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Autore: Stria93    18/01/2020    1 recensioni
Raccolta di One-Shots, più o meno brevi, a tema Aziraphale/Crowley ispirate alle canzoni dei Queen.
[...]
11 - Pain is so close to pleasure..........21 - I'm going slightly mad............31 - Funny how love is
12 - Somebody to love......................22 - Let me live............................32 - '39
13 - Good old fashioned lover boy.......23 - Hammer to fall......................33 - Radio Ga-Ga
14 - Don't try suicide.........................24 - Innuendo (Halloween shot).....34 - Brighton Rock
15 - Delilah......................................25 - Ride the wild wind..................35 - You take my breath away
16 - You're my best friend..................26 - You and I (Halloween shot)
17 - A kind of magic.........................27 - Made in heaven
18 - One vision................................28 - Jealousy
19 - Killer Queen..............................29 - A winter's tale
20 - Back chat.................................30 - You don't fool me
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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39

Don’t you hear my call

though you’re many years away

Don’t you hear me calling you

All your letters in the sand

cannot heal me like your hand


'39, Queen, 1975




Da qualche parte in Inghilterra, dicembre 1939



La spiaggia era deserta, fatta eccezione per qualche bianco gabbiano che lanciava il proprio grido nel vento. Vento che, come una frusta gelata, sferzava senza pietà quella lingua di sabbia tra le scogliere bianche svettanti verso un cielo di ferro popolato da nuvole plumbee.
Crowley aveva l'impressione che quel cielo fosse tanto pesante da potersi schiantare sulla Terra da un momento all'altro, ma forse si trattava solo dell'eco della pesantezza che gravava sul suo petto e che veniva proiettato all'esterno.
Il demone passeggiava sul bagnasciuga in ascolto dello sciabordio dell'oceano agitato, lasciando dietro di sé orme profonde ma che non potevano dare la misura della portata di tutte le atrocità alle quali i suoi occhi avevano assistito.
Il Diluvio Universale, le grandi pestilenze che nel '300 avevano sconvolto l'Europa decimandone la popolazione, le guerre e le faide più sanguinose, rivoluzioni cruente. Ognuno di questi cupi avvenimenti era impresso a fuoco nella memoria millenaria di Crowley.
Perché vivere tra gli umani come entità sovrannaturale, e dunque non soggetta al decadimento fisico e all'azione divoratrice del Tempo, tra gli indiscutibili benefici, comportava questo svantaggio: scivolare inerme attraverso epoche in cui la speranza sembra evaporare nel nulla e abbandonare ogni creatura vivente, condannando a un'esistenza di sconforto e terrore collettivi, virulenti, come un'epidemia dello spirito che sfianca anche il cuore più forte fino a rendere insostenibile la quotidianità; fino a quando tutto sembra precipitare senza freni verso un baratro nero dal quale non potrà esserci ritorno.
Ma gli umani potevano almeno sperare nella pace dell'eterno oblio, lui era obbligato ad andare avanti e a ritrovarsi periodicamente spettatore delle stesse tragedie che si ripresentavano puntuali come fantasmi impossibili da scacciare.
Ma naturalmente non si trattava di fantasmi, Crowley lo sapeva bene. Ciò che minacciava il regolare corso della vita era dotato di una forma spaventosamente più concreta.
