietro afferrando MJ e traendo anche lei in salvo. Una volta al sicuro tira su la manica del giacchetto, sibilando tra i denti: quel dannato fuoco l’ha attraversata, e c’è una nuova ustione piena di vesciche sul suo avambraccio, proprio sotto al taglio del coltello.

Emette un lamento, girando sul posto, e sta chiaramente dimostrando a tutti che non possono prenderlo come modello, perché è fallibile e spezzato e totalmente idiota. Guarda MJ, forzando un sorriso stentato. “Ovviamente, dovrei essere già morto.”

“No che non dovresti,” ribatte lei. “Non dirlo.”

Lui sospira, girandosi per osservare i dintorni e cercando di ignorare il dolore molle e pulsante che lo avvolge.

Ci sono delle finestre scure, che chiaramente non si aprono sul muro esterno lungo il quale hanno appena oltrepassato il fuoco. Piante, sedie imbottite, piastrelle lisce e lucide a terra. Due rampe di scale, una simile alle scale mobili del Centro Tributi. Lampadari pendenti. Alte porte di legno. Una lunga scrivania sormontata da diversi computer.

“Ehi!” esclama una voce familiare, sopra di loro.

Peter alza lo sguardo, e vede Natasha che scende dalle scale mobili, ora ferme. Il sollievo nel vederla è palpabile.

“Stiamo tutti bene?” chiede loro. “Maledetti imbecilli, coi loro maledetti incendi. Steve si è ustionato.”

“Oh, bene,” replica Peter. “Mi consola un po’.”

“Anche tu?” chiede lei, guardandoli da sopra il corrimano.

“Solo un pochino,” risponde Peter. MJ gli lancia un’occhiata, e il quel momento il dolore si intensifica a dirgli che, no, non è solo un pochino. Ma si sente già abbastanza inutile, e non vuole lagnarsi e piagnucolare per le molte ferite che ha riportato nelle ultime due ore. Come se potesse servire a qualcosa.

“Beck è andato,” annuncia MJ, e Natasha finalmente emerge del tutto davanti a loro, affrettandosi lungo gli scalini immobili. Si avvicinano a lei, e Peter si sente peggio alla menzione di Beck. È una connessione profonda e guasta con la sua anima che avrà per sempre, per quanto sarà lungo questo per sempre. Con un uomo morto. Un uomo morto che ha ucciso.

“È stato un incidente,” dice MJ.

“Voi c’entrate qualcosa?” chiede Natasha, quando si fermano di fronte a lei.

“Ci ha attaccato,” dice MJ. “Ci ha scaraventati in un’illusione–”

“E l’ho spinto su una mina,” completa Peter, deglutendo a forza.

Natasha aggrotta le sopracciglia, e Peter teme, per un istante, che lo stia giudicando. “Bene,” dice invece. “Sarebbe stato uno degli ostacoli più problematici.” Lo fissa intensamente, sottintendendo per il piano. Proprio quello che ha detto MJ. “Era ancora con Hardy?”

“No,” risponde Peter, scambiando uno sguardo con MJ. “Non l’abbiamo vista.”

“Forse si è unita a Osborn o Hela,” ragiona Natasha. “Siamo sfuggiti una volta a Hela, ma abbiamo rischiato. Walker non ce l’ha fatta. Ce la siamo uh… vista brutta. Lei ha combattuto fino alla fine.”

“L’ho vista, nel cielo,” dice Peter.

“Voi siete piuttosto acciaccati,” dice Natasha. “Andiamo. Sono sicura che stia per arrivare un drone.” Si volta, dirigendosi di nuovo per le scale.

Peter batte le palpebre, guardando MJ prima di rivolgersi a Natasha. “Uh, un drone?” balbetta, seguendola. “Che intendi?”

“I regali degli sponsor,” risponde lei, già salendo. “Quest’anno li mandano con dei droni. Scommetto che arriveranno nella torre dall’ingresso principale, sicuramente il fuoco si scanserà per loro.”

“È un bene, però,” commenta Peter, sussultando nell’aggrapparsi al corrimano.

“È ipocrita,” replica MJ. “Ma che ti aspetti, da loro.”

