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Autore: Anna Wanderer Love    04/04/2020    1 recensioni
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell’umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell’umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.
O:
Thranduil rimane ferito mentre viaggia per raggiungere le sue truppe, che si stanno radunando per cacciare il male da Bosco Atro. Da chi sarà salvato? E come farà a tornare dal suo popolo?
Kairos: dal greco, "momento giusto o opportuno, momento supremo". Un momento in cui accade qualcosa di speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV

 


Quella mattina Thranduil si riscosse dal suo sonno leggero con un brivido. Ancora una volta, la sua mente era sprofondata in cupi abissi e aveva dato vita ai suoi incubi più profondi. Osservò i fiori intrecciati sopra alla sua testa, con un sospiro, prima di mettersi seduto.
Le ferite dolevano ancora, e procedette a svolgere le bende e pulire con acqua tiepida quella al ventre, applicando di nuovo l’unguento. Il gonfiore era diminuito, ma aveva l’impressione che il fastidio non gli avrebbe dato tregua, nelle lunghe giornate a seguire.
Il re degli elfi si riavvolse nella fasciatura e osservò i vestiti che la donna gli aveva procurato il giorno prima. I due pantaloni erano neri, una camicia era bianca e l’altra di un azzurro pallido; c’era anche una tunica di un grigio molto più rozzo rispetto a quello cui era più abituato, ma pazienza. Sarebbe tornato presto a vestirsi sfarzosamente.
Indossò i pantaloni e la camicia azzurra, intrecciando alcune ciocche di capelli in una pettinatura simile a quella che vedeva sempre addosso a Legolas. Gli mancava, gli mancava come l’aria a un naufrago trascinato sott’acqua dalla corrente, ma non poteva fare altro che rivolgergli il suo pensiero sperando che non incontrasse ostacoli sul suo cammino e che le stelle illuminassero la sua via.
Uscì dalla stanza, mentre la luce fioca cominciava a rischiarare la casa. Si fermò nel vedere la donna appisolata sulla poltrona davanti al camino, stupito. Pensava che ci fosse un’altra stanza, oltre la seconda porta accanto al camino, e che lei dormisse lì. Non si era di certo immaginato che lei riposasse su quella scomoda poltrona ogni notte perché lui stava occupando il suo letto. Di certo lui non l’avrebbe mai fatto.
Scosse lievemente la testa, sbuffando.
Il re degli elfi non provava mai tenerezza. E soprattutto non era intenerito dal vederla rannicchiata contro i cuscini rossi, il collo piegato sulla spalla in cerca di un inesistente appoggio e le braccia incrociate sul petto, una coperta buttata addosso a coprirla malamente. Si avvicinò, lentamente, e le aggiustò i lembi della stoffa di lana per coprirle anche le spalle, giusto perché si sentiva in debito per aver dormito nella sua stanza. Ma la sua gratitudine terminava lì. Del resto era stata lei a scegliere di ospitarlo, non era colpa sua se la donna era altruista. Avrebbe anche potuto farlo dormire per terra, anche se in quel caso si sarebbe attirata la sua ira eterna.
Thranduil si avvicinò silenziosamente al piano dove afferrò una pentola. La riempì d’acqua e l’appese al gancio sopra al fuoco, dopo aver mormorato una parola in elfico per esortare le fiamme ormai spente a ravvivarsi. Non usava la magia, ma talvolta riusciva a incanalare l’energia degli elementi naturali e a fare piccoli incantesimi di quel tipo, sfruttando la sua sintonia con la foresta.
I ciocchi nel camino presero fuoco e l’elfo mise in infusione le erbe del tè.
Quando si voltò, dopo essere rimasto a lungo immobile ad osservare il sole che saliva in cielo dalla finestra, si accorse che Asinna era sveglia e lo fissava, avvolta dalla coperta.
- Buongiorno – disse, coprendosi la bocca per nascondere uno sbadiglio. Si alzò con una smorfia, massaggiandosi il collo dolorante.
- Buongiorno – rispose lui.
