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Autore: Calia_Venustas    15/03/2020    3 recensioni
[IN PAUSA FINO AL PROSSIMO AGGIONAMENTO DI KHUX]
C'è qualcosa che il Maestro dei Maestri non può confessare a nessuno, nemmeno a Luxu. Qualcosa che se i suoi apprendisti dovessero scoprire metterebbe a repentaglio tutto quello in cui credono. Il Maestro sa di essere nel torto, ma sa anche di essere troppo orgoglioso per ammetterlo.
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Una storia sull'origine del Maestro dei Maestri e dei Veggenti sin dall'inizio del loro apprendistato fino all'epilogo di KH3. A partire dal capitolo 18 scorre in parallelo una seconda trama che ha per protagonisti Soggetto X e Luxu, ora nei panni di Xigbar, alle prese con i retroscena degli eventi successivi a Birth By Sleep.
[Coppie: Luxu/Ava, Luxu/Maestro dei Maestri, Invi/Ira, Ava/Gula, Soggetto X/Isa, Lauriam/Elrena]
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Organizzazione XIII, Vanitas, Ventus, Xigbar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Furry, Spoiler! | Contesto: Altro contesto, Più contesti
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✭ THE CHILDREN OF PRIDE ✭
 

It's in my blood, it's in my water.
You try to tame me, tame me from the start.
When the din is in your eye, flash your flesh,
desperate for a need to rise.
With a silver crystal on
how well you used to know how to shine.
In the place that's safe from harm,
I had been blessed with a wilder mind.
[Wilder Mind - Mumford & Sons]

 


Allontanare le guardie dal massiccio portone ricoperto d'edera non fu troppo difficile.

Lo straniero chiamato Perbias aveva un carisma tutto suo, e le sue parole melliflue e giocose furono più che sufficienti per distrarre il drappello di soldati mentre Kida orchestrava un piccolo diversivo.

"Siamo una bella squadra, tu ed io." Commentò l'Atlantidea raggiungendolo davanti alla porta adesso incustodita.

Il Maestro le rivolse un sorriso sghembo per poi tornare a studiare il sigillo scolpito sulla pietra. Nonostante lo stile tribale del bassorilievo, esso rappresentava chiaramente il contorno del buco di una serratura. Quella porta era stata chiusa da un Keyblade, su questo non aveva alcun dubbio.

"Pronta?" le chiese, manifestando il proprio nella mano destra.

Kida annuì severamente e l’uomo puntò l’arma in direzione del sigillo. Un fascio di luce scaturì dall’estremità e andò a colpire il portale che immediatamente s’illuminò d’azzurro, le iscrizioni nascoste dai rampicanti che s’accendevano come le spie di un enorme macchinario.

Lei indietreggiò un poco quando il portone iniziò a muoversi faticosamente, sollevando un denso polverone per rivelare una scura rampa di scale che sembrava scendere fin nelle profondità della terra.

Perbias si voltò verso di lei, abbassando il Keyblade “Faremo meglio a chiuderci la porta alle spalle una volta dentro se non vogliamo trovarci le guardie alle costole. Non staranno lontane dai loro posti ancora per molto.”

Kida annuì, anche se l’idea di scendere là sotto quando la sola persona in grado di aprire l'unica via d’uscita era un perfetto sconosciuto non la entusiasmasse affatto. 

Il Maestro intuì quello che stava pensando e si sbrigò a dire “Tranquilla, non ti chiudo mica dentro!”

“Non è che abbia un'alternativa al prenderti sulla parola.” sospirò lei rassegnata, seguendolo giù per le scale polverose, la lancia saldamente stretta in pugno. Per quanto volesse riporre fiducia nello straniero, non era così stupida da affidarsi ciecamente a lui. Ma era la sua unica occasione di scoprire la verità perciò non poteva tirarsi indietro proprio adesso.

