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Autore: _Malila_Pevensie    25/10/2019    1 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 11
- UN SINGOLARE INCONTRO -




Freya chiuse l'immenso libro con un tonfo sordo.
Accarezzò la copertina intarsiata e in parte consunta delle Saghe di Finian, lasciando scorrere sotto le dita ogni singola piccola ruga della pelle da cui era stata ricavata. Era la seconda volta che lo apriva con l'intento di leggerlo, ma quel giorno le era stranamente impossibile concentrarsi sulle file di parole in inchiostro di seppia che le correvano davanti agli occhi. Leggermente frustrata, lasciò la comoda poltrona su cui si era accomodata per andare a riporre il tomo sotto al letto, avvolgendolo nelle coperte in cui lo aveva portato fin lì. Aveva badato bene a tenerlo nascosto a occhi indiscreti, anche a Malia, nonostante si fosse dimostrata molto affidabile e gentile con lei. Non era qualcosa da divulgare a cuor leggero.
Tornata a sedersi accanto alla finestra guardò fuori, cercando di pensare a qualcosa che potesse impegnare il resto della giornata. Era un'ora dopo mezzogiorno e il sole brillava al suo apice nel cielo. Quella splendida estate, che sembrava volersi trattenere ancora un po', la faceva sentire in pace e al sicuro; aveva sempre amato quella stagione in particolare, chissà, forse perché vi era nata: il suo sedicesimo compleanno era caduto non molti giorni prima, anche se l'aveva tenuto per sé.
Mentre il suo sguardo vagava sul verdeggiare esterno, Freya si rese conto che era quasi un mese che si trovava al castello di Errania. La vita, lì, era completamente diversa da quella che aveva sempre conosciuto lei. Non che si fosse aspettata di trovare qualche similitudine, naturalmente; all'inizio, però, aveva faticato parecchio ad abituarsi all'idea che non avesse più senso fare nulla di ciò che prima era importante.
Non c'erano frutti e radici da raccogliere e poi conservare in previsione dell'inverno, nessun branco di cervi di cui seguire pazientemente le tracce; niente più riparazioni da fare alla casa sull'albero quando gli spifferi che passavano fra le assi di legno si facevano gelidi. Tutto il cibo di cui avevano bisogno veniva consegnato alle cucine una volta alla settimana e riposto con cura nelle dispense e non si faceva nemmeno in tempo ad accorgersi che qualcosa non andasse prima che venisse sistemato. Alla corte di Errania aveva trascorso il tempo che prima impiegava nel garantirsi la sopravvivenza passeggiando e allenandosi, senza doversi preoccupare pressoché di nulla.
Era stata invitata qualche volta a cenare con la famiglia reale e le conversazioni erano state piacevoli, nonostante si fosse fatto sempre più chiaro che con il figlio maggiore di Mirea non sarebbe mai riuscita ad andare d'accordo: Darragh era troppo arrogante e desideroso di apparire superiore e Freya troppo poco disposta ad accondiscendere alle sue manie di grandezza. Due caratteri simili non potevano sopportarsi troppo a lungo ed, effettivamente, facevano di tutto per vedersi il meno possibile.
Con Aran, invece, accadeva tutto il contrario. Dispiaceva molto a entrambi non potersi incontrare anche solo per parlare qualche istante, proprio come stava accadendo in quei giorni. Non vederlo le lasciava una strana sensazione di vuoto a cui non era abituata. I suoi studi erano complessi e impegnativi, Freya l'aveva compreso immediatamente; nonostante questo, il giovane l'accompagnava ovunque lei volesse, non appena ne aveva la possibilità. Avevano trascorso molto tempo insieme e ora che si conoscevano meglio la ragazza aveva iniziato a fidarsi di lui in una maniera che le era difficile ammettere.
Nei giorni di solitudine riusciva comunque a tenersi sempre occupata, eppure non aveva mai potuto fare quello che avrebbe voluto veramente: rivedere la Sala degli Incantatori. Non avrebbe mai messo Aran nei guai per soddisfare la propria curiosità, ma avrebbe desiderato moltissimo esplorarla e trovare cose nuove da studiare e cercare di capire. L'affascinava l'idea che lì si riunissero i potenti Incantatori di Mirea e forse avrebbe potuto trovarvi qualche informazione sulla magia. A interessarle particolarmente erano i formulari carichi dei simboli che essi utilizzavano per incanalare il potere, i Runíar; era l'unica cosa che sapesse sulla magia, sua madre non aveva avuto il tempo di spiegarle molto di più.