- Cosa state facendo? – chiese curiosa lei. Lui si strinse nelle spalle, con indifferenza.
- Ero sveglio e volevo del tè.
Asinna guardò le fiamme che scoppiettavano nel camino, corrugando la fronte.
- Come avete fatto ad accendere il fuoco senza fare rumore?
Thranduil inclinò le labbra in un accenno di sorriso, incrociando le braccia con aria di superiorità.
- Questo è un segreto.
Asinna si imbronciò e gli si avvicinò, posando la mano sul suo braccio per spingerlo via così da poter aprire la credenza e afferrare due tazze. Thranduil fu rapido ad anticipare il suo movimento e scostarsi, così che le dita della ragazza riuscissero a sfiorarlo appena. Gli uomini basavano le loro interazioni sul contatto fisico, ma per gli elfi non era lo stesso, e constatare che lei aveva lo stesso istinto anche nei suoi confronti, anche se estraneo, lo sbalordì.
Se uno dei suoi sudditi si fosse permesso di toccarlo, si sarebbe ritrovato in cella in meno di un minuto. Però quell’umana non era un suo suddito e non conosceva le abitudini elfiche, e solo per quel motivo Thranduil non si arrabbiò, dopo un iniziale fastidio.
Asinna non notò nulla, ma controllò a che punto era il tè, mentre il sovrano di Bosco Atro individuava il cassetto dove l’aveva vista posare il pane il giorno prima e lo tirava fuori, per poi prendere due piatti. La mensola era talmente alta che lei doveva allungarsi in punta di piedi per arrivarci, ma lui riuscì a raggiungerla facilmente. Mentre stava abbassando il braccio uno spasmo gli attraversò i muscoli, partendo dalla ferita, e le sue dita si aprirono d’istinto, lasciando andare i piatti, che si schiantarono sul pavimento. Thranduil imprecò in elfico, mentre con la coda dell’occhio vide Asinna rischiare di bruciarsi con l’acqua bollente per lo spavento.
Non sentì l’urlo che uscì dalle sue labbra, ma la vide spostarsi di scatto mentre rovesciava il tè per terra e alzava lo sguardo spaventata, come un cerbiatto colto dal panico alla vista di un lupo affamato.
La donna si portò una mano al petto, dopo aver posato tutto ciò che aveva in mano, e si inginocchiò per afferrare i cocci nello stesso istante in cui lui faceva altrettanto.
- Lasciate fare a me – disse l’elfo, mentre lei esclamava di lasciar stare. Nello stesso momento, la vide sussultare e ritrarre di scatto la mano dai cocci. L’elfo le guardò la mano e vide comparire sulla pelle morbida del suo palmo una mezzaluna rossa.
- Maledizione – esclamò Asinna, agitata.
Il sonno che prima le annebbiava ancora la mente se ne era definitivamente andato. Lo spavento le aveva fatto accelerare i battiti del cuore, che le martellava in petto come un tamburo, e aveva il sospetto che le sue guance fossero del colore delle ciliegie mature.
Fu colta da un brivido quando l’elfo le afferrò la mano tra le sue, con una presa decisa ma delicata.
- Ferma – disse, guardandola con intensità. Le sue mani erano grandi il doppio di quelle della donna, e le sue dita erano fredde contro la sua pelle.
Asinna si alzò, turbata, mentre l’elfo andava a prendere una delle boccette disposte sulle mensole e apriva il cassetto dove teneva le bende. Il sangue si era raccolto in una piccola pozza sulla sua pelle decorata da lentiggini, e Asinna la sciacquò velocemente. L’elfo tornò da lei e le afferrò il polso, tenendole ferma la mano mentre rovesciava la soluzione disinfettante sul suo palmo. Lei fece una smorfia nel sentire un bruciore improvviso divorarle la pelle, e Thranduil la guardò di sottecchi.
- Mi dispiace. È stata la ferita.
Lei annuì e aspettò con pazienza che lui finisse di avvolgerle la garza attorno alla mano e ne annodasse l’estremità, fissando le sue lunghe dita inanellate lavorare precise e metodiche.