Perbias sigillò nuovamente il portale e prima che questo si richiudesse del tutto, lasciandoli nel buio assoluto ad eccezione del cristallo luminoso che Kida portava al collo, s’affrettò ad evocare una sfera galleggiante che rischiarò l’ambiente attorno a loro.

“Quindi… questa è la cripta della tua famiglia?” chiese, guardandosi in giro incuriosito. Il suo tono era sorprendentemente calmo, così come lo erano i suoi occhi blu, resi ancora più limpidi dal lume magico. Il solo dettaglio dissonante era la sua pupilla sinistra, dilatata a dismisura nella semi-oscurità.

“Credo di sì. Quando ero piccola… piccolissima anzi, ricordo che mia madre mi portò qua sotto per bruciare incenso per i defunti. E’ soltanto un’immagine, niente di più. Non ricordo nemmeno chi fossero le persone che venivamo ad onorare. Probabilmente i re e le regine del passato.”

Perbias annuì, scendendo cautamente le scale, i sandali del suo nuovo completo da Atlantideo che scricchiolavano sui gradini ricoperti di sabbia e muschi.

“E’ terribilmente umido qua sotto.”

“Tutta Atlantide è umida.” minimizzò lei, seguendolo “Le fondamenta della città sono ancora in larga parte sommerse.”

Perbias sfiorò i bassorilievi geometrici che adornavano il corridoio dell’angusta scalinata, seguendone l’andamento spiraleggiante con le dita senza dire niente.

Scesero per quella che sembrò un’infinità, guidati dalla bolla di luce sospesa e dal riverbero azzurro del cristallo di Kida finché non raggiunsero un’ampia sala dal soffitto altissimo. A sorreggerlo, vi erano state un tempo otto possenti colonne ma soltanto sei di queste erano ancora intatte mentre le altre erano crollate sul pavimento, i blocchi di pietra sparsi ovunque. Era un miracolo che le colonne restanti non fossero collassate sotto il peso della volta. Se fosse successo, probabilmente un’intera ala del palazzo reale sarebbe sprofondata.

Perbias si fermò di colpo quando la sfera di luce che fluttuava al suo fianco fece emergere dal buio i profili affilati e lustri di dozzine… no, centinaia di Keyblade infissi disordinatamente nella terra bagnata.

A differenza di quelli impugnati da lui e i suoi allievi, le chiavi che giacevano abbandonate in quella cripta avevano una foggia più primitiva, priva dei fronzoli e delle elaborate decorazioni a cui il Maestro era abituato. Erano chiaramente Keyblade nati dai cuori di un popolo antico quanto il Reame della Luce.

“Ecco dov’è che mio padre ha nascosto tutte queste armi…” commentò Kida, guardandosi attorno. Non s’aspettava che si sarebbero imbattuti così presto in una rivelazione così importante, ma al tempo stesso qualcosa in quella scoperta le dava i brividi.  

“Questi Keyblade…” Perbias esitò, allungando una mano verso il più vicino, sfiorandone l’impugnatura arrugginita dai millenni. Un’ondata di gelo lo percorse da capo a piedi, arrivandogli dritta al cuore in una fitta dolorosa “...sono tutti morti. Siamo in un cimitero, non in un’armeria.”

Lei lo fissò spaesata, mentre il Maestro ritraeva la mano, un’espressione indecifrabile impressa in volto.  “...morti?” Come faceva un oggetto ad essere ‘morto’?

“I Keyblade non si creano con l’incudine e la forgia. E’ il loro possessore a dar loro forma, e i cuori a cui questi erano connessi sono ormai perduti.” spiegò Perbias, passando in rassegna la distesa di chiavi prive di vita “Quel che non capisco è perchè siano ancora tutti qui.”

“Cosa intendi?”

L’uomo stirò le labbra “Ho sempre dato per scontato che un Keyblade non potesse esistere senza il proprio padrone. Credevo che alla morte di un custode… la sua arma sparisse con lui. In certi casi, persino venir messi fuori combattimento o restare feriti gravemente è sufficiente a far smaterializzare il proprio Keyblade. Non capisco.”

