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Autore: Cossiopea    21/11/2019    2 recensioni
Il passato è un concetto strano.
Ciò che è stato non sarà. Ogni singolo istante di vita, ogni minimo respiro un secondo dopo è già dimenticato, lasciato scorrere verso quella landa della nostra memoria da cui possiamo ripescare i ricordi...
Il passato.
Sono rare le volte in cui qualcuno non rimpiange ciò che è stato, quasi uniche le volte in cui qualcuno è felice della sua vita.
Io non dovevo morire. Non posso.
Hanno provato a rinchiudermi dal mio passato, hanno tentato di farmi dimenticare... hanno sbattuto il mostro in gabbia, un mostro che ogni giorno si lancia contro le sbarre ringhiando e reclamando la sua libertà.
Non posso morire, non posso fuggire...
Sono un tassello dell'equilibrio cosmico, la potenza di una stella rinchiusa in un frammento di universo...
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scendere le scale mi provocò una scarica di vertigini.

La testa girava e la paura di sbatterla contro qualcosa si faceva più vivida ad ogni scalino, ma alla fine, quando misi finalmente il piede sul pavimento del piano terra, mi concessi un secondo per recuperare le forze necessarie ad arrivare fino alla cucina e rinchiudere il Demone senza che mi desse fastidio.

Eppure il male si dibatteva e quando varcai la porta della cucina non osai guardare Paul e Susan negli occhi per timore che cogliessero il rosso che li aveva infettati.

Il mio sguardo, senza che riuscissi a fermarlo, scattò istintivamente sul cibo appoggiato sul tavolo e una nuova, terribile, scossa di energia mi attraversò il corpo mentre mi fiondavo verso la frutta e i biscotti messi lì in mia attesa.

Animata da una furia quasi animale trangugiai ogni cosa senza lasciare nulla, mentre la confusione di coloro che si affermavano i miei genitori si trasformava in sgomento.

Il mio corpo era scosso dai brividi quando ingurgitai, quasi senza masticare, l'ultima briciola di pasta frolla.

Mi asciugai il succo di frutta che era rimasto sulle labbra con un gesto rapido della mano e, mantenendo lo sguardo puntato a terra, dissi: -Vado in bagno- per poi dirigermi con nuova energia verso la seconda porta del corridoio.

Il bianco delle piastrelle mi accecò ma mi imposi di stare calma mentre mi spogliavo rapidamente per poi entrare nella doccia.

Non appena l'acqua bollente mi piovve addosso lanciai un selvaggio urlo di piacere misto a dolore e, con un sinistro sibilo, gli artigli emersero dalle mie mani, graffiando appena la cabina di vetro che mi circondava.

Il getto rovente continuò a scorrermi addosso mentre io me ne stavo immobile, il corpo scosso dagli spasmi e gli artigli sguainati, a soffrire quel calore innaturale con un sorriso folle stampato sul viso.

Era il Demone che rideva.

L'acqua lavò via il sangue che mi sporcava i capelli, lavò via il sudore freddo che mi aveva ricoperta, lavò via ogni cosa... tranne la rabbia.

Uscii dalla doccia dopo qualche minuto e mentre me ne stavo ferma davanti allo specchio, gocciolante, con i capelli scuri che coprivano metà del viso, gli occhi rossi desiderosi di morte, le zanne affilate messe in evidenza dal ghigno ritorto che mi infettava il viso... ebbi paura.

Nel mio sguardo corse un lampo di ragione e immediatamente il Demone si ritirò con un sibilo frustrato.

Eccomi lì: una ragazzina bagnata, magra dopo i giorni di digiuno, gli occhi vitrei come quelli di un morto; impaurita e afflitta da sé stessa.

Deglutii, ma avevo la gola arida.

Mi asciugai rapidamente e mi infilai i vestiti puliti che Susan mi aveva preparato (feci una smorfia rendendomi conto che non erano totalmente neri come mi piaceva).

Lanciai un'ultima occhiata intimorita alla mia immagina riflessa prima di chiudermi la porta del bagno alle spalle.

 

Il vento continuava a fischiare contro il vetro della macchina.

Lo percepivo sbattere contro il parabrezza e urlarmi di farlo entrare mentre l'auto avanzava per le strade trafficate del centro, diretta verso un luogo in cui non pensavo avrei mai rimesso piede; un posto pieno di ragazzi che non mi somigliavano a con cui non volevo avere niente a che fare.

Strinsi i pugni e abbassai lo sguardo.

Sapevo che Paul mi lanciava occhiate sospettose e furtive di tanto in tanto, ma aveva troppa paura della mia reazione per iniziare una conversazione razionale con la ragazza non più sua figlia.

Incassai la testa nelle spalle e mi concentrai sul movimento ritmico dell'auto, sentendo che il Demone stava spingendo per uscire.

Le dita mi formicolavano nello sforzo di trattenere gli artigli e fu in quel momento che il mio sguardo cadde sulla radio della macchina e un lampo mi passò negli occhi.

-Posso accenderla?- domandai indicando l'apparecchio, ma senza guardare l'uomo alla mia sinistra.

Quello sussultò, probabilmente non si aspettava che sarei stata io la prima a dire qualcosa dopo mezz'ora di silenzio.

-Ahm...- mormorò, lanciandomi l'ennesima occhiata che io feci finta di non notare -Certo.

Con un senso di liberazione nell'animo premetti il pulsante di accensione e una melodia dapprima gracchiante poi sempre più delicata e definita riempì l'abitacolo, scacciando il Demone.

Non riuscii a contenere un sorriso sollevato che Paul studiò con curiosità.

 

-Siamo arrivati- fece l'uomo accanto a me, facendomi sobbalzare, immersa com'ero nella canzone proveniente dalla radio.

