Don’t you hear my call
though you’re many years away
Don’t you hear me calling you
All your letters in the sand
cannot heal me like your hand
'39, Queen, 1975
Da qualche parte in Inghilterra, dicembre 1939
La spiaggia era
deserta, fatta eccezione per qualche bianco gabbiano che lanciava il
proprio grido nel vento. Vento che, come una frusta gelata, sferzava
senza pietà quella lingua di sabbia tra le scogliere bianche
svettanti verso un cielo di ferro popolato da nuvole plumbee.
Crowley aveva
l'impressione che quel cielo fosse tanto pesante da potersi
schiantare sulla Terra da un momento all'altro, ma forse si trattava
solo dell'eco della pesantezza che gravava sul suo petto e che veniva
proiettato all'esterno.
Il demone
passeggiava sul bagnasciuga in ascolto dello sciabordio dell'oceano
agitato, lasciando dietro di sé orme profonde ma che non potevano
dare la misura della portata di tutte le atrocità alle quali i suoi
occhi avevano assistito.
Il Diluvio
Universale, le grandi pestilenze che nel '300 avevano sconvolto
l'Europa decimandone la popolazione, le guerre e le faide più
sanguinose, rivoluzioni cruente. Ognuno di questi cupi avvenimenti
era impresso a fuoco nella memoria millenaria di Crowley.
Perché vivere tra
gli umani come entità sovrannaturale, e dunque non soggetta al
decadimento fisico e all'azione divoratrice del Tempo, tra gli
indiscutibili benefici, comportava questo svantaggio: scivolare
inerme attraverso epoche in cui la speranza sembra evaporare nel
nulla e abbandonare ogni creatura vivente, condannando a un'esistenza
di sconforto e terrore collettivi, virulenti, come un'epidemia dello
spirito che sfianca anche il cuore più forte fino a rendere
insostenibile la quotidianità; fino a quando tutto sembra
precipitare senza freni verso un baratro nero dal quale non potrà
esserci ritorno.
Ma gli umani
potevano almeno sperare nella pace dell'eterno oblio, lui era
obbligato ad andare avanti e a ritrovarsi periodicamente spettatore
delle stesse tragedie che si ripresentavano puntuali come fantasmi
impossibili da scacciare.
Ma naturalmente non
si trattava di fantasmi, Crowley lo sapeva bene. Ciò che minacciava
il regolare corso della vita era dotato di una forma spaventosamente
più concreta.
Erano i Tre
che si dedicavano alle proprie macabre scorribande sulla Terra a
spese dei suoi abitanti. Tre, ai quali immancabilmente si
accompagnava il Quarto, che pure era sempre al lavoro con la
propria falce, instancabile: la sua costante presenza all'ombra della
Creazione si poteva ravvisare nel fiore che appassiva, o in un
vecchio che si arrendeva infine alla forza usurante degli anni e
prendeva congedo da questo mondo, andandosene al braccio del
Cavaliere dal manto nero.
Nei secoli addietro,
Crowley aveva avuto la possibilità di vederli all'opera più volte
e, per quanto le loro modalità d'azione differissero per metodi e
mezzi e mutassero adeguandosi ai tempi, avevano una cosa in comune:
il loro passaggio era sempre fonte di immenso dolore e incontenibile
sofferenza. Spezzavano la vita di chi soccombeva fisicamente sotto i
loro colpi micidiali, certo; ma anche quella di coloro che restavano,
di tutti quegli altri che, per una questione di tempra o forse
solamente di mera fortuna, scampavano temporaneamente alla falce di
Morte e si riducevano a trascinarsi giorno dopo giorno lungo una
strada impervia e oscura, che nessuno poteva dire dove avrebbe
condotto, sempre che vi fosse una destinazione.
