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Autore: ToscaSam    13/10/2019    2 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XIII
 
Palazzo Ricci aveva una biblioteca piccola ma con tavoli grandi. Ottime qualità per chi ha bisogno di ripassare su almeno cinque manuali, prima di un esame. Siccome nessuno la conosceva, era facile trovare dei posti liberi; addirittura posti liberi che fossero vicini.
Il soggiorno a Tegoli era durato il minimo possibile. Voleva tornare a Pisa e concentrarsi sullo studio. Non aveva motivo di rimanere in quel paesino: i suoi genitori volevano che lei parlasse di cosa era successo con “quel ragazzo” mentre lei non ne aveva nessuna voglia. L'unico giorno della sua permanenza lì che le regalò un po' di gioia, fu quando decise di andarsi a prendere un ginseng nell'unico bar del posto. Fu una specie di piccola rivoluzione. Non c'era mai stata da sola, aveva sempre temuto il giudizio degli altri e si era sempre preclusa un'azione così piacevole come godersi una semplice bevanda calda in presenza dei compaesani. Si sorprese, ma alla fine non troppo, del fatto che nessuno badasse a lei. Nessuno la giudicò. L'unico che le dette relazione fu il barista, un ragazzo che aveva sempre visto lavorare lì, che le chiese con normale cortesia cosa desiderasse ordinare. Non aveva accennato a sguardi derisori, né aveva dimostrato di trovarla ridicola. Tutto si era svolto nella più normale recita sociale.
Dal sette gennaio, proprio come se fossero finite le vacanze di Natale alla maniera delle scuole, Tullia aveva rifatto i bagagli per Pisa. Aveva deciso di dedicarsi completamente alla Cartografia.
L'aveva ripresa in mano e aveva faticato non poco per raccapezzarcisi di nuovo. Senza che glielo chiedesse, Rocco le aveva fotocopiato i suoi appunti. Clarissa aveva trovato il pacchettino di carta marrone nella cassetta della posta. Sopra era stato attaccato un post-it che diceva: “per Tullia. Se possono esserti utili”. Rocco non era tornato in Calabria e aveva passato il Natale solo soletto a Pisa. Tullia provò per lui un forte moto di affetto.
I suoi appunti furono d'aiuto eccome. La storia con Paolo l'aveva privata di tutta la concentrazione e senza quei fogli, scritti da una mano competente, Tullia non aveva possibilità di passare l'esame.
Quando anche le sue coinquiline furono tornate, Tullia aveva preso da parte Clarissa e le aveva raccontato tutto. Clarissa aveva riso con gentilezza delle sue paure sull'essere rimasta incinta e l'aveva tranquillizzata anche sulla presenza di Giulia in quella casa. Non le avrebbe mai più imposto la sua presenza e a dirla tutta, non le stava granché simpatica, ma aveva bisogno di tenersela buona perché era la figlia di un professore molto famoso di medicina. Ecco perché faceva così la spocchiosa, pensò Tullia. Che si tenesse Paolo, si meritavano l'un l'altro.
Tullia non soffrì nemmeno un po' la lontananza da Paolo, al contrario, si sentiva scorrere una nuova linfa nelle vene. Non era più la ragazza dalle belle speranze che aveva conosciuto il ragazzo cattolico fuori dal dipartimento: era stata depistata su un'altra corsia di binari. Eppure era contenta. Quell'errore l'aveva di certo cambiata, fatta crescere. Sapeva che nella vita avrebbe subito altri dirottamenti, ma pregò sé stessa di stare più attenta le prossime volte.
Non sapeva che effetto faceva sugli altri questa ennesima nuova Tullia. Sperò che fosse ancora capace di farsi voler bene.
Quel giorno, dunque, si erano ritrovati tutti nella biblioteca di Palazzo Ricci. Angelo era seduto da un lato di Tullia, Rocco dall'altro. Davanti a lei c'erano il ragazzo dagli occhi magnetici con i baffi che studiava lettere e il suo compagno carino dai capelli rossi. Filippo e Qedim bisbigliavano insieme all'angolo della scrivania. Bruno non c'era.
Poiché i bisbigli di quei due avevano la stessa tonalità dell'urlo di una persona dalle normali corde vocali, ogni tanto Tullia si copriva le orecchie con le mani.
Passò un'altra mezz'ora poi il manuale divenne difficile, gli appunti incomprensibili e il baccano troppo insopportabile. La testa stava per esploderle, così Tullia si alzò a prendere una boccata d'aria.
Uscì e raggiunse la ringhiera di legno che dava sulla tromba delle scale. Sebbene fosse poco pulito per via delle tantissime persone che trafficavano in su e in giù, Palazzo Ricci era un luogo affascinante. Si innalzava per quattro piani, era a pianta quadrata con in mezzo un minuscolo cortile. Ogni piano era quadrato e si diramava in tante stanzine comunicanti, che giravano attorno allo spazio del cortile.