Peter solleva le sopracciglia. Seguono Natasha, su, sempre più su, e Peter sente le cosce che implorano per un momento di pausa. Credeva di essere fisicamente preparato a sostenere tutto questo, considerando l’allenamento che ha intrapreso, ma il solo essere qui dev’essere uno shock per il suo corpo, il fatto di provarlo per davvero e non solo tramite una simulazione. E dopo ciò che è accaduto con Beck… non riesce neanche a pensarci, in realtà. Lo vede, mentre carica i pugni. Mentre gli sbatte il cervello nel cranio. Mentre strangola MJ. E poi… a pezzi.

Peter si sporge dal corrimano e guarda in alto: da qui riesce a vedere la maggior parte dell’edificio, con le scale che si avvicendano per tutta la sua altezza. Gli si accappona la pelle, pensando a cosa potrebbe aspettarli lassù. C’è troppo silenzio, e c’è un rumore d’acqua, come sparute gocce di pioggia, e più salgono, più si fa buio.

“Avete dovuto, uh… affrontare qualcosa, qui dentro?” chiede Peter. “Nel senso… roba di Capitol… roba mutante…”

“Non ancora,” replica Nat. “Ma abbiamo sentito del frastuono che veniva da sopra. Siamo solo al terzo piano, non volevamo spingerci troppo in alto senza di voi.”

“Magari non dobbiamo andare più in alto,” dice MJ. “Magari basta al terzo piano.”

“Staremo a vedere,” sospira Natasha, e da come parla Peter è abbastanza certo che neanche loro abbiano ancora incrociato un’ovvia via d’uscita. “Il lato positivo è che c’è un laboratorio iper-attrezzato al terzo piano. Quindi, Peter, puoi creare le tue ragnatele. Quelle più resistenti, non gli scherzetti da cinque minuti.”

Questo gli risolleva un po’ il morale. “Oh, grande,” dice, lieto per quel pizzico di speranza. Si sente sempre più utile, se può mettersi al lavoro.

Arrivano al pianerottolo del terzo piano, ed è allora che Peter avverte il ronzio. Sta riprendendo fiato, e scocca un’occhiata a Natasha.

“È un drone, o qualcosa di cui dovremmo preoccuparci?”

“Un drone,” dice lei, sbirciando da sopra la spalla. “Non sai che rumore fanno?”

“Non avvistiamo molti droni, nel Dodici,” replica Peter.

“Nessuno, ad essere precisi,” rincara MJ.

Il ronzio si intensifica finché l’aggeggio non è proprio sopra di loro. Sembra quasi un elivelivolo in miniatura, se non per il fatto che ha quattro ali che ruotano, creando quel suono. Trasporta un pacchetto piuttosto voluminoso, e passa sopra le loro teste depositandolo ai piedi di Peter. Poi decolla di nuovo, più rapido, schizzando via come un lampo.

Peter si china, aprendo il pacco. C’è un biglietto di Tony in cima.

Che ne dici di smetterla di farmi venire infarti, eh? Qui c’è tutto ciò che dovrebbe servirti al momento, e del cibo per la squadra. È il meglio che Capitol mi ha permesso di mandare.
Stai al sicuro, respira. Sono fiero di te.
- T

Per lui vuol dire tantissimo vederlo lì, per iscritto.

“Antibiotici, bende,” elenca poi, esaminando le bottiglie e le scatolette. “Crema per le ustioni, e i miei spara-ragnatele! E della zuppa! Pane! Bottiglie d’acqua!” Ride, stringendo al petto un filone di pane, con le lacrime agli occhi.

“Ehi, ragazzi!” chiama Natasha. “Sembra che abbiamo un pasto, offre Stark!”

Peter rialza lo sguardo, cercando una telecamera. Vede un flebile luccichio nel punto più basso del soffitto e lo fissa, sperando che sia davvero una telecamera e non qualcos’altro. “Grazie, grazie,” sussurra, con un cenno.

“Oh, eccovi qui,” dice Shuri. “Grazie a Dio. Vedi, te l’ho detto che ce l’avrebbero fatta.”

“Avevo dei dubbi considerevoli,” replica M’Baku, e Peter lancia loro un’occhiata, vedendoli fianco a fianco.

“Beh, smetti di dubitare di Peter Parker!” dice Shuri. “Lo sai chi è, e cosa fa.”

M’Baku sbuffa, e Peter arrossisce.