Una di loro era
particolarmente attiva in quel periodo e aveva fomentato venti di
burrasca che già da anni soffiavano silenti serpeggiando tra i paesi
e le nazioni del cosiddetto Vecchio Continente. Guerra era
tornata e prometteva di dare spettacolo di sé come mai aveva fatto
prima di allora. Aveva lavorato alacremente dietro le quinte, sotto
le ceneri lasciate dall'ultimo grande conflitto mondiale, infettando
ferite ancora aperte e avvelenando le menti degli uomini con i suoi
mezzi preferiti: la paura e l'odio.
Il 1° settembre di
quell'anno era scoppiato ufficialmente il nuovo conflitto, con
l'invasione della Polonia da parte della Germania guidata da Adolf
Hitler e due giorni più tardi il re Giorgio VI aveva annunciato
pubblicamente ai sudditi la presa di posizione del paese contro
l'avanzata nazista.1
Il demone l'aveva
vista in azione molto spesso, Guerra. Le piacevano il clamore, il
boato dei cannoni, il clangore delle spade, il rosso del sangue vivo
che sgorgava copioso dalle ferite e inzuppava le divise, la polvere
che ricopriva i corpi dei caduti ammassati l'uno all'altro... non
amava passare inosservata e agire con pazienza e lentezza, a
differenza di quanto soleva fare invece Carestia.
Ma questa volta
c'era qualcosa di diverso: Crowley poteva sentirlo nell'aria fredda e
metallica vibrante di un'indefinibile tensione, come elettricità. Lo
avvertiva intimamente, ben più in profondità del suo involucro
corporeo, fin nell'animo, fin nella sua essenza più antica e
ancestrale. Di notte era visitato da incubi che brulicavano di
immagini orribili e gli parlavano dell'avvento di una delle ore più
buie che la Terra avesse mai conosciuto. Un'ora che si stava
avvicinando a velocità drammatica.
Ne era
inesplicabilmente certo: si era messo in moto qualcosa di proporzioni
colossali. Si preparavano avvenimenti che avrebbero segnato per
sempre la storia dell'Umanità intera e lui ne percepiva tutta la
potenza non ancora manifesta, allo stesso modo in cui poteva
percepire l'avvicinarsi della tempesta che presto si sarebbe
abbattuta su quella stessa spiaggia.
Non gli piacevano le
guerre, le pestilenze o le carestie. Erano periodi foschi che
inghiottivano famelici ogni cosa buona potesse esserci al mondo; ogni
cosa bella, ogni cosa per la quale valesse la pena continuare a
vivere laggiù.
Gli umani perdevano
la voglia di inventare, di creare meraviglie, di abbellire e
migliorare la propria esistenza grazie a quelle idee ingegnose che
Crowley tanto apprezzava e ammirava. Tutte le qualità creative e
intellettuali di uomini e donne erano invece piegate per servire la
causa di Guerra: si sviluppavano armi sempre più distruttive, sempre
più letali, sempre più orrende; si pianificavano strategie da usare
contro il nemico; si sottometteva la tecnologia alla tattica militare
per schiacciare l'avversario, prevederne le mosse e anticiparle in
modo da coglierlo di sorpresa. In tempo di Guerra non c'era spazio
per minuzie e facezie; non quando la priorità assoluta era la
sopravvivenza propria e delle persone amate.
Vivere a stretto
contatto con gli umani aveva portato Crowley ad affezionarsi a loro.
Aveva maturato un sincero apprezzamento per quelle creature effimere
ma tenaci e assistere impotente agli orridi tormenti che queste
pativano a causa del flagello di Guerra e dei suoi illustri colleghi
faceva affiorare in lui un vivo senso di dispiacere.
Crowley rabbrividì
all'ennesima coltellata del vento pungente che si insinuava sotto le
sue vesti. Si strinse nel cappotto e levò lo sguardo verso il cielo,
oltre i gabbiani, oltre le nubi gravide di pioggia.
Mai come in quei
momenti il demone sentiva su di sé la presa ferrea della solitudine.