Erano i Tre che si dedicavano alle proprie macabre scorribande sulla Terra a spese dei suoi abitanti. Tre, ai quali immancabilmente si accompagnava il Quarto, che pure era sempre al lavoro con la propria falce, instancabile: la sua costante presenza all'ombra della Creazione si poteva ravvisare nel fiore che appassiva, o in un vecchio che si arrendeva infine alla forza usurante degli anni e prendeva congedo da questo mondo, andandosene al braccio del Cavaliere dal manto nero.
Nei secoli addietro, Crowley aveva avuto la possibilità di vederli all'opera più volte e, per quanto le loro modalità d'azione differissero per metodi e mezzi e mutassero adeguandosi ai tempi, avevano una cosa in comune: il loro passaggio era sempre fonte di immenso dolore e incontenibile sofferenza. Spezzavano la vita di chi soccombeva fisicamente sotto i loro colpi micidiali, certo; ma anche quella di coloro che restavano, di tutti quegli altri che, per una questione di tempra o forse solamente di mera fortuna, scampavano temporaneamente alla falce di Morte e si riducevano a trascinarsi giorno dopo giorno lungo una strada impervia e oscura, che nessuno poteva dire dove avrebbe condotto, sempre che vi fosse una destinazione.
Una di loro era particolarmente attiva in quel periodo e aveva fomentato venti di burrasca che già da anni soffiavano silenti serpeggiando tra i paesi e le nazioni del cosiddetto Vecchio Continente. Guerra era tornata e prometteva di dare spettacolo di sé come mai aveva fatto prima di allora. Aveva lavorato alacremente dietro le quinte, sotto le ceneri lasciate dall'ultimo grande conflitto mondiale, infettando ferite ancora aperte e avvelenando le menti degli uomini con i suoi mezzi preferiti: la paura e l'odio.
Il 1° settembre di quell'anno era scoppiato ufficialmente il nuovo conflitto, con l'invasione della Polonia da parte della Germania guidata da Adolf Hitler e due giorni più tardi il re Giorgio VI aveva annunciato pubblicamente ai sudditi la presa di posizione del paese contro l'avanzata nazista.1
Il demone l'aveva vista in azione molto spesso, Guerra. Le piacevano il clamore, il boato dei cannoni, il clangore delle spade, il rosso del sangue vivo che sgorgava copioso dalle ferite e inzuppava le divise, la polvere che ricopriva i corpi dei caduti ammassati l'uno all'altro... non amava passare inosservata e agire con pazienza e lentezza, a differenza di quanto soleva fare invece Carestia.
Ma questa volta c'era qualcosa di diverso: Crowley poteva sentirlo nell'aria fredda e metallica vibrante di un'indefinibile tensione, come elettricità. Lo avvertiva intimamente, ben più in profondità del suo involucro corporeo, fin nell'animo, fin nella sua essenza più antica e ancestrale. Di notte era visitato da incubi che brulicavano di immagini orribili e gli parlavano dell'avvento di una delle ore più buie che la Terra avesse mai conosciuto. Un'ora che si stava avvicinando a velocità drammatica.
Ne era inesplicabilmente certo: si era messo in moto qualcosa di proporzioni colossali. Si preparavano avvenimenti che avrebbero segnato per sempre la storia dell'Umanità intera e lui ne percepiva tutta la potenza non ancora manifesta, allo stesso modo in cui poteva percepire l'avvicinarsi della tempesta che presto si sarebbe abbattuta su quella stessa spiaggia.
Non gli piacevano le guerre, le pestilenze o le carestie. Erano periodi foschi che inghiottivano famelici ogni cosa buona potesse esserci al mondo; ogni cosa bella, ogni cosa per la quale valesse la pena continuare a vivere laggiù.
