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Autore: Mary P_Stark    09/03/2020    1 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chaos – 1 –
 
 
 
 
Non era mai avvenuto che qualcuno penetrasse nel suo regno, e senza il suo permesso, per giunta, ma andava anche detto che, tutto ciò che era legato a quel giovane, Alekos Parthenos, sfuggiva alle sue regole.

Da morto nel grembo materno che era – e perciò destinato al regno di Ade – Érebos lo aveva fatto divenire una singolarità, legando Alekos all’anima immortale della madre, e contravvenendo così a ogni regola fin lì scritta.

Un’anima senza il proprio filo della vita, però, non serviva a molto. Il dio Ctonio, perciò, non si era limitato a creare questo legame, ma aveva suddiviso in due il suo filato, pregando le figlie perché lo utilizzassero.

Thanatos, però, non aveva potuto impedire a se stesso di compiere il proprio compito e, a cose fatte, Alekos si era già trovato entro i confini del regno di Ade.

Alekos, quindi, aveva potuto vivere, pur se nel regno dell’Oltretomba e, grazie ad anima e filo, aveva potuto crescere fino al ricongiungimento con la madre.

Questa singolarità, che Chaos stesso aveva seguito con interesse, aveva quindi creato altre singolarità, scompaginando un regno, fino a quel momento, perfettamente equilibrato. Il dio della creazione, a quel punto, aveva iniziato a seguire le vicende del giovane semidio con occhio sempre più preoccupato, la curiosità ormai del tutto spazzata via dall’ansia.

La luce sviluppatasi nell’animo di Alekos aveva in principio eccitato Chaos – era raro vedere creature così pure e incontaminate – ma, col passare del tempo, ne aveva anche scorto le pecche, le limitazioni.

Una luce sempre più vivida e pura poteva causare gli stessi danni di un’oscurità completa e divorante, e proprio per questo le due entità dovevano convivere assieme, così da rendere necessarie e stabili entrambe.

In Alekos, però, non v’era ombra di oscurità alcuna e questo aveva portato, con il tempo, a un sovraccarico di energia senza controllo, energia che voleva divenire sempre più grande, più forte e indipendente.

Il corpo di un semidio non poteva contenerla senza incorrere in seri danni e, da quel poco che Chaos aveva potuto vedere nel corso degli anni, il momento di stallo era infine giunto.

Restava soltanto da scoprire se l’equilibrio si sarebbe ristabilito, o se le due entità coinvolte in questa singolarità, si sarebbero eliminate a vicenda.

Sorridendo spontaneamente quando, nell’osservare il corpo disteso di Alekos, Chaos ne vide il lento respiro farsi sempre più forte, sospirò sollevato e mormorò: «Bene. Si sta riprendendo.»

Quando gli occhi verde smeraldo di Alekos finalmente si aprirono, Chaos si avvicinò al letto su cui lo aveva sistemato e disse: «Bentornato, Alekos. Come ti senti?»

Il giovane si levò a sedere con movimenti goffi, resi tali dall’enorme dispendio di energie che aveva bruciato nel trasmutarsi con le sue sole forze.

Quando infine si ritrovò a fissare un uomo dalla folta barba grigia da una posizione più consona, Alekos esalò confuso: «Dove mi trovo? E tu chi sei?»

Indicando il luogo privo di mura – o dimensioni – in cui si trovavano, Chaos si limitò a dire: «Sei nel mio regno, Alekos. Quanto a me, io mi son parte di quella possanza che vuole continuamente il male e continuamente produce il bene.»

Accigliandosi leggermente, Alekos replicò: «Perché hai citato il Mefistofele di Goethe?»

Sorridendo compiaciuto per essere stato scoperto nella con così tanta facilità, Chaos asserì: «Era una citazione calzante, vista la situazione unica in cui ti trovi. Comunque, tornando serio, posso dirti questo; io sono Chaos, e questo è il luogo in cui tutto e tutti dimorano, prima di essere creati da me e da me avviati alla vita.»

Il giovane spalancò gli occhi per lo sconcerto, guardandosi intorno con espressione confusa e, nulla vedendo attorno a sé se non il letto su cui era seduto e la poltroncina ove era assiso Chaos, esalò: «Ma… qui non c’è niente!»