Tullia stava osservando proprio la finestra che dava sullo spazio vuoto, quando si sentì poggiare una mano sulla spalla.
« Ehi» disse una voce simpatica.
Si voltò: era il ragazzo di lettere, quello alto coi capelli castani e sbarazzini baffi a manubrio.
« Ciao» lo salutò Tullia cortesemente.
« Non credo che siamo mai stati presentati ufficialmente» disse lui con toni cerimoniosi, ma anche ironici, teatrali. Offrì una mano:
« Mi chiamo Francesco Zeri ma ahimè tutti mi chiamano Friz. Dubito che mi sentirai mai chiamare Francesco. Ho fatto per avvertirti».
Tullia strinse la mano con un sorriso. Era simpatico.
« Io sono Tullia»
« Che nome delizioso! Comunque già lo sapevo, Rocco e Filippo parlano sempre di te»
« Ah si?»
« Già, sei il loro argomento preferito»
« Dev'essere noioso»
« Assolutamente».
Risero insieme.
Tullia notò che aveva gli occhi di un verde intenso. Era una faccia strana eppure piacevole. I suoi modi surreali glielo fecero subito entrare in simpatia. Che persona interessante, pensò.
« Non ne potevi più di quei due che ciarlavano, vero?»
« In effetti erano un po' rumorosi»
« Un po'? Non essere timida, tesoro. Fai uscire il veleno che è in te. Io sono qui per questo»
« Ok. Erano insopportabili»
« Ecco, ora mi piaci. Detto fra noi, io quella Qedim proprio non la tollero. Tu pensi che qualcuno possa credere a una sola delle cazzate che dice?»
Tullia non aveva mai parlato ad alta voce così male di qualcuno. Solo nei suoi pensieri. Come se le avesse appena letto la mente, il ragazzo chiamato Friz la incitò con un sorriso malizioso:
« Oh, lo so che lo pensi. Che ragazzo malvagio. Benvenuta nelle tenebre, mia cara»
« No! Non l'ho pensato. Ho pensato che nemmeno io credo a una parola di quel che dice Qedim. Ogni tanto le spara troppo grosse»
« Il nonno miliardario? O la zia armena? No, com'era? Palestinese?»
« A me ha parlato di una zia greca» rise Tullia.
Friz scosse la testa e chiuse gli occhi, teatralmente indignato. Fece passare alcuni secondi, poi disse:
« Dunque, mi risulta che tu abbia appena finito una relazione con un certo Paolo. Corretto?»
« E chi te l'ha detto?»
« Come chi me l'ha detto? Rocco e Filippo!».
Di nuovo, risero di gusto.
« Visto che so tutto di te, so anche che non ti sei sfogata con nessuno. O almeno non con noi fedeli compagni pisani. Io posso essere il tuo diario segreto su cui riversare i tuoi sentimenti, se vuoi»
« Qualcosa mi dice che tu non sia proprio un diario segreto. Ho come la sensazione che ti piacciano le chiacchiere»
« Quale offesa! Ad ogni modo, hai ragione. Però se hai voglia di parlare, per davvero, mi piacerebbe ascoltarti»
« Perché?»
« Perché vorrei conoscerti di persona. Non ne posso più di sapere tutto di te e non aver nemmeno mai sentito la tua voce».
Friz era una persona singolare. Tullia capì da subito che le piaceva. Sapeva ascoltare e reagire come Tullia desiderava. Era uno spettatore provetto, forse anche un po' allenato a cavare i pettegolezzi più succosi dalla tana. Era divertente, usava parole teatrali, si vestiva e si comportava in modo insolito.
Fu molto felice di fare la sua conoscenza, in quell'occasione. Sapeva che molto probabilmente era occhi ed orecchie di Rocco e Filippo, però riuscì ad aprirsi e a raccontare quella giusta quantità di aneddoti che la fecero sentire più leggera.
« E il giorno dopo ti ha richiamata?» chiese Friz, alla fine della storia.
« Oh si, mi ha detto che aveva sofferto, senza il mio solito messaggino di buongiorno»
« Che razza di idiota» sbuffò Friz, scompigliandosi i capelli vistosamente.
« In effetti credo che non abbia mai capito niente di me»
« Lasciali perdere quelli così, ne è pieno il mondo»
« E secondo te chi sono i tipi per me?»
« Purtroppo, per quanto io ti ami già e per quanto io abbia percepito una connessione fra le nostre anime, devo spezzarti il cuore. Sono gay»
« Accidenti. Credevo di aver trovato l'uomo della mia vita!»
« Lo so, faccio quest'effetto. Non sei la prima che me lo dice».
Risero ancora una volta.
Poi una porta alle loro spalle si spalancò e ne uscì Angelo.