Lei s’accigliò, cercando di pensare ad una spiegazione logica me era chiaro che fosse lui l’esperto in materia. “Proseguiamo, forse scopriremo qualcos’altro.” azzardò, indicando l’estremità opposta della sala circolare. Anche se era immersa nel buio, si sentiva una lieve corrente d’aria provenire da quella direzione. “Credo ci sia un’uscita.”

Lo straniero annuì, ripensando al murale in cui lui e i suoi allievi si erano imbattuti prima di essere attaccati dal Leviatano e cercò di rimettere insieme i pezzi di quel confuso puzzle di eventi. Era chiaro che ci fosse stata una guerra combattuta tra persone armate di Keyblade e non c’era certo bisogno di affidarsi all’Occhio Che Scruta per intuire che fosse stato quel conflitto a causare il collasso della civiltà di Atlantide. Quel cimitero di Keyblade ne era solamente l’ennesima prova. Re Kashekim aveva preso tutte le chiavi e le aveva sigillate dietro ad una porta che poi aveva, a sua volta, chiuso con l’ausilio di un Keyblade. Qualcosa diceva a Perbias che se c’era qualcuno ancora in possesso di una delle cosiddette ‘armi proibite’, quel qualcuno era esattamente chi le aveva messe al bando.

Il Re aveva escogitato un ottimo piano per tenere al sicuro i propri segreti e ci sarebbe probabilmente riuscito se non fosse stato per lui… l’improbabile sopravvissuto sfuggito a quel remoto cataclisma.

C’era qualcosa di stranamente buffo in tutto ciò. Qualcosa di così cliché da fargli venir voglia di scoppiare a ridere perchè sapeva benissimo che le coincidenze non sarebbero certamente finite lì.

Luxu ci aveva visto giusto nel suggerire una parentela tra lui e la giovane donna che gli camminava a fianco, del resto, Il suo apprendista era sempre stato perspicace. E lui stesso ormai avrebbe dovuto essersi abituato a quel genere di cose.

Ma quei Keyblade che ancora restavano in attesa dei propri padroni defunti… non gli piacevano per niente. Il fatto che fossero conficcati nel terreno come tante lapidi gli gelava il sangue e Perbias non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa a tenerli ancorati lì in quella cripta dimenticata, impedendoli di tornare all’etere.

Presero ad arrampicarsi su un cumulo di macerie e una volta raggiunta la cima, Perbias si voltò indietro per porgere a Kida la mano ed aiutarla a salire. Lei accettò, ma ci tenne a precisare “Ce la faccio da sola.” con uno sbuffo. “Piuttosto, pensi davvero che troveremo il cristallo descritto nel tuo libro?”

Lui annuì. “Ti confesso che era la sola cosa che mi aspettavo di trovare qui.”

“Cosa intendi?”

“Non mi aspettavo ci fossero persone. Ricorda che nel luogo da cui provengo, la tua città è soltanto una leggenda. Molti dubitano persino che sia mai esistita. Io credevo che al massimo avrei trovato ruderi e vasellame. Un’iscrizione sbiadita o due, magari.”

“Perché ti interessa tanto il cristallo?” indagò lei, cercando di immaginarsi come fosse stata la vita del Maestro là nei Mondi esterni. “E soprattutto, è vero quel che hai detto nella sala del trono?”

“Ogni parola.” annuì lui, chinandosi per scivolare sotto una colonna abbattuta per continuare ad avanzare. “In effetti, le tue domande hanno una sola risposta. Credo che sia grazie a quel cristallo se in passato il tuo popolo poté bandire l'Oscurità. Usavate il potere del Cuore di Atlantide per compiere veri prodigi e in un certo senso, lo fate ancora, anche se non ve ne rendete conto." Perbias indicò il medaglione di cristallo che la donna portava al collo "Come estendere la durata della vostra vita, per esempio. Negli altri Mondi, ci sono persone che ucciderebbero pur di non invecchiare eppure per voi é una cosa normalissima. Mi chiedo cosa si provi a vivere tanto a lungo. Immagino tu veda le cose in modo molto diverso da come le vedo io." 