Quando venivano a mancare le distrazioni che lo tenevano occupato e
l'aria stessa che si respirava era satura di timore e sospetto, ogni
frivolo diversivo appariva solo come una vana fuga da una realtà che
gli alitava sul collo con il suo fiato gelido e fetido, sempre troppo
pregnante per essere elusa. Una cappa di tetraggine opprimente calava
sul mondo che lo circondava e Crowley veniva afferrato dal prepotente
desiderio di avere qualcuno al proprio fianco: una presenza amica che
potesse alleviare il fardello che, talvolta, la sua condizione di
immortale comportava
Avanzò affondando
con le scarpe nella sabbia bagnata e compatta fino ad arrivare in
prossimità di un massiccio tronco d'albero sospinto a riva dalla
forza delle onde. Crowley osservò quel rugoso naufrago arboreo e si
domandò quanto potesse essere lontano dal suo luogo d'origine. Era
approdato sulla costa inglese per decisione congiunta della sorte e
delle correnti marine dell'Atlantico, ma da dove era partito? Da
quanto tempo era in viaggio e dov'era il resto di sé? Dove aveva
lasciato le sue radici? E le sue foglie?
Crowley non avrebbe
saputo spiegare a parole la ragione del suo sentimentale interesse
per quel triste relitto che giaceva dinanzi a sé, ma era come se
avvertisse un sottile collegamento: anche lui si percepiva alla
deriva, immerso in un mondo ostile e preda di una corrente che non
sapeva dove l'avrebbe trascinato. Il demone sfiorò con la mano la
ruvida superficie della corteccia madida imbiancata dalla salsedine
dopodiché si sedette, allungando le gambe verso la distesa d'acqua
rabbiosa che ruggiva a pochi metri di distanza da lui.
Raccolse da terra un
bastoncino di legno umido e cominciò a tracciare dei segni sulla
sabbia, lasciando che i suoi pensieri prendessero il largo.
Avrebbe potuto
semplicemente andarsene. Lasciare l'Inghilterra per trasferirsi in un
angolo remoto del pianeta che gli artigli di Guerra, troppo presa dai
suoi affari in Europa, non avrebbero potuto ghermire.
Dopotutto, un demone
infernale non era legato a formalità umane come la cittadinanza o la
residenza. Aveva scelto la Gran Bretagna come dimora fissa, ma non
c'era nulla che lo legasse davvero a quella terra. Be', a parte lui.
Un repentino moto di
affetto misto a fastidio assalì Crowley, come succedeva ogni volta
che volgeva la sua mente consapevole ad Aziraphale. La loro ultima
litigata, risalente a quel giorno del 1862, li aveva indotti a
prendere le distanze l'uno dall'altro: non avevano contatti da
allora.2
Ma il demone non
aveva mai perso d'occhio l'amico. Conoscendolo, era abbastanza sicuro
che, presto o tardi, l'angelo si sarebbe cacciato in qualche guaio e
allora lui sarebbe dovuto accorrere in suo aiuto proprio come aveva
già fatto in Francia più di un secolo prima. E così seguiva
discretamente le sue mosse, pur senza mai riuscire a trovare il
coraggio necessario per avvicinarlo e parlargli, anche solo per un
saluto. Gli mancava la sua compagnia, ma non aveva idea di quali
sentimenti Aziraphale nutrisse attualmente nei suoi confronti: era
ancora arrabbiato per la faccenda dell'acqua santa? Probabile.
L'aveva perdonato? Difficile da credere, ma, del resto, quell'angelo
era sempre in grado di sorprenderlo. Avrebbe reagito bene ad un
tentativo di riconciliazione? Impossibile a dirsi.
C'erano troppe
incognite in quell'equazione. La paura di essere respinto, di
ricevere un rifiuto e di scoprire che settantasette anni non erano
bastati a stemperare l'acredine lasciata da quel litigio, lo
inducevano a tenersi a debita distanza da Aziraphale, il quale, in
ogni caso, pareva cavarsela piuttosto bene anche senza di lui.