Thranduil avvertì che c’era qualcosa che non andava. Non perché lei sembrasse arrabbiata o sofferente; gli occhi verdi della donna erano fissi sulle sue mani, ma in realtà sembravano guardare un punto lontano nel tempo, nel suo passato. La sua espressione era vitrea, immobile, come se si fosse persa in un ricordo.
- Asinna? – il suo richiamo non servì a riscuoterla. Thranduil inclinò la testa, incerto.
- Asinna – ripeté più forte. Lei sobbalzò e tornò a fissarlo, ritraendo di scatto la mano e stringendola al petto.
- Sì – mormorò in un soffio. Sembrava turbata, e distolse lo sguardo, allontanandosi da lui. – Sì, scusate.
Gli dava le spalle, e il re degli elfi ebbe l’impressione che dicesse qualcosa, ma ovviamente non poteva sentire. Rimase a fissarla, odiando sentirsi così incerto e impotente, finché lei scosse la testa e uscì dalla casa, lasciandolo da solo.
Thranduil sospirò. Non capiva cosa fosse successo, ma forse l’episodio l’aveva fatta sprofondare in alcuni ricordi spiacevoli. Era successo più volte anche a lui, quando nel palazzo risuonavano i canti e le risate dei suoi sudditi durante i festeggiamenti per la luna piena, e lui era rinchiuso nelle sue stanze, a guardare le stelle immobili e lontane e ad annebbiare la mente con il vino per allontanare il dolore, ricordando quando millenni prima era solito danzare tra quelle risate, sorridere durante la festa, stringendo tra le braccia la compagna della sua vita. Si chinò a raccogliere i cocci per terra, posandoli sul piano, per poi asciugare il pavimento con uno straccio. Versò in due tazze il tè rimasto, che era comunque abbondante, e uscì.
La donna era seduta sul prato davanti alla casa, vicino a dove esso sprofondava verso il basso e si trasformava in un sentiero che scendeva al villaggio. Fissava il bosco davanti a loro, rannicchiata su se stessa. Thranduil la raggiunse, fermandosi qualche passo indietro, e rimase immobile ad aspettare finché lei girò il capo verso di lui e gli fece un piccolo cenno.
Il sovrano di Bosco Atro si sedette di fianco a lei, allungandole una delle tazze senza parlare. Lei avvolse la mano bendata attorno alla ceramica e appoggiò la fronte sul suo bordo.
- Scusate – mormorò.
Lui scosse impercettibilmente la testa. Le sue iridi vertevano al grigio, nella luce del mattino presto. Erano incantate, mentre osservavano le folte chiome verdi e ammiravano la maestosità della natura.
- Non siamo svegli nemmeno da un’ora e già questa mattinata si è rivelata un disastro – commentò asciutto. Si girò stupito quando vide che le spalle di lei sussultavano. Con il volto coperto dai ricci, all’inizio Thranduil fu preso dall’incertezza -e dall’orrore- pensando che stesse piangendo. Poi lei gettò la testa all’indietro, rivelando un sorriso ampio e due occhi lucidi sì di lacrime, ma per le risate.
- Non è un disastro per niente, anzi – disse tra sé e sé. Si asciugò le lacrime e tirò su col naso.
Il re degli elfi riportò lo sguardo sulla foresta davanti a sé, con una sorta di strana rassegnazione. Di certo aveva più probabilità di comprendere quella, che non la donna accanto a lui.

Quando rientrarono, facendo colazione, Thranduil decise che era arrivato il suo turno di porre domande. Mentre tagliava una fetta di mela rossa, fece attenzione a sembrare il più ingenuo possibile.
- Da quanto vivete qui?
Asinna stava masticando un acino d’uva. Si fermò, con le guance gonfie come uno scoiattolo, alzando un sopracciglio.
- Regola due.
L’elfo emise un lieve sbuffo. – Non vi sto chiedendo il vostro più profondo segreto.
La donna strinse le labbra e mangiò un altro paio di acini prima di degnarlo di una risposta, fissando la pianta di basilico tra loro.