“Ti stupiresti di sapere quanto sia stata monotona la mia vita qui." rispose lei, incerta sul come interpretare il suo curioso tono di voce. Sembrava affascinato dalla cittá e dai suoi misteri proprio come lo sarebbe stato uno studioso, ma al tempo stesso la donna percepiva una punta d'amarezza in lui. Probabilmente la consapevolezza di essere stato strappato al proprio mondo di origine senza avere alcuna voce in capitolo. O forse la ragione era tutt’altra e lei stava solamente perdendo tempo nel cercare di indovinare i suoi pensieri. Del resto, non sapeva niente di lui. "Sai, in realtà un pò ti invidio."  

“Ah sì?” 

“Non fraintendermi. Dev'essere stata molto dura, ma l'essere sopravvissuto al Mehbelmok ti ha liberato. Devi aver visto così tanti Mondi, incontrato così tanta gente...” Kida s'interruppe, rendendosi conto di essersi lasciata prendere la mano "...perdona il mio entusiasmo. Non dovremo perdere altro tempo. E non sappiamo se questo luogo sia sicuro perciò non è il momento adatto per fare conversazione." si giustificò, sollevando il pendente di cristallo per utilizzarlo come una torcia.

Tutt’intorno a loro, i Keyblade scintillavano proiettando lunghe ombre nere che scivolavano sul pavimento al passaggio della fonte di luce.

Lui però non fece una piega. “Perché non vieni ad Auropoli una volta che avremo risolto questo mistero?” 

Kida lo fissò allibita. “Sul… sul serio?”

“La mia prassi è di non interferire troppo con gli altri Mondi, specialmente se come in questo caso è stato messo bene in chiaro che la mia presenza non sia gradita...” iniziò a dire lui, indicando l’arcata che dava accesso alla sala successiva “Ma la mia apprendista ha ragione. Se questo mondo è anche il mio, allora non ho ragione di peritarmi. E in ogni caso, sarebbe una tua decisione. Mi sembri una che sa il fatto suo e sa prendersi la responsabilità delle proprie azioni.”

Kida inarcò un sopracciglio, sospettosa “Che cosa te ne viene? Non vorrai farmi credere che lo faresti soltanto per farmi un favore.”

“Aprire un portale non mi costa niente.” fece spallucce lui “E poi, credo che fossimo destinati ad incontrarci. Non pensi?”

Senza alcun preavviso, lei lo afferrò per la manica orlata d’oro della tunica, trattenendolo. “Credo di sì, ma cosa significa? Lo senti… lo senti anche tu?”

Lui inclinò la testa di lato. Se c’era qualcuno a cui credeva di non dover spiegare una cosa come quella, quel qualcuno era sicuramente la donna che gli stava di fronte e il cui cuore pulsava così forte e così vicino al suo. 

“‘Possa il tuo Cuore essere la tua Chiave Guida’” citò, specchiandosi negli occhi blu della donna. “Da dove pensi che provenga questa cosa che senti? Questa intuizione?”

L’espressione di lei si fece improvvisamente limpida, priva di ogni dubbio o timore, proprio come quella di una bambina ancora ignara di tutti i mali del mondo, ma non riuscì ad esprimere ad alta voce quello che provava, quel che il suo cuore sapeva.

Fortunatamente, il Maestro le risparmiò la fatica di trovare le parole giuste. “Sì. La risposta è sì.”

“Non può essere.” rispose seccamente lei, più in fretta di quanto avrebbe voluto, senza quasi lasciarlo finire di parlare.