Crowley avvertì una
stretta dolorosa comprimergli il petto e digrignò i denti,
maledicendosi per essersi di nuovo lasciato trasportare dal groviglio
di sentimenti e pensieri nei quali finiva sempre per rimanere
impastoiato quando c'era di mezzo l'angelo.
Tuttavia, non poteva
fare a meno di domandarsi se anche Aziraphale presagisse la
catastrofe imminente. Erano gli unici due esseri sovrannaturali
incarnati stabilmente sulla Terra e il demone avrebbe voluto poter
condividere i suoi crucci con l'unico individuo che sapeva avrebbe
potuto comprenderli del tutto e fornirgli consolazione.
Desiderò
ardentemente di averlo accanto, di perdersi nei pozzi di acqua
cristallina delle sue ridi e di sentire la sua voce dolce mentre gli
si rivolgeva con quell'appellativo speciale che, sebbene fosse
riluttante ad ammetterlo, faceva provare a Crowley un brivido di
felicità ogniqualvolta l'angelo ne faceva uso: caro.
La nostalgia
dell'angelo si era fatta così risonante da fargli provare un sordo
dolore fisico che pulsava in ogni fibra e gli stringeva la gola in un
nodo che quasi gli impediva il respiro.
Proprio in quel
momento, un'onda più determinata delle altre si spinse fino al
tronco e lambì i suoi piedi. Quando si ritirò, portò via con sé
le dieci lettere che Crowley aveva distrattamente scavato nella
sabbia.
Il demone osservò i
piccoli solchi colmarsi dell'acqua salmastra e decise che, allo
stesso modo, quelli tra i suoi pensieri, ben più profondi e
radicati, avrebbero tratto giovamento da una salutare innaffiata di
alcool scadente del pub più vicino che potesse trovarsi in quel
luogo sperduto.
Abbandonò il
legnetto, si alzò dal tronco e riprese a camminare a passo lento
lungo la battigia mentre un primo rombo in lontananza faceva da
araldo al temporale in arrivo.
La scritta nel suolo
vergata da Crowley si leggeva ormai a stento, ma prestando attenzione
e aguzzando la vista, si sarebbe ancora potuto distinguere un nome:
Aziraphale.
Soho,
Londra
Aziraphale aveva
allungato una mano verso lo scaffale per estrarre dalla fila ordinata
un volume di poesie di Oscar Wilde quando fu colto da una bizzarra,
intensa sensazione: come un formicolio sottopelle o un soffio caldo
solleticargli la nuca.
Per la sorpresa, le
sue dita si aprirono sul dorso del libro e questo cadde a terra con
un tonfo sordo.
L'angelo a malapena
se ne accorse e si guardò intorno per capire la causa di
quell'improvviso scombussolamento dei sensi. Gli era quasi parso di
udire una voce lontana che sussurrava il suo nome, ma la libreria era
vuota e immersa in una quiete silenziosa: il cartello apposto sulla
porta d'ingresso specificava a chiare lettere che quel giorno il
negozio non avrebbe aperto i battenti. L'angelo era completamente
solo, eppure...
Aziraphale scrollò
le spalle: doveva essersi sbagliato. D'altra parte, la tensione che
pervadeva le strade filtrava anche attraverso i muri della libreria e
doveva aver finito per suggestionarlo e fargli percepire cose non
reali.
Il Principato si
chinò a raccogliere il libro e spazzò via la polvere dalla
copertina usando delle carezze gentili; recuperò la tazza di tè che
si era appena preparato e si accomodò in poltrona, inforcando gli
occhiali da vista, dei quali non aveva alcun bisogno, e immergendosi
nella lettura.
Ma ben presto si
rese conto di star sprecando il proprio tempo: fissava le frasi sulle
pagine senza vederle o riuscire a conferirne un senso. Il suo spirito
irrequieto non traeva alcun beneficio né godimento dalle immagini
sapientemente drappeggiate dal poeta irlandese che solitamente
rappresentavano per lui un toccasana.
