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Autore: crissi    01/02/2020    10 recensioni
Il mio lavoro mi costringe a volte a diventare invisibile nelle famiglie; obbligato a rimanere, indesiderato testimone, anche in momenti che intimi e segreti dovrebbero restare. E a restare imperturbabile, saldo, professionale, anche quando il loro dolore diventa mio.
Missing moments molto liberi visti da una personaggio marginale, una figura professionale ricorrente nell’anime, che ho voluto immaginare sempre come lo stesso individuo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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17 inevitabile follia 17 inevitabile follia

Giugno 1789, Parigi

La guardo rivestirsi, dandomi le spalle, lenta. Ostenta sicurezza come sempre, ma da sempre la sua nudità ed ancor di più il dover essere sincera con me , la imbarazzano.
Esile. Troppo esile.
Pallida. Troppo pallida.
Guardo la sua pelle diafana e vedo la morte che la sta divorando.
Guardo il suo corpo ossuto e vedo la fine vicina.
Tisi.

Silenzio.
Solo lo strusciare del tessuto sulla pelle e poi della giacca sulla camicia; lo schiocco del cuoio della cinta che viene serrata; il lieve rumore del metallo della lama che si aggiusta nella guaina
- Bene, dottore…  Sono pronta ad ascoltare la verità. So che la diagnosi che state per emettere è terribile, ma io già la conosco.
Diretta e tagliente come sempre e vorrei crederle.
Vorrei davvero che fosse pronta per ciò che l'aspetta, per la dolorosa agonia, per il consumarsi oltre l'immaginabile, tutto il contrario di ciò per cui viene forgiato un soldato.
Ma nessuno è mai pronto. La morte ti sorprende sempre con la sua bruttura ed arriva troppo presto. Sempre troppo presto.


- Le vostre condizioni generali non sono affatto buone - mormoro a capo chino,  incapace di conciliare la verità con il suo sguardo - …  e quella tosse mi fa pensare …
- … alla tisi. Lo so, lo so bene. - mi interrompe col tono inizialmente tonante e più debole, incerto, ansioso in quella nota finale. - È già da alcuni mesi che alcuni sintomi mi hanno fatto pensare a questo terribile male. Vorrei soltanto sapere quanto mi resta da vivere . - mormora infilando i guanti candidi sulle lunghe dita, con lenta ed  irritante precisione.

"Morirà? Sì."
- La tubercolosi non è incurabile, - mento, ma solo in parte. Infatti ho utilizzato il termine curare, non guarire. Tutto può essere curato, anche solo portando attenzioni e gentilezza, guarito invece…
- A volte si è giunti a completa guarigione con riposo e dieta appropriata
“… e lo chiamiamo miracolo”, commenta acidamente la mia coscienza.
- Dottore non voglio certo morire. Ho ancora molte cose da fare. - replica sgarbata.
- Non voglio dire che sia tardi. Dovete abbandonare la carriera… altrimenti non vivrete più di sei mesi, Oscar. - rispondo quasi altrettanto sgarbatamente.
Un attimo di silenzio tra noi a quietarci.
- Vi ringrazio per essere stato sincero con me, dottore.
Annuisco. Comincio a scriverle le prescrizioni.
- Raccomando una dieta variata ed equilibrata, uno stile di vita sano. Dovete riposare ed aver cura di voi. - Esordisco, chino sul mio scrittoio - E poi… Valeriana, biancospino, melissa per ben riposare… Angelica, agnocasto… per l'amenorrea …- mi blocco di colpo, non ho valutato quella possibilità.
- Perdonate la domanda, colonnello, ma…
- Se state per chiedermi se conosco un uomo intimamente, no dottore. Mai. Non ho tempo per queste cose.
Annuisco, ma tra me penso che non sia il tempo a mancarle.
Ricordo bene la donna vestita di bianco, che mi urtava fuggendo dal ballo.
Lei aveva trovato il tempo di invaghirsi per Fersen, un uomo innegabilmente affascinante, ma non adatto a lei.

E non lo era perché ella era pronta a dare tutto, ma lui non aveva nulla da dare, avendo a sua volta già dato tutto.
" I peccatori restano…"
Scuoto il capo: non posso pensare alla mia rosa in questo momento.
Al suo respiro lento, al suo pallore, ai giorni interminabili della sua agonia; quando la osservavo respirare piano, a fatica, piangere e respingere l'aiuto delle domestiche ed anche il mio. E poi io che allontanavo malamente la cameriera chiedendo di lasciarci soli … Il suo rimpianto sussurrato al mio orecchio con la forza dell'ultimo respiro… E niente più respiri. Il suo volto che scivolava di lato, come per dormire, in quel sonno dal quale mai più si sarebbe risvegliata.
Porto la mano alla fronte per celare le lacrime prepotenti ed inopportune.