Sorridendo comprensivo, Chaos allora domandò: «Il bianco è un colore singolo, o è la somma di più colori?»

«La somma… di più colori» mormorò cauto Alekos, sentendosi abbastanza in forze per scostare le coltri e poggiare i piedi a terra. Sotto di sé, pur non vedendo nulla se non un uniforme bianco – e neppure la sua ombra – avvertì una presenza morbida e fresca, come se fosse stato su un prato.

Chaos assentì ancora, aggiungendo: «Perciò, pur se è vero che tu vedi solo bianco, sai che c’è anche altro, all’interno del bianco.»

Lui annuì, ma domandò: «Perché mi trovo qui?»

«Questo dovresti dirmelo tu. Sei tu a esserti trasmutato qui, e credimi… è la prima volta che capita» gli sorrise l’uomo che era Chaos, prima di mutare sotto gli occhi stralunati di Alekos e divenire una donna. «Oh, scusa… non ho badato a dirtelo. Avrei dovuto avvisarti, prima.»

Impallidendo visibilmente, il giovane gracchiò sconcertato: «Ma… ma che sta succedendo? Ero… mi trovavo da Eris, e…»

A quell’accenno, la memoria di Alekos tornò in tutta la sua ferocia a bombardarlo di immagini, di sensazioni, di odori e violenti. Come un maglio che ne colpisse le membra, si ripiegò quindi su se stesso, sentendosi pienamente colpevole di fronte a ciò che aveva fatto, e a quanto dolore aveva causato.

Chaos, allora, gli carezzò il capo e mormorò: «Cosa ti turba tanto, ragazzo?»

«Ho… ho compiuto un atto meschino, e me ne vergogno molto» sospirò Alekos, risollevando lo sguardo per fissarlo negli occhi cerulei della donna che aveva innanzi. «Perché… prima eri un uomo?»

«Perché io sono tutto e sono nulla, Alekos. Non ho forma definita, né definita entità. Ogni tanto cambio forma, poiché io ne possiedo in numero infinito e, a quanto sembra, tu avevi bisogno di una figura femminile, per sentirti a tuo agio e parlare con me» gli spiegò Chaos, sorridendogli cordiale.

«Quindi, in questo posto… sono nato anch’io?» domandò a quel punto Alekos, tornando a guardarsi intorno.

Il bianco dilagante stava pian piano svaporando, lasciando intravedere le mura di un’abitazione… o era un tempio? Che fosse un tentativo di Chaos di metterlo a suo agio?

«Certamente. Ma avresti dovuto prendere un’altra via, rispetto a quella attuale, dopo otto mesi e due giorni… cosa che non avvenne» sottolineò Chaos, levando un sopracciglio con una punta di ironia. «Sai il perché?»

«Me lo disse Érebos. Legò la mia anima a quella di mia madre, così che io potessi vivere ugualmente, anche se nel regno di Ade» asserì Alekos.

«Ma l’anima, da sola, non può dare la vita a una persona» sottolineò Chaos, mandandolo in confusione.

«Cosa… intendi dire?» esalò Alekos, turbato da quelle parole.

Chaos, allora, volse il capo verso sinistra e, subitanea, una parte del suo mondo divenne visibile anche agli occhi di Alekos.

Migliaia, forse milioni di anime candide attendevano pazienti in fila indiana, apparentemente in attesa dell’arrivo di qualcosa, o di qualcuno. Ciascuna di esse, tra le mani, portava con sé un piccolo fuso, su cui era avvolto del filo chiaro e traslucido.

«Ogni anima, ha… ha un…» tentennò Alekos, cominciando a capire le parole di Chaos. «Atropo aveva già tagliato il mio filo, quando Érebos mi legò a mia madre!»

«Esatto, mio caro, e nessun filo può essere riutilizzato, una volta che esso è stato reciso.»

Le mani di Alekos artigliarono il lenzuolo su cui erano poggiate e, iniziando a comprendere la portata del sacrificio di Érebos, il giovane gracchiò terrorizzato: «Mio… mio padre mi ha… il suo filato, forse…?»

Chaos sorrise comprensiva, asserendo: «Come un cavo di fibra ottica è composto da più filamenti, così il filato di una vita viene creato unendo più fili. Érebos chiese alle figlie di suddividere a metà il suo per donarlo a te, così da permetterti di vivere.»

