Libri > Stephen King, Varie
Segui la storia  |       
Autore: beep beep richie    01/04/2020    1 recensioni
IT [ REDDIE!AU ]
Di cosa profuma Richie Tozier? Un quesito simile, prima di quel momento, Eddie non se l’era mai posto. Se ne stava in piedi davanti allo specchio del bagno a fissare il proprio riflesso ed aveva appena finito di constatare che la camicia con le palme di Richie fosse molto, anzi tremendamente larga, cazzo. Di cosa profuma Richie Tozier? Di stupido, innanzitutto. Aprì gli occhi e si rese conto di star sorridendo, piuttosto soddisfatto, ma farlo in assenza del suo amico gli sembrò un attimo dopo un po’ sciocco. Che gusto c’era ad insultare Richie se quello non poteva sentirlo? Se lo figurò proprio: s’immaginò quello che, ridendosela, quella sua risatina del cazzo, gli diceva che insultarlo in sua assenza fosse poco producente e poi faceva un’imitazione di qualcosa che Eddie non conosceva. «Sta’ zitto, Richie!» Un. Attimo. Cavolo. «Oh, perfetto, adesso per colpa tua mi metto anche a parlare da solo!» Era peggio di un’infezione, Rich gli avrebbe fatto venire una malattia mentale e non andava bene, oh, non andava proprio bene. Se gli avesse fatto venire una malattia, sua madre ne sarebbe uscita pazza.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eddie-Freddie ha uno strano muso triste

 

Quel Martedì mattina cominciò nel peggiore dei modi. La sveglia trillò puntualissima nelle orecchie di Eddie come un’allarmante sirena dell’autoambulanza facendolo saltare e sbattere col capo contro la testata del letto. Solitamente non gli avrebbe fatto alcuno spavento, era abituato a svegliarsi ogni giorno allo stesso orario, drinnn o non drinnn, ma quella volta gli sembrò di non aver chiuso occhio neanche per un attimo, ecco perché non gli funzionò la sveglia biologica. In effetti aveva dormito molte meno ore rispetto al normale e in quelle poche ore il suo cervello gli aveva giocato dei brutti scherzetti, facendogli immaginare il suo amico e la nuova arrivata a casa di lei a limonare nei modi più sporchi e fantasiosi. E – peggio ancora – non li aveva immaginati solo a... limonare. Le stesse orribili fantasie che aveva avuto prima di addormentarsi, mentre si rigirava fastidiosamente tra le lenzuola. Ma se aveva avuto una nottataccia, avrebbe avuto anche una giornataccia, no?
 
«Cazzo.» borbottò, grattandosi la testa nel punto in cui si era fatto male. Era un cazzo, però, più riferito al resto dei suoi problemi che a quella stupida botta. Le palpebre gli pesavano, non riuscì ad aprire gli occhi e capendo di sentirsi più morto che vivo nemmeno provò a farlo. Avrebbe volentieri fatto a meno di alzarsi per andare a scuola, ma non aveva voglia di fingersi malato, non quando si ritrovava Sonia Kaspbrak come madre – la donna si sarebbe preoccupata più del dovuto e l’avrebbe fatto restare a letto non per una giornata, ma per un mese intero, e non solo il ragazzo non avrebbe più rivisto per un po’ i suoi amici, ma il suo stomaco non avrebbe visto niente di buono, solo brodini e medicinali. Controvoglia si tirò su per trascinarsi in bagno e fu mentre mise il piede dentro una delle pantofole che tirò su col naso. Ecco, si disse, non dovrei nemmeno fingere di essere malato. Se avesse avuto la forza di concentrarsi per capire come aveva fatto a raffreddarsi, o avesse anche solo messo gli occhi sul piumone che lo teneva ogni notte al calduccio o sulle finestre tappatissime da cui non sarebbe mai potuto entrare neanche uno spiffero gelido, si sarebbe reso conto di aver pianto durante la notte. Come il più sciocco dei deboli. Come un innamorato col cuore infranto. Come il ragazzino fragile che sua madre da sempre gli diceva che lui fosse.
 
Girata la manopola del lavandino, stravolto, passò le mani sotto l’acqua fredda, le strofinò per bene senza usare il sapone e poi si stropicciò gli occhi. Non riuscì a fare un lavaggio migliore, così come non riuscì a guardarsi allo specchio. Si vestì con i primi indumenti puliti che trovò nell’armadio e fu quando andò a fare colazione che si rese conto di apparire moribondo... perché glielo disse sua madre.
 
«Eddie, amore! Hai un aspetto spaventoso! Cosa ti è successo?» si preoccupò la donna. Corse a mettergli una mano sulla fronte per vedere se scottasse, ma non scottava affatto. Il figlio restò inerme sotto quel palmo tozzo, sotto quella gigantesca preoccupazione. «Sei rovente! Pisellino, avrai preso freddo! Non ti sarai scoperto nel sonno?»
 