“Tony ce l’ha fatta sul serio,” dice MJ, inginocchiandosi accanto a lui. “Ti ha trovato dei buoni sponsor.”

Peter rilascia un respiro, annuendo.

“Sembra che io e te siamo messi più o meno allo stesso modo,” dice Steve. Peter si volta verso di lui, là in piedi: ha un’ustione sul braccio, all’incirca nello stesso punto, dei nuovi, preoccupanti lividi sullo zigomo e un taglio che gli attraversa il sopracciglio.

“Possiamo dividerceli,” dice Peter, con un gesto verso la scatola. “Qui ho… abbastanza antibiotici per entrambi.”

Steve tende la mano, aiutandolo a rimettersi in piedi. “Prima rimettiamo in sesto te,” dice. “Altrimenti non credo che Tony sarebbe così felice.”

Peter ride un poco, e sa che è assolutamente vero.

 
§

 
MJ insiste nel medicare di persona Peter, e compie un lavoro sorprendentemente buono, ma non ne avrebbe mai dubitato. La crema per le ustioni sembra avere effetto immediato ed è quasi sopraffatto dal sollievo, come se finalmente riuscisse a respirare.

Si sistemano nel laboratorio, che è più piccolo di quanto si aspettasse Peter, ma abbastanza fornito per ciò che gli serve, considerando come ha dovuto fabbricarsi il fluido finora. Ci sono cinque banchi da lavoro, armadietti strapieni di scorte, e tutti gli ingredienti che gli servono. L’illuminazione è pietosa: non ci sono finestre, solo una lampadina in mezzo al soffitto che minaccia di fulminarsi, ma sa di doversi accontentare. Non si sarebbe mai aspettato un vero laboratorio. Gli fa venire una nostalgia tremenda delle lezioni di scienze con Ned.

Steve serve la zuppa mentre Peter lavora, aggiungendo l’attivatore alla miscela e sfregandosi gli occhi. Si sente esausto, e scivola contro il bancone principale fino a sedersi per terra. Si chiede che diavolo di ore siano, e si rammenta che qui non c’è un vero e proprio tempo. Solo il tempo che decidono loro.

Steve si avvicina, offrendogli una delle ciotole di plastica. Peter la prende, godendosi il calore tra le mani, e si sorprende quando Steve scivola accanto a lui, sedendosi.

Peter prende piccoli sorsi dalla ciotola, occhieggiandolo.

“Come va?” chiede Steve, con un cenno al suo volto.

Peter annuisce, deglutendo. “Uh, bene,” risponde. “Molto meglio.”

“Michelle ci ha detto cosa è successo,” esordisce Steve. Gli dà l’impressione di entrare a malapena qua dentro, con le ginocchia ripiegate contro il petto e le braccia a cingerle. “È difficile scenderci a patti. A prescindere da che tipo di persona fosse, e quello che stava cercando di fare.”

Peter prende un altro sorso di zuppa, per distrarsi. Sente il timer che ha impostato per il fluido che ticchetta, e mancano circa venti minuti prima di doverlo riscaldare. Non pensa a Beck. Non pensa a Beck.

“Sei molto più forte di quanto pensi,” dice ancora Steve. “Avrebbe potuto uccidervi facilmente, entrambi.” Sospira, portando lo sguardo a terra. “Ti ricordi Dugan [5], l’anno scorso?”

“Sì,” risponde Peter, quasi troppo in fretta. Cerca di ricordarsi tutti i Tributi, per quanto più a lungo possibile.

Steve sorride con affetto. “Era… uno dei miei migliori amici. Abbiamo passato un bel periodo quando lavoravamo insieme al porto, a lui piaceva bere molto più di quanto piaccia a me, ma era… era assurdo, sentire le storie che raccontava.”

Peter ricorda che gli piaceva. Ricorda che lui e Bucky erano stati alleati, prima che Dugan fosse ucciso.

Steve incontra i suoi occhi. “Sono certo che ricordi cosa è successo tra lui e Vanko,” continua.

“Sì,” dice ancora Peter, memore del corpo carbonizzato di Vanko, in seguito. “Ma lui stava… si stava difendendo.”