Ma non quel giorno.
Quel grigio dì di
dicembre non c'era sublime composizione lirica che potesse dare un
tocco di colore al mondo. Aziraphale richiuse il libro con un sospiro
e lo depose sul tavolo insieme agli occhiali. Tenne invece stretta la
tazza di tè tra le mani, lasciandosi pervadere dal calore che
emanava attraverso la porcellana, e uscì dal retro della libreria
per avvicinarsi alle finestre che davano sull'esterno: le poche
persone che camminavano per Soho si aggiravano convulsamente tra le
vie tenendosi rasenti ai muri, con movimenti furtivi, l'aria spaurita
e diffidente, le teste chine. Gli occhi spenti incastonati nei loro
volti tirati le facevano assomigliare a morti resuscitati dalla
tomba.
Perfino il Natale
sembrava aver perduto molta della sua forza e positività, oscurato
dall'ombra della minaccia proveniente da est che aleggiava su tutto
il paese come una nube tossica di fumo nero alla quale nessuno, uomo,
donna, o bambino, era immune.
L'angelo rilasciò
un secondo sospiro greve e tornò alla sua poltrona, prendendo un
sorso di tè e cercando di trarne quando più conforto possibile.
L'Europa era
nuovamente alle prese con una guerra. Non erano trascorsi che
vent'anni dagli orrori delle trincee fangose e del filo spinato3,
e ora ecco che il medesimo incubo si ripresentava in tutta la sua
efferatezza.
Come la maggior
parte degli inglesi, il 3 settembre Aziraphale aveva ascoltato alla
radio la voce grave e profonda del sovrano mentre annunciava al regno
che l'Inghilterra non sarebbe rimasta ferma a guardare mentre il
Führer e i suoi eserciti prendevano possesso del continente, ed
esortava i suoi sudditi a rimanere saldi e uniti per far fronte al
pericolo che incombeva e ai giorni bui che si sarebbero presentati,
confidando nella rettitudine e nella giustizia della resistenza al
folle disegno egemonico nazista.
La cadenza lenta e
solenne, unita alle lunghe pause tra le parole, potevano anche aver
costituito, all'inizio, un escamotage per ovviare al problema dalla
balbuzie che affliggeva il monarca fin da bambino, ma l'idea generale
che ne era conseguita era quella di una forte partecipazione empatica
e una vicinanza al cuore degli inglesi che non era affatto usuale per
i membri della famiglia reale.
Giorgio VI non aveva
fatto mistero della gravità della situazione, né aveva tentato
inutilmente di addolcire la pillola. Aveva parlato con franchezza ma
senza che ciò spogliasse di potenza la carica emozionale che
trasudava da ogni frase, da ogni pausa. Il suo era stato un discorso
denso di pathos che aveva raggiunto e toccato gli animi di tutti,
incluso quello angelico di Aziraphale.
Perché, per quanto
egli fosse una creatura eterea del Paradiso, risiedeva sulla Terra
dal 4004 e dunque non poteva completamente distaccarsi dalle vicende
umane, soprattutto di quella portata. Era come una goccia d'olio in
un fiume: non si sarebbe mai amalgamato con le singole particelle
d'acqua, ma ne seguiva lo stesso corso. E talvolta capitava che certi
eventi lo smuovessero più di altri.
Nel suo accorato
discorso alla nazione, il re aveva invitato tutti a stringersi e a
trarre forza e coraggio dalla reciproca vicinanza. Quel passo aveva
commosso particolarmente l'angelo: aveva immaginato padri, madri,
figli, figlie, fratelli e sorelle, intere famiglie in ascolto intorno
alla radio col fiato sospeso; aveva immaginato dita intrecciate,
sguardi d'intesa nei quali era racchiuso un intero universo di
significati, piccoli gesti di amore e reciprocità che alimentavano
la tenue fiammella della speranza per tenerla viva, per evitare che
si spegnesse e lasciasse campo libero a una disperazione dilagante e
fatale.