Lo guardai per la prima volta da quando ero entrata in auto. Lui guardò me, in attesa. La musica mi aiutava a non mostrare gli occhi rossi e quindi sfidai lo sguardo di Paul, senza fretta.

-Non... non scendi?- mi domandò il mio non-padre abbozzando un sorriso teso.

Battei le palpebre, impassibile, e tesi una mano aperta verso di lui.

-Le mie cuffie- dissi mentre lui sussultava senza un motivo -I patti erano chiari.

-Oh... c-certo- balbettò Paul sbottonando una tasca della giacca e tirando fuori cuffie ed Mp3. Me le porse e io annuii quasi impercettibilmente.

-Grazie- dissi senza emozione prima di posizionarmele sulle orecchie e far partire una canzone a caso dalla playlist.

Aprii lo sportello sotto lo sguardo allibito di Paul.

-La cartella è nel bagagliaio!- mi avvisò un secondo prima che io chiudessi la portiera.

Gli lanciai un'occhiata, senza rispondere, e recuperai dal retro dell'auto lo zaino con i libri che Susan mi aveva preparato contro la mia volontà.

Mi infilai una bretella e mi incamminai verso il cortile della scuola superiore senza voltarmi verso l'uomo in macchina, che ancora mi teneva gli occhi puntati addosso.

Il vento mi fischiava tra i capelli mentre avanzavo verso l'entrata senza degnare i ragazzi che mi circondavano neanche di un'occhiata.

La musica mi pulsava nella mente e quella era l'unica ragione per cui continuavo a camminare, impassibile, cieca dei ragazzi chiassosi e pieni di vita che puntellavano il cortile e i corridoi della scuola, in attesa del suono della campanella.

A volte qualcuno mi lanciava un'occhiata per poi distoglierla immediatamente e dimenticarsi della mia presenza.

Non li biasimavo e non volevo che mi guardassero.

La rabbia che provavo per tutti loro, per Susan e Paul, per il mondo, sarebbe esplosa se non fosse stato per la musica, la sola cosa che mi impediva di impazzire.

L'unica cosa che mi aveva detto la donna che si fingeva mia madre prima che io mettessi piede fuori di casa era il nome della classe: 2D.

D come Demone... non avevo fatto a meno di pensare mentre chiudevo la porta di casa.

Non sapevo dove fosse quella classe, ma avevo ancora quindici minuti prima che iniziassero le lezioni e intanto che il tempo c'era, preferivo vagare senza meta per i corridoi che sedermi su una sedia dura, circondata da ragazzi che si sarebbero messi a giudicarmi senza ritegno, nutrendo il Demone di rabbia e rancore...

Mi spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi morsi un labbro, continuando a camminare.

 

-Non ci vediamo da un po', eh, Jill?

Nonostante il volume della musica quella voce mi giunse chiara anche attraverso le cuffie. Era una voce che conoscevo, che non volevo sentire.

Un brivido mi percorse la schiena mentre mi voltavo di scatto verso l'origine.

Un ragazzo dai capelli rossi come una brace d'inverno, il viso allungato e due occhi di un azzurro così acceso da sfiorare il viola mi fissava appoggiato al muro del corridoio con le braccia incrociate.

Sul volto aveva un ghigno soddisfatto che il Demone adorò.

Lo studiai per un istante, lo zaino che mi pendeva dalla spalla e la musica che mi rimbombava nel cranio.

Lo conoscevo. Apparteneva al mio passato ma non volevo ammettere che mi avesse davvero raggiunto come aveva promesso.

-Credevo che fossero stati più clementi con te, Jillkas- continuò il ragazzo avvicinandosi lentamente alla mia figura mentre io lo guardavo senza muovermi -Questo corpo è orrendo anche solo per un essere umano.

Trattenni le zanne.

-Lasciami in pace, Cos- sibilai mentre sul suo viso il ghigno si allargava.

-Tu e la tua smania dei diminutivi- fece alzando gli occhi al cielo -Cosmath, mia signora, va benissimo- lanciò uno sguardo ai ragazzi che ci circondavano -Tutti qui immaginano sia un nome straniero- scoppiò in una risata quasi folle che fece voltare un paio di teste.

Mi accigliai.

-Tappati quella bocca, ignorante- lo minacciai -Non ti voglio vedere: vattene.

La sua espressione si indurì.

-Credevo fossi stata felice di vedermi.

-Perché dovrei?- le dita formicolarono -Mi hanno cacciata, ricordi? Non posso più tornare, e tu lo sai.

Cos sorrise.

-Sì, ma se volessi potresti liberarti.

Un brivido gelido mi attraversò la schiena.

Abbassai lo sguardo e il mio corpo fremette.

-Non... posso- chiusi gli occhi e strinsi i pugni, rifiutandomi di guardarlo negli occhi.

Un secondo di silenzio, riempito solo dalla musica che mi risuonava nelle orecchie attraverso le cuffie.

-Ti sei addolcita, Jillsak- lo disse con disprezzo -Non sei più quella di un tempo.

-Forse è un bene- riaprii gli occhi e lo sfidai con lo sguardo -Questo mondo non ha bisogno di altro male.

Scosse la testa, freddo.

-La rabbia che nutri è la prova che stai mentendo- disse Cos -Segui il mio consiglio, Jill: non combattere quello che sei.

-Non sono più quello che ero- ribattei -L'umanità mi ha corrotta: sto combattendo contro me stessa da troppo tempo.

-È questo che mi preoccupa- fece Cos -Se continui così ti ucciderai da sola. Lo sai questo, vero?

-Non mi ucciderò- dissi.

-No- Cos scosse la testa ed esitò -Peggio.

In quel momento suonò la campanella.

   
 
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