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Autore: syila    13/02/2020    7 recensioni
Le acque del Mar della Cina sono infestate dai pirati, lo sa bene Sigvard Ohlsen, giovane ufficiale di rotta di stanza sul Vasa; uno piroscafo di lusso per passeggeri danarosi, che ha avuto il torto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
L'assalto di una ciurma di predoni non ha risparmiato nessuno, massacrando uomini e donne e lasciando lui a morire di una lenta agonia legato sul ponte della nave.
Ma non tutti i pirati sono brutali e sanguinari, alcuni posseggono un codice d'onore e il signor Ohlsen sta per scoprirlo...
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Victoriana'
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Capitolo I°

Navigare necesse est, vivere non necesse.
Il primo ricordo di Sigvard Ohlsen sono le sue mani – mani di bambino – che tesano la scotta della randa. La vela appartiene a un piccolo Sloop che sta fendendo le onde grigie del Kattegat.
Sigvard avrà certo fatto altre cose prima di quella, avrà detto le prime parole, mosso i primi passi, forse ha riso o giocato, ma è come se la sua vita fosse cominciata realmente solo con la capacità di dominare il vento e il mare a bordo di un’imbarcazione.
Poi sono arrivate barche più grandi, orizzonti più ampi.
Al grigio del Mare del Nord si sono aggiunti il verde del Baltico e il color vino dell’Egeo cantato da Omero, il bruno limaccioso del Golfo di Finlandia e il blu profondo dell’Atlantico.
E il turchese pastoso del Mar dei Caraibi, e lo zaffiro dell’Oceano Indiano.
E la furia di schiuma e vento del Capo di Buona Speranza, con le procellarie che gridano e le onde come cavalli impazziti.
La vita di Sigvard è mare e vento.
Arriva il primo viaggio da solo, a quattordici anni, su un vapore della compagnia paterna.
A Macao per caricare spezie e seta.
Lui deve guardare e imparare.
Imparare la navigazione e il commercio, per diventare un degno successore di Gunnar Ohlsen, importatore di merci pregiate.
Ma non fa per lui, non è quel che vuole.
Sigvard non è fatto per stare a guardare.
L’occhio non può comunicargli il fremito della vela che prende vita gonfiata dal vento, o l’esaltazione di volare sulle onde a venti nodi, con gli spruzzi salati che ti arrivano in faccia e il vento che ti stordisce.
Ci sono cose che si percepiscono nel profondo, e solo con il corpo nella sua interezza.
Osservare le cose, atto asettico e distaccato, non equivale a viverle.
E così a Macao scrive una lettera. Poche righe, non è tipo da perdersi in preamboli.
Caro padre, grazie per tutto quello che avete fatto per me, ma voglio trovare la mia strada da solo.
Porta con sé solo i libri di studio e le carte nautiche, tutto il resto se lo lascia alle spalle.
Si imbarca.
È alto, gli è facile passare per sedicenne.
Ogni tanto si sente chiedere se è parente di Ohlsen della compagnia di navigazione, ma invariabilmente risponde di no.
Velieri, vapori, persino una giunca. Equipaggi e merci di ogni genere.
Luoghi lontani, popoli dei quali nemmeno sospettava l’esistenza.
E intanto studia.
Indefessamente, approfittando di ogni momento libero.
Navigazione, trigonometria, astronomia.
A soli diciotto anni supera brillantemente gli esami di ufficiale.
Ne ha ventuno quando si imbarca come ufficiale di rotta sulla Vasa, nave passeggeri partita da Stoccolma per raggiungere Shanghai.
La Vasa è un magnifico piroscafo tutto bianco, al suo viaggio inaugurale.
Qualcuno potrebbe obiettare che il suo nome è sfortunato, ma siamo in pieno Positivismo, e la superstizione è relegata nelle stamberghe delle megere.
Vederlo scivolare sulle onde con la Gran Gala di Bandiere e coi suoi bei fumaioli bianchi e azzurri è una gioia per gli occhi.
E a bordo ci sono gentiluomini eleganti, e signore dai vestiti colorati, e ufficiali con le loro belle uniformi blu dai bottoni dorati.
Non si è mai visto un piroscafo più bello.
E il signor Ohlsen, come adesso viene chiamato, è sicuramente il più bello degli ufficiali.
Alto, biondo, gli occhi cangianti sui toni del grigio e dell’azzurro.
I lineamenti dolci del fanciullo si sono induriti in quelli di un giovane uomo senza però perdere la loro armonia.
Più d’una delle graziose passeggere lo guarda sospirando.
Ma il signor Ohlsen ha occhi solo per la Vasa e per la sua rotta, null’altro gli suscita interesse.
Lo si può vedere a prua, dritto e severo, a scrutare il mare e il cielo, ma mai rivolto verso la coperta a ricambiare gli sguardi timidi delle fanciulle.
Il signor Ohlsen non ha tempo per queste cose.