Gli umani perdevano la voglia di inventare, di creare meraviglie, di abbellire e migliorare la propria esistenza grazie a quelle idee ingegnose che Crowley tanto apprezzava e ammirava. Tutte le qualità creative e intellettuali di uomini e donne erano invece piegate per servire la causa di Guerra: si sviluppavano armi sempre più distruttive, sempre più letali, sempre più orrende; si pianificavano strategie da usare contro il nemico; si sottometteva la tecnologia alla tattica militare per schiacciare l'avversario, prevederne le mosse e anticiparle in modo da coglierlo di sorpresa. In tempo di Guerra non c'era spazio per minuzie e facezie; non quando la priorità assoluta era la sopravvivenza propria e delle persone amate.
Vivere a stretto contatto con gli umani aveva portato Crowley ad affezionarsi a loro. Aveva maturato un sincero apprezzamento per quelle creature effimere ma tenaci e assistere impotente agli orridi tormenti che queste pativano a causa del flagello di Guerra e dei suoi illustri colleghi faceva affiorare in lui un vivo senso di dispiacere.
Crowley rabbrividì all'ennesima coltellata del vento pungente che si insinuava sotto le sue vesti. Si strinse nel cappotto e levò lo sguardo verso il cielo, oltre i gabbiani, oltre le nubi gravide di pioggia.
Mai come in quei momenti il demone sentiva su di sé la presa ferrea della solitudine. Quando venivano a mancare le distrazioni che lo tenevano occupato e l'aria stessa che si respirava era satura di timore e sospetto, ogni frivolo diversivo appariva solo come una vana fuga da una realtà che gli alitava sul collo con il suo fiato gelido e fetido, sempre troppo pregnante per essere elusa. Una cappa di tetraggine opprimente calava sul mondo che lo circondava e Crowley veniva afferrato dal prepotente desiderio di avere qualcuno al proprio fianco: una presenza amica che potesse alleviare il fardello che, talvolta, la sua condizione di immortale comportava
Avanzò affondando con le scarpe nella sabbia bagnata e compatta fino ad arrivare in prossimità di un massiccio tronco d'albero sospinto a riva dalla forza delle onde. Crowley osservò quel rugoso naufrago arboreo e si domandò quanto potesse essere lontano dal suo luogo d'origine. Era approdato sulla costa inglese per decisione congiunta della sorte e delle correnti marine dell'Atlantico, ma da dove era partito? Da quanto tempo era in viaggio e dov'era il resto di sé? Dove aveva lasciato le sue radici? E le sue foglie?
Crowley non avrebbe saputo spiegare a parole la ragione del suo sentimentale interesse per quel triste relitto che giaceva dinanzi a sé, ma era come se avvertisse un sottile collegamento: anche lui si percepiva alla deriva, immerso in un mondo ostile e preda di una corrente che non sapeva dove l'avrebbe trascinato. Il demone sfiorò con la mano la ruvida superficie della corteccia madida imbiancata dalla salsedine dopodiché si sedette, allungando le gambe verso la distesa d'acqua rabbiosa che ruggiva a pochi metri di distanza da lui.
Raccolse da terra un bastoncino di legno umido e cominciò a tracciare dei segni sulla sabbia, lasciando che i suoi pensieri prendessero il largo.
Avrebbe potuto semplicemente andarsene. Lasciare l'Inghilterra per trasferirsi in un angolo remoto del pianeta che gli artigli di Guerra, troppo presa dai suoi affari in Europa, non avrebbero potuto ghermire.
Dopotutto, un demone infernale non era legato a formalità umane come la cittadinanza o la residenza. Aveva scelto la Gran Bretagna come dimora fissa, ma non c'era nulla che lo legasse davvero a quella terra. Be', a parte lui.