Ma rammento anche l'avvertimento di Alexandra nei primi tempi della nostra frequentazione, quando mi disse "ricordi di guardare negli occhi i suoi pazienti, dottore".
Non sono bravo quanto lei, né a leggere l'iride, cosa cui credo solo a momenti alterni, né tantomeno l'animo delle persone, eppure nel momento in cui per poco incrocio lo sguardo con Oscar, nella profondità di quel turchese intravedo il dolore, il peso delle cose non fatte, delle cose che vorrebbe fare e l'incombente realtà di ciò che non farà mai. E capisco che più della tisi, è il suo cuore in gabbia a condurla alla tomba.
Preso dalla commozione, non so perché, ma mi illudo che la sua situazione migliorerà, un leggero ottimismo mi invade.
Ed alla mente si affaccia lui.

- Come sta il vostro André? È da un po' che non viene a farsi visitare…
- Perché André dovrebbe venire a trovarla? - domanda volgendosi di scatto verso di me, mentre il suo volto si tinge di vero terrore.
Ed io sprofondo nella sua paura, mi sento cadere, come se con quella domanda abbia aperto un pozzo sotto i nostri piedi.
- È mai possibile che...
Sciocco testardo!… La verità rende liberi, penso, e sarebbe davvero il momento di spezzare le catene e parlarle chiaramente.
Vada come vada.
Costi quel che costi.



Palazzo Jarjayes, 17 luglio 1789

- Sandrine? - mormoro schiudendo gli occhi, chiamato al risveglio da quella sensazione di sentirmi osservato.
Nessuno risponde eppure un'ombra è qui, di fianco al mio letto nella stanza delle rose, e mi guarda silenzios; le lacrime scendono sulle sue guance vive seppur pallide.
Sbatto le palpebre, cerco di mettere a fuoco: non è un ricordo, non è un fantasma.

- Rosalie… ma… - balbetto, ancora intontito, riconoscendola.
Mi sollevo sul copriletto e lascio scivolare le gambe fino a posare i piedi nudi sul pavimento fresco, piacevolmente reale.
- Che succede?
- La vecchia balia è spirata. - riesce a sussurrare in un singhiozzo prima di celarsi il volto con le mani ed abbandonarsi al pianto.
Mi alzo ed accolgo tra le braccia l'orfana che conobbi, mai tanto orfana come oggi. In silenzio, perché non c'è più forza per la disperazione.
Quanto dolore potrà ancora colpire questa casa?

E così, rassegnato a ciò che il fato ha deciso, mi sono ricomposto, rinfrescato, perfino sbarbato.
A lei, a Marron, avrebbe fatto piacere vedermi così. La guardo nella penombra dell'alba che filtra appena, composta nel suo letto di morte dai domestici: il suo abito migliore, la sua immancabile cuffietta di pizzo… Pare pronta a prendere servizio, un'altra giornata di lavoro, lavoro che era la sua vita.
Immagini di lei, così uguale negli anni, scorrono nei miei ricordi, e non resta che tenerezza per questa donna, così piccola, così grande. Lei destinata a stare a guardare, senza mai intervenire, sempre combattuta, sempre in bilico tra l'amore per il suo André, quello per la sua Oscar, quello per la famiglia che serviva, che amava.  
Spero sia ora finalmente libera dai suoi acciacchi e dalle sue responsabilità.
Spero sia serena e in un posto migliore.

Mi chino a sfiorarle con un bacio la fronte ancora calda.
- Buon viaggio, Madame… - auguro in un sussurro.
Esco quindi  nel corridoio già luminoso del primo mattino, richiudendomi la porta alle spalle con la stessa sensazione di quando si chiude un romanzo appena concluso, che ci ha accompagnato nei giorni con tante pagine, ci ha rincuorato ed esaltato, fatto piangere e sorridere; ed ora ci lascia la sua assenza, le domande sul domani, i dubbi, le riflessioni.
Da fuori giunge il rumore di carrozze sulla ghiaia del viale: altri parenti in arrivo.
É il giorno dell'addio.

Il salone dei ricevimenti non è poi così gremito come ci sarebbe potuti aspettare dalla prematura dipartita di Oscar Francois des Jarjayes.
Personaggio di rilievo, più  discusso che discutibile, certamente non inosservato e difficilmente dimenticabile.
Nobile, ufficiale; volto noto, animo schivo; leale alla Corona, ma fedele alla propria coscienza … Uomo? Donna? Certamente c'è ancora chi se lo domanda.
Era una persona ombrosa, a volte prepotente, ma onesta e scevra di opportunismo.
E per tutto ciò, personaggio impegnativo e fastidioso.