“Eppure sai che è così, non è vero? Lo sai...” l’uomo si posò una mano sul petto “Come lo so io. Me lo dice questo.”

Kida lo guardava a labbra strette, le iridi blu fisse contro quelle identiche del suo interlocutore e d’un tratto la sua incredulità andò in mille pezzi come un specchio infranto.

"Quando ero piccola, circolavano delle voci…” mormorò, come se l'infinita serie di coincidenze ed indizi che aveva avuto sotto il naso per tutta la vita avesse improvvisamente acquistato un senso. "...dicevano che mia madre non era stata la sola ad essere scomparsa in circostanze poco chiare. Che in mezzo ai tanti morti e dispersi c’erano anche… persone che erano state fatte sparire. Che il Re non voleva fossero mai ritrovate. Avversari politici, persone scomode… ma tutti mi dicevano che erano soltanto calunnie messe in giro per screditare mio padre. E invece eccoti, l’ennesima verità taciuta...” la guancia tatuata d'azzurro della donna fu attraversata da una prima lacrima mentre la sua mano si spostava dalla manica dello straniero al suo volto spigoloso. "Fratello."

A quel contatto lui sorrise, socchiudendo gli occhi dalle lunghe ciglia come avrebbe fatto un grosso gatto in procinto di fare le fusa. Era raro per il Maestro abbassare la guardia in quel modo, abbandonarsi anche solo per un'istante alle emozioni che sopprimeva quotidianamente, eppure in quel momento sentì di poterselo permettere. E forse fu proprio quell'improvvisa onestà impressa sul suo volto a spazzare via gli ultimi dubbi della Principessa di Atlantide.

Kida non era un’ingenua. Comprendeva i motivi che spingevano un sovrano a tenere il proprio popolo all’oscuro di certe verità, ma questo non significava che giustificasse le azioni di Re Kashekim.  Non si rimaneva saldi ed incontestati sul trono per quasi ottomila anni se non si era scaltri e suo padre era un uomo noto per la sua lungimiranza… ma perché nascondere l’esistenza del proprio figlio? Che male ci sarebbe stato nel dirle che oltre a sua madre aveva perso anche un fratello…?

La risposta a quella domanda, purtroppo, non era così difficile da intuire. 

Tutti avevano perso qualcuno durante il Cataclisma e il fatto che le vite dei sopravvissuti fossero così lunghe non faceva altro che rendere quelle assenze ancora più difficili da ignorare. Forse Re Kashekim pensava che tenendola all’oscuro le avrebbe risparmiato altro dolore e d’un tratto tutta la collera che Kida provava nei confronti del padre si dissipò. 

Poteva essere un sovrano severo e per certi versi persino crudele, ma Kida non aveva mai dubitato delle sue buone intenzioni, almeno per quel che la riguardava. E per lei non era certo un segreto che Kashekim soffrisse profondamente per l’assenza della moglie. In effetti, Kida si era sempre domandata se non s’incolpasse per la sua morte e forse, persino, per l’intero Cataclisma. Nessuno sapeva esattamente quale fosse stata la causa del declino del loro impero ma la leggenda che era stata tramandata era una parabola sulla superbia dell’uomo. Atlantide era diventata così grande, potente e florida che persino gli Dei si erano ingelositi e avevano punito l’umanità per aver osato aspirare a tanto. Ma quella, proprio come tante altre storie, conteneva soltanto pezzi di verità.

Del resto, i sapienti dicevano anche che il tempo potesse guarire ogni tipo di ferita, ma gli abitanti di Atlantide sapevano meglio di chiunque che questo non fosse affatto vero. Nelle loro vite millenarie avevano così tanto tempo per rinvangare il passato e torturarsi per i propri errori da essere divenuti incapaci di perdonarsi e andare avanti. Forse era per quello che la loro civiltà non si era mai davvero ripresa nonostante nel frattempo fossero sorti migliaia di nuovi regni in altrettanti altri Mondi.