- Da un anno circa.
- La casa era già qui?
Lei annuì. – Penso fosse di qualche eremita. Sono arrivata e ho trovato il villaggio. Per qualche mese sono rimasta lì, ma avevo bisogno di solitudine.
- E… - Thranduil si fermò appena in tempo. – Mirtilla?
Asinna lo guardò sorpresa e lui nascose un sogghigno. Sapeva che usare il nome proprio della capra invece che chiamarla semplicemente “animale”, dopo che il giorno prima l’aveva presa in giro per la sua infantilità, l’avrebbe spinta ad essere più accondiscendente.
- Mi è stata regolata da un’anziana del villaggio che non poteva prendersene più cura.
- Quanti anni avete?
La sua domanda suscitò l’irritazione della donna, che gli scoccò un’occhiata in tralice.
- Tra gli elfi non è maleducazione chiedere l’età?
- Sì, ma dato che noi siamo in circostanze particolari non vedo perché parlare di cose di poco conto come questa. Non vi vedrò più, dopo questi giorni.
Asinna abbassò lo sguardo, schioccando la lingua. Thranduil esitò. Era stato troppo duro?
Non era mai stato bravo a parlare con le persone. Era da lungo tempo che non parlava con qualcuno. Un tempo se la cavava, ma era stato secoli prima. Nemmeno con suo figlio aveva avuto da decenni una conversazione affettuosa, o triste, o rabbiosa. Ogni scambio che avevano era semplicemente… piatto. Non c’era nessuna emozione, o se c’era, era nascosta in profondità. Non era abituato a misurare le parole, non aveva mai dovuto farlo, essendo un re. Poteva scaraventare la sua rabbia su chiunque volesse, parlare in qualsiasi modo senza conseguenze. Ma ora era diverso: aveva di fronte un’umana, i cui sentimenti erano più volubili dei suoi. E dalla sua disponibilità verso di lui dipendeva la sua riabilitazione, per quanto detestasse quell’idea, quindi avrebbe dovuto fare più attenzione.
Le sue riflessioni furono interrotte dalla risposta dell’umana.
- Ho venticinque anni.
Decisamente oltre l’età da marito.
- E siete sola come avete detto?
Asinna sbuffò, lisciando la superficie bianca della benda.
- State facendo troppe domande. Non sapevo che gli elfi fossero così curiosi.
- Non sapete molte cose degli elfi.
Lei si strinse nelle spalle. – Vero. Ma solo perché non è facile reperire informazioni su di voi.
Thranduil addentò del pane su cui aveva steso uno spesso strato di marmellata alle more. Più spesso di quanto avesse mai permesso al piccolo Legolas.
- Vi piace studiare?
- Prima, sì. Ora non ho molte possibilità. Sono nel mezzo del nulla.
- Per vostra scelta.
- Vero.
- Cosa vi ha portata qui?
Lei si fermò con la tazza di tè a mezz’aria, e lui seppe di aver raggiunto il limite.
- Regola due.
- Va bene.
Finirono di mangiare in silenzio. Mentre sparecchiavano, Asinna gli lanciò un’occhiata strana.
- Cosa? – chiese Thranduil.
- Non mi avete fatto assaggiare per prima.
- Nemmeno ieri sera, se è per questo – ribatté lui. Lei gli posò davanti una brocca che conteneva l’infuso di foglie di re ed erbe che avrebbe dovuto aiutarlo a riprendere le forze e a impedire eventuali infezioni.
- Avete deciso che volete essere avvelenato?
Lui sorrise appena, anche se le parole dell’umana l’avevano genuinamente divertito. Si versò in un bicchiere il liquido fumante, storcendo il naso al suo odore pungente.
- Ho deciso di fidarmi.
- Molto imprudente da parte vostra. Dopotutto, è solo da quattro giorni che siete nelle mie grinfie. Non avrei potuto uccidervi in qualunque momento, assolutamente – lo canzonò.