In ogni caso, aveva letto alcuni libri della sua piccola biblioteca privata e ne aveva sfogliati molti altri, solo per scoprire che erano tutte biografie o canti e poesie di personaggi illustri del Regno di Riagàn. Erano scritti molto interessanti, doveva ammetterlo, così com'era interessante immergersi in una cultura di cui conosceva così poco, ma dopo un po' si era ritrovata a desiderare di poter assaporare qualcosa di diverso.
L'unico luogo in cui avrebbe potuto farlo era la Biblioteca del palazzo, ma quando aveva espresso ad Aran il desiderio di visitarla, lui le aveva spiegato che al momento era inagibile: Mirea aveva richiamato i più abili archivisti dell'intera Riagàn per far controllare le condizioni dei preziosi volumi lì contenuti e farli catalogare. Non si sapeva di preciso quanto avrebbe richiesto quella delicata operazione, perciò il ragazzo le aveva garantito che quando avessero terminato l'avrebbe avvertita e avrebbero passato un'intera giornata fra gli scaffali riordinati. Si domandò distrattamente quando quel momento sarebbe arrivato.
Stava lentamente annegando nel mare dei propri pensieri, ma qualcuno la fece risalire bruscamente a galla, bussando alla sua porta. Aveva chiesto a Malia di non restare lì tutto il giorno, rassicurandola sul fatto che non ce ne fosse affatto bisogno, perciò si alzò nuovamente e andò ad aprire la porta da sé. Non appena ebbe socchiuso l'uscio, si ritrovò di fronte proprio colui su cui si erano soffermati i suoi pensieri poco prima. Le sorrise nel momento stesso in cui la vide e lei non esitò ad aprire completamente il battente per permettergli di entrare.
«Sono felice di vedere che stai bene. Spero che tu non ti sia annoiata in questi giorni» esordì il giovane mentre varcava la soglia e si guardava attorno.
«Ho avuto modo di continuare a leggere i componimenti dei vostri poeti e di approfondire la conoscenza della vostra cultura» rispose la ragazza.
Il sorriso di Aran si allargò. «Allora devo anche sperare che tutto questo leggere non ti abbia fatto passare la voglia di vedere la Biblioteca, perché finalmente è possibile accedervi» le annunciò.
L'espressione estasiata di Freya dovette essere una risposta sufficente, perché pochi istanti dopo erano già fuori dalla porta. Lui non sapeva che parte di quello stupore era dovuto al fatto che sembrava che qualcuno le avesse letto nella mente e avesse esaudito la sua richiesta.
La Biblioteca era situata nella torre nord. Nel giungervi, Freya la ricordò come l'aveva vista avvicinandosi a Errania, il giorno del suo arrivo: la sua guglia svettava appena dietro il corpo principale, alta e maestosa, visibile perfino a distanza. La porta d'accesso era elaborata, come tutte quelle che si aprivano su luoghi di una certa importanza: nel suo legno scuro era intagliato il disegno di un maestoso albero, impreziosito da piccole pietre scintillanti.
Prima di aprirla Aran si fermò, con l'evidente intenzione di dirle qualcosa. «Se non hai nulla in contrario, oggi vorrei presentarti una persona a cui tengo molto» la informò, stranamente esistante.
Lei inclinò il capo, sondando il suo sguardo per cercare di comprendere il perché di tanto mistero. Alla fine si ritrovò persa nel color ardesia brillante dei suoi occhi e si affrettò a rispondere: «Ne sarei molto felice.»
Aran recuperò la sua solita sicurezza e spinse uno dei due battenti, che si aprì emettendo un lieve cigolio. Quando il suo sguardo s'imbatté nell'interno della sala e nel suo contenuto, Freya non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un mormorio stupefatto. Una spirale di librerie cariche di volumi giganteschi si perdeva verso la cima della torre, affiancata da una larga scalinata intervallata da molteplici pianerottoli. Aguzzando la vista Freya poté vedere schiere di scalette in legno agganciate saldamente ad esse, unico mezzo per raggiungere i libri custoditi negli scaffali più alti.