Diario del Capitano Justus Van Loo.
Domenica 5 di Aprile 1885, Mare della Cina, Pasqua del Signore.

Abbiamo lasciato finalmente Halmahera e l'accogliente baia di Somola dove ci hanno tenuti fermi gli ultimi strascichi del monsone e le operazioni di calafataggio della chiglia che ormai non potevano più essere rimandate.
Facciamo rotta verso Singapore, là dove nubi pensanti e grasse di pioggia si sfilacciano e lasciano intravedere uno squarcio di sereno. Il morale degli uomini è altalenante; favoleggiano di mercantili da depredare e navi passeggeri traboccanti di bellissime “madam” ingioiellate; vogliono rifarsi dei mesi di magra dovuti al maltempo, ma d'altro canto li eccita l'idea di sbarcare presto in una città per così dire “civile” e dare fondo agli ultimi spiccioli in qualche bordello.

Ore 11
Il signor Wu riferisce che avremo ancora aragoste e polpa di granchio a pranzo. Qualche lamentela nell'equipaggio, da tre settimane non si mangia altro; mentre, ironia della sorte, nelle Table d'hote europee la gente è disposta a spendere follie per uno di questi crostacei.
Aristotele dice che è nella natura del desiderio non poter essere soddisfatto e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo; naturalmente i marinai della Seung non sanno chi sia Aristotele, sanno solo che mangerebbero volentieri un bel maiale arrosto e non l'ennesima Langouste.
Nota disciplinare.
Il signor Cardoso è consegnato nei suoi alloggi fino alla fine della settimana.
Motivo: ha approfittato della sua qualifica di capo stiva per sottrarre alcol e altri generi di conforto affidati alla sua custodia.
Alcuni non capiscono la mia decisione, presumo che il fatto di essere pirati giustifichi ruberie e imbrogli anche tra di loro e a ben guardare c'è della logica in questo paradosso; rubare ad un ladro conferisce al furto una parvenza di liceità.

Ore 15
Il signor Lynch trova più divertente arrampicarsi fino al timone e osservarmi scrivere il diario di bordo piuttosto che lucidare il ponte, come le sue mansioni di mozzo gli imporrebbero; ha ciondolato un po' qui attorno fingendo di dare di spazzola, infine mi si è appollaiata dietro le spalle e dopo aver tentato inutilmente di decifrare il testo ha chiesto cosa avessi tanto da scrivere ogni giorno.


La grafia diventa incomprensibile, lo scritto viene ultimato in altra pagina.

Questa specie di scimmietta dai capelli rossi ha posato le mani sull'inchiostro ancora fresco costringendomi a buttare il foglio e alle mie minacce, peraltro non seguite da fatti concreti, è scappata berciando sull'albero più alto e non ne vuole sapere di scendere.
Ha diciotto anni, è semianalfabeta e irlandese, Dio lo perdoni soprattutto per quest'ultima cosa e Dio perdoni la mia ostinazione a voler inculcare nell'equipaggio una qualche forma di disciplina.
Perseverare è diabolico, ma una ciurma addestrata non è peccato, semmai è un peccato che dei gentiluomini di fortuna, quali siamo, si lascino sfuggire un pingue vapore olandese a causa dell'inettitudine e della disorganizzazione.

