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Autore: Danny Fan    03/04/2020    0 recensioni
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]Una pazza scommessa, un viaggio intorno al mondo, un incontro voluto dal destino. Una storia d'amore senza tempo, fra i rintocchi dell'orologio e il tè dell'India coloniale.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hong Kong, Cina, dal 1 al 6 novembre 1872.

Dal primo novembre, il mare decise di arrabbiarsi col Rangoon e con tutti, o quasi, i suoi passeggeri.
Il tempo peggiorò grandemente, e Aouda, che non soffriva per nulla il mal di mare, si scoprì a camminare per i ponti e i saloni di una quasi nave fantasma, visto che la maggioranza dei passeggeri restava nelle cabine in preda al tormento.
Lei aveva fatto invece un buon pasto, e quando le onde lunghe provenienti dal largo scuotevano il piroscafo, le bastava reggersi alle balaustre di sicurezza, riprendere l’equilibrio e andare avanti.
Quel mattino del primo novembre, dopo aver dormito fino a metà mattina, aver fatto colazione, ed essersi preparata di tutto punto come le piaceva ormai fare, potendo disporre di due bellissimi vestiti nuovi, si recò nel salone del Rangoon praticamente deserto.
Solo in un angolo, in una posa molto rilassata per i suoi canoni, con un braccio in perno sul davanzale dell’oblò ad arco, Phileas Fogg guardava il mare in tempesta.
Aouda cercò di non sopraggiungere con troppa irruenza, perchè non voleva interrompere la sua meditazione.
Diede così un piccolo colpetto di gola, ed egli si volse dalla sua parte.
Non sembrava sofferente per il mal di mare; il suo colorito era normale, la postura eretta, era ben vestito, ben pettinato, e Aouda potè perfino sentire un delicato sentore di acqua di colonia quando gli fu abbastanza vicino.
<< Signora Aouda >>, la salutò, in tono cordiale. Anche la voce era molto ferma e profonda come al solito.
<< Vi sentite bene? >>, le chiese.
Aouda scrollò educatamente le spalle, << Sì, vi ringrazio dell’interessamento. Non ho alcun malessere. E nemmeno voi, sembra >>.
<< Non ho mai sofferto il mare >>, rispose con somma indifferenza Phileas Fogg.
Dopo una manciata di secondi di silenzio, amplificati dall’insolita quiete della grande sala deserta, egli le indicò un piccolo vassoio che stava sul tavolo vicino, << Gradite un biscotto? >>.
<< Oh, volentieri >>, sorrise Aouda. Si stava oramai abituando al modo di fare del compagno di viaggio. Non la lasciavano più stranita le sue uscite secche, espresse con quel tono categorico e impassibile, quasi che fosse urtato. Ormai sapeva che non lo era, e che quasi subito arrivava un’altra frase, formulata con gentilezza e disinvoltura, come un automatico tentativo di rassicurare l’interlocutore. Aouda aveva capito che Phileas Fogg non si comportava così perchè lo sceglieva; era il suo modo di parlare e di porsi. Era fatto così. E non gli importava cambiare per chicchessia. E perchè avrebbe dovuto? A lei non dispiaceva. Anzi, le piaceva, la divertiva quel suo modo di fare. La... affascinava, suo malgrado.
Mentre lei sbocconcellava il delizioso biscotto, entrambi guardarono sul ponte, dove Passepartout stava divertendo sommamente i marinai, arrampicandosi sugli alberi del piroscafo per controllare le condizioni del mare e della nave, in modo che potessero andare più veloci.
Aouda rise come i membri dell’equipaggio a quella vista, mentre il signor Fogg socchiuse gli occhi e arricciò appena le labbra, in un’espressione benevola di contrariato divertimento per le imprese del suo servo.
Aouda sentì il cuore fare uno strano balzo. Aveva decifrato chiaramente quella sua espressione. Difficile da discernere in quanto a significato per una persona che non conosceva il gentleman, ma così semplice per lei, dopo solo pochi giorni di vicinanza, seppur costante. La emozionava riuscire a capire cosa provasse, una volta tanto.
<< Vi diverte molto, vero, Passepartout? >>, disse quindi il signor Fogg, dopo un momento, andandosi a sedere sul divanetto che spalleggiava gli oblò.