“Anche tu,” dice Steve. “Quando MJ ci ha detto cos’è successo ho pensato a Dugan, a quello, alla sua faccia subito dopo. E sai, non… non ho più avuto modo di parlargli, ma se avessi potuto, gli avrei detto la stessa cosa. Alcuni si addestrano per una vita intera per tutto questo, sono pronti a uccidere, mentre la maggior parte di noi vuole solo sopravvivere. Vanko era una di quelle persone che non si sarebbe fermata. Anche Beck lo era.”

Peter rilascia un respiro, annuendo. Non avrebbe mai pensato a confrontare la propria situazione con quella di Dugan. Però la ricorda.

“Non mi piacciono i bulli,” dice Steve. “E in fondo, è di questo che stiamo parlando. Oppressione. Tenere a bada i Distretti.”

“Loro ne erano parte,” realizza Peter. “Quelli che… sfruttano i Giochi.”

“Esatto,” annuisce Steve. “A volte, non ti permettono di salvarli. Anche se vorresti.” Peter intuisce che vuole dirgli molte altre cose che non può dirgli, perché sono qui, perché tutti sono in ascolto. “Sei il tipo di persona che finisce sui libri di storia, ragazzo. Il tipo che pensa di non farcela ma che ci riesce comunque.”

Peter scuote la testa, distogliendo lo sguardo.

“Visto?” chiede Steve. “Ecco, è proprio questo che intendevo.”

A Peter non piace molto essere al centro dell’attenzione. “Lavori ancora al porto?” chiede, a bassa voce.

“Beh, al momento ho questo lavoretto da Tributo,” dice Steve, con un sorriso leggero. “Non è così buono. Ma sto incontrando molta bella gente.”

“Oh, bene,” ride Peter.

“Guarda un po’ come se la ridono quei due laggiù,” dice M’Baku, con un gesto verso di loro. “Tengono tutti all’oscuro, coi loro segreti.”

“Ti prego, zitto,” dice Shuri, scuotendo la testa.

“Nessun segreto, nessun segreto,” dice Peter. Prende un altro sorso di zuppa e si mette in piedi con un lamento, controllando il fluido.

C’è un forte crepitio all’esterno che Peter avrebbe subito classificato come un fulmine, solo che diventa sempre più forte, e una scarica di corrente attraversa la stanza.

“Quello,” dice Natasha, muovendosi verso la porta, “era qualcosa.”

Peter ha di nuovo il cuore in gola mentre posa la sua zuppa, e tutti si rimettono rumorosamente in piedi. Si spostano sul pianerottolo, dove ci sono abbastanza finestre da permettere loro di capire cosa sta succedendo.

“Non vedo nulla,” dice Steve. “Uno di noi dovrebbe andare di sotto e–”

Peter si dirige a passo svelto verso le scale senza proferir parola.

“Peter!” grida Steve. “Non tu!”

“Mettete il fluido per ragnatele sulla piastra riscaldata quando scatta il timer!” grida lui di rimando.

“Ci penso io!” risponde Shuri.

Corre giù per le scale, tutte e tre le rampe, e si stava preparando a vedersela col fuoco, ma quando sbuca nell’atrio è già estinto, come se non ci fosse neanche mai stato. Stringe i denti per la rabbia e si affretta all’esterno, guardandosi intorno. Non è ancora del tutto buio. Non c’è tempesta, né nuvole, e continua a scrutare il terreno, gli occhi attenti ad assicurarsi di non farsi saltare in aria. Si guarda intorno, e comincia a credere che sia stata una qualche sorta di trucco, quando…

“Peter,” dice MJ, fermandosi accanto a lui col fiatone. “Potresti non fare così–”

Ma Peter nemmeno la sente.

C’è uno squarcio nel cielo, circondato da volute di nero e blu, ed è proprio sopra la torre. E ci sono… degli esseri… che ne volano fuori.

“Oh, mio Dio,” sussurra MJ, seguendo il suo sguardo.

“Torniamo dentro,” dice Peter, prendendola per la spalla. “Prima che riaccendano il fuoco e ci intrappolino qua fuori.”

Attraversano di nuovo l’atrio, di corsa, e quando rientrano c’è Natasha ad attenderli.

“Non farlo mai più Parker,” dice, scuotendo la testa. “Sai che sei–”

“C’è qualcosa di molto ovvio, là fuori,” dice Peter, rapido. “Proprio sopra la torre. Un buco. Nel cielo. E ci sono degli esseri che ne escono fuori volando che, ne sono certo, non sono buoni.”

