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Autore: LazySoul    09/04/2020    1 recensioni
[Terzo libro della serie "Mai scommettere col nemico", si consiglia la lettura dei due libri precedenti]
Trama:
Hermione Granger è tornata a scuola.
Il mondo magico non è più lo stesso dopo l'ultima guerra, quella contro Voldemort, che ha portato morte e sofferenza nei cuori di molti studenti di Hogwarts.
Hermione però non è sola, ha i suoi amici, oltre a Draco Malfoy, il ragazzo di cui è innamorata.
Non è facile però tornare alla solita e tranquilla routine scolastica.
Non lo è per Hermione, ma non lo è soprattutto per Pansy Parkinson, che sembra essersi allontanata molto dai suoi amici Serpeverde dopo lo scontro della settimana precedente, impedendo a chiunque di avvicinarsi più del dovuto.
Per non parlare di Luna e Blaise, ora una coppia a tutti gli effetti, sempre pronti a condividere la loro saggezza dando preziosi consigli a Daphne Greengrass e Padma Patil, che sembrano continuare a rincorrersi senza mai trovarsi.
Saranno vere le voci che girano? Bellatrix Lestrange vuole davvero vendicare la morte di Voldemort o sono solo pettegolezzi privi di fondamento?
Buona lettura ;)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Il Secondo Trio (Neville, Ginny, Luna), Il trio protagonista, Padma Patil, Serpeverde | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mai Scommettere col Nemico'
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12. Stay

 

 

·≈· PANSY'S POV ·≈·


 

Quando ripresi conoscenza riconobbi immediatamente l'odore di disinfettante e intrugli magici imbottigliati dell'Infermeria e storsi schifata il naso, socchiudendo appena gli occhi.

Quando individuai alla mia destra il profumo di patate al forno, bucato e gelsomino che conoscevo bene, non potei trattenermi dal sospirare.

Neville Paciock era seduto sull'unica sedia per le visite vicino al mio letto, stava leggendo un libro con la copertina consumata e ammuffita dal tempo, che immaginai avesse preso in prestito in biblioteca, gli occhi erano concentrati nella lettura e le labbra erano leggermente socchiuse.

Mi ritrovai a pensare, ancora indebolita dallo svenimento, che avesse un bel viso.

«Come ti senti?», chiese lui, spostando brevemente lo sguardo dalla lettura per posarlo su di me.

«Una favola», dissi sarcastica, portandomi una mano al viso, levandomi un sottile strato appiccicoso di sudore dalla fronte: «Quanto sono rimasta priva di sensi?»

«Qualche minuto, abbastanza per creare il diversivo», mi disse a bassa voce, controllando la sala per accertarsi che Madama Chips non si trovasse a portata d'orecchio.

«E cosa ci fai tu qui?», chiesi con un pizzico di scontrosità nel mio tono, abbastanza per ricordargli il nostro recente litigio.

«Leggo un trattato del diciottesimo secolo sulle piante medicinali», disse, tornando a concentrare lo sguardo sulle pagine del tomo che reggeva tra le mani.

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo: «E non puoi andare a leggere da qualche altra parte?»

Il Grifondoro non diede segno di avermi sentito, continuando a muovere lo sguardo sulle pagine puzzolenti di quel vecchio libro.

«Ti piace Erbologia?», mi chiese lui, dopo qualche secondo, sorridendomi.

«É una materia come un'altra», dissi, facendo spallucce.

Ricordai quella lezione del secondo anno, quando la professoressa Sprite aveva cercato di ucciderci tutti con i pianti delle Mandragole e Paciock era svenuto. Sorrisi, involontariamente, al pensiero. Quelli sì, che erano bei tempi.

«Perché ridi?», domandò il ragazzo, chiudendo il volume che stava leggendo, senza preoccuparsi di usare un segnalibro o di indicare in qualche modo il punto che aveva raggiunto.

«Ripensavo alle mandragole e a quanto ti fossero piaciute», ammisi, osservando le guance del Grifondoro colorarsi d'imbarazzo.

«Sono sempre stato facilmente impressionabile», confessò, abbassando lo sguardo sulle proprie mani, che stringevano ancora il trattato del diciottesimo secolo.

«E ingenuo», aggiunsi, pensando ai suoi patetici tentativi di "aiutarmi" poche ore prima.

«Sì, e ingenuo», ripeté, spostando lo sguardo sul mio viso: «E tante altre cose».

«Beh, in quanto Grifondoro, sei anche coraggioso», gli ricordai, studiando i suoi occhi verdi, nel tentativo di sondare le emozioni che nascondevano.

«Così si pensa», disse, facendo spallucce: «Vuoi che ti vada a chiamare Madama Chips?»

Scossi il capo, provocandomi con quel gesto brusco un leggero dolore alle tempie.

«Hai sete?», domandò, indicando un bicchiere d'acqua che si trovava sul tavolino, del quale notavo solo in quel momento la presenza, accanto al letto.

