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Autore: Corydona    26/03/2020    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Il sole del primo pomeriggio picchiava sui tetti spioventi di Mitreluvui, mentre Giampiero e Roberto varcavano affannati la soglia del palazzo reale. Si erano separati dal corteo che seguiva Clara Riutorci per arrivare il prima possibile alla reggia Lotnevi. Il loro passo rapido era stato accompagnato dal vento tiepido che si era insinuato tra le vie secondarie della capitale, come se volesse spingerli alla reggia prima che vi giungesse l'esito infausto dei Lupfo-Evoco.

Il marchesino si arrestò sotto una quercia, per riprendere fiato dopo la corsa: non era il caso di presentarsi affannati e con il fiatone al cospetto della regina Felicita.

Il principe De Ghiacci lo scrutò perplesso, con la fronte umida e un rivolo di sudore che gli scendeva sul collo. «Perché ti sei fermato?»

«Perché siamo conciati come due fattori» spiegò marchesino.

«Felicita capirà che abbiamo fretta e che non possiamo perdere tempo alle fontane per ripulirci» stabilì l'altro. «Alla fine siamo qui per suo figlio.»

«E per fermare gli Autunno» sospirò Giampiero, affranto. Aveva fallito: Raissa e Amelia avevano dimostrato di essere più scaltre di lui e lo avevano sconfitto in quel primo scontro diplomatico. Si fece aria al viso agitando una mano: più abituato ai climi temperati rispetto al suo compagno, ne soffriva di meno. Roberto iniziava a emanare un odore aspro affatto piacevole e il marchese pensò che non fosse una buona idea che si presentasse assieme a lui al cospetto della regina.

«Se uccidono Nicola, siamo nei guai» sentenziò il De Ghiacci.

Siamo già nei guai, pensò Giampiero, e avere qui Bianca e il suo fine ingegno sarebbe molto più utile.

«Andiamo» lo incitò Roberto. «Ormai ci siamo quasi, e forse anche Clara e gli altri saranno qui a breve.»

«Spero solo che Felicita non si turbi al vederti conciato così» commentò l'altro.

«Ho ancora il mio fascino!» esclamò il principe, passandosi una mano tra i capelli dorati, ancora più biondi alla luce del sole.

Giampiero si astenne dall'aggiungere qualsiasi altra considerazione, e riprese a camminare verso la reggia, percorrendo i sentieri di ghiaia che si incurvavano dolcemente attorno a piccole aiuole verdeggianti. Arrestò il suo passo davanti all'ingresso principale, prima che i servitori del palazzo potessero avvicinarsi a lui.

«Roberto, vai a chiamare Bianca e dille com'è la situazione» suggerì. Non era sicuro di quanto fosse una saggia idea convocare Bianca presso un luogo in cui non aveva alcun ruolo, ma riteneva giusto informare la principessa De Ghiacci. Il tempo per spiegare le sue ragioni all'amico che con lui aveva condiviso la disfatta diplomatica era assente; ma il giovane del sud non pose obiezioni, limitandosi a un semplice cenno di assenso, prima di allontanarsi nella direzione da cui erano arrivati.

«Marchese, vi occorre qualcosa?» domandò un servitore, accorso all'istante nello scorgerlo.

«La regina» disse lui, con un filo di voce. «Devo conferire con lei.»

Quello si incamminò, guidando il Tirfusama che poca dimestichezza aveva con la reggia Lotnevi: a stento il marchesino riusciva a credere che un luogo tanto immenso potesse trovarsi al centro di una grande capitale come Mitreluvui. Lo seguì attraverso il cortile esterno, lungo i sentieri curvi che tanto erano stato motivo di vanto per la corte, ma che in quel momento erano solo un ostacolo alla sua fretta. Oltrepassarono un ingresso secondario, inoltrandosi nel labirinto di corridoi che collegavano le varie ali della residenza reale. Una volta all'interno, il passo del servitore si fece più veloce, come se si trovasse più a suo agio a correre sui pavimenti della reggia, che non sui sentieri acciottolati.

Il marchese rivolse appena uno sguardo ai cortigiani che lo fissavano incuriositi: alcuni gli parvero soddisfatti, come se il suo rapido incedere fosse portatore di una buona notizia. Forse era solo una sua impressione, forse la sconfitta diplomatica appena subita lo portava a vedere complotti anche laddove non ce n'erano, concluse tra sé e sé.