Lei lo fissa. “Un buco nel cielo,” ripete. “Proprio sopra la torre.”

“Già,” dice lui, risucchiando un respiro. “Proprio così.”

Lei reprime un sorriso, e annuisce. “Okay,” dice. “Okay.” Si volta e corre su per le scale, muovendosi in modo molto diverso da come ha fatto finora, con molta meno compostezza ma, in un certo senso, più determinazione.

Peter guarda MJ, e si mordicchia il labbro inferiore. “Sarà dura,” dice. “Quegli esseri, qualunque cosa siano, sono sicuro che… che non siano un bene.”

“Già,” concorda lei, e sembra un po’ preoccupata.

“Ma quello–”

“Lo so,” risponde lei.

È là.” Annuisce, col petto che si gonfia di nuova speranza. Una che riesce a vedere, proprio davanti a lui: niente più vuoto, niente più asfissiarsi su false vie d’uscita. Potenzialmente è un inferno sceso in terra, ma riesce a vedersi al di fuori di esso. Riesce a vedere il Dopo.

Fa un passo avanti, stringendola tra le braccia. “Possiamo farcela,” sussurra. “Possiamo farcela.”

 
§

 
In TV la ripresa si sposta per inquadrare lo squarcio nel cielo, e il lieve singulto di sollievo di Tony gli viene quasi strappato via quando vede cosa ne sta uscendo. Alieni volanti, con denti affilati e artigli che vengono mostrati con dei primi piani da voltastomaco, alcuni armati, altri grossi come palazzi, con gusci che sembrano impenetrabili. Guarda Peter e MJ che si abbracciano, Natasha che corre di sopra ad avvertire gli altri. Hela, Osborn e Hardy vedono il tutto da circa dieci isolati di distanza, e Sharon abbandona il suo rifugio nella chiesa per alzare lo sguardo ai nuovi arrivati. Non ha ancora trovato Scott.

Thor e Carol prendono a fare baccano, e Tony affonda la testa tra le mani.

“Non riusciranno a dormire, stanotte,” dice a Janet, o a chiunque lo stia ascoltando. “Quegli affari inizieranno a dare loro la caccia… Peter deve dormire, ieri notte ha dormito a malapena, ha avuto una giornata di merda–”

“Forse riusciranno a chiuderla in tempi brevi,” dice Janet.

“Come diavolo ci arrivano, là sopra?” chiede Carol. “Rubano uno di quegli aggeggi su cui volano gli alieni?”

“Forse così,” replica Thor.

Tony alza lo sguardo, e osserva Thor che manda messaggi in codice a destra e a manca. “Adesso scateneranno l’inferno,” dice, col cuore che gli trema nel petto. È stato sulle spine da quando ha lasciato là Peter, ha mangiato appena, non ha dormito, si è solo aggrappato al bracciale come se ne andasse della propria vita, come se fosse il suo unico appiglio al mondo reale. Il battito cardiaco di Peter non è stato normale neanche una volta. Nemmeno una.

Tony rigira la mano sul bracciale, sentendo ora il battito forte e regolare.

“Devono solo attraversare la torre,” dice Thor. “Arrivare proprio in cima.”

“E poi?” lo incalza Tony, cominciando a irritarsi. “Fanno una capriola per aria, si buttano in un buco nel cielo? Cristo, Thor…” Smette di parlare quando l’inquadratura si sposta su una ripresa dello squarcio aereo, mostrandola da ogni angolazione. Gli alieni ne escono in una processione ordinata, e Tony si alza, avvicinandosi alla TV.

“Che hai visto, testa di latta?” chiede Carol, vicina dietro di lui.

Tony inclina la testa. Coglie quel lieve brillio. Quella sfumatura verde, in un paio di punti. “Attraversano un campo di forza,” dice Tony. “Lo vedo. Lo vedete? Proprio qui.” Ci passa sopra l’indice per evidenziarlo. “Le ragnatele di Peter ci si possono attaccare.”

“Non prenderebbe la scossa?” chiede Carol.

“Bruce se ne sarebbe occupato,” replica Thor. “Lo so. Ci siamo. Possono usare le ragnatele, Peter può tirarli fuori, uno alla volta. Siamo a fine partita, ci siamo.”