Eddie odiava le attenzioni che sua madre gli riservava, ma oggi non era in grado neanche di farlo – di odiarle. Era altrove con la testa, era nel mondo dei morti. Avrebbe solo voluto dormire qualche ora di più e poi al risveglio scoprire che Richie (sempre, sempre, sempre il primo pensiero, il primo cazzo di pensiero) non avesse trascorso la notte con Stacey, che non fosse successo niente tra loro. Però non era così. I due avevano dormito insieme e quante probabilità c’erano che non fosse accaduto niente? Andiamo! Un bacio doveva esserci scappato per forza e si era parlato di prime volte. Cazzo, quei due sicuramente avevano fatto sesso. Eddie non sapeva neppure come si facesse, il sesso. Non l’aveva mai fatto, se non si contava il legame sancito con Beverly dopo la sconfitta di It ed in un certo senso, aveva avuto modo di accorgersi, non lo contava
 
 
«L’hai fatto?»
«Fatto che cosa?»
«Quel che si dovrebbe fare. Non so bene neanch’io.»
Lui scuote la testa. Lei lo sente perché gli tiene la mano posata sulla guancia.
«Non credo che sia proprio come... be’, dicono i ragazzi più grandi. Ma è stato... è stato veramente bello.» Parla a voce bassa perché gli altri non lo possano udire. «Ti amo, Bevvie.»
 
 
e non credeva che nessuno dei suoi amici, quindicenni ormai, l’avesse fatto – neppure Bill che era tanto figo, anche se ora che stava con Beverly cominciava ad avere dei dubbi, neppure Richie che si vantava sempre delle sue conquiste, ma poi l’unica pupa che aveva un nome era sua madre e non era esattamente una pupa. Però, anche se di sesso non ne sapeva niente, sapeva che dove c’era il sesso, spesso, oltre a quella malattia di cui una volta gli aveva parlato Richie, la sifilide, c’era anche l’amore, o se non c’era magari dopo nasceva. O se non nasceva... beh, comunque se Richie aveva fatto sesso con Stacey, non l’avrebbe fatto con Eddie, questo era poco ma sicuro. Così come era sicuro che tanto al suo amico piacevano le ragazze, il che era un problema in teoria più grande di quanto lo fosse Stacey. Però (l’ennesimo però) anche se a Richie non piacevano i ragazzi, se non fosse arrivata quella brutta stupida, tutte le sue attenzioni le avrebbe rivolte ugualmente a lui. Era per questo in fondo che Eddie non si era mai disperato troppo per via della propria omosessualità che contrastava con l’eterosessualità dell’amico, invece da quando era arrivata Stacey sembrava la fine del mondo. Era la fine del mondo, del suo, se la notte precedente avevano fatto sesso.
Non ci stava, non ci stava proprio con la testa. Si sentiva stanco e forse la stanchezza non derivava neppure dal fatto che non avesse chiuso occhio. Se anche avesse dormito, Eddie si sarebbe ugualmente sentito stravolto. Stravolto dall’amore – faceva schifo, non se l’aspettava.
 
Odiava, allora, le attenzioni di sua madre, ma non riuscì ad opporsi per convincerla che andasse tutto bene, così come nemmeno – volendo – avrebbe fatto in tempo a rispondere alla domanda che lei stessa gli aveva posto, dato che volò fuori dalla cucina. Sonia sparì in fretta, il suo palmo ancora impresso sulla fronte del ragazzo, perché doveva prendere il termometro per misurargli la febbre. Era molto agitata. Quando la donna controllò la temperatura segnata sul termometro, Eddie però riuscì a leggere cosa vi fosse scritto. 36,9. Aveva la temperatura corporea media.
 
«Dio mio, hai la febbre!» Sonia era già pronta ad improvvisarsi dottoressa. Si lanciò verso un mobile per recuperare qualcosa che avrebbe potuto essere utile al suo povero bambino malato. «Adesso chiamo la tua scuola per avvisare che rimarrai a casa, devi stare a letto! Finisci di fare colazione e-»
 
«Neanche per sogno!» Fu in quel momento che Eddie sembrò svegliarsi, gli occhi finalmente aperti, anzi spalancati. Si tirò su trascinando rumorosamente la sedia sul pavimento e se ne fregò. Non finì la sua colazione come gli venne ordinato, ma prese un biscotto che avrebbe mangiato fuori da quella cucina, nonostante di norma gli fosse vietato perché non doveva fare briciole. «So leggere benissimo e non mi pare proprio che ci sia scritto che ho la febbre, ma’! Smettila di immaginarti le cose!» Io vado a scuola! «Non c’è bisogno che chiami nessuno!» Non fece altro rumore perché la sedia non venne trascinata al suo posto sotto al tavolo, a trascinarsi via invece fu lui.
 
La ribellione del figlio fece sbiancare Sonia: era impensabile che reagisse così, ma lei era davanti al mobile più lontano dalla porta della cucina e lui si era già diretto in camera sua, anzi lei l’aveva pure sentito sbattere la porta, perciò come poteva fermarlo? Dargli tregua, però, era altrettanto impensabile.
Eddie aveva appena finito di mangiare il suo biscotto quando vide la maniglia della porta, che aveva chiuso con la chiave, alzarsi ed abbassarsi in maniera continua, cigolando pericolosamente.
 
«Pisellino, per favore, apri la porta! Non voglio più che ti chiudi a chiave dentro, mi hai sentita? Potresti restare bloccato! È pericoloso, lo sai!»
 
Aveva le braccia morte, lo sguardo fermo sulla porta e l’aria vuota. Non disse una parola, volle aspettare che sua madre finisse. Ma Sonia non finì. Peggiorava, peggiorava se Eddie non le rispondeva. È più pericoloso se fai così con la maniglia, potrebbe rompersi, pensò soltanto.
 
«Dio mio, amore! Sei vivo?» Aveva cominciato a piagnucolare. «Rispondimi, ti prego! Eddie!»
 
Così Eddie si degnò di rispondere, alla fine.
 
«No.» disse.
 
«Cosa?!»
 
«Sì, ma’. Sì.» Sospirò pesantemente mentre lei ancora tentava di aprire la porta.
 
