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Autore: Calia_Venustas    29/04/2020    2 recensioni
[IN PAUSA FINO AL PROSSIMO AGGIONAMENTO DI KHUX]
C'è qualcosa che il Maestro dei Maestri non può confessare a nessuno, nemmeno a Luxu. Qualcosa che se i suoi apprendisti dovessero scoprire metterebbe a repentaglio tutto quello in cui credono. Il Maestro sa di essere nel torto, ma sa anche di essere troppo orgoglioso per ammetterlo.
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Una storia sull'origine del Maestro dei Maestri e dei Veggenti sin dall'inizio del loro apprendistato fino all'epilogo di KH3. A partire dal capitolo 18 scorre in parallelo una seconda trama che ha per protagonisti Soggetto X e Luxu, ora nei panni di Xigbar, alle prese con i retroscena degli eventi successivi a Birth By Sleep.
[Coppie: Luxu/Ava, Luxu/Maestro dei Maestri, Invi/Ira, Ava/Gula, Soggetto X/Isa, Lauriam/Elrena]
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Organizzazione XIII, Vanitas, Ventus, Xigbar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Furry, Spoiler! | Contesto: Altro contesto, Più contesti
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✭ THE SHADOW THAT YOU CAST ✭

You are a strange sight,
some new kind of wonder
with good hidden under.
I'm sure that it's true.
Strange,
how your dark doesn't faze me.
No, I won't give up on you.
[Strange Sight - K.T Tunstall]

Il Maestro lacerò le spesse ragnatele zuppe d’umidità con un colpo di Keyblade e Kida lo seguì circospetta, gli occhi blu fissi contro la densa oscurità che sembrava acquattarsi alla fine di quel tunnel. Più avanzavano e più le pareti del corridoio si facevano strette ed opprimenti, costringendoli a passare uno alla volta.

“Sei sicuro di stare bene?”

“Sì. Non preoccuparti.”

Kida strinse al petto il monile che portava al collo per farsi coraggio. “Non può mancare molto ormai. Lo sento anch’io, il cristallo di cui parli. E’ come una canzone nella mia testa.”

Perbias si voltò per rivolgerle uno sguardo indagatore “Che cosa dice?”

“Non lo so. Non riesco a distinguere le parole.”

Scavalcarono un cumulo di detriti ricoperto di alghe e conchiglie e raggiunsero una brusca curva nel sentiero. Appena svoltato l’angolo, videro finalmente l’uscita che baluginava in lontananza rischiarata da una tenue luce blu.

Impazienti di lasciarsi quel cunicolo angusto alle spalle, i due fratelli accelerarono il passo e ben presto si ritrovarono a fare il loro ingresso nell’ennesima enorme sala sotterranea.

Sospeso sopra una gelida pozza di acqua nera fluttuava un abbagliante sfera di cristallo azzurro che pulsava e si dilatava come un organismo vivo. Attorno ad essa, ruotavano pigramente enormi mascheroni di pietra raffiguranti volti stilizzati dagli occhi incandescenti, non troppo diversi dalla maschera tribale che Kida stessa possedeva.

La giovane donna s’irrigidì di colpo, la litania nella sua testa che si faceva sempre più insistente mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. “Questi sono… i Re del nostro passato.”

Perbias non ebbe neanche il tempo di voltarsi per risponderle che Kida si era già buttata in ginocchio, il braccio ripiegato sotto la fronte in quella che il Maestro sospettava essere una posizione di preghiera.

Istintivamente si chinò su di lei per aiutarla a rialzarsi ma si bloccò con la mano a mezz’aria ancor prima di sfiorarle la spalla. Kida stava ripetendo una formula a bassa voce, come un mantra.

“Questi sono i re di Atlantide,

custodi delle emozioni di migliaia di cuori.”

Nonostante la principessa stesse parlando nella sua lingua natia, Perbias aveva compreso ogni parola. E non solo questo, ma sapeva anche quali versi le avrebbero seguite.

La volontà di chi ha vissuto

è ciò che sostiene le nostre figlie e figli.”

Kida sollevò la testa di scatto nel sentirlo pregare insieme a lei. Il suo accento era strascicato e un pò sgradevole, ma non c’erano dubbi sul fatto che avesse appena parlato in Atlantideo.

“Le loro luci mai si spegneranno

finché impugneranno le chiavi della ruota della vita.”

Dissero all'unisono, riportando nuovamente lo sguardo sui volti arcigni scolpiti nelle pietre che fluttuavano sopra di loro.

“Ecco perchè mia madre mi portava qui sotto. Il cristallo… non credo che si trovasse qui al tempo. Ma le statue degli antichi Re ci sono sempre state. Venivamo a rendere loro onore.” mormorò Kida con voce piena di nostalgia.

