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Autore: Cossiopea    25/11/2019    2 recensioni
Il passato è un concetto strano.
Ciò che è stato non sarà. Ogni singolo istante di vita, ogni minimo respiro un secondo dopo è già dimenticato, lasciato scorrere verso quella landa della nostra memoria da cui possiamo ripescare i ricordi...
Il passato.
Sono rare le volte in cui qualcuno non rimpiange ciò che è stato, quasi uniche le volte in cui qualcuno è felice della sua vita.
Io non dovevo morire. Non posso.
Hanno provato a rinchiudermi dal mio passato, hanno tentato di farmi dimenticare... hanno sbattuto il mostro in gabbia, un mostro che ogni giorno si lancia contro le sbarre ringhiando e reclamando la sua libertà.
Non posso morire, non posso fuggire...
Sono un tassello dell'equilibrio cosmico, la potenza di una stella rinchiusa in un frammento di universo...
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Jill Reyes, togliti immediatamente quelle cuffie e alzati in piedi.

La voce della professoressa mi giunse indefinita, un pallido sfondo di ciò che erano i miei pensieri; una goccia di pioggia nella tempesta della mia mente.

Mantenni lo sguardo sul banco e fu come una percezione lontana e indistinta quella dei miei compagni che si voltavano verso di me, curiosi di conoscere come avrebbe reagito la ragazza più scema e svitata del paese.

Mi imposi di concentrarmi sulle note, sulla musica... esisteva solo quella.

Il Demone intanto fremeva.

-Reyes, non farmelo ripetere- tuonò la donna mentre gli ultimi sussurri vaganti per la classe si zittivano di botto -Posso farti espellere, se è questo che vuoi.

Non sai quanto io lo voglia, stupida megera... Le mie dita tremarono. Chiusi gli occhi per nascondere il bagliore scarlatto.

-Reyes, non lo ripeterò di nuovo: togliti immediatamente quelle cuffie!

Una scarica di energia, la mia mente che agitava le braccia nell'ancora tenue speranza di non precipitare nel baratro della follia.

I suoi passi accompagnati dal ticchettio persistente dei tacchi a spillo si intensificarono mentre quella figura alta e spinosa che era la professoressa di Geografia si avvicinava al mio banco con rabbia repressa e un'espressione rigida sul viso allungato.

Immersi la mano nella tasca con un gesto rapido e alzai mestamente il volume della canzone... Non dovevo esplodere, non potevo permetterlo...

Le note dentro la mia mente nascosero ogni cosa. La visuale, prima tinta di sangue, per un secondo tornò ai suoi tipici colori; il respiro si normalizzò; il mio cuore rallentò.

Poi il disastro.

Una mano munita di unghie tinte di viola mi afferrò le cuffie per poi strapparmele dalla testa senza pietà.

Fu peggio del gesto di Susan, fu peggio di ogni altra cosa.

Una ciocca di capelli, rimasta impigliata al filo collegato all'Mp3, mi provocò un dolore cocente mentre la donna tirava e quel ciuffo solitario minacciava di staccarsi dalla mia cute.

Tentai in ogni modo di pensare a quel dolore, solo a quel dolore fisico e a nient'altro... mentre i suoni, come i pensieri e le sensazioni, mi inondavano la mente.

Le zanne scattarono e infilai senza esitare le mani nelle tasche della felpa, per nascondere gli artigli e il sangue che ora mi bagnava i palmi.

Il mio corpo fremette, il Demone urlò.

-Mi ridia...- la mia voce era mozzata, mentre stringevo gli occhi, aggrappandomi a quegli ultimi secondi di autonomia che, lo sentivo, mi restavano prima della crisi. Deglutii, il sudore che adesso mi grondava dalla fronte, gli sguardi di ogni presente che mi perforavano e che io percepivo come lance affilate conficcate nella carne -Mi ridia... la musica...

-Come prego?- fece la professoressa, convinta che io stessi tentanto di sfidarla. Ma la sua voce mi giunse appena.

Un spasmo del braccio, in bocca il sapore del sangue.

-Ho detto- ringhiai -di ridarmi la musica...

Una risatina acuta e sarcastica proruppe dalla sottile bocca della donnina.

-Spero proprio tu stia scherzando, Reyes.

Lo sforzo immane che stavo facendo per reprimere il Demone non bastò più e, semplicemente, Jillkas sfuggì dal mio controllo.

Una rabbia inumana mi sovrastò e le emozioni del Demone si fusero con il mio corpo, sommergendo l'umanità che Zechra aveva tentato di innestarmi quindici anni prima.