Il servitore entrò in una sala e Giampiero attese che lo annunciasse alla regina, prima di varcare anche lui la soglia. Era nel peggiore degli aspetti con cui presentarsi davanti a una sovrana, ma aveva le sue buone ragioni per non aver indugiato a cambiarsi d'abito e a detergersi dal sudore che gli inumidiva il viso e che gli faceva aderire i vestiti alla pelle.

Sullo scranno sedeva Felicita Lotnevi, pallida in volto, la carnagione chiarissima come la sfera del sole nei mattini estivi. La corona troneggiava sul capo della donna, come a voler marcare la distanza tra lei e il resto dei cortigiani presenti, a cui la sovrana si rivolse immediatamente non appena vide il marchese Tirfusama.

«Uscite tutti di qui» disse imperiosa, col tono di chi non ammette replica.

Quelli accennarono un inchino e si allontanarono uno dopo l'altro, lasciando il nobile decaduto solo assieme alla regina.

«Altea, vai a chiamare Nicola» diss'ella alla sua cameriera personale, posando gli occhi chiari in quelli scuri e confusi del giovane.

«Maestà...» iniziò a dire Giampiero. Voleva porgere delle scuse per lo stato con cui si trovava al suo cospetto, poco consono a un uomo del suo rango, spiegare che era dovuto alla causa che lo aveva spinto a correre fin lì, ma lei lo interruppe.

«Marchese, attendete che qui ci sia mio figlio. Deve ascoltare anche lui» disse la regina, atona. Il volto era una maschera di cera, che mantenne inespressivo per i lunghi minuti che i due trascorsero insieme, in silenzio. Felicita aveva gli occhi fissi sul pavimento, come se cercasse di ascoltare i passi di Nicola attraverso i corridoi della reggia, e ingannasse in tal modo l'attesa.
Giampiero scrutava in silenzio le pareti della sala, spoglie; ricordava che vi fossero appesi degli arazzi, ma ipotizzò che fossero stati tolti in seguito all'uccisione del re, come era costume in alcuni reami di Selenia. Non provò neanche a scusarsi per lo stato in cui si era presentato alla corte, temendo che la regina lo intimasse di tacere.

Dopo alcuni minuti di silenzio, la porta della sala del trono venne aperta e, alle spalle di Altea, comparve Nicola, trafelato come se avesse corso. La cameriera richiuse le ante, lanciando occhiate di ghiaccio ai cortigiani radunatisi all'esterno, particolare che il marchese non poté fare a meno di notare.

«Tirfusama, avete dunque notizie dai Lupfo-Evoco» constatò Felicita. Sollevò lo sguardo, posandolo sul volto del figlio. «Vi prego di dire tutto quello che sapete.»

Il giovane diplomatico abbassò il capo, come a chiedere perdono. «Maestà... ho fallito.»

Lo disse con un'amarezza che gli era sconosciuta, perché mai aveva dovuto pronunciare tali parole. Guardò Nicola e provò pietà per l'espressione terrorizzata dipinta sul principe di Cmune.

«Ho tentato di fare tutto quello che ho potuto, e tenterò ancora se mi verrà data la possibilità di farlo. Il figlio di Clara Riutorci mi ha concesso altro tempo per provare l'innocenza di vostro figlio.»

Deglutì, neanche lui convinto fino in fondo delle proprie parole. Certamente, Pietro Riutorci gli aveva aperto uno spiraglio di possibilità per ritardare la sentenza, ma troppo piccolo per essere ottimisti, nonostante la sua intenzione di sfruttarlo fino in fondo.

«Non esistono prove che dicano che non sono stato io» disse il principe di Cmune. Buttò fuori un profondo respiro. «Purtroppo solo catturare il vero assassino potrebbe scagionarmi. E se è stata Raissa a ordire tutto questo, io sono senza speranza.»

Parlò con un filo di voce, con il timore del suo destino ad attanagliargli le interiora. Sapeva, Nicola, cosa significava l'esito comunicato dal marchesino, ma non poteva pronunciarlo ad alta voce. Guardò la madre, quasi pregandola con il pensiero di mostrargli la via.