Benedici la Seung e i suoi uomini buon Dio.
E metti sulla nostra strada un bel mercantile se puoi.
Amen




Con il suo bello scafo nuovo e liscio e le moderne turbine a vapore, la Vasa fila a diciotto nodi, con punte di ventuno.
Il Kattegat, lo Skagerrak, la Manica, Gibilterra, il Canale di Suez, il Mar Rosso, il Golfo di Aden, l’immensità dell’Oceano Indiano e infine lo Stretto di Malacca e il Mare di Giava disseminato di isole.
Lì la corsa della Vasa rallenta: i fondali sono bassi, le coste infide.
Gli eleganti passeggeri nei loro abiti chiari non sanno nulla di pirati e scogli, guardano fuori appoggiati alle murate, si indicano l’un l’altro il salto dei pesci volanti e il lussureggiare delle coste tropicali.
Fiori magnifici, uccelli dai mille colori.
E i profumi che la brezza porta da terra, e l’incanto dei tramonti tropicali.
E canoe che sfilano silenziose, a bordo ragazze ridenti, dagli abiti di seta colorata.
Abituati a paesaggi di tenue dolcezza o di gelido rigore, i passeggeri sono storditi e affascinati.
L’acqua è di un blu profondo, il cielo è turchese, le selve sono esplosioni di verdi, i fiori sono carminio, giallo, porpora, rosa e un bianco denso come latte.
L’unico che rimane di ghiaccio è il signor Ohlsen.
Lui non ha tempo per il paesaggio, deve pensare alla rotta della Vasa e ai pericoli che l’elegante piroscafo potrebbe incontrare durante la navigazione.

Tramonto infuocato.
Rosso aranciato laddove il sole sta scomparendo dietro l’orizzonte, azzurro cupo a Oriente.
Le prime stelle sulla volta ormai nera.
La Vasa procede piano, in coperta grappoli di luci che brillano su una festa danzante.
Stralci di musica e risate, signore e signorine ingioiellate, con abiti vaporosi come nuvole.
L’acqua è uno specchio cupo, appena increspato da onde lievissime.
Il signor Ohlsen è inquieto.
Così addobbata e rutilante, piena di gente che fa chiasso, la Vasa gli sembra la Nave dei Folli di Brant.
Non lo sanno che il Mare di Giava è zona di pirati?
Ma lui non è il comandante, è solo l’ufficiale di rotta.
Suo compito è portare il piroscafo verso il Golfo di Thailandia, e da lì nel Mare della Cina, non preoccuparsi dei pirati.



Diario del Capitano Justus Van Loo.
Martedì 15 Aprile 1885, Mare della Cina

Dopo giorni di nulla assoluto in cui, tenendo la rotta del caucciù tra Giava e Sumatra, le uniche imbarcazioni che abbiamo incontrato erano le piccole giunche dei pescatori locali, finalmente si è profilata all’orizzonte la sagoma massiccia di un mercantile Olandese, il Kristina.
L’entusiasmo per l’avvistamento è dilagato rapidamente tra la ciurma come un’epidemia di colera, tuttavia, mantenendo il sangue freddo, gli uomini hanno notato subito qualcosa di strano nella linea di galleggiamento della nave; troppo sopra il pelo dell’acqua per un’imbarcazione di quella stazza, troppo leggera, perciò troppo vuota.
Quanto al Kristina è bastato che sparassimo alcuni colpi di avvertimento in aria, perché il loro equipaggio arrestasse le macchine facendoci salire a bordo senza opporre la minima resistenza.
E questa fu la conferma definitiva che le loro stive erano vuote.
“Spazzolate fino all'ultima balla di seta e fino all'ultima oncia di cannella” come puntualizzò solerte e non privo di una rassegnata ironia il capitano davanti ad un bicchiere di Cognac, nella conversazione più diplomatica e cortese che mi sia capitata da un anno a questa parte.
L'equipaggio aspettava solo di raggiungere il primo porto munito di telegrafo per comunicare l'avvenuto furto alla Compagnia di navigazione, la quale del resto aveva prudentemente assicurato il carico.