Spalancai gli occhi luminosi di rosso e li alzai sulla professoressa mentre un ghigno animale mi deformava il volto.

L'espressione della donna mutò e la sua rabbia mutò in confusione, la confusione in paura.

-Cosa...?- farfugliò, iniziando a tremare.

-Le ho detto- dissi lentamente, la mia voce che adesso aveva preso una nota suadente e una sorta di riverbero, un'eco innaturale -di ridarmi la mia musica- sorrisi e le mie zanne scintillarono mentre ogni ragazzo nella classe sussultava.

Scoppiai a ridere. Una risata strana, venata di pazzia.

-Ma ormai quelle stupide note se le può anche tenere- scossi lentamente il capo e scostai la sedia, alzandomi in piedi -Ogni cosa tornerà come sarebbe sempre dovuta essere...

-Mostro!- urlò qualcuno mentre le mie mani emergevano dalle tasche e gli artigli sibilavano, strusciando l'uno contro l'altro.

-Cosa sei tu?- domandò la professoressa mentre faceva un passo indietro, il viso bianco come ossa.

Non sentii mai la risposta e la rabbia prese possesso del mio essere mentre la mia mano schizzava verso il viso della donna e gli artigli imprimevano un segno sulla sua pelle, bagnando la mia di rosso.

Poi la mia visuale sfumò in rosso, il rosso in buio... troppo buio...

 

Le mie palpebre sfarfallarono mentre i miei occhi stanchi mettevano lentamente a fuoco il mondo.

Un soffitto bianco leggermente macchiato di umidità.

Avvertivo in bocca un sapore amaro ma al tempo stesso piacevole, il mio corpo era sovrastato da una leggera coperta morbida e pulita... nelle narici avevo odore di disinfettante.

Una dolce melodia suonata al pianoforte aleggiava nell'ambiente e se non fosse stato per quella temo che sarei impazzita di nuovo.

Il ricordo di quanto era successo si affacciò nella mia mente e la prima emozione che provai fu... sollievo. Un sollievo tenero in cui crogiolarsi, la sensazione di aver finalmente dato uno scopo alla mia vita...

Poi, in netto contrasto con quella strana gioia, arrivò la rabbia... rabbia verso me stessa, verso il mondo... verso ogni cosa... e ancora una volta, come era già successo, mi ritrovai a desiderare di morire e smettere di soffrire.

E infine la disperazione.

Un tristezza così travolgente da tramutarsi in lacrime e tenui singhiozzi.

Mi mossi lentamente, la guancia premuta su un cuscino candido e ora umido di pianto. Mi misi a sedere e i capelli mi ricaddero davanti al viso in una cascata di tenebre.

-Sì, è molto triste.

Alzai la testa di scatto.

Ero in una stanza di ospedale che pareva essere stata avvolta in una nuvola di candeggina. Una flebo era accanto al mio letto e solo ora mi accorsi dell'ago che avevo dentro al braccio.

Era una camera singola. Nessun altro letto, solo una sedia solitaria là nell'angolo, dove una ragazza pallida dai capelli biondi che schizzavano verso l'alto come sfidassero la gravità e dei grandi occhi grigi suonava con grazia una piccola tastiera portatile che aveva appoggiata sulle ginocchia.

Era vestita leggera, con una camicia troppo larga per lei e un paio di calzoncini cortissimi che lasciavano ammirare le gambe snelle terminanti in paio di piccoli piedi delicati e totalmente scalzi.

Alzò lo sguardo su di me continuando a suonare.

-Dillo che ti aspettavi che fossi qui- mi disse mentre sul visino dotato di una finta gentilezza si dipingeva un sorriso che avrebbe fatto cadere qualunque uomo ai suoi piedi.

Mi morsi un labbro, maledicendomi per l'ennesima volta per essermi fatta venire l'idea geniale di avere figli.

-Hiyv- la salutai dopo aver deglutito -Non posso dire che sia un piacere.

Una risata cristallina eruppe dalle sue labbra rosate, in qualche modo la melodia proveniente dalla tastiera non si interruppe.

-Sei sempre così divertente, Jillkas- mi fece, sorridendo -E, beh, non posso dire di non essermi divertita quando hai ridotto a brandelli quella povera insegnante...- scosse la testa, continuando a sorridere, come se stesse rivivendo un sogno passato -Ah, è stata la cosa migliore a cui ho assistito negli ultimi cento anni. Giuro!