Quei pensieri erano sul punto di trascinarla giù in un vortice di domande ed emozioni indecifrabili da cui Perbias l’aiutò a riemergere, allontanando gentilmente la mano dalla sua guancia per stringerla tra le sue. “Un motivo in più per cui dovresti venire ad Auropoli, non ti pare? Abbiamo un sacco di tempo da recuperare, sorella.” cercò di sdrammatizzare con una delle sue solite mossette eccenriche.

Lei si asciugò una lacrima, nascondendo un sorriso ampio ed un po’ sghembo, proprio come quello del suo interlocutore  “Hai preso questa rivelazione molto meglio di me.”

“Nah, ho solo avuto più tempo per metabolizzare la cosa. Ero già giunto a questa conclusione prima ancora di tornare qui. In effetti, sono stati i miei apprendisti a suggerirmi di farlo non appena ho espresso loro i miei sospetti sulla nostra… beh, parentela.”

“Se è così, allora immagino di doverli ringraziare.”

“Anch’io dovrei farlo più spesso.” s'appuntò lui, dandole una pacca d’icoraggiamento sulle spalle nude “Ma avrai tempo di farlo di persona quando avremo finito qui. Sono certo che in fondo al sotterraneo troveremo anche gli ultimi pezzi di questo puzzle. Siamo fratelli, d’accordo. Ma ci sono ancora un sacco di cose che non quadrano.”

“Hai ragione.” si riscosse lei, guardandolo adesso con occhi del tutto nuovi. Le sarebbe occorso del tempo per smettere di vederlo come uno straniero ed accettare il fatto che fossero così strettamente imparentati, ma quella loro esplorazione aveva già assunto connotati molto diversi. Non erano più due sconosciuti uniti da comuni interessi.

Entrarono nel corridoio successivo e il vento freddo li investì entrambi. Era chiaro che ovunque conducesse quella galleria, dovesse esserci un’apertura che dava verso l’esterno. 

Mentre procedevano, la sfera di luce che li accompagnava rendeva visibili le iscrizioni sulle pareti e il Maestro si fermò più volte ad osservarne alcune lungo il cammino. Non era abbastanza bravo da riuscire a leggerle senza incespicare un pò, ma i toni lugubri dei primi cartigli misero immediatamente i suoi sensi sull’attenti.

“Che cosa dice?” lo interrogò Kida, vedendolo farsi d’un tratto così rigido.

“Non ne sono sicuro.” disse lui, aprendo nuovamente il libro per confrontare i caratteri “Sembra un avvertimento.” aggrottò le sopracciglia mentre seguiva i caratteri con le dita. La pupilla dell’Occhio Che Scruta si fece sottilissima ed attenta come quella di un gatto.

Iniziò a tradurre “‘Dove i nostri amati… abbiamo... bandito. Il cuore…’ credo ci sia scritto cuore, non sono sicuro.  ‘Il cuore è il solo’... mmh… ‘campo di battaglia’? Una… ‘prigione’. Una prigione per ‘chi si è smarrito’... qui non riesco proprio a capire, non riconosco questi simboli.”

“Siamo prudenti d’ora in poi.” asserì Kida, serrando le dita attorno alla lancia. “Niente distrazioni.”

“Sono d’accordo.”

Raggiunsero la fine del tunnel ricoperto d’iscrizioni e ancora una volta si trovarono in una sala immensamente più vasta dello stretto cunicolo che avevano attraversato. Era come se il sotterraneo fosse composto da grandi stanzoni collegati da corridoi angusti.

Il pavimento era fradicio e invaso da muschi ed alghe, come se la marea si fosse da poco ritirata lasciando scoperto il fondale marino. A differenza della prima stanza, non v’erano colonne né Keyblade, soltanto una gelida e densa oscurità che le loro fonti di luce non erano sufficienti a rischiarare.