L’ironia della ragazza gli fece alzare gli occhi al cielo, appoggiandosi teatralmente allo schienale della sedia -questa sembrava non avere nessun difetto- e incrociando le gambe, come spesso faceva a palazzo. Non dubitava di essere comunque uno spettacolo, ma avrebbe voluto essere seduto sul suo trono, giusto per rendere il volto della donna ancora un po’ più rosso.  
- Non siete divertente – la finta nota minacciosa nella sua voce non la scalfì, e anzi provocò un piccolo sorriso. In effetti, secondo i canoni umani quella donna era davvero carina, soprattutto quando i suoi occhi verdi splendevano divertiti in quel modo.
- Assolutamente.
- E voi, quanti anni avete?
- Più di quanti possiate immaginare.
- Mh. Gli elfi sono più longevi degli umani, quindi voi siete più vecchio di quanto sembrate.
Thranduil fece una smorfia annoiata, anche se in realtà la piega che il discorso aveva preso lo stava divertendo molto. La curiosità dell’umana gli ispirava una sorta di tenera compassione.
- Non so nemmeno fino a che età i vostri bambini siano considerati tali.
L’elfo sorrise, godendo della sua curiosità, mentre lei aspettava evidentemente una risposta. Il silenzio si prolungò, tra un intenso scambio di sguardi, finché lui non capitolò e con un finto tono annoiato disse: - Un centinaio di anni*.
Asinna sgranò gli occhi.
- Un centinaio? Però – mormorò, appoggiando una guancia alla mano stretta a pugno. Dal basilico posto tra di loro, tornò a fissare l’elfo, battendo le palpebre.
- Cento anni a me sembrano un’eternità, ma probabilmente per voi non sono che un battito di ciglia. Quanti anni avete? Non riesco davvero a immaginare. Mille?
Thranduil sorrise. Il tono sconfortato della donna lo intenerì, suo malgrado, e decise di porre fine a quell’evidente tortura.
- Ho undicimila anni, circa.
Il re degli elfi per un momento ebbe paura che le venisse un colpo.
A quelle parole, Asinna sgranò gli occhi e lo fissò sconvolta. La sua bocca si spalancò, ma non ne uscì alcun suono, e la richiuse dopo qualche istante, fissandolo come se davanti a sé avesse un orco.
Ci mise una decina di secondi a riprendersi dalla sorpresa.
- Quanti? – esclamò con veemenza.
Thranduil alzò il mento, celando a malapena il piacere e la soddisfazione che stava provando in quel momento.
- Avete sentito.
Asinna voltò la testa per nascondersi allo sguardo dell’elfo. Era ancora sconvolta.
Undicimila anni.
Non riusciva davvero a immaginarsi quante cose quell’elfo avesse potuto vedere, nel corso di quell’eternità. Risaliva a un tempo antico, un tempo che apparteneva alle leggende. Un tempo di cui la maggior parte degli uomini non conosceva nemmeno l’esistenza.
Le erano venuti i brividi.
La voce melodiosa e delicata dell’elfo la risvegliò dai suoi pensieri. Incontrò il suo sguardo ceruleo, privo dell’orgoglio che lo arricchiva di solito, trovandovi solo un’ombra esitante di gentilezza.
- Vi ho sconvolta?
Lei annuì solamente. Non sapeva perché, ma quell’informazione l’aveva davvero scossa nel profondo e si sentiva lievemente a disagio, cosa che non era mai capitata prima, anche quando l’elfo si era dimostrato aspro e pretenzioso. Ed era consapevole che lui potesse leggere tutto questo sul suo volto.
La donna si alzò, rimettendo a posto le tazze ormai vuote e guardando il suo ospite.
- Volevo andare a passeggiare tra gli alberi qui vicino.
Il re degli elfi abbassò la testa.
- Vi accompagno. Se siete d’accordo – aggiunse poi.
Non capiva perché la sua età l’avesse turbata tanto, ma magari la donna aveva bisogno di tempo per stare da sola. Non che a lui importasse, comunque, aveva avuto quel pensiero solo perché nel caso anche lui avrebbe dovuto fare i conti con qualche riflessione.