Un repentino moto di affetto misto a fastidio assalì Crowley, come succedeva ogni volta che volgeva la sua mente consapevole ad Aziraphale. La loro ultima litigata, risalente a quel giorno del 1862, li aveva indotti a prendere le distanze l'uno dall'altro: non avevano contatti da allora.2
Ma il demone non aveva mai perso d'occhio l'amico. Conoscendolo, era abbastanza sicuro che, presto o tardi, l'angelo si sarebbe cacciato in qualche guaio e allora lui sarebbe dovuto accorrere in suo aiuto proprio come aveva già fatto in Francia più di un secolo prima. E così seguiva discretamente le sue mosse, pur senza mai riuscire a trovare il coraggio necessario per avvicinarlo e parlargli, anche solo per un saluto. Gli mancava la sua compagnia, ma non aveva idea di quali sentimenti Aziraphale nutrisse attualmente nei suoi confronti: era ancora arrabbiato per la faccenda dell'acqua santa? Probabile. L'aveva perdonato? Difficile da credere, ma, del resto, quell'angelo era sempre in grado di sorprenderlo. Avrebbe reagito bene ad un tentativo di riconciliazione? Impossibile a dirsi.
C'erano troppe incognite in quell'equazione. La paura di essere respinto, di ricevere un rifiuto e di scoprire che settantasette anni non erano bastati a stemperare l'acredine lasciata da quel litigio, lo inducevano a tenersi a debita distanza da Aziraphale, il quale, in ogni caso, pareva cavarsela piuttosto bene anche senza di lui.
Crowley avvertì una stretta dolorosa comprimergli il petto e digrignò i denti, maledicendosi per essersi di nuovo lasciato trasportare dal groviglio di sentimenti e pensieri nei quali finiva sempre per rimanere impastoiato quando c'era di mezzo l'angelo.
Tuttavia, non poteva fare a meno di domandarsi se anche Aziraphale presagisse la catastrofe imminente. Erano gli unici due esseri sovrannaturali incarnati stabilmente sulla Terra e il demone avrebbe voluto poter condividere i suoi crucci con l'unico individuo che sapeva avrebbe potuto comprenderli del tutto e fornirgli consolazione.
Desiderò ardentemente di averlo accanto, di perdersi nei pozzi di acqua cristallina delle sue ridi e di sentire la sua voce dolce mentre gli si rivolgeva con quell'appellativo speciale che, sebbene fosse riluttante ad ammetterlo, faceva provare a Crowley un brivido di felicità ogniqualvolta l'angelo ne faceva uso: caro.
La nostalgia dell'angelo si era fatta così risonante da fargli provare un sordo dolore fisico che pulsava in ogni fibra e gli stringeva la gola in un nodo che quasi gli impediva il respiro.
Proprio in quel momento, un'onda più determinata delle altre si spinse fino al tronco e lambì i suoi piedi. Quando si ritirò, portò via con sé le dieci lettere che Crowley aveva distrattamente scavato nella sabbia.
Il demone osservò i piccoli solchi colmarsi dell'acqua salmastra e decise che, allo stesso modo, quelli tra i suoi pensieri, ben più profondi e radicati, avrebbero tratto giovamento da una salutare innaffiata di alcool scadente del pub più vicino che potesse trovarsi in quel luogo sperduto.
Abbandonò il legnetto, si alzò dal tronco e riprese a camminare a passo lento lungo la battigia mentre un primo rombo in lontananza faceva da araldo al temporale in arrivo.
La scritta nel suolo vergata da Crowley si leggeva ormai a stento, ma prestando attenzione e aguzzando la vista, si sarebbe ancora potuto distinguere un nome: Aziraphale.