«Oh, grazie a Dio, tesoro! Aprimi, per favore! Non puoi lasciarmi fuori!» E ancora, e ancora, e ancora. Nominò persino i vigili del fuoco ad un certo punto, poi concluse così: «Eddie, io non riesco a capire perché tu mi faccia questo, lo sai che voglio aiutarti! Sono tua madre, per favore! Aprimi!»
 
Non si arrende? Non vede che è chiusa a chiave? Non capisce che non aprirò?
 
E infatti avrebbe potuto non aprire mai più. Richie spesso entrava ed usciva dalla finestra, Eddie poteva fare lo stesso, anche se nessuno glielo aveva mai insegnato e c’era il pericolo che scivolasse di sotto e si facesse molto male. Ma Eddie non aveva paura. Poteva farlo davvero. L’unico problema, ora che riusciva a tenere le palpebre alzate, era che i denti se li poteva pure lavare e per raggiungere il bagno la finestra diventava inutile. Perciò, pur potendo non aprire mai più quella porta, Eddie lo avrebbe fatto.
 
«Devi lasciarmi andare a scuola!» Parlò attraverso la porta, ancora chiusa. «Devi, o... o io... posso sempre scappare dalla finestra!»
 
Sonia si allarmò e ricominciò ad urlare, ma suo figlio la interruppe. La interruppe con una fermezza che era essenziale affinché lei capisse quanto facesse sul serio.
 
«Scusami, mamma, scusami tanto, ma non sono malato!» Non di febbre, almeno. Perché per quanto riguardava le altre stronzate... In quel momento sentì il bisogno di stringere il suo inalatore. Non lo fece, invece portò una mano alla propria fronte. Aveva ragione: non scottava per niente. «Devo uscire di casa, d’accordo? Lo farò dalla porta, ma tu lasciami andare a scuola. Non ho la febbre, ero solo stanco, ma adesso...»
 
Il telefono di casa squillò e Sonia dovette allontanarsi. Eddie ne approfittò per andare a lavarsi i denti e prima di uscire dalla porta del bagno si assicurò che la donna fosse ancora in chiamata. Sia lodata Eleanor Dunton!, pensò. Zaino in spalla, riuscì a raggiungere la bici.
Era presto, dato che si era preparato in maniera meno minuziosa del solito (non si era neppure spazzolato o pettinato i capelli!), così presto che Richie non era ancora arrivato. Pensandoci però Richie non sarebbe mai arrivato, non se aveva trascorso la notte in compagnia di Stacey. Probabilmente si era anche dimenticato dell’esistenza di Eddie, magari lei gli aveva fatto un succhiotto sul collo che aveva lasciato un segno talmente grosso da imprimergli, oltre che sulla pelle, il suo nome anche nella testa. Stacey, Stacey, Stacey. Non Eds, niente Eds. Fu per questo che mise un piede sul pedale e si avviò. Andò lento, ma non si fermò per strada neanche una volta, gli occhi in avanti sull’asfalto da percorrere e la mente ancora al suo dramma, indietro.
 
 
Una volta arrivato a scuola, Eddie attese in solitudine il suono della prima campanella per dirigersi verso la classe coi paraocchi, senza salutare né Stan né Ben. Quest’ultimo parlò al compagno solo con uno sguardo, uno sguardo preoccupato, molto preoccupato, ma Stan non poté che rispondergli con un’alzata di spalle. Quando poi in classe Eddie si sedette al proprio banco, Bill gli diede il b-b-buongiorno e notò con quanta poca vitalità quello lo ricambiò. Stessa cosa accadde con Beverly appena un minuto dopo.
I fidanzatini parlottarono, complici, scambiandosi idee e tirando fuori teorie abbastanza verosimili su quale potesse essere la causa del malessere del loro amico. Eddie non si accorse né di questo né di come i due si zittirono nel momento in cui arrivò quella che stesso loro avevano compreso fosse la causa, per l’appunto, del suo malessere: Richie in compagnia di Stacey.
E come poteva accorgersene? Era come se il risveglio causato dalle stupide premure di sua madre fosse avvenuto in un passato ormai troppo remoto e fossero nuovamente tornate le tenebre. In poche parole, se Bill gli avesse chiesto come si sentiva, la sua risposta sarebbe stata: non lo so, mi sento più di là che di qua. Anche se poi, in realtà, lo sapeva molto bene.
 
Di fortuna o sfortuna che si trattasse, alle sue orecchie non arrivò alcuna dichiarazione da parte di Richie sulla nottata trascorsa a casa della nuova arrivata – nonostante i Perdenti non stessero chiacchierando neppure tanto lontano da lui. Di fortuna o sfortuna che si trattasse, inoltre, la solitudine di Eddie non durò tanto a lungo. Fu proprio Richie ad avvicinarglisi e con l’intenzione di non andarsene immediatamente – gli arrivò alle spalle e poggiò fastidiosamente un gomito sulla sua testolina.
 
«Buenos días, mi princesa!» Sembrava contento. Anche troppo.
 
«Hey.» Invece Eddie sembrava morto. Anche troppo. Ci volle una frazione di secondo a Richie perché se ne accorgesse e subito spalancò gli occhi: CHI HA FATTO DEL MALE ALLA MIA PRINCIPESSA?!
Proprio lui.
Eddie cercò di allontanare il braccio di Richie e altrettanto sconvolgente per il corvino risultò quanto per niente lo stesse rimproverando. Solo... hey...
 