“Il cristallo era all’aperto, sospeso sopra la città come un sole.” asserì Perbias nel suo Atlantideo stentato, rimettendosi in piedi ed aiutandola a fare lo stesso. "O almeno credo."

“Dev'essere così. Cos'altro potrebbe essere la luce dei miei ricordi? Ma la preghiera che hai appena ripetuto...”

Il Maestro si massaggiò le tempie doloranti “Qualcuno me la insegnò, tanto tempo fa.”

“Nostra madre?” chiese Kida, gli occhi improvvisamente grandi e lucidi al solo pensiero. Era incredibilmente triste, ma anche curiosamente rassicurante poter condividere con qualcuno quella perdita, quella confusione di ricordi che l'aveva sempre attanagliata.

“Forse. Lo scopriremo presto.”

Così detto, Perbias dette le spalle alla donna per nascondere alla sua vista quel che stava per fare. Premette con decisione sotto la palpebra inferiore dell’Occhio che Scruta, scalcandolo fuori dall’orbita con un suono a dir poco disgustoso che mandò un brivido lungo la schiena di Kida.

“Ma che diamine….”

“Shhh.” la zittì lui, tornando a voltarsi verso il cristallo mentre con l’altra mano spostava le ciocche color cobalto a coprire la parte sinistra del viso, celando la cavità nera lasciata dall’occhio mancante.

Sollevò poi l’Occhio che Scruta verso il cristallo, allentando a poco a poco le dita guantate che aveva richiuso attorno ad esso. Quando la luce blu si specchiò nella pupilla, questa si restrinse immediatamente come quella di un gatto mentre il prodigioso occhio delle Parche trasportava il Maestro indietro di oltre ottomila anni.

La cameretta immersa nel silenzio era graziosamente illuminata dal riverbero dell’amuleto di cristallo azzurro che risplendeva dello stessa luce del Cuore di Atlantide. Tutt'intorno alla lettiga a baldacchino erano sparsi libri, giocattoli e modellini che riproducevano sin nei minimi dettagli le aeronavi da guerra che rendevano la città così potente e temuta.

Il giovane principe dormiva della grossa raggomitolato sui cuscini, la testolina di capelli argento resa quasi iridescente dal riflesso del monile che portava al collo.

"Hey, sei sveglio?"

Lui mugolò qualcosa, girandosi dall'altra parte.

"Dai, andiamo a giocare!"

Il bambino aprì stancamente gli occhi blu come il mare, fissando lo scacciapensieri di conchiglie e monetine che tintinnava appeso alla finestra. Atlantide dormiva un sonno inquieto quella notte nonostante i suoi cittadini fossero al sicuro dietro le sue spesse mura e sotto l’occhio vigile del Cristallo che, come una luna, splendeva alto sopra la città. Soldati in livrea bianca e blu pattugliavano serratamente le strade a bordo di agili macchine volanti simili ai pesci delle profondità e le fiaccole ardevano sulla cima delle torri di vedetta.

"Non dovresti essere qui, è pericoloso.”

"Sono bravo a nascondermi. Lo sai.”

“In ogni caso, papà ha detto che non devo parlare con te."

“E da quand'è che fai quel che ti dice?"

Il principe si tirò su a sedere "Che mi piaccia o no, dovrò farlo fino a quando non sarò Re." Disse a bassa voce stiracchiandosi nella larga camicia da notte.

"Spero che lo sarai presto. Così potremo giocare ogni volta che vorremo e fare quello che ci pare."

"Già. Comunque cosa ci fai lì sotto?" Domandò l'altro, sporgendosi per guardare sotto il letto e dimenticandosi immediatamente delle raccomandazioni di suo padre.

"Fuori c'è troppa luce. Mi fa male agli occhi."

"Come sei delicatino!" Lo stuzzicò il bambino, ridendo.

"Dico sul serio."

"Dai, non fare il frignone e vieni fuori." Così detto, gli tese la mano.

"Ma se hai appena detto che potrebbero scoprirmi…"

"Non se stiamo attenti. E poi, non volevi giocare? È un sacco che non ci vediamo. Dove sei stato?"

"Ovunque fosse abbastanza buio."

"Come al solito, eh?"

S'udì un sonoro sospiro provenire da sotto il letto, poi, cinque dita nere come la pece si strinsero attorno alla manina del giovane principe, le unghiette rosse che punzecchiavano la sua pelle abbronzata.

"Visto, non era difficile." Lo salutò quest'ultimo con un gran sorrisone quando l'altro si fu raddrizzato "Accidenti, quanto sei alto! E… sei diverso!"

"Ciao." Rispose l'ombra, schermandosi gli occhi gialli dalla luce dell’amuleto indossato dal suo interlocutore, la sua voce era squillante ed infantile tanto quanto quella del suo amichetto umano, ma il tono era decisamente meno allegro. "Sì, sono cambiato ancora. Non so perché succede…" Mormorò l'ombra senza guardarlo in faccia.