La concorrenza ci aveva preceduti ed è ingiusto chiamarla “concorrenza sleale” perché non esiste un simile concetto nella pirateria, dove chi primo arriva meglio alloggia.
Gli uomini della Seung non l'hanno presa bene e sono fioccate diverse proposte: la più misericordiosa prevedeva l'affondamento del mercantile, con tutto il suo equipaggio, naturalmente.
Alla fine sono riuscito a spuntare un onorevole compromesso dopo una breve trattativa con la ciurma, che ha accettato parte dei viveri e dei generi di prima necessità di cui siamo sprovvisti come “risarcimento” del mancato abbordaggio.
È incredibile cosa possono fare patate, scatolette di carne e una collezione di fotografie licenziose requisite all'aiuto cuoco del Kristina.
Dio perdoni la mia ambizione e il mio orgoglio, però non me la sono sentita di unirmi agli altri e festeggiare una volta tornati sulla giunca.
Se ci accontentiamo delle briciole che cadono dalla tavola del ricco vivendo in casa sua alla ventura non è filibusta, ma elemosina.

Ore 16,00
Quattro ore dopo aver abbandonato il mercantile olandese il signor Lynch è venuto a chiamarmi in coperta manifestando un notevole grado di eccitazione, al mio arrivo c'erano già una decina di uomini, che indicavano un punto bianco sull'orizzonte.
Una nave passeggeri.
Strano.
Totalmente fuori dalle rotte mercantili, da cui anche noi ci siamo allontanati per dirigerci a Celebes, sembra andare alla deriva, forse a causa di un'avaria.
Dopo una scrupolosa osservazione col cannocchiale ho dato l'ordine di avvicinarci, tenendoci fuori dalla portata di tiro delle armi, una trappola è una circostanza da tenere nella dovuta considerazione.
Dalla nostra abbiamo che una giunca pirata è simile a qualsiasi altra giunca di pescatori, dalle Indie Olandesi al Mar Giallo e passa inosservata, almeno finché non tiriamo fuori i fucili.
La cosa che ci lascia più perplessi, però, è la sinistra mancanza di movimento a bordo; nessuno sui ponti, né marinai,né passeggeri, molti uccelli marini appollaiati sui fumaioli e qualcosa di rosso che macchia vistosamente le murate candide.
Tenderei ad escludere che si tratti di ruggine.
Caleremo in mare una scialuppa e con un piccolo gruppo di uomini cercherò di salire sulla “Vasa”.




Quello che macchia le murate è sangue secco, sgrondato giù dagli ombrinali come pioggia durante un acquazzone.
La coperta è un raccapricciante mattatoio sul quale grava il lezzo dolciastro della putrefazione.
I corpi, a decine, giacciono contorti dopo gli spasimi dell’agonia, con la gola tagliata, addosso brandelli di vestiti.
Una mano di donna penzola priva di dita, evidentemente amputate per asportare più facilmente gli anelli, un uomo supino rivolge al cielo l’agghiacciante ghigno della bocca spalancata per strappare i denti d’oro.
Una ragazzina a gambe aperte, la biancheria e le carni lacerate, testimonia che non erano solo le ricchezze materiali ad attrarre gli assalitori.
Dappertutto segni di una lotta disperata quanto inutile.
Buchi di proiettili, bruciature, ufficiali e marinai, ma anche passeggeri di sesso maschile, trucidati a colpi di fucile o machete.
E poi un’immagine grottesca.
Un corpo nudo appeso per i polsi, incrostato di sangue, che dondola lentamente seguendo il rollio della nave alla deriva.
È un giovane uomo dai capelli biondi, col capo reclinato all’indietro e i piedi che sfiorano le assi insanguinate della coperta.