La regina scese solenne dallo scranno, con la veste scura di lutto che ricadeva sul suo corpo e sul pavimento, a renderla più regale di quanto già fosse. Si avvicinò al figlio e gli posò una mano sulla spalla.

«C'è solo una cosa da fare.»

Non ebbe il tempo di aggiungere altro. Dall'esterno della sala del trono proveniva un trambusto sempre crescente, come se una gran folla si stesse avvicinando. Le voci si mescolavano, in un coro senza parole simile a un alveare ronzante, sovrastando i passi concitati di chi camminava in preda a un compito importante da portare a termine.

Altea, rimasta in un angolo durante il colloquio tra i nobili, si apprestò ad aprire la porta, per evitare che questa venisse buttata giù, nel suo timore ingenuo che i cortigiani potessero abbatterla senza rispetto.

La prima a varcare la soglia fu Clara Riutorci, seguita dai più illustri partecipanti ai Lupfo-Evoco, tra cui Giampiero intravide Matilde Estate, composta pur nella gravità dell'espressione sul suo viso, e Lavinia Lugupe, che osservava quello che accadeva allo stesso modo in cui si legge una storia tragica di cui già si conosce l'esito.

Il marchese sospirò impercettibilmente, spostandosi su un lato della sala per permettere a tutti di entrare. Guardò Nicola avvicinarsi alla regina, come ricercandone la protezione, ma Felicita Lotnevi aveva il volto concentrato nello scrutare la nuova arrivata e la sua corte di reali e diplomatici.

Giampiero decise allora di concentrarsi su Clara, che tra le mani aveva la falsa lettera che incriminava Nicola e il foglio su cui era scritto l'esito dei Lupfo-Evoco. Il rubino che mostrava il suo legame con gli Autunno le pendeva ancora dal collo, indizio inconfondibile della condanna che stava per essere comunicata al principe di Cmune.

Tra la folla, una figura si fece largo per raggiungere il marchesino, che si stupì nel trovarsi di fronte Luciana Lugupe. La principessa di Dzsaco ansimava, come se fosse stata trattenuta e avesse dovuto correre per recarsi lì, la corta chioma castana messa in disordine dal vento che aveva iniziato a soffiare tra le vie di Mitreluvui, insinuandosi nei corridoi della residenza reale. Gli occhi solitamente vispi sembravano spenti: mentre scrutavano quelli del nobile decaduto, lui vi lesse una mestizia che non avrebbe mai pensato di trovarvi.

«Allora?» gli domandò lei in un sussurro, affiancandolo.

Giampiero scosse appena la testa. Sapeva quanto le sorti dello Dzsaco fossero legate a quelle dello Cmune e che l'anarchia nel regno dei Lotnevi avrebbe potuto avere ripercussioni negative anche su quello che lo separava dal Ruxuna.

«Raissa è stata più abile di me» ammise lui, abbassando lo sguardo. «Mi dispiace, Luciana.»

La fanciulla non disse nulla, ma strinse la mano sudata del marchese, come cercandovi il conforto che la freddezza di sua madre, pur presente nella sala, non era in grado di darle. Lui accettò quel tacito gesto di avvicinamento, ringraziando chissà quale divinità per aver fatto in modo che si trovassero ai margini dell'ampio salone e che nessuno potesse vedere le dita della principessa di Dzsaco dietro il suo palmo.

Clara Riutorci aveva iniziato a parlare, riepilogando la discussione della mattinata, ed era arrivata alla lettura della missiva apparentemente scritta da Nicola. Giampiero trattenne il fiato nell'udire di nuovo quelle stesse parole e il cuore gli balzò nel petto, senza curarsi del suo desiderio di non far arrivare quello che provava alla principessa in piedi al suo fianco.

«Per noi è stata una fortuna avere questa lettera» disse Clara. «Ma durante i Lupfo-Evoco non ho letto a chi era indirizzata, poiché ci avrebbe allontanati da quello che era il nostro compito.» La nobile si schiarì la voce e aggiunse: «Il destinatario della lettera è Luciana Lugupe di Dzsaco. Arrestate lei e Nicola Lotnevi di Cmune.»

   
 
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