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Autore: GladiaDelmarre    04/01/2020    11 recensioni
Una serie One Shots che parlano di missing moments.
Ognuna di queste associata ad uno dei cinque sensi: vista, gusto, olfatto, udito, tatto.
E forse, alla fine, esisterà anche un sesto senso, quello che serve a comprendere la vita e le sue ragioni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sense of Life '
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Londra, 1978

(annusa – soffri)

 

 

Signori benpensanti
Spero non vi dispiaccia
Se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
Soffocherà il singhiozzo
Di quelle labbra smorte
Che all'odio e all'ignoranza
Preferirono la morte.

 

Fabrizio de Andrè – Preghiera di Gennaio (1967)

 

 


Quella Londra non piaceva affatto ad Aziraphale.

 

Non aveva l'eleganza raffinata della fine dell'800 o dei primi del 900.

Non era intrigante e piena di novità come durante gli anni 20 o i 30.

Non era in evoluzione come negli anni 50, non era frizzante come gli anni 60.

 

No, gli anni 70 avevano portato dissolutezza, disordine, musica sgradevole e dissonante, ragazzi e ragazze vestiti come dei barbari, con scarponi militari, magliette sciatte e rovinate, giacche in pelle piene di borchie. Per non parlare dei capelli! Erano spettinati, arruffati, sporchi. Portavano delle creste, per l'amor del Cielo!

 

***

 

Soho, verso la fine degli anni 70, era diventata un ricettacolo di ragazzi stravaganti, assembrati in rumorosi locali. La loro musica assordante rimbombava fuori dalle pareti imbottite, vibrandogli nel petto come il palpito di un cuore eccitato, e ogni qualvolta una di quelle porte si apriva sulle bolge infernali di musica e corpi sudati e balli inappropriati, anche gli acuti lo investivano violenti.

 

Aveva preso ad uscire sempre meno. Si rinchiudeva nella quiete della libreria, circondato dai suoi amici fatti di carta e ricordi, immergendosi nella lettura, dimenticando il contorno.

 

Aveva sempre amato quello stato di cose: la calma, il suo piacevole disordine, gli odori familiari.

 

Quella però era una notte diversa. La quiete lo soffocava. La penombra lo opprimeva. Il silenzio gli rombava nelle orecchie: non gli bastava il chiacchiericcio che sentiva, di tanto in tanto, fuori dalle sue vetrine buie.
 

***

 

Fu trascinato fuori da un desiderio di vita, forse. Voleva trovarsi fuori, non importava come né dove.

 

Perduto nei vicoli come uno straniero, sebbene conoscesse Londra meglio di chiunque altro (quantomeno, da più a lungo di chiunque altro), si trovò per caso proprio nel retro di uno di quei locali. Era buio, ma riusciva a distinguere delle figure muoversi appena.

 

Una di queste era china verso il basso, forse inginocchiata. Le altre due, in piedi, sembravano sostenersi a vicenda. Infine, un'ultima forma scura, indistinta, era stesa in terra. Udì un singhiozzo soffocato.

 

L'attimo che il vento cambiò direzione, Aziraphale fu investito da una zaffata di odori sgredevoli: vomito, urina, forse feci. Strizzò gli occhi, disgustato, e si portò la manica del cappotto a coprire il naso per cercare di evitare quel fetore.

 

Una porta si aprì in quel momento, gettando un fascio di luce sulle persone che finora erano rimaste seminascoste dal buio.

“Andatevene di qui, sporchi ubriaconi! E portate via quello! Non vogliamo che la polizia venga a fare casino!” sbraitò l'uomo che aveva aperto la porta, probabilmente il proprietario del locale. La sbattè subito dopo, richiudendosela dietro.

 

In quei pochi attimi, Aziraphale era riuscito a riconoscere in Crowley l'uomo inginocchiato.

Era chino, le spalle contratte, e teneva le mani su quel ragazzo sdraiato scompostamente a terra. Gli altri due, che sembravano essere scappati da scuola per quanto erano giovani, avevano le guance striate di nero dove le lacrime erano scese, rovinando loro il trucco.

 

Il ragazzo in terra era morto.

 

Gli si avvicinò, dimentico degli odori sgradevoli.

“Crowley” disse a voce bassa “che succede?”.

Il demone non si voltò a guardarlo.

 

“E' morto. Una vita pesa appena 100 mg, quando si tratta di eroina”.

Crowley sembrava svuotato, la voce era fredda, atona.

 

“Ma... perchè? Perchè lo ha fatto?” chiese Aziraphale, addolorato.

“Perchè la gente si suicida? Perchè il peso della vita è troppo grande. Perchè si sentono rifiutati. Reietti. La società non li vuole. Le famiglie non li vogliono. Il conforto lo trovano in altri modi... e a volte nemmeno quelli bastano. Jamie era omosessuale, si prostituiva per una dose. Era solo, dormiva in strada. Daisy e Gavin erano suoi unici amici”.

 

Aziraphale abbassò il capo e gli poggiò una mano sulla spalla.

Lui si girò e lo guardò finalmente. Gli occhi erano tormentati, sbarrati, ma senza lacrime. Forse non ne aveva più.

 

“Angelo, sai dirmi perchè Dio non li vuole? Perchè i suicidi li abbandona a noi? Non hanno già sofferto abbastanza?” gli chiese.

 

Aziraphale rimase in silenzio, investito dall'orrore e dal senso di colpa. Avrebbe potuto dargli le risposte più ovvie. Che la vita era un dono e togliersela era un affronto contro Dio. Che non meritavano il Paradiso, se disprezzavano così tanto quello che avevano in Terra. Che Lei poteva essere terribile, e che non avrebbe dato loro risposta comunque, anche se avessero chiesto.

 

Ognuna di quelle risposte risuonava vuota e fredda nel suo cuore. Non bastava a lui, che non poteva opporsi al Suo volere, come sarebbe potuta bastare al demone in ginocchio, supplicante?

 

Lasciò che fossero le azioni a rispondere.

 

Si inginocchiò accanto a Crowley, non badando al sudiciume né al fetore della morte che già aleggiava in quel buio cortiletto. Mormorò una benedizione, sfiorando con le mani quel corpo ormai freddo e vuoto.

 

Quella notte era uscito spinto da una brezza che chiamava alla vita, ed invece aveva trovato la morte.

 

“Vai a casa” ripetè.

Vai a casa”.

 

   
 
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