Tony ha lo sguardo fisso, e l’immagine si sposta su Peter che si riunisce agli altri, riprendendo a lavorare sulle sue ragnatele. Lui e Shuri sono fianco a fianco, e capisce che il ragazzo sta cercando di reprimere un sorriso. Non dovrebbero sembrare felici in una situazione del genere, e lo sanno.

Ma c’è speranza. È lì, è evidente.

“Attivo gli infiltrati,” annuncia Thor. “Do il via a tutto.”

Il primo istinto di Tony è quello di frenarlo, giusto in caso vada storto qualcosa, ma vuole credere che funzionerà. Una volta per tutte, una fine. Peter salvo. Peter vivo.

Torna da Janet, adesso in piedi con le mani sui fianchi. “Devo procurargli un qualche tipo di protezione, qualcosa del genere,” le dice. “Potrei provare a intercedere anche per Michelle, se tu non hai gli agganci.”

“Va bene,” risponde lei. Lo prende per le spalle, e quando lui alza lo sguardo vede che ha le lacrime agli occhi, e un sorriso triste in volto. “Ci siamo,” dice. “Finalmente avremo… avremo una sorta di giustizia. Per tutti loro. E i nostri ragazzi… riusciranno a scappare.”

Tony annuisce, stringendola in un abbraccio.

Beck ha quasi ucciso Peter. E le minacce di Stane non si sono ancora materializzate, ma Tony sa quanto ami essere teatrale. C’è un'opportunità, una via d’uscita, ma Stane non renderà tutto così semplice. E ha piazzato un bersaglio sulla schiena di Peter.

Tony ha paura. Ha una paura terribile.



*
 
 

Note:

[1] Dalla descrizione, si identifica la
Stazione Centrale di New York.
[2] La
New York Public Library [interno].
[3] Il Re di Carcosa: vi sono dei libri reali i cui titoli sono rispettivamente The King in Yellow, e An Inhabitant of Carcosa, due opere che influenzarono Lovecraft e i suoi Miti di Chtuhluh (per farvi capire il genere). Carcosa è una città immaginaria, maledetta e descritta solo dopo la sua improvvisa distruzione, e Il Re in Giallo è un dramma anch’esso fittizio e maledetto che conduce alla follia chi lo guarda. È un riferimento peculiare, da inserire in questo contesto. (Chi ha visto la prima serie di True Detective potrebbe avere più chiaro qualche dettaglio sia su Carcosa che sul Re in Giallo).
[4] Richard Rider aka Nova; Trish Walker, sorella adottiva di Jessica Jones; Robbie Baldwin aka Speedball/Penance; Noh-Varr, membro dei Kree.
[5] Dum Dum Dugan: uno dei membri storici dell’Howling Commando.



Note della Traduttrice:

Cari Lettori,
finalmente i Giochi sono iniziati e, com'era prevedibile, le cose si fanno molto, molto movimentate... e non è finita qui, fidatevi ;)
Ringrazio tantissimo tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, ovvero
Manulalala, Paola Malfoy, Eevaa (che ci aveva azzeccato con la previsione sul portale :D) ed ericaron; non mi aspettavo un riscontro così ampio e vi ringrazio tantissimo per i complimenti sulla traduzione <3
Come sempre, vi reindirizzo all'autrice originale, la vera mente dietro a tutta la storia <3


Il prossimo capitolo potrebbe arrivare con un po' di distacco rispetto ai soliti tempi di aggiornamento: siamo quasi in pari con l'originale e voglio tradurre il capitolo che uscirà lunedì prima di pubblicare il successivo, visto che c'è al momento un cliffhanger pazzesco, peggio di questo, e vorrei evitare di farvi stare col patema d'animo come lo sono stata io in questa settimana :') 
A presto!


-Light-

P.S. Ho passato un pomeriggio a cercare di capire come diavolo fosse stato tradotto "pods", ovvero le trappole di Capitol, in italiano, senza successo (ho solo i libri in inglese e il primo film, nel quale non compaiono). Ho rispettato la differenziazione tra "pods" e "mines" con "capsule" e "mine", ma non ho idea di quella ufficiale; se qualcuno lo sa, mi illumini <3
EDIT: alla fine l'ho reso come "trappole", fregandomene della traduzione letterale che era BACCELLI *facepalm*  

 
   
 
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