Aouda lo seguì, accomodandosi alla sua destra, << Sì >>, rispose, << È un bravo giovane >>.
<< E vi ha salvata >>.
<< Voi mi avete salvata >>, rettificò Aouda. Anche lo stesso Passepartout le aveva rinarrato tutta la storia giorni addietro, nei dettagli. Se Fogg non avesse proposto di fermarsi per sottrarla agli indù, per fare veramente qualcosa di concreto per lei, Aouda sarebbe morta. Gli altri avrebbero proseguito, era bastato loro il rammarico per la sua sorte.
<< Non fisicamente >>, disse il gentleman.
<< Ci mancherebbe >>, rispose Aouda, in tono dolce, << Che un gentiluomo come voi debba fare cose così spericolate di persona, non si è mai sentito >>.
Fogg si lasciò sfuggire un mezzo sorriso mentre diceva, << Il mio grado di spericolatezza è abbastanza elevato, signora, ve lo assicuro. Solo, Passepartout mi ha preceduto col suo notevole ingegno >>.
Aouda sorrise di piacere. Un’altra prima volta. Lui le stava dicendo qualcosa di sè.
<< E anche voi apprezzate molto il vostro servo, non è così? >>, gli chiese.
<< Mi fu molto ben raccomandato. E ha superato finora le qualità che un normale servo dovrebbe possedere per essere benvoluto dal suo padrone >>, una pausa, << Nonostante... >>, guardò dalla finestra il giovane che saltava acrobaticamente giù dall’albero, << ... alcune volte sia un po’ esuberante >>.
Aouda scoppiò a ridere, e anche il signor Fogg emise una specie di sbuffo di divertimento, quasi una mezza risata.
<< Si vocifera che questo maltempo potrebbe sfociare in una tempesta >>, argomentò Aouda poco dopo, prendendo un altro biscotto.
<< È praticamente certo >>, confermò l’inglese, senza traccia di preoccupazione.
<< E che se così fosse il piroscafo potrebbe avere anche venti ore di ritardo. Non siete in ansia per la prosecuzione del viaggio? Se si dovesse ritardare così tanto, la vostra coincidenza per Yokohama salterebbe... >>.
<< Il mare è imprevedibile >>, rispose Fogg, << Ma se ritardassimo, ci sarà senza dubbio il modo di rimediare e continuare il viaggio senza intoppi >>.
 
 
La tempesta arrivò, si scatenò rallentando enormemente la corsa del piroscafo, e poi cessò, nella giornata del 4 novembre. Appena tornò il bel tempo e il mare calmo, il vapore riprese un’andatura sostenuta, ma Passepartout fece sapere ad Aouda che l’arrivo a Hong Kong, nell’itinerario del signor Fogg era previsto per il 5, giorno che passò mentre erano ancora in mare. La terra fu avvistata solo il 6, e se ne ricavava che il piroscafo per Yokohama era inevitabilmente perduto.
Aouda visse quei giorni, dal 2 al 6 novembre, in perpetua ansia, nonostante fosse brava a nasconderlo il più possibile. Le preoccupazioni la scuotevano: sarebbe stata bene accolta a Hong Kong? L’avrebbero rispedita in India? Avrebbe sopportato di separarsi dal signor Fogg e da Passepartout, ai quali si era talmente tanto affezionata?
Solo il pensiero che il gentleman sarebbe partito senza più preoccuparsi di lei e del suo benessere, la faceva sentire spaurita. Era stato così rassicurante, anche se per pochi giorni, avere qualcuno che si prendeva cura di lei, non soltanto sotto l’aspetto materiale, ma soprattutto dal punto di vista morale. Fogg le teneva compagnia, nonostante la poca loquacità, e quando erano assieme Aouda si sentiva calma, sicura, protetta, anche nei silenzi. Certo, c’era una sorta di tensione di qualche tipo che la prendeva inspiegabilmente, e che lei chiamava ormai “la gratitudine traboccante”, ma non era mai una sensazione spiacevole.