Al piano terra erano invece distribuiti tavoli in pietra e legno affiancati da due panche ognuno, adibiti allo studio e alla lettura. Al di sotto della scala a chiocciola, a livello del pavimento, c'era una selva di ampie scaffalature a muro; avvicinandosi, notò che contenevano pergamene vuote e pronte per essere vergate dalle penne ordinatamente riposte lì accanto, insieme alle boccette d'inchiostro colme di liquido scuro. Altre librerie erano sparse anche tra i tavoli e formavano una specie di labirinto in cui sembrava facile perdersi.
«Vieni» le mormorò Aran a un soffio dall'orecchio, prendendola senza nemmeno rendersi conto per mano e guidandola attraverso la selva di scaffali.
Freya prese a camminare dietro di lui con passo leggero, permettendogli di condurla verso una meta ignota con sorprendente facilità. Tutto l'ambente circostante era pervaso da un piacevole profumo di carta pergamena e la ragazza già pregustava di immergersi in qualche gigantesco libro, quando giunsero a un tavolo piuttosto distante dagli altri. Era l'unico rotondo che si scorgesse nei dintorni.
Seduto a una panca, chino su una moltitudine di fogli scribacchiati ed enciclopedie stracolme di mappe stellari che illustravano un'infinità di costellazioni, c'era un uomo di mezza età che indossava una tunica blu notte. Il suo viso era coperto da una folta barba castana curiosamente intrecciata, in cui si intravedeva già qualche traccia di grigio; per contro, i suoi capelli erano corti e ricci, seppur dello stesso colore. Un paio di occhialetti rotondi gli calavano di continuo sul naso, costringendolo a tirarli su con l'indice. Sembrava essere piuttosto alto e aveva un'aria gentile, nonostante in quel momento la sua fronte fosse increspata da mille e profonde rughette di cui una, più marcata, creava un solco fra le sue sopracciglia.
Aran avanzò piano, poi tentò di richiamarlo: «Maestro Athal?» Non ottenne risposta.
Un sorriso divertito comparve sul suo volto e, con cautela, gli posò una mano sulla spalla mentre ripeteva: «Maestro?»
L'uomo sobbalzò e un paio di pergamene chiuse da laccetti di cuoio caddero dalla scrivania, rotolando sul freddo pavimento. Si voltò verso il ragazzo ed esclamò: «Aran, per l'amor di Finian! Sai che non devi assolutamente deconcentrarmi mentre studio le mie car...», ma la frase gli morì in gola quando notò la presenza di Freya.
«Oh, ma questa giovane fanciulla...» esordì, mentre si sistemava meglio gli occhiali che gli pinzavano il naso e si sforzava per osservarla oltre le lenti, «deve essere certamente la figlia di Eleana! Quale immensa sorpresa!»
Strinse con vigore la mano che lei gli porgeva e Freya rimase stupita che non usasse la solita inutile deferenza di tutti coloro che aveva conosciuto da quando alloggiava al castello. Si ritrovò a gioirne: era talmente bello per lei trovare un pò spontaneità. Il maestro Athal prese le pergamene che Aran aveva recuperato da terra e tornò a sedersi senza aspettare la sua riposta. Probabilmente era certo di avere indovinato.
«Il maestro è il mio precettore. Mi ha insegnato tutto ciò che so e questa settimana mi ha svegliato ogni notte per osservare le stelle. A suo parere si potevano scorgere meglio le più importanti costellazioni del nostro cielo» le spiegò Aran, con un affetto sincero nella voce.
Senza staccare il naso dai suoi rotoli, Athal rispose: «Non a mio parere, ragazzo. Calendari stellari centauri antichi di secoli lo riportano e quelli, lasciate che ve lo dica, sono assolutamente infallibili!»
Freya rabbrividì. Centauri? Non aveva mai sentito nessuno parlare dei popoli di Finian in modo tanto aperto, a parte il misterioso scrittore delle Saghe.
Aran si affrettò a spiegare: «Non ho idea di dove abbia appreso quei calendari o tutte le altre cose che sa sugli antichi popoli. Lui è fatto così, ne parla in maniera assolutamente normale, a meno che non si trovi in presenza di qualche nobile. O di mia madre e mio fratello. Solo a me è riservato l'onore.»