Un brivido mi attraversò la schiena al pensiero che avessi potuto uccidere di nuovo.

-Che cosa vuoi?- chiesi a mia figlia, senza staccarle gli occhi di dosso.

-Io?- parve sorpresa. Si alzò e appoggiò la tastiera sulla propria sedia, in qualche modo lo strumento continuò a suonare anche senza qualcuno che premesse i tasti.

Hiyv si accomodò sul letto, avvicinandosi a me con passi quasi fluttuanti.

-Sembri così stanca, Jill- mi fece avvicinando una mano al mio viso prima che io mi ritraessi di scatto. Sorrise -Vuoi davvero continuare a vivere in questo modo?- le sue parole echeggiarono nella mia mente per un istante -Desideri davvero continuare a combattere contro il tuo passato?

Battei le palpebre per cacciare via quella leggera ipnosi che quelle parole stavano facendo alla mia testa.

-Non puoi imbrogliare me, Hivy- le feci, accigliandomi -Sono molto più forte di quello che pensi- ma entrambe sapevamo che non era vero.

-Sei troppo umana, ormai- disse mia figlia sorridendo e facendo un breve sospiro -Eppure- e si voltò verso di me, trapassandomi con il suo sguardo sbiadito -continui a essere stranamente potente.

Abbassai lo sguardo e mi morsi un labbro. La musica della tastiera rallentò leggermente.

-Davvero ho ucciso quella donna?

Negli occhi di mia figlia passò un lampo.

-Beh, sì- rispose continuando a sorridere -Ma non è niente di cui vergognarsi- cercò il mio sguardo -Lo sai chi me l'ha detto questo?

Mi irrigidii.

-Io- dissi, secca.

Hiyv annuì.

-Tu.

Ci fu un istante di silenzio, accompagnato solo dalle note della tastiera fantasma.

-Non ti puoi nascondere, madre- mi disse il Demone che avevo davanti -So bene quanto ti abbia soddisfatto affondare gli artigli nella carne di quell'umana, so quanto brami tornare a ciò che eri un tempo. E lo sai anche tu.

La nebbia di cui erano intrisi i suoi occhi mi avvolse la mente mentre il mio sguardo si perdeva in quella distesa di nubi.

-Lo so?- le chiesi, ingenuamente.

Annuì.

-Ogni cosa può tornare quella che era un tempo, madre. Lo hai sempre saputo- sorrise e le nuvole continuarono a infittirsi, soffocando i pensieri, soffocando ogni cosa -Il dolore che provi è naturale, è ciò che proviamo tutti e tu puoi contrastarlo solo uccidendo, solo dando sfogo a ciò che sei... Ti farà solo bene, tu lo sai.

-Lo so...- mormorai, ma quasi non udii le mie stesse parole.

Avvertii come una presenza irrompere nella mia coscienza, rovistare tra le mie emozioni... Cercava qualcosa, qualcosa che, finché la musica andava, sarei riuscita a impedirle di trovare.

Sapevo cosa stava facendo, conoscevo quei trucchi meglio di chiunque altro: ero io ad averglieli insegnati, ero io che avevo plasmato la pericolosità di quel Demone... ero io che avevo creato quel mostro...

-Dove sei, madre?- domandò Hiyv -Zechra è stato troppo crudele con te, troppo spietato... ti ha rovinata... Ma se io riuscissi a trovarti in mezzo a queste emozioni...

La potenza di mia figlia si intensificò.

Prese a scavare con sempre più foga, graffiando le pareti della mia mente e ricoprendomi di rabbia, di dolore...

Fino a quel momento la flebile speranza di non farle trovare il Demone era stata vivida, materiale... ma adesso, mentre i suoi artigli abbattevano porte e la mia furia, nonostante la musica, cresceva, sapevo che era questione di poco prima che risvegliasse Jillkas...

Il solo modo per scacciarla era aggrapparmi io stessa al Demone, alla mia natura... Il solo modo per sconfiggerla era darle quello che voleva, liberare la rabbia con una potenza che l'avrebbe fatta ritrarre...

Per un istante fui di nuovo in quel letto d'ospedale, non più incastrata dentro la nebbia. Nei miei occhi passò una scintilla mentre fissavo Hiyv con l'ira che ogni giorno provavo verso me stessa.

Con un calcio sfondai la cella dove aveva rinchiuso il Demone e lasciai che esso irradiasse fuori e dentro di me, che sovrastasse senza esitazione ciò che rimaneva della mia umanità.

L'ultima cosa che sentii fu l'urlo di mia figlia.

   
 
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