Annuii e feci leva con le braccia per sollevarmi a sedere e Paciock si sporse subito sulla sedia, allungando le mani per aiutarmi.

Lo fulminai con lo sguardo, aggrottando la fronte per lo sforzo che quel semplice gesto richiedeva e per la stizza; non volevo il suo aiuto.

Paciock tornò a sedersi composto, afferrando il bicchiere per porgermelo.

Sentivo le mani ancora infiacchite dallo svenimento e dovetti concentrarmi per non perdere la presa sul vetro.

«É fredda», disse Paciock, osservando ogni mio gesto: «Bevi piano».

Seguii il suo suggerimento, sorseggiando l'acqua con lentezza, così da diminuire subito il fastidio alla gola secca.

Rimanemmo in silenzio per qualche istante, ognuno perso nei propri pensieri.

«Ho capito», disse, infine Paciock, mentre giocherellava con il bordo del maglione della divisa scolastica: «Ho capito che non hai bisogno di me, che sei una donna forte e indipendente».

Sollevò lo sguardo, una lieve smorfia sulle labbra: «Però stai passando un brutto periodo, e non mi interessa sapere qual è il motivo per cui volevi buttarti dalla Torre di Astronomia, non sono affari miei, ma penso che tu abbia bisogno di un amico. Non devo per forza essere io, voglio dire, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare puoi contare su di me, ovviamente, ma immagino che tu...».

Calò per qualche secondo il silenzio, mentre il ragazzo si grattava il mento imbarazzato: «Non sono bravo a parlare», ammise, sorridendo appena: «Quello che sto cercando di dire è che non sei sola».

Posai, con la mano che mi tremava appena, il bicchiere mezzo vuoto sul tavolo accanto al letto, mentre pensavo alle parole appena dette da Paciock.

Il mio cinismo mi spingeva a credere che quel discorso fosse solo una facciata; frasi dette per il gusto di dirle e per potersi sentire in qualche modo utile. Da un Grifondoro sempre pronto ad accorrere in aiuto dei più deboli, non mi sarei potuta aspettare altro.

Ma c'era anche, dentro di me, il desiderio di credergli; il desiderio di non essere sola, ma di avere qualcuno su cui poter contare.

«Se non mi vuoi qui, me ne vado».

Quelle parole, mi costrinsero a sollevare lo sguardo per incontrare gli occhi verdi di Paciock.

Aprii bocca senza pensarci: «Rimani», sussurrai con la voce spezzata dall'emozione. 

Una volta che realizzai il modo in cui avevo appena parlato, mi schiarii la voce e raddrizzai la schiena: «Puoi rimanere, se vuoi», dissi, utilizzando un tono di voce distaccato, mentre distoglievo lo sguardo, iniziando a lisciare le coperte con gesti nervosi.

«Conosci il cavolo carnivoro cinese?»

Il suo maldestro tentativo di cambiare argomento, mi calmò istantaneamente e un sorriso di scherno comparve sul mio volto: «Fammi indovinare, ha l'aspetto di un cavolo, ma è carnivoro ed è originario della Cina».

Le mia parole lo fecero ridere: «Quasi», disse, aprendo il libro che aveva in grembo, facendomi storcere il naso dal fastidio, per il forte odore di muffa.

«É stato effettivamente scoperto in Cina secoli fa, quindi sì, è di origine orientale. Ma l'hanno chiamato così perché l'odore di questa pianta bollita ricorda quello del cavolo cinese, e non perché ne ricorda la forma».

«Perché stai leggendo quel libro puzzolente? Per la prossima settimana, la Professoressa Sprite ha assegnato da scrivere una pergamena sui bubotuberi», dissi, mettendomi comoda sul letto.

«Oh, quello l'ho già scritto. In realtà mi piace approfondire argomenti di Erbologia per conto mio», ammise il ragazzo, facendo spallucce.

Annuii pensierosa, rendendomi conto di non aver mai avuto una materia preferita; avevo sempre mantenuto una media scolastica alta in generale, in parte per la pressione dei miei genitori, in parte perché avevo sempre visto Hermione Granger come inferiore e l'idea che lei prendesse voti più alti dei miei non mi era mai andata a genio. Eppure non avevo mai trovato qualcosa che mi piacesse davvero studiare.

«L'unica cosa della quale mi sono sempre interessata, oltre ai pettegolezzi, è la moda», riflettei, arricciando pensierosa le labbra: «Peccato che in questa scuola gestita da professori decrepiti non ci sia mai stato nemmeno l'accenno al mondo della moda magica».

«Non sono un esperto in materia».

«Sì, è ovvio», dissi, senza pensarci, osservando le scarpe consumate che aveva ai piedi e i calzini dalla stampa improbabile, che il ragazzo non riusciva a nascondere con i pantaloni troppo lunghi e dall'orlo scucito in più punti.

«Conosci l'esistenza dei sarti, vero, Paciock?», chiesi con una smorfia in viso.

«Sì, Parkinson, ma non tutti possiamo permetterci abiti su misura», rispose il ragazzo, abbassando lo sguardo, sembrava imbarazzato.