L'uomo alzò lo sguardo su Aran e i suoi occhi, che solo allora la ragazza vide di un curioso blu elettrico, scintillarono. «Non parlare a questa ragazza dei miei discorsi come parleresti degli sproloqui di un pazzo vagheggiante. Inoltre, non hai alcun motivo di nominare con timore i popoli, in sua presenza. Sono sicuro che Freya ne sappia abbastanza, forse più di te» lo ammonì. Detto questo, Athal tornò come se nulla fosse ai suoi studi, mettendo chiaramente fine alla conversazione.
La prontezza della riposta prese Freya alla sprovvista, strappandole un sorriso. Più tempo passava più si rendeva conto che quell'uomo le piaceva molto. A quella frase del suo precettore Aran, invece, ammutolì e si limitò a rivolgere uno sguardo alla giovane, che non pareva però affatto disturbata dalla sua esternazione.
«Arrivederci, maestro Athal. Conoscervi è stato un piacere. Spero che avremo altre occasioni d'incontro» disse la ragazza nel congedarsi, ottenendo in risposta solo un gesto con la mano accompagnato, però, da un sorriso ben visibile anche sotto la folta barba.
Precedendo Aran, Freya continuò verso l'imbocco della scala che portava ai libri.
Il ragazzo la seguì e parlò, quasi come se sentisse di doversi giustificare: «So che può sembrare strano, ma io sono sinceramente affezionato al maestro. È davvero la persona più giusta, saggia e acuta che io conosca.»
Freya gli rivolse un sorriso. «Non mi sembra affatto strano.»
Aver imparato a conoscere quel ragazzo che le camminava accanto, in quel mese in cui aveva sempre trovato un attimo per stare con lei e scambiarsi anche i dettagli più insignificanti delle loro vite, le aveva insegnato che Aran era davvero ciò che mostrava; era davvero ciò che faceva e ciò che diceva, ciò che sentiva. Almeno quando era con lei. Che fosse affezionato sinceramente a quell'uomo, lo aveva dimostrato anche solo nel modo cui gli parlava o ne parlava. La sua risposta parve lasciarlo comunque sorpreso, a giudicare dalle iridi grigie sgranate sul suo viso.
«Trovi davvero normale qualcosa che gli altri ritengono tanto sconveniente?» le domandò, serio.
Freya si fermò, guardandolo confusa. «Sconveniente?»
Aran sorrise amaro. «Mia madre non vorrebbe che io dessi tanta confidenza al maestro. In fondo, per lei si tratta solo di un insegnante che ha il dovere di prepararmi alla mia vita futura, nient'altro.»
«Oh. Io avrei trovato molto più strano se non ti fossi affezionato a una persona che ti è sempre affianco nel percorso per diventare un buon Principe, piuttosto che il contrario» commentò lei, riprendendo a camminare tranquillamente.
La ragazza iniziò a vagliare con cura i libri riposti sugli scaffali, decisa a trovare la sezione dedicata alla geografia. Era curiosa di vedere come gli abitanti di Riagàn rappresentassero Finian, soprattutto per cercare di capire se il misterioso autore delle Saghe fosse un'essere umano.
«Se stai cercando qualcosa in particolare sarò ben lieto di aiutarti» le disse Aran, dopo averla lasciata vagare per un po' senza interrompere il flusso dei suoi pensieri.
Freya si voltò verso di lui. «Vorrei dare un'occhiata alle vostre cartine e vedere come rappresentate Finian» spiegò, ma il suo sorriso si spense quando vide l'espressione di Aran cambiare.
«Non troverai un solo libro che riguardi la geografia dell'intera Finian, in questa Biblioteca» rispose, adombrato, come se Freya avesse riportato in superficie un suo vecchio dilemma. «Mia madre, a quanto pare, non vuole aver nulla a che fare con quelle carte e non ha la minima intenzione di far sì che i suoi eredi le vedano. Non ho idea di cosa sia successo per farle prendere una decisione simile.»
Freya non riusciva a comprendere. «Come fate tu e Darragh a studiare le terre di Finian se non avete nemmeno una cartina su cui orientarvi?» domandò, confusa.