«No, no, no…» singhiozzò Alekos, ripiegandosi in avanti quasi a volersi proteggere da qualcuno, o qualcosa. Forse, da se stesso, e dal peso che avrebbe dovuto portare da lì a quel momento.

A tanto si era spinto, il padre, pur di salvarlo?!

«Così facendo, Érebos mi ha scavalcato, creando una singolarità di cui nessuno – neppure io – sapeva nulla, né in merito ai poteri che avrebbe avuto, né riguardo alla vita che avrebbe vissuto.»

A quelle parole, Alekos crollò in ginocchio di fronte alla donna e, afferrando le sue mani, esclamò: «Non devi punirlo! Lui lo ha fatto per la mamma e per me! Perché amava tanto mia madre e desiderava salvarmi! Non puoi punire una buona azione!»

«E’ stata veramente buona?» sottolineò Chaos, mandandolo in totale confusione.

«In che senso?» esalò il giovane, sgranando gli occhi.

«Ogni cosa che è stata creata ha un suo uguale e contrario. Per ogni predatore, esiste una preda, o un antagonista, e ciò crea equilibrio, ma tu sei stato spinto a vivere quando non avresti dovuto, quando la tua vita avrebbe trovato un termine nell’Oltretomba, senza corpo e senza la possibilità di crescere» gli spiegò Chaos, atona.

Alekos assentì cauto, replicando: «E’ tutto vero, ma non credo che il gesto di Érebos sia stato dannoso per la Terra. Io non ho mai fatto del male a nessuno.»

«Come ti dicevo prima, nessuno può sapere cosa farai in futuro, perché non ho creato io il tuo filo della vita, e perciò non so cosa accadrà. So, però, che il tuo potere ti sta divorando, e ancora adesso stai tentando di convogliarlo verso di me per impedirmi di fare del male a tuo padre adottivo» gli sorrise lei, vedendolo arrossire in risposta.

«Io… mi scuso. Ma gli voglio bene, e così…» tentennò Alekos, sgranando gli occhi per l’orrore e portandosi le mani al volto. «Io tento di placarlo, ma lui cerca sempre di sopraffare il mio volere, e di esaudire i desideri di coloro che amo, a ogni costo

«Lui?» ripeté la donna, sollevando curiosa un sopracciglio.

Alekos assentì suo malgrado e mormorò contrito: «So di essere sempre io, ma è come se ci fosse un’altra entità, dentro di me. Mi sussurra ciò che, secondo lui, sarebbe meglio fare e anche se so che, spesso e volentieri, dovrei fermarmi, lui ha il sopravvento

Chaos assentì meditabondo, replicando: «Sono le due facce della tua essenza, a parlare. Il tuo lato umano, e quello divino. Ricorda che, pur essendo immortale grazie al legame con tua madre, la tua parte mortale è comunque presente, e ti rende tuo malgrado più debole, perciò corruttibile al potere divino che possiedi e che, mi spiace dirlo, non è così puro e luminoso come noi tutti credevamo.»

«Cosa?!» esalò Alekos, sgranando gli occhi.

«Il tuo si sta rivelando un potere egoistico, che predilige il raggiungimento dei risultati a discapito di tutto, e questo non è altruismo o bontà, Alekos» sottolineò Chaos, facendosi dura in volto.

«Ma… ma io… io ho sempre voluto il bene delle persone!» esclamò contrariato il giovane, balzando in piedi e sbracciandosi con veemenza. «Non puoi davvero accusarmi di essere egoista! Cos’ho mai fatto per meritarmi una simile accusa?»

«Rammenta le tue crisi, e scoprirai che tu stesso ti sei già punito più volte per il tuo egoismo» precisò la dea, levandosi a sua volta in piedi.

Nel farlo, l’immagine delle anime svanirono, così come il letto e la poltrona, sostituiti da un immenso schermo video, su cui apparvero vari momenti della vita di Alekos.

Il giovane li guardò pieno di sgomento e, man mano che gli episodi si susseguivano, e gli venivano messe di fronte le conseguenze delle sue azioni, il pallore del suo volto aumentò.

«Katie Randolf, seconda media, aula di chimica… ricordi quando, per farle piacere, hai fatto in modo che il suo esercizio fosse corretto?»