Ma lei annuì, e un sorriso timido riapparve sulle sue labbra rosate.
- Andiamo.
Thranduil alzò la mano per fermarla.
- Non ve l’ho chiesto prima perché non ne ho avuto bisogno. Ma le mie spade?
Asinna lo guardò a lungo, prima emettere un sospiro.
- Volete portarle con voi?
- Una, sì. Non credo riuscirei a impugnare anche la seconda con la ferita al braccio.
La donna annuì e gli fece cenno di aspettare, entrando nella stanza a lui ancora sconosciuta. Era evidente che l’idea che lui la accompagnasse armato la mettesse a disagio, ma Thranduil non era disposto a cedere. Se fossero stati attaccati non avrebbe potuto difendersi, disarmato.
Riemerse dalla stanza con in mano un fagotto. Lo posò sul tavolo, e l’elfo svolse la stoffa bianca, rivelando la lama scintillante delle sue spade gemelle. Erano ancora incrostate di sangue nero in alcuni punti dove il metallo elfico creava intricati disegni, ma era evidente che Asinna le avesse ripulite, grosso modo.
Thranduil chinò il capo verso la donna.
- Vi ringrazio.


Thranduil si sarebbe aspettato che la donna avesse qualche problema nel camminare a lungo, data la sua corporatura robusta. Lei invece lo sorprese, avanzando con passo lento ma costante, senza che nemmeno le sue guance si colorassero di una sfumatura rosata.
Aveva indossato dei pantaloni neri che le avvolgevano morbidi le gambe e una tunica color rame intenso, che illuminava il verde dei suoi occhi e nascondeva le sue forme abbondanti. Thranduil aveva notato che si vestiva con abiti semplici, ma lo faceva dimostrando di conoscere bene quali colori le donassero e quali no. I suoi capelli ricci quel giorno erano legati in una coda bassa, che lasciava sfuggire alcune ciocche attorno al suo viso.
Seguirono la scia di un antico sentiero che si inerpicava tra gli alberi, lievemente in salita. Dalla piccola radura in cui si trovava la casa si ritrovarono catapultati nel manto fitto e impenetrabile della foresta.
Thranduil sapeva che per un umano Bosco Atro era pericoloso. Tralasciando le creature del male che lo infestavano, i sentieri erano confusi, si intrecciavano e sparivano all’improvviso. E se un umano perdeva la via, era poco probabile che sarebbe sopravvissuto all’esperienza.
Ma Asinna procedeva sicura, anche lì dove il sovrano esitava. Percepiva attorno a sé la forza dei giganteschi alberi, la vita che scorreva nelle radici e nel sottobosco, anche se non era a lui familiare. Quella zona era particolare: il suo regno si fermava più a nord, e solo nell’ultimo tempo durante i combattimenti i confini si erano lentamente allargati scendendo a sud. E le montagne avevano fornito un rifugio perfetto agli umani, nascondendo la loro presenza ai suoi elfi; solo grazie ad esse non aveva scoperto della loro presenza e non erano stati sterminati dai ragni.
- Lo percepite? – Asinna, qualche passo più avanti, si voltò verso di lui per far sì che potesse leggere le sue labbra. Thranduil annuì: sapeva bene a cosa si riferisse. Quella parte del bosco non era tetra; l’atmosfera non era pesante come più a nord o a sud, sembrava una bolla di pace in un territorio infestato. Era come se la foresta si fosse racchiusa su se stessa, proteggendo il suo cuore ai piedi delle montagne, e il villaggio, dall’oscurità che imperava sovrana nel resto del suo corpo e che i suoi elfi combattevano strenuamente.
Nonostante ciò, il sovrano di Bosco Atro non si sentiva tranquillo. Senza il suo udito, non poteva avvertire i rumori della selva, le vibrazioni del terreno e la voce del vento. Era come se una parte del suo essere fosse stata strappata via, e quella mancanza gli provocava una grande sofferenza.