Solo in quel momento mi resi conto di esser stata, senza pensarci, la Pansy di un tempo, quella che credevo perduta per sempre. Provai gioia in un primo momento, poi orrore.

«Ho parlato senza pensare», dissi, osservando il volto arrossato del Grifondoro.

Malgrado il bruciante senso di colpa, ero troppo orgogliosa per chiedere scusa, così rimasi in silenzio.

«Ti piacerebbe quindi diventare una giornalista?», chiese Paciock, tornando ad alzare lo sguardo.

Venni colta di sorpresa dalla sua domanda. In quanto donna Purosangue, quindi destinata ad un matrimonio vantaggioso in giovane età con un ricco Purosangue, non mi ero mai veramente chiesta cosa avrei potuto fare per me una volta terminata la scuola.

Un matrimonio di convenienza ormai era impensabile, non soltanto perché, una volta terminata la scuola, non avrei avuto nessun posto dove andare (dato che i miei genitori mi avevano diseredata) e quindi nessun valido partito da sposare, ma soprattutto perché non ero più un normale essere umano, quindi non potevo aspirare ad una vita comune.

«Forse», dissi alla fine, tornando a lisciare con gesti nervosi le coperte del letto.

C'erano leggi che impedivano ai Lupi Mannari di avere un lavoro comune? Non ne ero certa.

Di sicuro c'erano pregiudizi, ma quelli c'erano sempre stati; in quanto donna ero abituata ad essere vista come più debole, meno capace, meno intelligente, più sensibile...

Qualche pregiudizio in più non avrebbe dovuto fare molta differenza.

«Potresti avere una rubrica di moda o di gossip», disse Paciock, attirando la mia attenzione.

Scacciai i brutti pensieri e sogghignai, decisa a non lasciarmi vedere troppo abbattuta: «Perché non entrambe?»

Il Grifondoro scosse la testa, ridacchiando: «Hai ragione, quando si sogna bisogna farlo in grande. Quindi, ricapitolando, Pansy Parkinson tra dieci anni avrà un lavoro in una rivista o giornale famoso, dove scriverà di gossip e moda. E poi?»

«E poi, vivrò in un lussuoso appartamento, oppure in una graziosa villetta, avrò una linea di vestiti o di trucchi che porteranno il mio nome e sarò ammirata e invidiata dall'intero Mondo Magico», dichiarai, con tono compiaciuto.

Quando incrociai il suo sguardo, mi resi conto che Paciock stava sorridendo: «Non stento a immaginarlo».

Tutta quella fiducia, racchiusa in una misera frase, mi fece arrossire; non riuscivo a ricordare quand'era stata l'ultima volta, che qualcuno aveva creduto in me con altrettanta serenità.

«Che ne sarà di Neville Paciock tra dieci anni, invece?», chiesi, così da spostare i riflettori su di lui.

Il Grifondoro fece spallucce: «Probabilmente sarò qua, a fare il professore di Erbologia, o magari avrò una piccola serra in cui coltiverò piante medicinali».

Feci una smorfia: «Pensavo dovessimo sognare in grande», gli feci notare.

Paciock sorrise: «Anche se un sogno sembra piccolo, non vuol dire che sia meno importante o che possa portare meno soddisfazione».

Sollevai gli occhi al cielo: «Fammi indovinare, un'altra tua passione è la filosofia?»

Madama Chips emerse dal suo ufficio proprio in quel momento, avvicinandosi a noi con pochi passi nervosi: «Signorina Parkinson, vedo che si è ripresa», disse, appoggiandomi la mano sulla fronte: «Niente febbre. Come si sente?»

«Meglio», dissi, lasciando che mi afferrasse il polso per controllare i miei battiti.

«Sembra tutto regolare, se se la sente può andare nelle cucine, so che stanno radunando lì la maggior parte degli studenti, altrimenti può rimanere qua», disse la donna, facendo esplodere la bolla in cui mi ero trovata fino a quel momento; mentre parlavo con Paciock mi ero completamente dimenticata di Bellatrix Lestrange, del rapimento di Draco e dello stato d'allarme in cui si trovava l'intero castello.

Annuii, chiedendomi quale sarebbe stata la scelta più saggia, mentre Madama Chips tornava nel suo studio con passi nervosi.

Guardai Paciock che, accanto a me, si stava alzando: «Vuoi venire in Sala Grange con me? Probabilmente saranno ancora tutti lì, ad aspettare che gli altri tornino dalle rispettive missioni».

«Sarei solo di peso», dissi, aggrottando pensierosa la fronte. 

«Quando ci si trova nella stessa stanza di Harry Potter è probabile, ma posso assicurarti che ci si fa l'abitudine», mi rassicurò, sfoggiando un sorriso.

Scostai le coperte, e mi sedetti sul bordo del letto per indossare le scarpe: «Era una cattiveria gratuita quella, Paciock?»

Il Grifondoro rise, infilandosi il libro voluminoso sotto braccio: «No, una semplice constatazione».
 

 
  
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