E poi c’era Passepartout, col quale amava parlare di tutto, che era sempre così simpatico e cordiale. Nonostante la barriera sociale, quella che intercorreva fra i servi e i padroni e che racchiudeva i loro reciproci sentimenti, sentiva che erano diventati amici.
Quei giorni volarono.
Infine, quando arrivò il 6, Aouda si preparò per sbarcare.
Nell’incontrarsi col suo benefattore, notò che il fatto di avere ventiquattr’ore di ritardo non aveva in alcun modo influito sul suo umore, sempre abbastanza imperscrutabile, nè sulla sua volontà di riuscita, visto che era chino sulle sue carte con l’itinerario di viaggio. Quel giorno indossava un bell’abito dai pantaloni chiari a righine verticali che lo facevano sembrare molto più alto di quanto già fosse, e dal panciotto grigio scuro in velluto che gli aderiva in modo splendido sul bassoventre modellato. Contro il freddo del porto, aveva inoltre indossato una redingote nera, anch’essa ben aderente, e un cilindro marrone chiaro in panno che creava un bel contrasto col biondo dei capelli.
Aouda provò una vampata di... gratitudine.
Mentre si avvicinava, sistemandosi la pelliccia sulle spalle e sul corpetto dell’abito marrone e dorato, pensò subito di scusarsi per l’accumulo di ritardo che il suo caso avrebbe richiesto una volta sbarcati.
Non riuscì però a dire nulla, perchè vide Phileas Fogg sollevare lo sguardo su di lei, mantenerlo sul movimento oscillatorio delle sue ampie gonne, e poi riservarle un sorriso molto caloroso. Non aperto, ma... un vero sorriso di compiacimento.
<< Signora >>.
Aouda salutò a sua volta. Era quasi certa che lui stesse per farle un complimento sul suo aspetto, ma il gentleman semplicemente le porse il braccio per scendere dalla nave.
Mentre percorrevano la passerella, gli chiese, << Signor Fogg, adesso che il piroscafo per il Giappone è perduto, cosa farete? >>.
<< In verità, signora, non è perduto affatto. Ho interrogato il pilota poco fa, e questi mi ha fatto sapere che il Carnatic partirà domani mattina all’alba, a causa della riparazione di una caldaia >>.
Aouda si portò una mano sul cuore, << Questa è una notizia bellissima! Però avete sempre un giorno di ritardo... >>.
<< Che non influirà troppo sul resto del viaggio, se lo si riguadagna con una navigazione più veloce da un’altra parte >>.
Aouda annuì, in parte rasserenata.
Era l’una allora, perciò c’erano molte ore di tempo perchè il signor Fogg riuscisse a sistemarla a dovere a Hong Kong.
<< Abbiamo sedici ore per i nostri affari, dunque >>, disse infatti Phileas Fogg, consultando il suo orologio da taschino.
Lei annuì di nuovo, senza sorridere. Sedici ore. Solo sedici ore da passare ancora assieme....
Salirono su un palanchino.
<< Un albergo nelle vicinanze? >>, domandò il signor Fogg ai portatori.
<< Il Club’s Hotel, signore. È a venti minuti da qui >>.
<< Bene >>.
Quando giunsero nell’elegante edificio, il gentleman fermò tre camere, e seguì l’addetto che la accompagnò alla sua. Passepartout rimase appena fuori dalla porta.
Aouda scoprì un appartamento fin troppo spazioso per lei sola.
Si fermò nel salottino, mentre il signor Fogg, con fare tranquillo, esplorava ogni angolo della suite, assincerandosi che fosse adatta e che recasse tutto ciò che serviva ad una signora.
Appoggiata allo schienale di una elegante poltrona, senza osare sedervisi, Aouda arrossì moltissimo e dovette abbassare il capo al pensiero che Phileas Fogg si comportasse esattamente come farebbe un marito nei confronti di una moglie. Non solo in Inghilterra, infatti, ma anche in India lo sposo aveva sempre il dovere di provvedere alle esigenze della sposa, nell’arco di tutta la vita.
L’ispezione durò circa un minuto, e quando egli tornò nel salottino fece un cenno all’albergatore, il quale si dileguò sollevato.
Fogg si rivolse quindi a lei, << Signora, potete mettervi comoda e riposarvi. Io andrò subito a cercare il vostro parente, per sistemarvi al meglio presso di lui >>.