Ci sono parenti, alcuni amici del generale, nessuna autorità di rilievo.
Le sorelle di Oscar con i rispettivi consorti sono presenti.
Scorgo il generale da un lato della stanza, madame dall'altro e, frapposti tra loro, un certo numero di anziani consanguinei, le colonne di famiglia; quelli che intervengono ad ogni funerale borbottando "io sarò il prossimo", come fosse una scommessa che mai si vorrebbe vincere.

Tutte persone che Oscar avrà visto poche volte nella vita, che non la conoscevano e che ora probabilmente vorrebbero disconoscerla.
Tanti preti e suore, il ramo clericale, tipico di ogni famiglia aristocratica di buon livello; presenti più per dovere richiesto dalla loro posizione che per reale sentimento verso la defunta.

Riconosco anche il vecchio conte Girodelle, intervenuto da solo perché il figlio è stato imprigionato dopo aver disobbedito agli ordini di Sua Maestà.
Il generale si avvicina per ringraziarlo della sua partecipazione.
- Sono qui solo perché l'ho promesso a Victor. Solo per questo, Jarjayes. - sottolinea sprezzante.
- Io… comunque Vi sono grato. A voi ed a vostro figlio. Ad Oscar avrebbe fatto piacere …
- Lasciate perdere, Jarjayes! Non tiriamo in causa i piaceri di vostra figlia!
Si allontana poggiandosi al bastone, probabilmente, l’unico sostegno che avrà nella sua vecchiaia se Victor non verrà graziato; evidentemente ritiene responsabile Oscar per la rovina del figlio e, sebbene non si possa certamente parlare di colpe, poiché ciò che il cuore decide, anche quando fa del male, non è considerabile alla stregua di un delitto, deve costargli davvero molto trovarsi qui.
Il generale resta immobile, senza parole.
Distrutto, umiliato. Infinitamente triste.

Dal gruppo dei generi si leva un brusio.
- Adesso basta! - esclama al consorte una delle figlie attirando l'attenzione del generale.
- Che succede ora? - domanda egli spazientito, avvicinandosi.
La secondogenita cerca ancora di zittire il marito, inutilmente.
- Non possiamo! Non possiamo seppellirli nella cappella come nulla fosse accaduto! Non possiamo seppellirli insieme! Avete sentito il conte Girodelle? Nel migliore dei casi, saremo lo zimbello di Versailles!
- Abbassa la voce… - ringhia la moglie.
- No! Passi come sono morti, possiamo negarlo e mettere tutto a tacere, ma loro … insieme!… Magari riportando il suo nome su una lapide accanto ai nostri? Ad ammorbare il lignaggio, a rubarci ...
- Non vogliamo rubare niente a nessuno, - si intromette mestamente Rosalie, da un angolo - sarà temporaneo…
- Non c'è nulla di temporaneo nel disonore! Quanta vergogna devono ancora causarci, quanto…
- Ad Arras! - grido improvvisamente. E tutti tacciono. - Ad Arras, vogliamo solo portarli ad Arras… - aggiungo guardando il generale negli occhi con tono di supplica. - Non possiamo affrontare il viaggio con questo caldo e con i tumulti in corso. Tra qualche mese… tra qualche mese, quando tutto si sarà calmato, col freddo, verrò a prenderli e li accompagnerò personalmente ad Arras. Là dove avrebbero voluto stare. Stiamo solo chiedendo asilo per i loro corpi, nulla di definitivo.
Nella sala cala il silenzio, tutti a guardare me, a guardare il generale.
Un movimento dal gruppo dei generi viene stroncato preventivamente da un dito alzato del generale.
Solo un dito ad avvertire che la misura è colma e che non un fiato verrà tollerato.

- Resteranno qui per tutto il tempo necessario. Per tutto il tempo che io vorrò. - rincara, autoritario - E nessuno, chiunque esso sia, dovrà osare un fiato in opposizione. E resteranno insieme. Indipendentemente dalle loro ultime scelte che non posso condividere, le loro spoglie meritano rispetto che in queste ore potrebbe venire a mancare. Quindi resteranno qui. Insieme, sì. L'ultima volta che parlai ad André, gli dissi che se fosse stato nobile, avrei caldeggiato la loro unione perché sapevo che l'avrebbe resa felice. Alla fine così è stato, nonostante me, nonostante tutti, nonostante il mondo. Quello che non avevo ancora capito, a differenza di Oscar, è quanto lui fosse già nobile. Nell'animo.  La nobiltà più vera. L'origine di ogni nobiltà. Non avrei potuto avere figli migliori - confessa ancora una volta, ma pubblicamente, posando lo sguardo minaccioso su ogni presente - Ed è quindi giusto che egli riposi accanto alla donna che amava e che lo ricambiava.
Nel silenzio totale, madame Marguerite si scioglie dall'abbraccio delle figlie e cammina piano, ma decisa verso il marito, a testa alta .
Esita un istante di fronte a lui, guardandolo in volto, guardandolo negli occhi, scivolando sui lineamenti ben conosciuti come se li stesse improvvisamente riscoprendo.
Poi, inaspettatamente, la mano si leva ed  uno schiaffo, un unico colpo violento come mai mi sarei aspettato dalla signorile e delicata Marguerite che conosco, lo colpisce sulla guancia.  Tra la sorpresa generale, Jarjayes non risponde e fissa la consorte senza fiatare.