Soho, Londra


Aziraphale aveva allungato una mano verso lo scaffale per estrarre dalla fila ordinata un volume di poesie di Oscar Wilde quando fu colto da una bizzarra, intensa sensazione: come un formicolio sottopelle o un soffio caldo solleticargli la nuca.
Per la sorpresa, le sue dita si aprirono sul dorso del libro e questo cadde a terra con un tonfo sordo.
L'angelo a malapena se ne accorse e si guardò intorno per capire la causa di quell'improvviso scombussolamento dei sensi. Gli era quasi parso di udire una voce lontana che sussurrava il suo nome, ma la libreria era vuota e immersa in una quiete silenziosa: il cartello apposto sulla porta d'ingresso specificava a chiare lettere che quel giorno il negozio non avrebbe aperto i battenti. L'angelo era completamente solo, eppure...
Aziraphale scrollò le spalle: doveva essersi sbagliato. D'altra parte, la tensione che pervadeva le strade filtrava anche attraverso i muri della libreria e doveva aver finito per suggestionarlo e fargli percepire cose non reali.
Il Principato si chinò a raccogliere il libro e spazzò via la polvere dalla copertina usando delle carezze gentili; recuperò la tazza di tè che si era appena preparato e si accomodò in poltrona, inforcando gli occhiali da vista, dei quali non aveva alcun bisogno, e immergendosi nella lettura.
Ma ben presto si rese conto di star sprecando il proprio tempo: fissava le frasi sulle pagine senza vederle o riuscire a conferirne un senso. Il suo spirito irrequieto non traeva alcun beneficio né godimento dalle immagini sapientemente drappeggiate dal poeta irlandese che solitamente rappresentavano per lui un toccasana.
Ma non quel giorno.
Quel grigio dì di dicembre non c'era sublime composizione lirica che potesse dare un tocco di colore al mondo. Aziraphale richiuse il libro con un sospiro e lo depose sul tavolo insieme agli occhiali. Tenne invece stretta la tazza di tè tra le mani, lasciandosi pervadere dal calore che emanava attraverso la porcellana, e uscì dal retro della libreria per avvicinarsi alle finestre che davano sull'esterno: le poche persone che camminavano per Soho si aggiravano convulsamente tra le vie tenendosi rasenti ai muri, con movimenti furtivi, l'aria spaurita e diffidente, le teste chine. Gli occhi spenti incastonati nei loro volti tirati le facevano assomigliare a morti resuscitati dalla tomba.
Perfino il Natale sembrava aver perduto molta della sua forza e positività, oscurato dall'ombra della minaccia proveniente da est che aleggiava su tutto il paese come una nube tossica di fumo nero alla quale nessuno, uomo, donna, o bambino, era immune.
L'angelo rilasciò un secondo sospiro greve e tornò alla sua poltrona, prendendo un sorso di tè e cercando di trarne quando più conforto possibile.
L'Europa era nuovamente alle prese con una guerra. Non erano trascorsi che vent'anni dagli orrori delle trincee fangose e del filo spinato3, e ora ecco che il medesimo incubo si ripresentava in tutta la sua efferatezza.
Come la maggior parte degli inglesi, il 3 settembre Aziraphale aveva ascoltato alla radio la voce grave e profonda del sovrano mentre annunciava al regno che l'Inghilterra non sarebbe rimasta ferma a guardare mentre il Führer e i suoi eserciti prendevano possesso del continente, ed esortava i suoi sudditi a rimanere saldi e uniti per far fronte al pericolo che incombeva e ai giorni bui che si sarebbero presentati, confidando nella rettitudine e nella giustizia della resistenza al folle disegno egemonico nazista.
La cadenza lenta e solenne, unita alle lunghe pause tra le parole, potevano anche aver costituito, all'inizio, un escamotage per ovviare al problema dalla balbuzie che affliggeva il monarca fin da bambino, ma l'idea generale che ne era conseguita era quella di una forte partecipazione empatica e una vicinanza al cuore degli inglesi che non era affatto usuale per i membri della famiglia reale.
Giorgio VI non aveva fatto mistero della gravità della situazione, né aveva tentato inutilmente di addolcire la pillola. Aveva parlato con franchezza ma senza che ciò spogliasse di potenza la carica emozionale che trasudava da ogni frase, da ogni pausa. Il suo era stato un discorso denso di pathos che aveva raggiunto e toccato gli animi di tutti, incluso quello angelico di Aziraphale.