«Hey è un saluto troppo noioso persino per quella vecchietta di Stanley!» Lasciò perdere la testolina di Eddie e scivolò al suo fianco, anche se quello non era il suo posto. «Mi aspetto un saluto tipo buongiorno, Rich, mio unico dio e re del mondo! Anzi, sta’ fermo!» Come se Eddie si stesse muovendo – in realtà se ne stava ancora a fare il morto con gli occhi spenti posati sulla superficie del proprio banco, quello su cui spesso aveva scritto il nome del ragazzo che... non importava. «Se tu sei la mia principessa, io sono il tuo principe! Porca vacca, e quando la prendiamo questa corona, tesoro?! Ci vogliamo dare una mossa?! Ci tocca uccidere tua madre!»
 
Richie si aspettò che Eddie ridesse, sperò che lo facesse, ma non accadde assolutamente nulla. Attese un secondo scarso una reazione in ritardo da parte sua, ma oltre, oh, oltre non poteva attendere. Anche se era seduto al banco accanto, Richie si stese in avanti per posare su quello di Eddie entrambi i palmi ed il mento sui propri dorsi. Giusto per guardarlo più da vicino e meglio in faccia. Giusto per farsi udire una volta sussurrato: «Eds...»
 
Eds, dal canto suo, si sentiva troppo debole per reagire e troppo debole ci si sentiva anche il suo cuore, che non fece nemmeno un balzo per quell’appellativo e per il modo in cui Richie aveva sussurrato, un modo che sembrava dire mi importa di te, Eds, mi importa tantissimo di te. Era troppo stanco anche solo per azzardare un sorriso che tanto sarebbe apparso profondamente amaro, se non triste. E lui non si sentiva esattamente... triste. I morti in fondo non provavano tristezza, no? Erano già morti! Non si sentiva triste, né si sentiva arrabbiato – e comunque non voleva arrabbiarsi col suo amico solo perché magari aveva fatto sesso con Stacey o perché magari se l’era solo baciata, non voleva perché a conti fatti non era colpa sua. Oppure sì, insomma. Era colpa di Richie perché voleva Stacey, era colpa di Eddie perché non era come Stacey ed era colpa di Stacey perché era arrivata. E le colpe erano così tante quindi che il solo pensiero lo stancava.
Rimase zitto a fare il morto, rimase zitto a sentire il vuoto. Rimase zitto a sentirsi vuoto – e Richie, che vuoto vedeva il suo sguardo, cominciò a credere che per Eddie fosse vuota l’intera aula. Sperò lo stesso che gli rispondesse, lo sperò fino all’ultimo questa volta – sperò anche magari che Eddie dicesse una cazzata, come: ieri ho visto un film sugli zombie e volevo provare ad essere uno di loro! Porca puttana, andava bene qualsiasi cazzata! Ma Eds continuò a fare il morto. Perché cazzo continuava a fare il morto?!
Richie aprì la bocca per fare un altro tentativo, ma venne anticipato da Stacey. Anche lei sembrava troppo contenta.
 
«Buongiorno, Eddie-Freddie!»
 
Eddie non si mosse ancora di una virgola, non spostò neppure lo sguardo sulla ragazza che era andata ovviamente a poggiarsi con le mani sulle spalle di Richie. Avesse avuto la forza di pensare, avrebbe pensato di non volerla salutare, di non volerla vedere, di non volerla sentire, di non volere proprio la sua esistenza... ma questa forza non ce l’aveva, perciò senza sentimento rispose: «Buongiorno.»
 
La ragazza usò le mani posate sulle spalle di Richie per spingerlo via e soffiargli il posto. Fu contro la sua volontà che il ragazzo venne allontanato e cercò gli occhi di Eddie fino alla fine – però non servì a niente.
 
«Oggi c’è proprio un bel sole!» disse lei. Lui non l’aveva visto. «Gli uccelli cantano!» Questo poteva andare a dirlo a Stan. «E tuuu, piccolo Eddie-Freddie, hai uno strano muso triste! Sai, mi ricordi un cucciolo di cane ferito! Abbandonato, direi!» Osò allungare un dito verso la punta del suo naso. Il tocco destabilizzò il ragazzo, che finalmente distolse gli occhi dal banco e la vide. Stacey ne approfittò per continuare ora che aveva sicuramente la sua attenzione. Fosse stata un’amica, avrebbe insistito per sapere cosa non andasse con lui, ma lei non era un’amica. Se parlava con Eddie, la ragione era una sola: completare il suo piano. Quella, dopotutto, era la giornata riservata totalmente al Kaspbrak. «Oh, mi sento proprio... elettrizzata, tu no?!»
 
Non avesse avuto l’umore sotto ai piedi, Eddie avrebbe fatto caso a quanto quella parola, elettrizzata, sembrasse studiata, o avrebbe fatto caso a come, prima di pronunciarla, Stacey avesse studiato proprio lui con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
Avrebbe dovuto farci caso, gli sarebbe convenuto.
Beverly, più dietro, non tolse gli occhi di dosso a Stacey neanche per un attimo. L’insegnante aveva appena fatto il suo ingresso nell’aula, ma era una di quelle sante che lasciava agli studenti i primi dieci minuti liberi per permettere a quei pochi ritardatari di non perdersi l’appello, per cui non avrebbe cominciato la lezione nell’immediato e quasi nessuno aveva raggiunto il proprio banco. L’arrivo della donna, però, aveva fatto sì che Stacey abbassasse la voce e Beverly non poté sentire niente di quello che avrebbe detto a Eddie. Nessuno avrebbe sentito mezza parola.
 
«Sarà che ho dormito proprio bene. Oh cazzo!» disse a voce bassa e rise. «In realtà avremmo dormito sì e no tre ore!» Capì di dover ridere di nuovo – perché anche queste risate erano studiate. «Lo sai, Eddie-Freddie?»
 