Perbias sollevò una mano, aumentando l’intensità del globo luminoso che fluttuava sopra di loro ma neanche così riuscì a strappare quella camera dall'immensità delle sue tenebre.

Avanzarono con cautela, attenti a non scivolare sulla fanghiglia che sapeva di marcio e di salsedine. Entrambi si sentivano estremamente a disagio e non soltanto per via di quel buio così claustrofobico che li avvolgeva. Perbias in particolare sentiva come un dolore sordo farsi sempre più intenso nelle sue viscere. Tutto ad un tratto sentì lo stomaco bruciare ed un sapore disgustoso salirgli in gola. 

“Torniamo indietro.”

Kida lo guardò come se fosse improvvisamente diventato matto “...cosa?”

Lui la afferrò per il braccio, trascinandola verso l’uscita senza troppe cerimonie ma quando arrivò a mettere piede fuori dalla stanza, una barriera d’energia si alzò improvvisamente davanti a lui, sbalzandolo indietro e separandolo da Kida che invece aveva raggiunto il corridoio appena in tempo.

La donna riacquistò l’equilibrio ed immediatamente prese a colpire quel velo di luce apparentemente sottilissimo eppure duro come la pietra. “Perbias?! Stai bene?!”

Dall’altra parte, il Maestro si tirò su a sedere a fatica, ancora intontito dall'ondata di energia che l’aveva investito. Sul pavimento era comparso un complesso disegno luminoso che Perbias riconobbe immediatamente come un circolo magico, anche se non avrebbe saputo identificarne la funzione. Stregonerie di quel tipo erano usate per proteggere, purificare, sigillare e persino per contenere qualunque cosa vi capitasse all’interno. Finalmente, le dimensioni di quella stanza così buia furono rese evidenti dal cerchio magico e le parole che poco prima aveva letto sulla parete viscida acquistarono un senso. 

Illuminate dalla luce intensa irradiata dal simbolo sul pavimento, centinaia di creature che giacevano addormentate ed ammucchiate le une sulle altre tutt’intorno a lui iniziarono a risvegliarsi, i loro occhi gialli come fanali che accendevano le tenebre.

Istintivamente, Perbias scattò in piedi e fece per richiamare a sé il proprio Keyblade, ma prima ancora che potesse serrare le dita attorno all’impugnatura si trovò scosso da un violento ascesso di tosse.

Sapeva bene cosa fosse quel sapore acre sulla lingua e anche che, una volta allontanata la mano con la quale si era coperto la bocca, l’avrebbe trovata grondante non di sangue, ma di un viscoso liquido nero.

Digrignò i denti, evocando  la propria chiave al secondo tentativo, l’Oscurità pura che aveva appena sputato che grondava viscida giù dall’elsa.

Kida era probabilmente troppo lontana per vederlo chiaramente attraverso la barriera, ma il suo volto olivastro era mortalmente pallido e l’incantesimo di trasfigurazione che aveva lanciato sui propri abiti e capelli si era dissipato, restituendogli il suo aspetto originale e la protezione della cappa nera.

Le creature che lo accerchiavano presero ad avvicinarsi, muovendosi rapide sulle zampette calzate. 

 

“Tu… tu sei....”

 

Perbias barcollò, scosso da un altro violento attacco di tosse. Quelle cose… quelle cose parlavano?!

Ad una prima occhiata le si sarebbe potute scambiare per degli Heartless. Avevano la stessa fisionomia dinoccolata, gli stessi occhi rotondi e vuoti… ma il Maestro sapeva benissimo che cosa fossero. Riconobbe le loro bocche seghettate e le mani dagli artigli ricurvi e vermigli. Quegli esseri avevano lo stesso ghigno che più di una volta aveva visto squarciare le guance del suo riflesso nello specchio e le stesse unghie rosso sangue con cui aveva quasi fatto a pezzi la sua apprendista durante il suo primo, disastroso viaggio a Zootopia.