Annuendo silente, Alekos scrutò il video in cui, galvanizzata da quel risultato, la ragazza non aveva studiato per il compito in classe, sbagliando clamorosamente tutto.

Questo l’aveva fatta deprimere non poco, e aveva portato i genitori a sgridarla per lo scarso impegno.

L’immagine mutò e, poco alla volta, vennero sviscerati i piccoli peccati veniali di Alekos, divenuti sempre più importanti con il passare degli anni.

L’ultimo evento – il modo in cui aveva prevaricato Ares, convincendolo a portarlo con sé da Dioniso, nonostante sapesse di non doversi muovere – portò Alekos a stringere i denti per la frustrazione e il disgusto di se stesso.

Cosa lo avesse spinto a spingere lo zio a prenderlo con sé, Alekos ancora non lo capiva pienamente, ma aveva ritenuto giusto assaggiare in prima persona le gioie delle persone libere da pensieri e ombre.

Così, per lo meno, aveva visto coloro che si recavano presso il tempio di Dioniso.

«Cominci a capire cosa intendo, Alekos?» domandò infine Chaos, tornando a scrutarlo in viso.

Lui reclinò il capo, sconfitto, e mormorò: «Tutti hanno sempre creduto che fosse Eris la creatura malvagia, perché istigava le persone alla vendetta o alla lotta, ma come posso dirmi migliore? Io ho fatto ben di peggio!»

«Eris… è curioso che tu nomini proprio lei, tra tutti gli dèi» replicò Chaos, sorridendo imperscrutabile.

«Più di tutti, ho commesso un peccato di vanità nei suoi confronti. Pensavo che, agendo su di lei con i miei poteri, avrei potuto annullare i suoi intenti più oscuri, essendo il mio dono così puro…» si irrise Alekos, sollevando dolente le mani. «… ma, a conti fatti, non sono mai riuscito a ottenere nulla e, peggio ancora, l’ho fatta soffrire a causa dei miei personali desideri.»

«Perché credevi che Eris dovesse essere curata?» domandò a quel punto Chaos. «Non hai mai pensato che, se Eris è quello che è, ci sia un motivo ben preciso?»

«Come può essere giusto che lei soffra? Come può essere giusto che lei istighi le persone a scontrarsi?!» replicò Alekos, alterandosi. «Questo l’ha isolata da tutti! L’ha fatta vivere nella solitudine!»

«Hai ragione, ragazzo… hai davvero peccato di vanità» sorrise ironica Chaos, spiazzandolo. «Mi credi così ingenua da non aver pensato a ogni cosa, in questo universo?»

«Come?» esalò lui, sbattendo confuso le palpebre.

«Tutti gli dèi sono ambivalenti, nel loro essere ciò che sono. Eris è discordia, ma è altresì determinazione. Athena è guerra, ma è anche abnegazione a una causa, è cultura, è studio. Afrodite è bellezza superficiale, ma è anche amore verso se stessi, oltre che verso gli altri, Zeus è potenza fine a se stessa, ma è anche sinonimo di protezione… così per gli altri. Ognuno di loro ha due connotati. Potrei dire uno yin e uno yang. Tutto è bilanciato, in loro. Sei tu, a non esserlo!»

Con quelle parole d’accusa, Chaos lo fissò piena di biasimo e Alekos, crollando in ginocchio, si portò le mani al volto, affondando le dita nella carne fino a farla dolere.

Ogni singola parola detta da Chaos penetrò nel suo spirito come una miriade di coltellate mentre un lento, sempre più dolente grido di frustrazione sgorgava dalle sue labbra raggrinzite.

L’energia del suo potere scaturì dal corpo ripiegato e penitente di Alekos, avvolgendolo in spire sempre più spesse, sempre più veloci e vorticanti e, quando il giovane svanì infine alla vista di Chaos, questa sospirò.

«Mi spiace, ragazzo, ma è l’unico modo in cui potrai capirti… e accettarti.»

La bolla di energia si sollevò da terra di qualche centimetro e Chaos, levata una mano, la imprigionò in una rete di catene dorate perché non trasmutasse altrove.

Con un potere così fuori controllo, avrebbe potuto succedere qualsiasi cosa e lei non voleva che la Terra o, peggio ancora, il centro stesso del suo essere, venissero danneggiati.