Su onde che la luna rende argento e giaietto, la Nave dei Folli scivola spensierata, lasciandosi dietro musica e risate.
Occhi rapaci la seguono, fissando avidi le dame ingioiellate che volteggiano allegre in coperta.
Dalle coste vicine si staccano pian piano piccoli battelli neri che cominciano a seguire la scia della Vasa, aspirando con voluttà ferina l’odore di benessere che essa si lascia dietro.
L’assalto arriva in piena notte, quando anche le ultime coppie si sono ritirate nelle cabine per dormire e in coperta non ci sono che pochi marinai di guardia.
Figure senza volto saltano sulla nave silenziose, dilagano, uccidono. L’onda mortifera invade la coperta, si divide in rivoli nei corridoi, giù per le scale e passa di cabina in cabina seminando terrore e devastazione.
Echeggiano spari, i lampi delle esplosioni lacerano le tenebre fitte.
Il signor Ohlsen se l’aspettava. Aveva parlato con il comandante, non facciamo la festa qui, non è prudente, ma si era sentito rispondere di pensare alla rotta e lasciare il comando a chi aveva più esperienza di lui.
Quando sente in coperta lo scalpiccio soffice dei piedi nudi capisce subito cosa sta succedendo. Corre a dare l’allarme, ma ormai i pirati sono ovunque. Organizza una difesa, non sa dove siano gli ufficiali più anziani, se siano vivi o morti, ma non c’è tempo di cercarli, fa distribuire armi, lui stesso combatte disperatamente, ma è troppo tardi.
La Vasa viene conquistata, i passeggeri uccisi l’uno dopo l’altro come pecore al macello, i corpi spogliati, ogni avere depredato.
A Ohlsen, ferito e immobilizzato dopo un’eroica resistenza, non tocca il privilegio di una morte rapida, sono troppi i pirati che ha mandato all’altro mondo.
Deve morire dopo un’atroce agonia, torturato dai raggi spietati del sole, di fame e sete se non lo uccideranno prima le ferite.
Viene appeso per i polsi ad una catena che pende da un pennone, unico e ultimo cuore pulsante sulla Vasa, e abbandonato alla deriva con la nave mentre i pirati immaginano ghignando i gabbiani che beccheranno quei begli occhi blu dal volto che ancora freme negli ultimi sussulti di vita.


Il corpo dondola lentamente sotto lo sguardo inorridito di van Loo.



Saccheggio, stupro, esecuzioni sommarie; tutto, tutto ciò che il Capitano olandese aveva visto in anni di addestramento militare e in seguito come pirata si ammassa ora sul ponte della Vasa come un campionario grottesco e caotico di devastazione.
Nonostante abbia maturato una specie d'insensibilità al dolore altrui, un vaccino che gli permette di tenere testa testa a situazioni estreme, quella vista, complice l'odore nauseabondo della decomposizione e il caldo soffocante, gli prende lo stomaco come un mozzo alla sua prima tempesta.
“Kap'tin!” l'esclamazione che in malese rende approssimativamente la sua qualifica lo riporta alla realtà “Kap'tin, questo è ancora vivo!”.
Il signor Lynch, la scimmia dal pelo rossiccio che si era intrufolata all'ultimo momento sulla lancia, fa dondolare il povero cristo attaccato al pennone.

Gli altri stanno già sciamando attorno ai corpi, frugano negli stracci in cerca di qualcosa che i predoni hanno dimenticato nella concitazione dell'assalto.
Così non va.
“Signor Xiao, signor da Silva, Signor Yazici, prendete due uomini ciascuno e ispezionate la nave da cima a fondo: stive, cabine passeggeri e del personale, sala macchine; entro un'ora vi voglio sul ponte di comando.”
“Ma Kap'tin non è rimasto niente da prendere!”
“Già, siamo arrivati tardi anche qui, mala suerte que te follen...” verseggia lo spagnolo sputando sul sangue rappreso.
“Niente? La Vasa vi sembra niente? Lasciamo ai nostri colleghi il bottino, al mare i corpi di questi disgraziati, noi ci prendiamo la nave!”
L'idea d'impossessarsi di un vascello grande quasi il doppio della Seung suona abbastanza folle e audace da elettrizzare i sottoposti, che si guardano tra loro e poi esplodono in un triple “hurrà” per l'olandese, prima di disperdersi, armi cariche e orecchie tese, nella pancia della Vasa.