Chiese a Tullia se aveva voglia di ripassare un po' insieme a lui, perché dentro c'era troppo baccano. Friz arricciò le labbra in un sorriso silenzioso e disse che lui provava a ritornare in biblioteca, che li lasciava studiare da soli, che lui era sotto a un'altra materia.
« Simpatico eh?»
disse Tullia appena Friz fu sparito dietro la porta verde.
« Mhm» Angelo fece spallucce.
« Perché mhm
« Non so, pal. Fa parte del gruppo di quelli che vogliono giocare a Dungeons and Dragons»
« Tu non vuoi?»
« Nah, non fa per me. E comunque non ti sembra un tipo strano?»
« È particolare, ma per ora mi è sembrato simpatico. Te non ci esci insieme già dallo scorso semestre?»
Angelo rispose che non ci aveva mai parlato molto, in effetti e che lo considerava un'appendice nuova del vecchio gruppo. Si ricordò delle belle giornate passate insieme, quando erano soltanto lei, Rocco e Bruno.
A Tullia sembrava passata una vita.
Lei e Angelo rimasero da soli nel corridoio per un'oretta. Ripassarono un po', si fecero domande a vicenda e scoprirono di essere entrambi abbastanza preparati. Finito il ripasso si concedettero un po' di chiacchiere. Non parlarono di Paolo – Tullia gliene fu grata – ma di tutto quello che passò loro per la testa: le schifezze che avevano mangiato durante le vacanze, i chili in più, la buona volontà di fare esercizio fisico per tornare in forma, i nuovi corsi che li attendevano. Scoprirono che avrebbero frequentato insieme Antropologia Culturale. Suonava molto affascinante.
Erano sempre lì fuori a chiacchierare, quando gli altri uscirono dalla biblioteca.
Rocco portava in spalla lo zaino di Tullia. Glielo porse:
« Per lei, signorina»
« Hai raccolto tutte le mie cose? Oh, grazie!»
Tullia lo ringraziò calorosamente, poi si vestì con giacca e sciarpa.
« Pausa dal Macchi?» chiese Angelo speranzoso.
« Assolutamente» rispose Tullia da sotto la sciarpa.
« Bene, ho stampato le schede. Possiamo iniziare a compilarle» disse il ragazzo carino di lettere.
Angelo storse il naso: “compilare le schede” significava inventare i personaggi di Dungeons & Dragons. Angelo pareva disapprovare del tutto quel passatempo, tanto che quando gli altri fecero per entrare nel bar, lui si congedò. Tullia non fece in tempo a salutarlo che si era già dileguato.
 
*
 
Tullia ordinò il suo ginseng basso, gli altri tutti il caffè.
Il ragazzo rosso e lentigginoso si chiamava Cesare. Tullia lo osservò mentre si toglieva il giubbotto e sistemava le famose schede dei personaggi sul piccolo tavolo rotondo attorno a cui si erano riuniti. Era davvero bello, pensò; sembrava un modello: le sue movenze e il modo di vestire gli conferivano un'aura di distratta eleganza. I capelli, di un arancione chiarissimo eppure luminoso, catturavano i riflessi delle lampade a neon e creavano sfumature ipnotiche. Anche l'accento siciliano era seducente, velato, appena intuibile.
Tullia non riusciva nemmeno a concretizzare nei pensieri quello che significasse per lei essere lì. Una pace dei sensi la avvolgeva, le faceva apparire tutto piacevole, divertente, leggero. Era proprio tutto reale: il suo bar preferito e una compagnia di amici estremamente piacevole, che pareva volerle bene. Si sentiva sinceramente grata.
Cesare prese la prima scheda e chiese a Filippo di descrivere il suo personaggio. Filippo partì a descrivere il suo nano barbaro, quello che definì essere “una specie di comodino molto arrabbiato”.
Tullia rise e Filippo arrossì, fiero. Continuò a dare a Cesare le informazioni necessarie per compilare la carta di identità del nano, lanciando continue occhiate a Tullia, sperando che ridesse di nuovo.
Uno per uno, quelli che erano al tavolo presentarono il loro alter ego fantasy a Cesare che, come le fu spiegato, era il Dungeon Master, ossia l'inventore della storia entro cui avrebbero giocato.
Rocco fu un elfo chierico, Friz un umano paladino, Qedim un halfling bardo.
« Che cosa sei tu?» chiese Tullia, dopo l'affermazione di Qedim.
« Un halfling! Sono come uomini in miniatura. Mi hai vista, no? Sono un po' halfling anche nella realtà» esibì i riccioli biondi e rise a voce acutissima. Anche i suoi amici risero e Tullia lo fece di conseguenza, sebbene non la trovasse così divertente.
« E il bardo cos'è?»