«Studiamo solo la cartografia di Riagàn e dei territori che abbiamo conquistato, per sapere fin dove gli umani si siano spinti, nient'altro» disse lui.
La giovane avvertì traccia di frustrazione nella voce di Aran. «Hai già provato a cercare quelle mappe, non è vero?» chiese ancora e lo sguardo del ragazzo fu una risposta sufficiente. Lui non era tipo da accontentarsi di quello che gli veniva concesso di sapere, la sua intrusione nella Sala degli Incantatori ne era la prova.
Freya decise di non insistere, per non rischiare di sfiorare corde che non avrebbe dovuto toccare. Iniziò però a chiedersi per quale ragione la Regina avrebbe dovuto far sparire tutte le mappe del loro mondo, accarezzando distrattamente il dorso di un libro. Non le aveva forse detto che il suo era un progetto di unione? Allora come poteva aver bandito l'intera Finian dalla sua corte?
Quegli interrogativi le balenavano nella mente come tante lucciole nella notte. In quel periodo di permanenza aveva visto una corte pacifica, un luogo che lei non si sarebbe mai e poi mai aspettata. Ma se fosse stata tutta un illusione? Se là fuori, un po' oltre il suo sguardo, in quei luoghi che nelle menti di Riagàn erano solo una distesa vuota, ci fosse stato ben altro? Magari gente che soffriva, forse persone a cui quel progetto di unione stava negando la libertà. Allontanò la mano dal libro con uno scatto e voltò lo sguardo verso Aran, che la stava osservando incuriosito. Persino la sua posa si era irrigidita, mentre quelle riflessioni le scorrevano nella mente.
«C'è qualcosa che non va?» le domandò, preoccupato.
Lei scosse la testa e cercò di apparire sicura. «No, nulla.»
Non voleva che il ragazzo scorgesse anche solo uno di quei tanti pensieri. La Regina era sua madre e ciò su cui Freya stava rimuginando in quel momento imputava alla monarca un bel po' di colpe.
Passeggiarono ancora per un po' nella Biblioteca e finalmente Freya riuscì a trovare qualche volume che la incuriosisse e che la tenesse occupata. Mentre i due ragazzi sedevano su una panchina situata ai livelli più alti della torre, la giovane ebbe la netta sensazione di essere tenuta d'occhio. La testa iniziò presto a pulsarle dolorosamente, tanto che per un istante ogni pensiero le fu negato. Quando ebbe la forza di riaprire gli occhi, che aveva istintivamente chiuso, vide una smorfia anche sul viso di Aran, il quale sembrava preso dalla stessa sensazione sgradevole; lentamente, i suoi sensi si riattivarono e Freya volse lo sguardo verso un punto in ombra della Biblioteca, alle sue spalle.
«Lady Freya», ne emerse la voce secca di Gorman dopo solo qualche attimo. Lo sgradevole uomo ignorò le smorfie sul volto dei due giovani e si rivolse a lei soltanto: «La Regina Mirea vi manda a chiamare. Desidera parlare con voi immediatamente.»
Freya si irrigidì, un malessere strisciante che pian piano s'impossessava di lei. Con esso, arrivò l'assurda paura che Mirea fosse in grado di penetrarle nella mente e avesse potuto carpire tutto ciò che aveva pensato un attimo prima. Si riscosse rapidamente, dandosi della sciocca.; nessuno aveva quel potere.
Con calma, si alzò dalla panca e rispose cortesemente: «Certamente. Concedetemi solo il tempo di indossare abiti più consoni e mi recherò alla Sala del Trono.»
Gorman parve sorpreso e Freya dovette trattenere un sorriso divertito. Le lezioni di galateo che Malia era stata incaricata di impartirle erano servite.
«Farò in modo che vi vengano mandate delle guardie, milady» disse allora l'Incantatore, con un disgustoso sorrisetto.
«Non sarà necessario. Posso tranquillamente accompagnarla io» ribatté Aran.
«Come desiderate» fu la riposta del consigliere, affiancata da un lieve inchino, e infine sparì da dove era arrivato. Non appena si fu allontanato, i due si rilassarono visibilmente.