“E questo qui?” Insiste petulante il signor Lynch dando un'altra spinta al corpo appeso al gancio, che oscilla in modo più marcato strappandogli un lamento dal limbo dell'incoscienza.
L'avevano lasciato in vita perché il sole, il caldo e gli uccelli finissero il lavoro al posto loro e nonostante ciò si erano presi la briga di divertirsi parecchio con quel ragazzo biondo; chissà perché, ma c'è davvero un perché e un limite alla crudeltà umana?
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza...
“Aiutatemi a tirarlo giù, lo portiamo nella cabina del comandante.”
“Ma... è praticamente morto kap'tin! O lo sarà tra poco!”
Analfabeta, giovane, irlandese e pignolo per giunta! Ma da qualche parte devo cominciare a pagare per i miei peccati no?
“Se muore, morirà come un cristiano, non come un'offerta sacrificale e se sopravvive ci spiegherà come sono andate le cose, forza andate all'argano e calate il gancio.”
“Signorsì signor Kap'tin!”



Sigvard Ohlsen rimane per giorni abbandonato in un limbo, alla deriva come la Vasa.

Ha contemplato la propria morte.
L’ha fatto per ore, forse per giorni.
L’ha vista crescere come una pianta infestante, come un parassita che si gonfia lentamente di sangue.
Ad ogni tentativo fallito di liberarsi, ad ogni fitta dei polsi straziati dalle catene, ad ogni respiro inalato con caparbia volontà nonostante i muscoli tesi e doloranti.
L’ha vista fissarlo in agguato, e poi muoversi lenta, sinuosa verso di lui, man mano che la sua esausta volontà lo abbandonava.
Aveva sempre pensato che sarebbe morto in mare, ma non immaginava che sarebbe morto così.
O forse nessuno immagina di morire nel modo che gli viene proposto.
Tutti hanno in mente qualcosa di diverso, di più eroico, di più consono.
Ma è raro che la Morte tenga conto dei gusti altrui quando giunge.
La Morte prende senza chiedere permesso.
Esita, con Sigvard.
Forse vuole giocare.
Si avvicina, lo tocca con le sue dita gelide, poi si scosta per fargli vedere una nave che scivola all’orizzonte, esattamente come il leopardo allenta le mascelle per consentire un ultimo disperato respiro alla sua vittima.
È l’ultima vita della Vasa, la Morte ne ha già mietute tante lì sopra, e forse non è più affamata.
O forse se la vuole conservare come una specie di cioccolatino a fine pasto.

“E questo qui?”
Una voce si sovrappone allo stridio degli uccelli accorsi al richiamo della Morte, li scaccia.
Il Mietitore si ritrae in un angolo: non è ancora giunto il suo momento, non può ancora portarsi via l’ultima vita della Vasa.
Ma rimane a contemplarla, non permetterà che gliela sottraggano.
Rimane a vegliarla, fedele e silenziosa come un cane.



Fine prima parte


⋆ La voce dell'intraprendenza ⋆

Questo racconto in tre capitoli è frutto di un lavoro a quattro mani con un amico-di-scrittura di vecchia data, che forse alcuni di voi già conoscono e apprezzano: Old Fashioned.
Vi invito caldamente a visitare la sua pagina https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=934147 dove potrete trovare una produzione letteraria variegata e sempre di altissima qualità.
Il soggetto fa parte di una "Galassia Vittoriana" da cui era già uscito "La traversata" e da cui non escludo possa venir fuori anche altro.
Dopo un leggero restyling, necessario ad eliminare il velo di polvere che il tempo aveva depositato su questi due soggetti e le loro avventure, abbiamo deciso di pubblicarlo e di condividerlo con voi ^-^
Qualsiasi riscontro sarà gradito e molto apprezzato!

NB: il titolo è un prestito del grande Hugo Pratt, autore di magnifiche tavole a tema marittimo, ricche di fascino, mistero e avventura.



   
 
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