Eddie avrebbe voluto tenere il cervello scollegato per tutta quella conversazione, ma persino da morto si rese conto di una cosa: stava per arrivare il peggio. Forse non era ancora arrivata la pena, forse era ancora assieme a Caronte ed ecco che adesso stava raggiungendo il suo girone all’inferno. Perché i ragazzi innamorati dei propri migliori amici, gli omosessuali, quella parolaccia!, finivano per forza all’inferno, l’aveva sentito dire una volta a sua madre. E stava arrivando, era lì, Stacey ce l’aveva proprio sulla punta della sua lingua biforcuta. Ne avesse avuto la forza, Eddie avrebbe stretto i pugni, ma ebbe soltanto la forza di ascoltare che...
 
«Il tuo amico è il miglior baciatore di questo cazzo di mondo!»
 
!
...
 
Pensava si sarebbe sentito molto peggio. Invece, scoprì, non poteva sentirsi peggio di così. Quanto male poteva fare una lama su una ferita già tanto grave?
 
«Forse dirtelo è un po’ imbarazzante, infatti pensavo l’avrei raccontato innanzitutto a Bev, ma siamo amici ed io... cazzo, devo assolutamente raccontarlo a qualcuno, mi tremano le mani!» Continuò Stacey agitando le dita. «E tanto anche Richie te l’avrebbe raccontato vista la vostra grande amicizia, perciò... Oh, Eddie-Freddie, è successo! Cioè lui... io... oh mio Dio!» Abbassò ancora di più la voce, ma non per questo parve meno esaltata. Tutto il contrario. «Capisci, l’abbiamo fatto!»
 
L’abbiamo fatto.
Il sesso. Per forza!
L’abbiamo fatto.
 
Capiva. Capiva benissimo.
Capiva che non c’era più niente da fare, ormai – ma che l’aveva già capito durante la notte. Capiva che aveva tirato su col naso quella mattina perché aveva pianto nel letto, capiva che persino adesso aveva gli occhi lucidi, anche se non si sarebbe fatto scappare neanche una lacrima. Perché aveva capito, ma questo l’aveva capito da molto tempo già, che amava Richie. Capiva che, per quanto logorante alcune volte, ma perlopiù nei giorni già tristi, poteva amarlo senza essere ricambiato perché non era così egoista, poteva amarlo non come un amico poteva amarlo però accettando di esserlo per lui. Capiva pure che al tempo stesso era troppo geloso per amarlo se lui stava con un’altra. Allora non si poteva fare. Capiva perciò che doveva trovare il modo di andare avanti, di amare Richie solo come un amico, per quanto fosse difficile. Capiva... capiva un cazzo. Niente.
Capiva che in ogni caso avrebbe trascorso le seguenti giornate come questa: come un morto.
Fosse stato vivo, avrebbe capito che non era vero che non ci fosse più niente da fare, ormai – perché prima di tutto, nei giorni precedenti, Eddie aveva capito una cosa: che Stacey nascondesse qualcosa. Fosse stato vivo, avrebbe messo da parte il suo malessere per aiutare il suo amico e togliere di mezzo Stacey – per Richie, non per se stesso. Perché Eddie, prima di tutto, doveva sempre salvare i suoi amici. Ma morto o morente... come poteva salvarli?
 
La nuova arrivata non smise di tediarlo, ma Eddie non smise di fare quello che stava facendo: non reagire. Poco importava che la sua non-reazione fosse per lei inaspettata: il piano di Stacey procedeva comunque liscio come l’olio. Sarebbe continuato più tardi, poiché l’insegnante chiese agli studenti di prendere ciascuno il proprio posto. Stacey osò: si azzardò a lasciare sulla guancia del morto un bacio di Giuda e zampettò via. La mano del compagno di banco a paccare la schiena di Eddie non servì a nulla: la mattinata proseguì come un funerale. Persino la ricreazione. Si giustificò coi suoi amici dicendo sono solo stanco e poi non parlò più. Prima Richie e poi Beverly avrebbero voluto portarsi via Eddie, ma Stacey sembrava non volersi scollare e lui sembrava non volersi far rallegrare.
 
L’ultima ora fu quella di disegno e miracolosamente la giornata sembrò prendere un’altra piega – un po’ per la leggerezza della lezione, un po’ perché a Bill fu permesso di spostarsi accanto al suo amico. Non gli domandò cosa gli passasse per la testa, ma gli chiese di aiutarlo col suo disegno e fra una cosa e l’altra riuscirono persino a scherzare. Eddie non si sentiva improvvisamente una Pasqua, era naturale, ma l’intervento di Bill ebbe lo stesso effetto di quello di Sonia: lo svegliò. E una svegliata serviva per forza nella giornata di Stacey dedicata a Eddie.
 
 
«Senti, Eds-» fece Richie al gruppo, appena fuori dalla classe, quando l’ora fu terminata. «...Dove cazzo è andato?!»
 
Alcuni dei Perdenti si guardarono attorno con aria confusa. Eddie era sparito, eppure...
 
«Un secondo fa era qui!» esclamò Ben.
 
«L-l’ha portato via S-S-Stacey!» rassicurò Bill, che aveva visto la ragazza prendere a braccetto l’amico e trascinarlo chissà dove. Si era preoccupato di seguirli, ma l’ultima ora di lezione era la peggiore: masse di studenti rischiavano di travolgere chiunque pur di scappare da quell’inferno che era la scuola. Così li aveva persi di vista.
 
«Ma vaffanculo!» s’infastidì Richie, lasciando sconcertati i Perdenti. In particolare, Bill lo guardò con aria torva, come se a fare in culo ci fosse stato mandato lui.
 
«Che c’è, Richie?» domandò Beverly.
 