Procedettero per quelle che sembrarono un paio d’ore, seguendo la scia del sentiero che ogni tanto affondava sotto a radici grandi quanto i loro stessi corpi. Thranduil non aveva problemi a saltarle, nonostante le ferite; ma un paio di volte si ritrovò ad aspettare che Asinna le scavalcasse e a tenderle la mano per far sì che non perdesse l’equilibrio. Non gli piaceva doverla toccare, ma meglio così che portarla in braccio fino a casa perché si era slogata una caviglia.
Alla fine, i tronchi massicci e nodosi cominciarono a distanziarsi. Svoltando sul sentiero, Thranduil rimase sorpreso nel vedere davanti a sé un ruscello scorrere rapido verso il basso. Con un balzo agile saltò sopra alla propaggine dell’albero alta la metà di lui che emergeva dalla terra e costringeva a fare il giro attorno al sentiero per proseguire, ostacolando la vista a chiunque si trovasse al livello del terreno, e sorrise meravigliato. Davanti a lui le acque formavano una serie di pozze placide, il cui bordo era formato dalle radici dei giganti; erano talmente cristalline che si poteva vedere il fondo costellato di frammenti di pietre colorate e piante acquatiche.
Con la coda dell’occhio il re degli elfi vide arrivare dalla sua sinistra l’umana, che a differenza sua aveva raggirato la radice fino ad arrivare ad un punto in cui fosse possibile anche per lei scavalcarla. Aveva un sorriso stampato sul volto, e sembrava genuinamente divertita dalla sua meraviglia.
- Come è possibile – mormorò Thranduil.
Stentava a credere che all’interno della foresta fosse rimasto un luogo così puro. Sugli alberi, i suoi occhi da elfo riuscivano a vedere gli uccellini dai manti colorati che cinguettavano allegri; tra le ombre, vide animali correre rapidi a nascondersi ai loro occhi. L’atmosfera lì era la stessa che permeava l’intera foresta secoli prima, quando la natura regnava benigna e sovrana.
Asinna lo raggiunse, guardandolo dal basso. Scosse la testa a un suo pensiero e con il cestino sottobraccio si inerpicò lungo i corpi nodosi degli alberi che contenevano le pozze, inginocchiandosi per raccogliere alcuni funghi che crescevano lungo i loro margini, a contatto con l’acqua cristallina. Thranduil la seguì, senza riuscire a riprendersi dall’aggressiva speranza che gli aveva inondato il cuore, guardando meravigliato attorno a sé. Se c’era un luogo così all’interno della sua foresta, non tutto era perduto.
Dopo lunghi minuti, in cui l’umana procedeva cauta sul legno cercando di non perdere l’equilibrio e non scivolare nelle acque, con l’elfo che saltava con grazia di radice in radice attorno a lei, beandosi della vista di ogni creatura attorno a loro, dai piccoli pesci argentei che schizzavano sul pelo dell’acqua ai pettirossi sui rami, Asinna si fermò per sedersi. Era sul bordo di uno dei laghetti, quello più grande tra tutti quelli che si succedevano lungo il pendio e dopo il quale l’acqua tornava a scorrere in un rivo che scompariva sotto agli alberi.
Il cestino era pieno di funghi dal cappello azzurro e rosa, con dei puntini rossi a macchiare i gambi. Thranduil era sicuro di non averli mai visti. Si sedette accanto a lei, rimirando come la luce filtrasse tra le foglie e sfumasse sulla superficie delle acque. Rimasero in silenzio.
L’unica pecca era non poter ascoltare la foresta. Thranduil sentì una struggente nostalgia invaderlo, mentre guardava attorno a sé in un desolato silenzio.
Ma anche l’umana sembrava provare la sua stessa pace interiore, notò il re degli elfi. Era assorta ad osservare l’ambiente che li circondava, e ad un tratto il sovrano la vide sgranare gli occhi. Istintivamente allungò il braccio per toccare quello dell’elfo, che sentendo le sue dita premere contro i propri muscoli rilassati volse lo sguardo nella direzione in cui le sue iridi color giada erano puntate.
Sentì il cuore mancare un battito.