« Come cos'è un bardo? Non studi storia medievale?» rise Qedim dando un buffetto a Tullia sulle guance. Lei si ritirò come un gatto poi, temendo di essere troppo scortese, continuò a chiedere:
« Quindi è un musicista?»
« Esatto. Anche per quest'aspetto, mi rispecchia nella vita reale. Ho preso lezioni di canto per un po' e mi sono esibita parecchie volte»
« Davvero? Anch'io!»
« Ma senti! Che coincidenza. Quante volte hai cantato?»
« No, ecco … in realtà solo una»
« Eh, immaginavo. Sei troppo timida. Io almeno dieci. Ma sono stata aiutata. Uno dei miei fratelli ha partecipato a X Factor, ora vive in America, ma ha un sacco di conoscenze».
Filippo si interessò tantissimo: chiese informazioni sulla vita di questo fratello che Qedim non mancò di fornire. Forse Tullia stava esagerando, ma pensava che questo fratello non esistesse per nulla.
Cesare stava scrivendo in silenzio le ultime informazioni che gli servivano, ogni tanto tirava dei dadi dall'aria strana e segnava una miriade di numeri.
Tullia stava osservando la sua mano pallida e lentigginosa che si muoveva per far rotolare il dado, che poi prendeva la matita e scriveva, quando una voce la riscosse:
« E tu?».
Era proprio Cesare. La sua mano si era fermata. Lei risalì su su, fino al viso e trovò un paio d'occhi azzurri che la guardavano fisso.
« Ehm, io?» chiese Tullia.
« Tu che personaggio vuoi essere?»
« Io … non credo di voler giocare»
Cesare posò una mano sopra quella di Tullia e la picchiettò gentilmente.
« Dai, di che hai paura? Non importa se non hai mai giocato. Vedrai che ti divertirai».
Tullia rimase stordita dal contatto con quel ragazzo così bello e per un po' non seppe che dire. Rimase imbambolata a fissarlo e a percepire il contatto delle sue dita.
« No so. Come funziona?»
« Ci ritroviamo una volta a settimana e giochiamo. Io sono il Master, come ti ho detto prima. Significa che ho inventato una storia e che i vostri personaggi ne saranno i protagonisti»
« Ok. E quanto tempo dura una partita?»
« Dipende. La sera ci fermeremo sempre a cena, magari ognuno di noi può preparare qualcosa a turno. Più o meno giocheremo … sei ore»
« Sei ore?».
Nonostante il trauma delle sei ore, l'idea di cucinare per tutte quelle persone rese la prospettiva piacevole a Tullia. Sapeva di essere piuttosto brava, almeno in quello. Le sarebbe piaciuto molto che i suoi amici mangiassero qualcosa preparato con le sue mani.
Rocco intervenne con prontezza:
« Se facciamo buio, ti riaccompagniamo a casa. Se facciamo troppo tardi, puoi dormire a casa nostra»
« A casa vostra?»
« Si, giocheremo sempre lì. È la casa più grande»
« Certo! Certo che puoi dormire da noi» confermò subito Filippo: « Ho una brandina e tre coperte in più. No, ma che dico. Se vieni da noi ti faccio dormire nel mio letto. Io non ho problemi a dormire per terra»
« Ma no, che dici … »
« Allora è deciso. Anche Tullia giocherà. Adesso il personaggio» insistette Cesare, sovrastando tutte le altre voci. Tullia fu rapita di nuovo dalla voce e dal viso di quel bel ragazzo.
« Ti aiuto io. Anche a te serve qualcosa di piccolo e carino. Però abbiamo già un halfling e poi no, tu non sei un halfling ».
Cesare scandagliò Tullia con uno sguardo a raggi x, poi concluse: « ti farò fare lo gnomo. Che dici? Uno gnomo bardo, piccolo e adorabile come te»
Tullia arrossì con violenza e disse di si, anche se la sua idea di gnomo non era proprio quella di una creatura adorabile.
Qedim protestò perché c'era già un bardo, ma Cesare fu irremovibile.
Ci vediamo la prossima settimana, si dissero. A casa di Rocco, Filippo e Qedim. Alle sei di sera. A presto ciao, ciao.
Arrivarono insieme fino a metà Corso Italia e dovettero salutare gran parte della comitiva. Qedim cercò le chiavi dentro una tasca, poi aprì il portone. Salutò tutti con un gran sorriso. Filippo la seguì, anche lui salutando rumorosamente. Rocco rimase fuori e si rivolse a Cesare e Friz:
« Potreste accompagnare Tullia fino a casa?»
Tullia arrossì: « No, non c'è bisogno … davvero».
Rocco insisté, guardando i due amici: « Certo che si. Abita in una via sperduta e buia. Se non potete accompagnarla voi, vengo io».
Friz e Cesare accettarono, così Rocco salutò tutti, abbracciò Tullia ed entrò nell'ingresso buio.
  
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