«Ma niente! Oggi lo stronzo è più irraggiungibile della luna!» “Oggi lo stronzo mi ha detto solo hey e sto morendo di preoccupazione, porca vacca. Ed è con Stacey!”
 
«Sembrava molto giù.» tentò Ben. «Tu sai che gli è preso?»
 
«Ti pare! Che cazzo ne so, Covone, non dice niente!»
 
«Hey, calmati!» Beverly riprese la parola. «Non prendertela con noi, ne sappiamo quanto te, okay?» Fece una piccola pausa, durante la quale lui sbuffò. «Senti, Richie, dobbiamo chiederti una cosa.» La rossa andò dritta al punto e fissò negli occhi l’amico per scorgere la più piccola briciola di verità. «Puoi dirci cosa è successo davvero a casa di Stacey?»
 
Ben inarcò un sopracciglio, non trovando il nesso tra ciò e il pessimo umore di Eddie, ma Beverly, oh, Beverly aveva cominciato a schiarirsi le idee, e Bill con lei. E Stan? La sua espressione era indecifrabile, chi avrebbe potuto dirlo!
 
«Che cavolo c’entra!?» Aveva persino iniziato a gesticolare, confuso e infastidito. No, anzi, il tempo che scorreva lo faceva sentire incazzato. «Abbiamo parlato del più e del meno, che vuoi che abbiamo fatto?!»
 
Bugia.
 
«Ne sei sicuro, Rich?» insistette lei.
 
Richie strabuzzò gli occhi.
 
«Che avremmo dovuto fare, un omicidio e poi nascondere il cadavere?! E comunque questo che c’entra con Eddie?» Se Beverly non avesse perso quei due secondi a guardare in maniera complice Bill, come a chiedergli il permesso di parlare, Richie da lei avrebbe sentito più di un “Noi crediamo che...” prima di annunciare: «Vado a cercarli!»
 
E così Beverly rimase a bocca asciutta. Ben ribadì di dover fare qualcosa per Eddie, tanta era la preoccupazione che provava per lui, e gli altri furono d’accordo. Fu Big Bill a rassicurarli, dicendo che ci avrebbe pensato lui – qualcosa si sarebbe inventato per il suo migliore amico! L-lasciatemi p-pensare! Ma Richie di tutto questo non aveva udito neanche un’a, era ormai lontano.
 
 
«Potresti rallentare?» domandò una voce amica. Richie si fermò all’improvviso in mezzo al corridoio, non aspettandosi un inseguimento. «So che le regole non sono il tuo primo amore, ma ne esiste una che dice che non si corre nei corridoi ed io ci terrei a rispettarla.»
 
«Wow, Urina, allora non ti comanda solo la Torah! Addirittura il regolamento della scuola!» Gli uscì con un tono più sarcastico del solito, ma la cosa non sembrò toccare minimamente il suo interlocutore. Non aveva problemi se Stan voleva seguirlo, ma era un problema il tempo, Richie aveva decisamente fretta. «Scusa, ma non è il momento di fare Tom e Jerry, voglio solo trovare Eddie!»
 
«Lo so.» Ripresero insieme a camminare, ma lo facevano troppo lentamente per i gusti del corvino. Questo allora provò ad accelerare un po’, sperando di venire imitato. Stan non lo deluse poi molto, ma gli stava comunque dietro di due passi. «Perché?»
 
«Che vuol dire perché?!»
 
«Vuol dire perché.» Non faceva una piega. «Eddie non è solo, c’è Stacey con lui.»
 
«E questo ti preoccupa di meno?» Cazzo, Stanley, almeno tu! «Stacey non lo conosce così bene, lei non lo sa come come tirarlo su di morale, porca vacca, lei non ha la più pallida idea di come far ridere quel coglione!» Non lo sa nemmeno Big Bill, lo so solo io, si ritrovò a pensare, agitato, talmente agitato che senza accorgersene aveva preso a camminare più veloce.
 
«Quello che intendevo è che non si trova in cattive mani e che per questo potresti anche evitare di rimetterti a correre.» Fu con questa frase che Richie si rese conto di aver cambiato andamento. «Non raccontare bugie, Tozier. Non a me.» Ma fu questa a farglielo cambiare di nuovo – ebbe il potere di far rallentare il corvino fino a fermarsi del tutto.
 
Puntando gli occhi in quelli di Stan, Richie capì... ricordò che quello in qualche modo stava sempre un passo avanti, non sapeva dirsi se così fosse perché era il più saggio, era l’Uomo, o perché semplicemente era il suo migliore amico. Che Richie si preoccupasse da morire per Eddie ormai era chiaro a tutti ed a Stan era stato direttamente riferito, una volta. Non voglio che Eddie stia male. Mai. Che però l’agitazione del ragazzo non fosse dovuta solo a questa voglia matta di consolare il suo amico sembrava chiaro soltanto all’Uris. Sì, il Tozier aveva paura per il Kaspbrak, ma aveva paura anche di qualcos’altro, o per qualcun altro. Puntando gli occhi in quelli di Stan, Richie convenne che l’avrebbe scoperto, ma non riuscì a dirglielo ancora.
 
«Sta una merda.» Questa era la più semplice da rifilargli tra le verità. «Ed io non so perché. Stamattina arriva e sembra Mr. Depressione, se scopro che sua madre gli ha detto qualche stronzata io giuro che...!» Si infastidì di più, serrò i pugni.
 
«Gli occhiali non eliminano la tua cecità, suppongo.»
 
«Mh?» I pugni chiusi durarono meno del previsto. «Che vuoi dire?»
 
«Che forse per una volta non è sua madre il problema e lo sai anche tu.»
 