«Anche a te non piace molto quell'uomo, vero?» domandò Freya ad Aran, che sembrava resistere all'impulso di scrollarsi di dosso qualcosa.
«Quand'ero piccolo ne avevo addirittura paura; mi dava i brividi. Adesso che sono cresciuto semplicemente non riesco a soffrirlo» ripose lui con un sorriso tirato.
Raggiunsero le stanze di Freya il più velocemente possibile. Aran le promise che quando sarebbe stata pronta l'avrebbe trovato lì fuori ad aspettarla, poi la lasciò alla sua preparazione. Non appena la ragazza entrò, trovò Malia che l'attendeva impaziente.
«Mia Signora», s'inchinò quest'ultima, «vi ho già preparato la tinozza dell'acqua calda.»
Freya entrò nella stanzetta da bagno, si lavò con cura e poi, dopo essersi asciugata e aver indossato la sottoveste, lasciò che Malia le intrecciasse i capelli. Ultimamente aveva sempre fatto tutto da sola, dato che non aveva più avuto incontri ufficiali, ma la donna sembrava sempre divertirsi molto a prepararla; dal canto suo, la ragazza si agitava ancora sullo sgabello come se fosse seduta su un cuscino di spine, non del tutto a proprio agio. Mentre l'ancella le raccoglieva la parte superiore capelli in una treccia, a Freya venne in mente che forse lei avrebbe potuto darle alcune delle risposte che cercava.
«Malia, so che forse non potrai rispondere, ma vorrei sapere da qualcuno che vive qui da sempre se davvero ciò che ho visto in queste settimane è reale» le disse, sicura di potersi fidare di lei.
La donna smise di intrecciarle per un attimo le ciocche. «Cosa intendete, milady?» le domandò.
Freya pensò per un istante a come formare un discorso sensato con la marea che le turbinava in testa. Poi, parlò: «Vorrei sapere se davvero qui regna sempre la pace. Se davvero la gente non soffre ed è ben trattata dai reali, se non sono mai successe cose che violassero i diritti che ognuno dovrebbe avere.»
Malia rimase per un istante in silenzio, iniziando a fermarle la treccia sulla nuca in modo che le cingesse il capo, prima di rispondere. «Non esiste luogo al mondo in cui l'ingiustizia non sia in grado di arrivare, mia cara. Riagàn non fa alcuna eccezione.» Nonostante stesse parlando le sue mani continuarono a lavorare sulla chioma della ragazza.
«Eppure qui tutto sembra così sereno, così... perfetto» moromorò la ragazza, ma quell'ultima parola risuonò irreale perfino a lei.
Attraverso lo specchio vide un sorriso amaro indurire i lineamenti della donna. «È difficile accorgersi delle iniquità in posti come questo, dove regnano la ricchezza e il privilegio» rispose.
Quelle parole colpirono Freya al punto che non domandò più nulla. Si guardò attorno e si chiese se quel mondo dorato, pian piano, non la stesse abbagliando, impedendole di vedere come realmente stessero le cose. Non voleva trarre conclusioni affrettate, ma doveva stare più attenta, si disse. Da quel momento in avanti avrebbe tenuto occhi e orecchie ben aperti e avrebbe cercato di guardare sempre al di là delle apparenze.
«Grazie, Malia» disse e lei la guardò attraverso la superficie riflettente che stava loro davanti, domandandosi forse per cosa la stesse ringraziando. L'ancella non aveva idea di quanto quelle sue semplici risposte fossero servite a riportare Freya alla realtà.
Il resto del tempo trascorse nel silenzio. Malia finì di sistemarle la lunga treccia che aveva creato con la parte inferiore dei capelli, trattenuta da un anellino di metallo, e poi l'aiutò ad abbigliarsi. La donna controllò minuziosamente che ogni lembo di stoffa cadesse a dovere, poi le posò le mani sulle spalle e le strinse in un gesto affettuoso, guardandola negli occhi.
«Spero che andrà tutto bene per voi, milady» le disse.
La premura dell'ancella nei suoi confronti le riscaldò il cuore. «Ti ringrazio, davvero. Ti chiedo però di chiamarmi semplicemente Freya; non servono tutti questi titoli» ribatté la giovane con un sorriso. Prima che Malia potesse protestare, era già fuori dalla porta.