E allora le briglie
dei suoi pensieri si erano sciolte ed essi erano corsi, com'era
prevedibile, alla sola persona che Aziraphale avrebbe voluto avere
accanto a sé in quei tempi duri e spietati: Crowley.
Era a lui che il
Principato desiderava offrire appoggio e sostegno, e riceverne a sua
volta.
Negli ultimi tre
mesi, l'angelo si era ritrovato a pensare al vecchio amico più di
quanto avesse fatto nei settantasette anni che lo separavano dal loro
ultimo burrascoso incontro.
Non si era mai
chiesto davvero se avesse perdonato il demone per avergli sottoposto
una richiesta, una pretesa, tanto gravosa; ma ciò che era accaduto
quel giorno non poteva soffocare in Aziraphale il tormentoso
desiderio di rivedere Crowley, specialmente adesso che, con la nuova
guerra alle porte, le prospettive per il futuro si erano fatte così
incerte e desolanti.
In più di
un'occasione Aziraphale si era recato nei pressi di Mayfair senza la
spinta di una reale necessità. Sperava di incappare casualmente nel
demone e a quel punto... non lo sapeva. Non aveva idea di cosa
avrebbe fatto se gli fosse effettivamente capitato di imbattersi in
Crowley. Molto sarebbe dipeso anche dalla sua reazione e Aziraphale
non disponeva di alcun indizio che potesse fornirgli una dritta in
quel senso.
E così quando il
Principato rientrava alla libreria a seguito di quelle rapide ma
infruttuose incursioni nell'esclusivo quartiere londinese, si
ritrovava posseduto da un miscuglio contrastante di sentimenti: da
una parte il sollievo del codardo che preferiva rimanere nel dubbio
piuttosto che affrontare la realtà a viso aperto, dall'altra la
delusione mista a tristezza della parte di sé che invece avrebbe
sinceramente voluto un confronto diretto e risolutivo con Crowley,
fosse stato anche solo per realizzare che, dopo tutti quegli anni, il
demone ce l'aveva ancora con lui per avergli negato quel drastico
favore.
Ma il destino non
gli aveva mai arriso e le sue spedizioni si erano sempre concluse con
un nulla di fatto che lo gettava nello sconforto per almeno un paio
di giorni, durante i quali un cupo malumore si impossessava
dell'angelo a discapito degli incolpevoli clienti che si presentavano
in negozio.
La verità era una e
soltanto una, inconfutabile: Crowley gli mancava terribilmente.
Forse proprio per
questo motivo, poco prima, aveva avuto la netta impressione di
sentirlo invocare il suo nome: perché era esattamente ciò che
Aziraphale si ritrovava a fare sempre più spesso nel silenzio
polveroso del suo rifugio di carta e inchiostro.
Note:
1
:
Mi riferisco al discorso radiofonico che re Giorgio VI, padre
dell'attuale regina Elisabetta II, tenne il 3 settembre 1939 per
annunciare l'entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania
di Hitler e che costituisce anche la conclusione del film Il
discorso del re, del
2010. Il ritorno su questo argomento nella seconda parte della OS si
compenetra bene con il periodo e l'argomento di cui tratto, ma vuole
essere anche un piccolo tributo a quest'opera cinematografica che,
personalmente, amo molto.
2
:
In questa storia, considero valida la scansione temporale mostrataci
nella serie. Faccio questa precisazione per chi avesse letto il
capitolo 17 della raccolta (A
kind of magic), nel
quale faccio ritrovare Crowley e Aziraphale dopo soli otto anni dalla
litigata del 1862.
3 :
Mi riferisco ovviamente alla Prima Guerra Mondiale (1914-1918) della
quale i simboli e le immagini iconiche e più forti rimangono ancora
oggi proprio le trincee e il filo spinato.