«Eh no, Stanny, se hai deciso di giocare a fare gli indovinelli proprio oggi hai sbagliato giorno!»
 
Stan alzò gli occhi.
 
«Non mi sembra molto difficile, visto che tu stesso ti sei preoccupato quando Bill ha detto che Eddie fosse con Stacey.»
 
«Io non sono geloso di Stacey!»
 
«Non ho mai detto questo, infatti.» Continuava a non fare una piega.
 
E Richie continuava a non capire niente. E ad irritarsi, dato che stava perdendo tempo prezioso che avrebbe potuto utilizzare per cercare il suo Eds.
 
«Parli chiaramente o no? Sto per lasciarti da solo in questo fottuto corridoio!»
 
Con molta, troppa calma per i gusti del Tozier, l’Uris non lo informò che quasi sicuramente le scorse crisi di nervi del Kaspbrak e il suo pessimo umore di oggi derivavano dalla sua palese gelosia nei confronti della nuova arrivata, ma rispose: «Sono certo che tu voglia consolare Eddie e sono anche certo che lui ti manchi, Rich.» Cosa che non riusciva a concepire, non era che non si vedessero da anni, ma non volle soffermarsi su questo punto quasi sdolcinato. «Ma conoscendoti, e ti conosco, sembra quasi che tu non voglia lasciarli da soli.» Si corresse: «Che tu abbia paura di lasciarli da soli. A questo punto ieri notte deve essere successo qualcosa che non mi hai detto.»
 
Qualcosa che ormai, capì Richie, era costretto a rivelare. (Qualcosa che lo avrebbe distratto dalla sua caccia al tesoro.)
Se da un lato questa Boccaccia sperava di non dir niente, dall’altro c’era qualcuno che invece parlava troppo...
 
 
Stacey non aveva dato tregua a Eddie nemmeno per un secondo e quando era riuscita a portarselo dietro agli spalti di fronte alle piste della scuola, scuola che ormai si stava svuotando quasi completamente, ancora non aveva smesso di tediarlo con la sua voce da gallina.
 
«...Finché non è arrivato il momento di vestirci!» era stata finalmente la conclusione di quell’agghiacciante racconto. Perché evidentemente il povero Kaspbrak meritava di conoscere i dettagli più inutili e disgustosi – succulenti, avrebbe detto la ragazza – della “magica notte con Rich”. «Allora?! Non dici niente?»
 
Poiché nell’ultima ora aveva avuto modo di darsi una svegliata, , qualcosa Eddie l’avrebbe detta, ma questo non voleva dire che avesse sul serio voglia di continuare quella conversazione. Già era un miracolo che non l’aveva mandata a cagare e non se ne era andato. Anzi, in realtà c’era stato un momento in cui aveva perso la calma ed aveva sbroccato, roba tipo “Senti, Stacey, non me ne importa niente di quello che avete fatto tu e Richie! Raccontalo a Beverly se proprio vuoi, va bene?”, però lei aveva insistito di avere bisogno di un parere maschile. Come se poi gli avesse lasciato un momento di silenzio per dire la sua prima di quel momento...!
 
«Non lo so, che sono contento per voi?» Ovvia bugia.
 
«No no no, bimbo!» Bimbo. Cribbio, quasi era meglio Eddie-Freddie! Agitò un indice davanti al suo viso e si lasciò cadere per terra sull’erba secca. «Tu non sembri contento neanche un pochino, sei il peggiore degli amici!» Lo disse ridendo, ma Eddie tanto non si reputava suo amico. «O forse sei solo il più timido!» E non si reputava affatto il più timido, a dirla tutta.
 
«Il fatto è che non sono affari miei con chi fanno o non fanno sesso i miei amici!» Arrossì violentemente nel pronunciare davanti a lei la parola sesso. «Quindi se devi raccontarlo a qualcuno semplicemente non lo raccontare a me! E poi-» Stava per aggiungere giusto che non fosse suo amico, ma lei lo interruppe.
 
«Che fai, mi lasci sola?» Batté un palmo sul terreno. «Siediti con me!»
 
Le rispose con una smorfia di disgusto innanzitutto, poi disse: «No, qui sotto non batte nemmeno il sole, fa persino più schifo!» Scosse vigorosamente la testa. «E comunque me ne stavo andando a casa, no grazie!»
 
«Dai, Eddie!» provò ad insistere. «Ho voglia di farti sorridere un po’!» Frase che gli fece arricciare il naso, perché al massimo lei era la ragione per cui si era ritrovato sia a piangere di notte, sia a sentirsi come pupù di cane per tutta la mattinata. «Ecco, puoi sederti sulla mia felpa!» La sistemò giù accanto a sé.
 
Per quanto il gesto non fosse malvagio, Eddie continuava a ritenere che, gelosia a parte, lei lo fosse, malvagia, con quel suo piano. Scosse di nuovo la testa. Incrociò le braccia sul petto per darsi un certo tono quando provò a ribattere, ma di nuovo non ci riuscì. «Forse tu non l’hai capito, ma non m-» i piaci neanche un po’? Ogni volta che Eddie stava per rivelare di detestarla, di insinuare che stesse nascondendo qualcosa a tutti loro Perdenti rischiando fra l’altro di farsi un nemico ed infine liberarsi con un bel vaffanculo, quella gli parlava sopra.
 
«La verità è che non riesco a parlarne con Bev. Lei è... lei è troppo, capisci?» Che Beverly fosse fantastica si sapeva...? «Nel senso: lei sta con Bill, che è figo, è – è tipo il capo, no? Mi sentirei in soggezione a raccontarlo a loro, sicuramente l’hanno già fatto e sono più esperti di me, finirei col scoprire che con Richie ho fatto solo casini e mi sentirei una stupida! Stan mi fa sentire in soggezione circa... sempre, se devo essere sincera,  fa un po’ paura, figuriamoci a parlare di queste cose! E Ben... Ben non credo che voglia parlarne, Mike non viene a scuola e tu, invece... Tu sei così simile a me.»
 