Esattamente come le aveva promesso Aran era lì, intento a guardar fuori da una delle vetrate. Mentre camminavano verso la Sala del Trono il ragazzo la osservava di sottecchi, quasi cercasse di capire cosa le passasse per la mente. Nonostante la testa della ragazza fosse ancora affollata dai mille dubbi che si erano sollevati nel corso di quella giornata, non poté fare a meno di sorridergli, tentando di rassicurarlo. Nel vedere che la giovane si era accorta delle sue occhiate, un colorito acceso imporporò le guance di Aran, che si affrettò a distogliere lo sguardo. Il sorriso di Freya si allargò. Quando le guardie di Mirea aprirono i battenti della grande porta, gli occhi dei due ragazzi s'incontrarono un'ultima volta, prima che Freya entrasse. Avanzò verso il trono, come aveva fatto un mese prima, ma l'ansia questa volta non arrivò a morderle lo stomaco.
La Regina la osservò impassibile mentre le rivolgeva la consueta riverenza, poi la salutò con un breve sorriso, dicendo: «Noto con piacere che la permanenza alla mia corte ti ha giovato, Freya.»
«Questo palazzo è un luogo davvero meraviglioso e ricco di bellezze, Regina Mirea» rispose la ragazza, oramai più tranquilla nel parlare di quanto non lo fosse prima.
«Ti starai certamente chiedendo come mai io ti abbia mandata a chiamare» proseguì la donna, ritornando alla sua consueta espressione. «Ritengo che sia giunto il momento di celebrare il tuo arrivo qui e che tu conosca le personalità più influenti del Regno di Riagàn. Per questo ho deciso di indire un ballo, che si terrà fra tre settimane esatte. È l'occasione giusta perché tu venga ufficialmente presentata alla corte di Errania.»
Freya si bloccò per un istante, mentre l'immagine di un salone pieno di gente che voleva fare la sua conoscenza e parlare con lei si andò a formare nella sua mente; con essa, venne il disagio.
«Come desiderate» rispose nonostante tutto, ricordandosi che per quanto il suo intero essere rifuggisse a quell'idea non poteva certo dare un no come risposta.
Ci fu un attimo di silenzio in cui la sovrana guardò attentamente Freya, prima di parlare nuovamente. «Penso, inoltre, che tu sia pronta per essere condotta alla tomba di tuo padre. Sono a conoscenza del fatto che sia un tuo grande desiderio rendere omaggio alla sua memoria. Domattina all'alba manderò qualcuno ad accompagnarti; a quell'ora nessuno disturberà la tua visita.»
La ragazza s'irrigidì, preda di emozioni contrastanti. Era davvero ciò che desiderava, ma non si aspettava più che la richiesta fatta oramai settimane prima venisse esaudita.
«Vi ringrazio, Maestà» rispose ancora una volta con cortesia.
La Regina si limitò a rivolgerle un cenno del capo. Poi, semplicemente, la congedò: «Purtroppo non posso trattenermi a lungo con te, Freya, e non avremo molte occasioni di incontrarci, nei prossimi giorni. Ma ti posso promettere che presto ci rivedremo.»
Raddrizzando le spalle, la giovane uscì dalla Sala del Trono e senza quasi accorgersene si ritrovò di nuovo nell'ampio corridoio. Trasse un respiro profondo. Aran la guardò senza proferire parola e lei non lo biasimò; era consapevole di avere un aria smarrita, in quel momento.
«Mi porteranno alla tomba di mio padre» mormorò, più a se stessa che al ragazzo. L'idea del ballo pareva qualcosa d'insignificante se paragonata a quello. Ora che era arrivato il momento, si rese conto, non sapeva come sentirsi al riguardo.
Per un istante Aran parve immobilizzarsi, indeciso su cosa fare, poi le si avvicinò e le afferrò la mano destra, stringendola in una presa salda. «Verrò con te, se lo desideri» la rassicurò.
Freya si limitò ad annuire e abbandonando l'orgoglio lasciò che le proprie dita s'intrecciassero a quelle di lui, che continuò a tenere la sua mano nella propria per lunghi attimi. Il calore di quella stretta divenne l'unica cosa chiara, il solo porto sicuro nella tempesta che era tornata ad agitarla. 
   
 
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