- Per averlo ammesso solo ora. - Sentenzia Marguerite tra le lacrime, posando una carezza laddove aveva appena colpito, prima di rifugiarsi nell' abbraccio del marito che non aveva mai smesso di amare e che mai, nel profondo, aveva smesso di amare lei.
- Ed ora, portami a dar l'addio a mia figlia - mormora stringendolo forte.

Preceduti dall'anziano cugino incaricato della benedizione alle salme ed al sepolcro, intontiti dalle litanie e dalla stanchezza di una notte per lo più insonne, i coniugi Jarjayes stretti tra loro, si avviano attraverso il cortile e tutti noi li seguiamo.
Rosalie accanto a me è esageratamente pallida e temo possa svenire da un momento all'altro.
L’iniziale rabbia con la quale ha cominciato questo viaggio, ha lasciato il posto al sentimento vero che l’aveva ispirata, ovvero il dolore, forte, devastante, irrimediabile per la perdita subita.

La cappella già ci attende a porte spalancate, come dantesco ingresso al purgatorio.
Dentro hanno cominciato i lavori di preparazione dei sepolcri per cui le panche e le bare sono state spostate per consentire a quattro uomini di muoversi e, nel pavimento a ridosso dell'altare, già si apre una voragine laddove le lastre di marmo sono state sollevate.
I corpi  verranno deposti sotto il piano di calpestio, nei posti originariamente destinati a madame ed al generale.
Un posto d'onore. Così ha deciso Jarjayes.

Marguerite stretta al marito fissa il buio a pochi passi oltre i suoi piedi.
- Ho saputo che Oscar si è messa in prima fila… - mormora mentre tremori incontrollabili la agitano - Perché? - domanda ad Auguste che si limita a scuotere il capo - Perché? - ripete ansiosa volgendosi a me, come se da questa risposta dipendessero la sua vita e la sua sanità mentale - Voleva morire?
- No… - sussurro prendendole il braccio per aiutare il generale a sostenerla, perché so cosa aspettarmi.
"Negare… "
Negare per sopravvivere, o trovare una ragione dove la ragione non ha senso.

- Non voleva morire, ma solo smettere di soffrire. - mormoro a Marguerite - Non credo lei cercasse la morte davanti alla Bastiglia, ma solo sollievo. Nessuno vuole realmente morire, ma solo smettere di soffrire. E lei soffriva enormemente. Semplicemente, è morta come è vissuta. Senza tirarsi indietro.
- Non sono riuscito a dirle addio, ero convinto che sarebbe tornata. - aggiunge  Jarjayes con voce spezzata.
Con la coda dell'occhio, scorgo Rosalie sedersi pesantemente su una panca, ma non posso soccorrerla.
Dolore di madre, di padre, dolore di figlia.

I domestici levano le spade ed i drappi che coprono le casse, liberando il puzzo accumulatosi al di sotto durante la notte che va a mescolarsi con quello delle candele e dell'incenso; gli uomini di fatica spostano le bare sul pavimento, sopra delle  funi con le quali verranno calate sottoterra.
Marguerite ha uno slancio in avanti, piange, rifiuta l'addio e dobbiamo trattenerla in due.
-... Oscar… bambina… la mia Oscar… sottoterra… no…- singhiozza.
Cominciano a calare la cassa di André, poi Oscar.
Negli spostamenti, le due bare si urtano, come in un'ultima stretta di mani, un ultimo contatto, un ultimo sfiorarsi prima del riposo eterno.

Durante tutto questo, il prete non ha interrotto un istante le preghiere; parole in latino, vecchie di secoli quanto il dolore degli uomini in terra, parole che ascolto solo a tratti perché il mio cuore fa troppo rumore.
"Il Signore è il mio pastore…"
"Ad acque tranquille mi conduce…"
"Non temerei alcun male…"
"Lavali da ogni colpa…"
"Là dove ogni lacrima verrà asciugata…"
"Concedi loro il riposo eterno…"
"Amen"

E così sia.

***





 

   
 
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