«Noi due non siamo simili.» E se lo fossimo, Richie sceglierebbe comunque te. Bello. Talmente bello che ora si sentiva di nuovo di merda. Strinse i pugni.
 
«Invece io credo di sì, tu s-»
 
Stavolta fu Eddie a parlarle sopra, annunciando: «Io credo di no! Ora scusa ma vado davvero!» Si avviò persino, quando...
 
«Eds!»
 
... il richiamo di Stacey lo fece rabbrividire. Fermo e rivolto verso di lei, rispose: «Non chiamarmi Eds. Solo Richie lo fa, solo lui può farlo e tu non hai un cazzo di diritto di copiarlo!» “Finalmente” riuscì ad arrabbiarsi con lei senza essere interrotto. Gesù santo.
 
Stacey aveva più volte sentito Eddie rimproverare Richie dicendogli che non dovesse chiamarlo con quel nomignolo perché gli dava fastidio, ma ora aveva la prova che non era così. Per quanto la cosa la soddisfacesse, si mostrò rammaricata.
 
«Scusami, io credevo... scusami, Eddie, non volevo copiare nulla, mi dispiace! Se ti dà fastidio non lo farò più!»
 
Bene, convenne lui, accorgendosi solo in quel momento di avere i pugni chiusi per il fastidio. Annuì e decise di tornare sui suoi passi e abbandonare lì quella brutta stupida, ladra di ragazzi e pure di soprannomi.
 
«Eddie?» lo chiamò cautamente quest’ultima volta e per l’ultimissima volta Eddie decise di darle corda, ma poi basta, poi se ne sarebbe andato: non gliene fregava un cazzo se era la giornata riservata a lui, ne aveva già abbastanza. Proprio mentre le dedicava per l’ultima volta la sua attenzione, pensò: ho i coglioni girati. «Prima che tu te ne vada, conosco un modo per liberarsi la testa. Sai, dai pensieri brutti.» Il ragazzo la guardò con aria esortativa, quella concessione serviva dopotutto più a lui che a lei. La nuova arrivata si tirò in piedi e incominciò a legarsi i capelli in una coda. «Correre.»
 
«Non ho le scarpe giuste.» ribatté il castano.
 
«Siamo in due, allora. Facciamo una gara. Io e te.»
 
Una gara...
 
Messa così sembrava tutta un’altra cosa. Eddie era veloce e lo sapeva, Eddie odiava perdere ed Eddie... Eddie voleva vincere contro Stacey, per una volta. Se non poteva avere Richie, almeno vincere una corsa. Magari l’avrebbe davvero aiutato, in fondo, correre, si sarebbe schiarito i pensieri e si sarebbe sentito di nuovo vivo.
 
«Però!» riprese Stacey. «Devi lasciare qui quel tuo marsupio! Non puoi correre con quello, andiamo!»
 
Non aveva voglia di lasciare le sue medicine, ma avrebbero potuto appesantirlo sul serio e lui voleva vincere. Tentennò, non del tutto convinto di voler correre per davvero e per di più senza l’inalatore, però alla fine posò sulla felpa della ragazza il marsupio. «Okay.»
 
«E ora voltati, Eddie-Freddie! O mi vedrai il seno!»
 
«Cosa?!» Ma si era già girato.
 
Gay panic!, pensò lei, ridacchiando, mentre si spogliava della sua felpa pesante. La ragione? «Non posso mica correre con questa! Ho una canottiera nello zaino!»
 
«Okay, ma sbrigati! Potrebbe passare qualcuno e vederti! Ci si cambia negli spogliatoi, qui è poco consono, cazzo!»
 
«Quanto sei lamentooooso, Eddie-Freddie!»
 
Inoltre non c’era niente da temere: la canottiera, in verità, la indossava già sotto la felpa. Quella della sua seminudità era una scusa come un’altra per infilare le mani dentro il marsupio del ragazzo.
 
«Ancora un attimo, non ti girare!»
 
«E chi si gira!»
 
Fatto, concluse soddisfatta del suo lavoro.
 
«Fatto!» trillò pure, prima di correre verso la pista. «Forza, Eddie-Freddie, vediamo se mi batti!»








 
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Ehilà, amici! Mi prendo questo piccolo spazio per dire due cose di fondamentale importanza! La prima è SCUSATEMI: so che questo capitolo è un po' un cagotto e per di più Eddie e Richie praticamente non interagiscono, ma FIDATEVI, mi serviva per la trama, giuro che nei prossimi capitoli vi darò qualche gioia in più! Scusatemi anche se spesso sono andata ooc, cercherò di migliorare! La seconda è che mi sono scordata di precisare che ho scelto a dire il vero la versione del... remake, ecco? Nel senso che siamo negli anni '90, che i protagonisti hanno sconfitto It a tredici anni e (lo dico perché ho visto che si è creata un po' di confusione) due anni dopo (quindi in questa fanfiction, come è precisato nel primo capitolo) sono quindicenni!
Grazie ancora se mi leggete e SIETE CARINISSIMI QUANDO MI MANDATE LE FANART CHE VI FANNO PENSARE ALLA MIA FANFICTION, AW! Un bacio a tutti! Passo e chiudo! (⁎˃ᆺ˂)

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Stephen King, Varie / Vai alla pagina dell'autore: beep beep richie