Aouda annuì, cercando di nascondere il fatto che la voglia di sorridere le fosse del tutto passata.
<< Vi prego di pazientare fino al mio ritorno. Passepartout! >>, chiamò poi senza alzare la voce.
Il giovane accorse, sorridente, << Signore? >>.
<< Per favore, tieni compagnia alla signora Aouda mentre sono via >>.
Passepartout chinò appena il busto in modo informale, << Certamente, signore >>.
Aouda osservò il gentleman accostarsi alla porta, calzare di nuovo il cappello con gesto automatico e uscire senza voltarsi.
Lei e il francese rimasero per un momento in silenzio quindi Aouda disse, << Potete andare a riposarvi, Passepartout, se volete >>.
<< Oh, non sono molto stanco, signora. Se lo desiderate, posso farvi portare una merenda o un tè, o farvi preparare un bagno caldo... >>.
<< Un bagno? >>, si stupì Aouda, << Davvero posso farlo? >>.
<< Certo che sì. Non che non siate più che gradevole, non mi fraintendete! Ma dopo tutti quei giorni in viaggio, può forse farvi piacere, come momento di riposo. Insomma, per distendervi >>.
Aouda rise all’imbarazzo del servo, ma l’idea di potersi immergere nell’acqua calda, e forse profumata, la stava già inebriando.
<< Mi sembra un’idea splendida, Passepartout. Grazie >>.
<< Provvedo subito, allora >>.
Pochi minuti dopo, mentre si crogiolava nel tepore che le arrossava la pelle e nel profumo di rosa che le solleticava deliziosamente le narici, Aouda non riuscì comunque a scacciare l’ansia per l’avvenire e la tristezza per il prossimo addio al suo salvatore. Forse avrebbe potuto chiedergli se potevano scriversi, ogni tanto. Magari venirsi a trovare... Non avrò mai il coraggio di essere così diretta. Eppure, la sua natura indiana le comandava di seguire l’istinto e di essere meno ligia all’etichetta stabilita dall’educazione inglese. Quest’ultima le era stata impartita da una lady anziana che si trovava a Bombay quando lei era bambina, e che accompagnava le giovani di buona famiglia fino alla prima giovinezza. Già da adolescente, Aouda pensava che la donna fosse un po’ troppo ancorata a idee arretrate e castigate sui rapporti umani e su come una donna doveva porsi nei confronti degli uomini. Secondo l’educatrice, se una donna aveva un poco di iniziativa, poteva essere considerata immorale. Aouda pensò che una semplice richiesta di corrispondenza fra un gentiluomo e una gentildonna che si erano conosciuti in viaggio non fosse da considerarsi così immorale, ma comunque temeva che Phileas Fogg potesse affibbiarle quel brutto aggettivo. Ma come trovare il coraggio di lasciarselo alle spalle senza nemmeno una piccola speranza?
 
 
 
Phileas salì sul palanchino e si fece portare alla Borsa.
Gli parve il luogo più adatto per reperire informazioni su dove trovare l’onorevole Jejeeh, visto che era uno dei più ricchi commercianti della città.
Durante il tragitto, si sforzò di lottare col suo umore sempre più cupo.