Questo avrebbe comportato danni inenarrabili e mai visti, e lei doveva evitarlo a ogni costo.

Nel volgere lo sguardo alle sue spalle, turbata e ansiosa, mormorò: «Fai in fretta, Eris. Giungi a me.»
 
***

Facendosi largo tra una miriade di animali di ogni genere, forma e specie, Dioniso allungò una mano per aiutare anche Eris a oltrepassare quell’orda disordinata.

Non facevano altro da un tempo indefinito e, ogni volta che cadevano – o scivolavano con tempistiche quasi comiche, e oltre ogni legge fisica conosciuta – si ritrovavano in un angolo sempre nuovo e diverso di quel regno.

Ogni volta, Eris tentava di trovare una stilla di vita di Alekos, ma ogni tentativo risultava vano e infruttuoso.

Quando scivolarono nuovamente lungo l’ennesimo piano inclinato invisibile, Dioniso borbottò: «Se tanto mi dà tanto, ora dovremmo incontrare le anime umane, no? Gli animali li abbiamo fatti, e così la flora, gli oceani e il mondo di roccia. Colori primari e oscurità sono stati i primi… chi altro manca?»

«La luce» mormorò Eris, spalancando gli occhi per la sorpresa.

«Come? Che intendi dire?»

«Laggiù! Non la vedi?!» esclamò a quel punto lei, volgendogli a forza il volto perché lo puntasse verso un punto in particolare.

Dioniso sgranò gli occhi, a quella vista e, sgomento, esalò: «Sembra la luce di una stella… eppure non mi trasmette niente di buono. E a te?»

Lei scosse il capo, turbata a sua volta dalle emanazioni di quella fonte luminosa e, quando finalmente si ritrovarono in un nuovo ambiente, borbottò: «Le anime… proprio come immaginavi. Direi che non ci rimane altro, a questo punto.»

«Facciamo come in re Magi, allora? Seguiamo la stella?» scrollò le spalle Dioniso.

«Faremo di meglio. Visto che ora abbiamo una destinazione, trasmuteremo. Basta camminare, inciampare o ruzzolare come palle da bigliardo. Andremo là alla nostra maniera» dichiarò lapidaria Eris, concentrandosi sulla luce che era possibile intravedere all’orizzonte, oltre alla linea quasi interminabile di anime disposte diligentemente in miriadi di file indiane.

“Sto arrivando, Alekos. Pazienta ancora un poco” disse tra sé la dea, sperando con tutto il cuore di trovarlo laggiù, alla fonte di quel bagliore.

Non appena quel pensiero prese forma nella sua mente, però, la dea si bloccò, fissò turbata Dioniso e mormorò: «Fratello, io…»

Lui le strinse una mano con forza, sorrise fiducioso e disse: «E’ giusto sperare. Anche per una pessimista come te.»

Eris accennò un mezzo sorriso, a quel commento, e replicò: «D’accordo. Un balzo e via.»

Dioniso assentì e, concentrandosi sulla luce al pari di Eris, trasmutò. Come sempre, il tutto durò poco più di un battito di ciglia ma, quando i due dèi si ritrovarono di fronte all’immenso bagliore visto in lontananza, la speranza venne sostituita dalla confusione e sì, dal panico più totale.

Immersi in un nulla cosmico senza forma, colore o dimensione, la stella che avevano usato per orientarsi vorticava e sprizzava energia come una supernova. Accanto a lei, imperturbabile e apparentemente indifferente a quella quintessenza di potere primigenio, una donna dai lunghi capelli biondo-rossi osservava in silenzio lo spettacolo.

La mano sempre stretta a quella del fratello, Eris si avvicinò un poco, stando ben attenta a non toccare i contorni della stella e, una volta a portata di voce, esclamò: «Chi sei, tu? Dove si trova, Alekos?»

La donna si volse, apparentemente sollevata di vederli e, indicando con il capo la stella vorticante, disse: «Alekos è lì. La stella è Alekos.»

«Miseria. Ladra» gracchiò Dioniso, mentre Eris impallidiva visibilmente, cominciando a tremare come una foglia.