Perché, per quanto egli fosse una creatura eterea del Paradiso, risiedeva sulla Terra dal 4004 e dunque non poteva completamente distaccarsi dalle vicende umane, soprattutto di quella portata. Era come una goccia d'olio in un fiume: non si sarebbe mai amalgamato con le singole particelle d'acqua, ma ne seguiva lo stesso corso. E talvolta capitava che certi eventi lo smuovessero più di altri.
Nel suo accorato discorso alla nazione, il re aveva invitato tutti a stringersi e a trarre forza e coraggio dalla reciproca vicinanza. Quel passo aveva commosso particolarmente l'angelo: aveva immaginato padri, madri, figli, figlie, fratelli e sorelle, intere famiglie in ascolto intorno alla radio col fiato sospeso; aveva immaginato dita intrecciate, sguardi d'intesa nei quali era racchiuso un intero universo di significati, piccoli gesti di amore e reciprocità che alimentavano la tenue fiammella della speranza per tenerla viva, per evitare che si spegnesse e lasciasse campo libero a una disperazione dilagante e fatale.
E allora le briglie dei suoi pensieri si erano sciolte ed essi erano corsi, com'era prevedibile, alla sola persona che Aziraphale avrebbe voluto avere accanto a sé in quei tempi duri e spietati: Crowley.
Era a lui che il Principato desiderava offrire appoggio e sostegno, e riceverne a sua volta.
Negli ultimi tre mesi, l'angelo si era ritrovato a pensare al vecchio amico più di quanto avesse fatto nei settantasette anni che lo separavano dal loro ultimo burrascoso incontro.
Non si era mai chiesto davvero se avesse perdonato il demone per avergli sottoposto una richiesta, una pretesa, tanto gravosa; ma ciò che era accaduto quel giorno non poteva soffocare in Aziraphale il tormentoso desiderio di rivedere Crowley, specialmente adesso che, con la nuova guerra alle porte, le prospettive per il futuro si erano fatte così incerte e desolanti.
In più di un'occasione Aziraphale si era recato nei pressi di Mayfair senza la spinta di una reale necessità. Sperava di incappare casualmente nel demone e a quel punto... non lo sapeva. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto se gli fosse effettivamente capitato di imbattersi in Crowley. Molto sarebbe dipeso anche dalla sua reazione e Aziraphale non disponeva di alcun indizio che potesse fornirgli una dritta in quel senso.
E così quando il Principato rientrava alla libreria a seguito di quelle rapide ma infruttuose incursioni nell'esclusivo quartiere londinese, si ritrovava posseduto da un miscuglio contrastante di sentimenti: da una parte il sollievo del codardo che preferiva rimanere nel dubbio piuttosto che affrontare la realtà a viso aperto, dall'altra la delusione mista a tristezza della parte di sé che invece avrebbe sinceramente voluto un confronto diretto e risolutivo con Crowley, fosse stato anche solo per realizzare che, dopo tutti quegli anni, il demone ce l'aveva ancora con lui per avergli negato quel drastico favore.
Ma il destino non gli aveva mai arriso e le sue spedizioni si erano sempre concluse con un nulla di fatto che lo gettava nello sconforto per almeno un paio di giorni, durante i quali un cupo malumore si impossessava dell'angelo a discapito degli incolpevoli clienti che si presentavano in negozio.
La verità era una e soltanto una, inconfutabile: Crowley gli mancava terribilmente.
Forse proprio per questo motivo, poco prima, aveva avuto la netta impressione di sentirlo invocare il suo nome: perché era esattamente ciò che Aziraphale si ritrovava a fare sempre più spesso nel silenzio polveroso del suo rifugio di carta e inchiostro.





Note:


1 : Mi riferisco al discorso radiofonico che re Giorgio VI, padre dell'attuale regina Elisabetta II, tenne il 3 settembre 1939 per annunciare l'entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania di Hitler e che costituisce anche la conclusione del film Il discorso del re, del 2010. Il ritorno su questo argomento nella seconda parte della OS si compenetra bene con il periodo e l'argomento di cui tratto, ma vuole essere anche un piccolo tributo a quest'opera cinematografica che, personalmente, amo molto.


2 : In questa storia, considero valida la scansione temporale mostrataci nella serie. Faccio questa precisazione per chi avesse letto il capitolo 17 della raccolta (A kind of magic), nel quale faccio ritrovare Crowley e Aziraphale dopo soli otto anni dalla litigata del 1862.


3 : Mi riferisco ovviamente alla Prima Guerra Mondiale (1914-1918) della quale i simboli e le immagini iconiche e più forti rimangono ancora oggi proprio le trincee e il filo spinato.




  
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