Aouda meritava una vita agiata e serena, circondata dai suoi familiari, persone che erano a lei congiunte da legami di sangue, e che quindi per forza l’avrebbero ben trattata. Come si poteva, infatti, non avere cura di una donna simile? Soprattutto dopo che ne aveva passate così tante. Lui non sapeva esattamente cosa significasse avere dei parenti a sostegno, soprattutto morale. Sua madre era morta giovane, quando lui era neonato. Al compimento dei tredici anni, suo padre lo aveva destinato da subito al mestiere col quale si era poi arricchito. Il misterioso passato di Phileas Fogg, del quale non parlava mai, non perchè si vergognasse di essere stato un marinaio, ma perchè troppo legato a ricordi così lontani, che però ancora bruciavano. Quando si era trovato al suo primo viaggio, durante la sua primissima tempesta, ed era stato talmente terrorizzato da essere convinto di morire, si era sentito scacciato, abbandonato, odiato, ripudiato, da suo padre. Egli lo aveva gettato su una nave e lasciato indifeso contro le forze della natura. Solo contro il mare. Aveva anche lui iniziato a odiare suo padre, convinto che il sentimento fosse reciproco. Non si erano mai chiariti, perchè il genitore era morto di colpo apoplettico durante uno dei suoi altri viaggi, pochi anni dopo. Al suo funerale, Phileas aveva pensato fra sè, in modo sprezzante, che di certo non avrebbe ereditato quella stessa morte, nè i problemi di cuore debole, tanto aveva conosciuto il terrore, a causa sua, in così giovane età. Crescendo, diventando un giovane e poi un uomo maturo come si considerava chi si trovava alla soglia dei quarant’anni, Phileas aveva rivalutato la scelta di suo padre. Lo ringraziava, anche. Doveva a lui la sua fortuna, che si era triplicata da quale era ai tempi del suo vecchio. Suo padre lo aveva strappato alla fanciullezza, era vero, lo aveva allontanato senza troppe spiegazioni, ma le esperienze vissute in mare lo avevano reso forte, lo avevano fatto crescere. Lo avevano fatto diventare un uomo capace di badare a se stesso già da prima che avesse vent’anni. Lo avevano reso in grado di sopportare la solitudine, tanto da volerla infine ricercare. Il mare ti mette davanti a te stesso. Quando stai lottando contro di lui, non c’è nessun altro che ti possa salvare. Sei solo. O sopravvivi o muori.
Phileas, ovviamente, era sopravvissuto.
Era rimasto solo a lungo, anche una volta terminata quella carriera di capitano.
In un certo qual modo, era orgoglioso di aver superato da solo tutti quei disagi e quelle sfide. Che nessuno lo avesse aiutato a costruire il suo patrimonio, che venisse tutto dalle sue risorse, intellettuali e fisiche.
Naturalmente, però, qualcosa gli era mancato. Quello che gli altri chiamavano “il calore della famiglia”, Phileas non sapeva cosa fosse. Era stato figlio unico, di genitori figli unici, o unici arrivati all’età adulta, comunque. Perciò, nessun altro parente.
Certo, non un dramma, visto che si supponeva che un uomo, già prima dei suoi quarant’anni, avesse una propria famiglia. Ma sul perchè Phileas non si fosse mai sposato, aveva rimuginato anche troppo in vita sua.
E ora lui e Aouda si dicevano addio.
Non che Phileas avesse mai considerato Aouda sotto la veste di potenziale moglie. Salvo in quel preciso momento. Scacciò comunque in fretta il pensiero, considerandolo a dir poco ridicolo. Aouda era giovane e bella. Così fresca, gaia, educata e gentile. Era... inarrivabile per lui. Phileas era sicuro che lei gli fosse grata, e che fosse tutto lì.
Intanto, era giunto alla Borsa.
Entrò, si tolse il cappello e domandò subito di conferire con alcuni agenti.
Uno in particolare si mostrò ben disponibile ad aiutarlo.
<< Cerco l’onorevole Jejeeh, commerciante indiano >>, spiegò Phileas.
L’uomo annuì, << Lo conosco >>.
<< Può essere così gentile da indicarmi dove posso trovarlo? >>.
<< Non a Hong Kong, temo >>, rispose l’agente, << Forse in Olanda. Si è trasferito da qualche anno, dopo essere diventato ricco. Non sono sicuro, a dire il vero, sul paese, ma verosimilmente sì, in Olanda, a causa dei grandi traffici che trattava in quella zona dell’Europa >>.
<< Ah >>, annuì Phileas, cercando di digerire la notizia, ma accorgendosi di apparire calmo e flemmatico come al solito.
Ringraziò l’agente e si congedò. Non valeva la pena di chiedere se avesse un indirizzo o un recapito, visto che non erano nemmeno certi di quale nazione europea il mercante avesse scelto come residenza.
Uscendo dall’ufficio, rimase alcuni momenti fermo sul ciglio della strada. Come considerare quella scoperta? Una sfortuna? Oppure una fortuna? Aouda poteva rimanerne turbata, ma stava a lui rassicurarla.