Pochi istanti, però, passarono da quella sconvolgente confessione alla reazione della dea della discordia. Furono istanti in cui ogni fibra dell’essere che era Eris si caricò di energia, di rabbia, di paura, di risentimento e di furia repressa e, come una tempesta, lei li convogliò contro la donna sconosciuta.

Sotto lo sguardo inorridito di Dioniso, che non fu in grado di fermare la sorella, Eris si gettò addosso alla donna col chiaro intento di prendersi qualche soddisfazione, dopo tanta frustrazione accumulata.

La bionda divinità, però, la bloccò con un semplice sorriso e, sollevata che ebbe una mano, le carezzò il viso livido per poi dire: «Conserva le tue forze per un compito più alto, figlia mia.»

«Figlia… mia?» ringhiò Eris, cercando invano di muoversi. «Chi sei, tu, per dire ciò?!»

Dioniso levò le mani per chetare la sorella, iniziando a subodorare la reale identità della donna che, con tanta facilità, stava tenendo imbrigliato il potere di Eris e, dubbioso, esalò: «Ehm, sorella… io mi calmerei un attimo, se fossi in te. Forse non è il caso di farla infuriare. Non lei, per lo meno.»

«E perché dovrebbe fregarmene qualcosa, di questa tipa?!» sbraitò Eris, fulminandolo con lo sguardo.

L’istante seguente, Eris crollò in ginocchio, come schiacciata dal peso della Terra stessa e Dioniso, sgomento, la raggiunse per aiutarla.

Chaos, imperturbabile, asserì: «Sei sempre stata dura, ma così dovevi essere, per sopportare il difficile compito che ti è spettato. Non è mai facile caricarsi del lato oscuro delle cose, così come invogliare le genti a scorgere oltre il velo dell’oscurità per trovare infine la luce… ma sono orgogliosa di ciò che hai fatto finora.»

Eris la fissò ricolma di rabbia, e urlò: «Chi sei tu, per me, per poter parlare come se mi conoscessi?!»

La donna allora le sorrise, mutò forma per prendere le sembianze di un uomo vegliardo e dalla lunga barba bianca prima di dichiarare: «Sono Chaos, figlia mia, e sono io che decisi per te il filato della tua esistenza.»

«Ecco, appunto, lo sapevo» gracchiò Dioniso, trattenendo la sorella dal commettere sciocchezze e, al tempo stesso, sfruttando quell’appoggio per non crollare a terra svenuto.

Eris rimase ammutolita di fronte a quell’affermazione, troppo sconvolta per poter riuscire a mettere a parola il suo risentimento, il suo desiderio di piangere, di chiedere un risarcimento per il troppo dolore patito, e dato.

Quell’essere – non le importava che fosse uomo o donna – era la causa prima di ogni cosa, di ogni morte che lei aveva causato con i suoi sussurri, di ogni guerra che aveva sobillato, di ogni litigio che aveva causato…

«… di ogni persona che è stata spinta da te a migliorarsi, ad affermarsi, a vincere le proprie paure…» aggiunse ad alta voce Chaos, sorridendole. «Sei ambivalente, Eris. Devi solo ricordarlo, perché hai dimenticato una parte di te che, ora, è più importante che mai.»

«Non è vero» singhiozzò Eris, reclinando il capo.

«Se ciò corrispondesse a verità, Alekos allora sarebbe morto» sottolineò a quel punto Chaos, sgomentandola. «Se tu non avessi questo potenziale, nessun altro potrebbe salvarlo da se stesso. Davvero credi di non avere in te un simile potere?»

Eris ristette in silenzio a scrutare quel viso dolce e vagamente accigliato, non sapendo come replicare. Era davvero in grado di fare quanto il vecchio le aveva suggerito?

Poteva, lei, credere di poter fare la differenza?







N.d.A.: Alekos si è infine ritrovato di fronte a Chaos, colui che primo fra tutti creò ogni cosa. Le parole con cui lo accoglie nel suo mondo, però, non sono per Alekos di facile comprensione, né piacevoli da udire. Il peso che sente sulle spalle è enorme, e Chaos non fa nulla per indorargli la pillola, portandolo a chiudersi in se stesso per affrontare finalmente il se stesso di cui ha tanta paura.
L'intervento di Eris potrà essere decisivo, sulle sorti di Alekos, o avrà il sopravvento la parte divina di Alekos, in questa battaglia per il predominio?
 
  
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