Il muso bianco di un alce era emerso dall’ombra, dallo spiazzo sotto alle polle d’acqua, e si stava avvicinando a lenti passi. I suoi grandi occhi gentili guardavano il sovrano di Bosco Atro con intelligenza. L’animale era maestoso, e dal manto completamente bianco, ancora più grande del caro alce che il re aveva visto morire con i suoi stessi occhi durante la battaglia dei cinque eserciti.
Thranduil si alzò di scatto, con il cuore che batteva forte in petto e un’intensa emozione che gli stringeva la gola. Sentì gli occhi farsi lucidi, mentre l’alce avanzava lentamente verso di loro, protendendo il grande muso verso il sovrano degli Elfi.
L’esemplare maestoso che era stato il suo fidato compagno e che era morto in battaglia era l’ultimo di una stirpe di antichi spiriti della foresta. Quando era morto, qualcosa si era spezzato dentro di lui, e aveva provato un dolore antico, che gli aveva tolto il respiro. Thranduil non avrebbe mai pensato di poter avere la fortuna di scoprire che un altro era ancora in vita nella foresta dilaniata dal male.
Era a un solo passo di distanza, quando si fermò. Thranduil chinò il capo, mentre una lacrima scorreva sulla sua guancia. Il fiato caldo dell’animale la asciugò, mentre l’alce gli sfiorava la fronte con il muso. Brividi di un’emozione viscerale scossero il corpo del sovrano, mentre una voce antica risuonava attorno a lui, pronunciando parole dimenticate e piene di vita e speranza, facendogli comprendere che non tutto era perduto, che doveva lottare ancora.
L’alce lo fissò per un ultimo momento, gli occhi pieni di un messaggio che solo un elfo avrebbe potuto capire. Il sovrano annuì, e l’animale si voltò e scomparve di nuovo, a passi lenti.
Thranduil rimase immobile a lungo, cercando di realizzare ciò che aveva appena visto.
La foresta poteva essere salvata. C’era ancora speranza.
Un pensiero trafisse la sua mente. Aveva sentito la voce dello spirito della foresta interrompere quel silenzio assordante in cui era sprofondato. E, anche se ora non udiva nulla, nemmeno un alito di vento scuotere le foglie degli alberi, ciò significava che forse anche il suo udito avrebbe potuto tornare come prima.
Si voltò, e vide il volto atterrito e commosso dell’umana dietro di lui che lo fissava con emozione. Asinna sapeva che era stata testimone di qualcosa che non avrebbe mai dimenticato, di un momento che sarebbe rimasto inciso nella sua memoria per sempre.
Il re degli elfi le sorrise, mentre una sola, rotonda lacrima scivolava sulla sua guancia dagli occhi perlacei.
- Grazie – sussurrò.   


 
* disclaimer: non ho trovato questa informazione da nessuna parte su Internet, Wikipedia o Tolkenpedia. Da tempo non leggo i libri, quindi non ricordo se è scritto lì. Se qualcuno ha idea, mi farebbe piacere se condividesse questa informazione così da poterla correggere! (:




 

Angolino dell'autrice:

Ed eccoci qui (: come state? Come procede la vostra quarantena? Ho deciso di aggiornare oggi, così da impegnare qualche decina di minuti del vostro sabato!
Vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui!
In questo capitolo le cose iniziano a farsi un po' più interessanti... dopo un piccolo imprevisto che risveglia brutti ricordi (chissà quali?), il nostro re preferito cerca di carpire qualche informazione da Asinna. Ci sarà riuscito? Forse non troppo! 
Devo dire che una scena particolarmente divertente da scrivere è stata quella in cui Asinna e Thranduil si ritrovano a discutere delle loro rispettive età... che ne pensate?
E finalmente è entrato in scena un altro personaggio! Il misterioso alce, spirito della foresta... per quale motivo si sarà mostrato al re e alla nostra umana? Perché ha deciso di rivelare la sua presenza, in queste circostanze? Se avete idee, fatemi sapere ;)
Spero che stiate tutti bene, stay home and stay safe!
Anna

   
 
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