Mentre saliva di nuovo in palanchino, si scoprì a provare una inopportuna fretta di darle quella notizia. Una fretta... gioiosa, quasi che l’inconsapevole Jejeeh fosse stato un bandito pronto a portargli via la giovane senza averne alcun diritto. Che cosa ridicola.
Si lasciò però per un momento colmare dal sollievo. Aouda verrà in Europa con me. L’accompagnerò io. Verrà in Inghilterra. Sarà ospite per qualche tempo nella mia casa, finchè non troverà un’altra sistemazione. Certo, questa è l’unica soluzione possibile. Finiremo questo giro del mondo insieme.
Quell’ultima consapevolezza, più di tutte, gli colmò lo spirito, in modo un po’ preoccupante, che lo turbò, anche se cercò di non dar peso alla cosa, di non soffermarvisi.
Il giro del mondo con lei.
Adesso ha senso.
 
 
 
Quando il signor Fogg fu di ritorno, Aouda stava finendo di vestirsi.
La ricerca del suo cugino era stata alquanto rapida, e lei non sapeva cosa aspettarsi. Mentre si sistemava le trecce attorno al capo, si disse che c’erano solo due opzioni possibili; o lo aveva trovato subito, o non lo aveva trovato affatto. Ma il suo intuito suggeriva piuttosto la prima possibilità.
Il signor Fogg chiese immediatamente di essere ricevuto, e lei lo accolse nel salottino dell’appartamento. Era talmente nervosa che le gambe le tremavano, e preferì sedersi su una poltrona.
È il momento della separazione, si disse. Cosa faccio? Non c’è nulla di male... gli chiederò di scriverci... per farmi sapere com’è andata a finire la scommessa, magari. È così. Non c’è altro. Voglio solo sapere come andrà a finire. Perchè gli sono grata, tutto qui.
<< Signora Aouda >>, esordì il gentleman, sfilandosi la giacca nel relativo calore delle camere, che erano state riscaldate per consentirle di fare un bagno senza che prendesse freddo.
Aouda fissò per un momento, assorta, le ampie spalle tornite stirarsi nel movimento controllato ed elegante, seppur virile, e non potè non ammirare la bella figura maschile in camicia bianca e aderente panciotto grigio. Sentì le guance formicolare un po’, e si sforzò di concentrarsi.
Non le ci volle molto, perchè il signor Fogg non fece alcun preambolo, e disse, immediato, << Il vostro parente non abita più qui. Si pensa che risieda in Olanda, adesso >>.
Fu come un’innaffiata di acqua gelata.
Stranita, poi subito dopo turbata, Aouda si massaggiò la fronte. Cosa fare ora? Il cuore le si appesantì nel pensare in un attimo fulmineo che era di nuovo sola, in un paese straniero, senza nessuno che potesse aiutarla.
L’ansia le stringeva la gola. Ogni riflessione fu infruttuosa, oltre che molto breve.
Sollevò un poco la testa, guardò l’inglese, e gli espresse ciò che le passava per la testa in quel preciso istante, << Che cosa devo fare, signor Fogg? >>.
Egli non sembrò turbato, nè impensierito, nè indisposto. Anzi, nella confusione del suo stato d’animo, ad Aouda parve che fosse... sollevato.
<< È semplicissimo. Venire in Europa >>.
Il tono di voce, nell’esprimersi così, le sembrò quasi pimpante, sebbene Aouda lo attribuì più al senso pratico del gentleman nel risolvere quel problema che a un vero coinvolgimento emotivo nella questione.
Andare in Europa.
Anzi, “venire”, come aveva sottinteso Fogg. Assieme a lui.
Rimandare la loro separazione... Continuare quel viaggio. A spese però del suo salvatore...
<< Ma io non posso abusare... >>, gli disse, esprimendo spontaneamente i suoi dubbi.
Egli liquidò la questione con un appena accennato cenno negativo del capo, << Voi non abusate affatto. E la vostra presenza non è in alcun modo d’impaccio al mio programma. Passepartout? >>.
Il francese fece un passo avanti, cercando di trattenere un gran sorriso, << Eccomi, signore >>.
<< Andate al Carnatic e fissate tre cabine >>.
Il servo annuì ed eseguì con estrema premura.
  
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