 

“Tu sei come noi.”

 

Quelle creature non erano Heartless.

Erano i proprietari delle centinaia di Keyblade che giacevano nella stanza accanto.

Custodi completamente soggiogati dall’Oscurità ma il cui cuore non aveva mai abbandonato il corpo… contaminandolo a poco a poco dall’interno e distorcendolo in quelle forme grottesche.

Avevano anche loro una seconda voce nella loro testa? Si erano forse ridotti così perchè l’avevano lasciata vincere? Assecondato i suoi sussurri spregevoli?

 

“Cominci a capire.”

 

Perbias sollevò minacciosamente  il Keyblade, anche se non sapeva se per avventarsi contro la marea di occhi gialli e bocche ghignanti che lo circondava o se per colpirsi nuovamente al petto come aveva fatto ormai così tanti anni prima per mettere a tacere quella dannata voce. Era Oscurità a parlare o quella massa di creature pietose?

 

“Non preoccuparti. Ti lasceremo proseguire. Hai ancora tanto da imparare.”

 

“Cosa diamine…” L’uomo tossì di nuovo “Cosa diamine siete?!”

 

“Della Superbia noi siamo i Figli, coloro che pagarono il prezzo più alto.

Un tempo due, ora uno solo. Chi non lo capì qui ci ha sepolto. 

Tu sei come noi, ma il patto hai scordato. Perciò procedi e non titubare.

E se un nome è ciò che vuoi, allora Darklings ci puoi chiamare.”

 

Il cerchio magico sul pavimento si divise in due e la barriera s'abbassò creando un corridoio che attraversava l'enorme camera da un'estremità all'altra, permettendo a Kida di raggiungere il Maestro. 

Lui si rilassò un poco, ripulendosi la bocca grondante di saliva nera prima che lei potesse notarla. 

"Tutto bene?" Chiese la donna, guardandosi attorno con inquietudine, la lancia sollevata in direzione delle creature imprigionate dal sigillo che ancora s'agitavano e graffiavano furiosamente le pareti d'energia blu.

"Sì, ho solo preso una bella botta." 

Al sicuro in quel lembo di terra privo degli effetti di contenimento dell'incantesimo, i due fratelli si scambiarono un'occhiata e Kida gli lesse chiaramente in faccia che no, non stava per niente bene. E alla vista di quegli esseri deformati e storti, non se la sentiva di biasimarlo. "Che cosa sono?"

Lui serrò le labbra "Altri sopravvissuti al Cataclisma." Perché le stesse dicendo la verità, nemmeno Perbias sapeva spiegarselo. Forse aveva bisogno di dirlo ad alta voce per convicersi che fosse reale. "Custodi del Keyblade come me."

Lei si portò una mano alla bocca, le sopracciglia sollevate per lo stupore e l'orrore "Per questo le chiavi nell'altra stanza sono ancora lì."

"Già."

"Ma cosa gli è successo? Perché si sono trasformati così? È terribile!" Kida si morse il labbro inferiore  "É per questo che mio padre li ha rinchiusi qui? Sono qua sotto da quasi ottomila anni!"

Forse anch'io ero stato imprigionato qui. E forse sarei dovuto restarci. Pensò Perbias senza il coraggio di dirlo ad alta voce. 

La donna rabbrividì "Abbiamo visto abbastanza. Torniamo in superficie, parleremo con mio padre e-"

"Il Re non ti ascolterà. Dobbiamo continuare."

"Forse ascolterà te." Controbattè Kida, risoluta. 

"Siamo vicini al cristallo, riesco a sentirlo. Potremmo non avere un'altra occasione come questa. Se chiedessimo a tuo padre, ci racconterebbe solo altre mezze verità."

"È anche tuo padre."

Il Maestro rise di gusto e in modo del tutto inappropriato alla gravità della situazione. "Già. Immagino che sia così, eh?”

   
 
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