“Stai alla grande!”

Oscurità abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Soltanto qualche mese prima poteva vedervi attraverso, ma adesso avevano una forma definita ed una certa consistenza, anche se rimanevano gommose a confronto con quelle del principe. Era come se il suo intero corpo si fosse stabilizzato, adattandosi a quel mondo sconosciuto in cui era capitato e dove tutto era così caldo e luminoso.

Il bambino s’avvide dell’espressione confusa impressa sul musetto nero e privo di naso del suo improbabile amico "Qualcosa non va?"

Oscurità sospirò e le antenne ritorte che protrudevano all’indietro dalla sua fronte si afflosciarono come avrebbero fatto le orecchie di un animaletto sconsolato. "Tutti hanno paura di me."

"Hey, io non ho paura!" Si vantò il principe piantandosi le manine paffutelle sui fianchi "Io non ho paura di niente. E poi, tra noi due, sei sempre stato tu il fifone! Come quella volta che abbiamo preso quella grossa lucertola e tu facevi tutto lo schifiltoso quando le si è staccata la coda…"

Oscurità sorrise. Quel marmocchio viziato non perdeva mai l'occasione di vantarsi e sapeva essere davvero insopportabile... ma era anche il suo più caro amico.

Il suo unico amico.

“Ma vedi...” la voce del bambino si fece di colpo seria. “La verità è che la gente ha paura di tutto, di questi tempi. E’ per via della guerra.”

“La guerra…” ripeté pensierosamente Oscurità. “Non ti preoccupa nemmeno un pò?”

“Nah, l’esercito di papà non ha rivali. Gli altri mondi non hanno alcuna possibilità contro di noi. E poi, lo so che a te non piace perché brilla troppo, ma il cristallo lassù nel cielo ci protegge da qualsiasi pericolo. Sai, è per questo che la gente è invidiosa di Atlantide, vorrebbero rubarcelo.” spiegò il principe, stringendo la mano a pugno attorno all’amuleto luminoso che portava al collo.

“Gli adulti sembrano preoccupati, però.” gli fece notare l’ombra, sedendosi al suo fianco sulla lettiga e raccogliendo le ginocchia al petto. Laddove un normale bambino umano avrebbe avuto due graziosi piedini paffutelli, Oscurità sfoggiava un paio di tozzi artigli simili a zoccoli “Ho sentito il consigliere di tuo padre parlare mentre venivo qui, muovendomi nelle ombre. Era molto nervoso.”

Il principe abbassò lo sguardo e la consueta vivacità nei suoi occhi blu svanì tutto d’un tratto. “A dire il vero…” iniziò a dire, grattandosi nervosamente il braccio “...anche la mamma ha paura. Non vuole dirmi perché ma io so che é così. Per questo ci sono così tante guardie qui a palazzo. Hai notato?”

“Eccome se l’ho notato. Sono giorni che cerco di entrare nelle cucine per mangiare qualcosa, ma temevo di essere scoperto e così ho rinunciato.”

L'altro lo fissò ad occhi sgranati "Non mangi niente da GIORNI?! Perché non l'hai detto subito?"

"Io-"

"Dai, ti prendo qualcosa!"

"Hey, non importa… non ho fame…"

"Sciocchezze! E poi non c’è bisogno di andare fin giù in dispensa, mi basterà chiamare uno dei servitori. Non sono mica un ladruncolo da quattro soldi come te, io!"

Nell'udire quell'ennesima vanteria, Oscurità scoppiò a ridere "C’è qualcosa che non puoi fare?"

L'altro gli rivolse un sorrisetto furbo, avviandosi verso la porta "Beh, non so ancora pilotare un Ketak ma Papà mi insegnerà presto. Dai aspettami qui, torno tra un attimo."

Oscurità rimase solo nella cameretta del principe e dopo essersi cautamente guardato attorno si accomodò meglio sul lettino.

Le lenzuola erano ancora calde e i cuscini erano così morbidi… non come il giaciglio di pietra dove si ritirava a riposare quando il sole si faceva troppo alto ed abbagliante per i suoi occhi di creatura delle Tenebre. Non si sentiva a suo agio nello stare così esposto in una stanza non chiusa a chiave. Chiunque sarebbe potuto entrare da un momento all’altro e coglierlo di sorpresa ma il suo amico era davvero fortunato ad avere un posto come quello dove potersi sentire al sicuro. L'intero palazzo era il suo parco giochi e i servitori le sventurate vittime delle sue marachelle.

In quelle stesse sale viveva anche un’altra bambina chiamata Kida e, quando Oscurità aveva chiesto al principe se anche lei fosse una sua amica, l’altro aveva risposto di sì, ma anche detto che non era proprio la stessa cosa, dato che era anche sua sorella.

Gli aveva chiesto cosa significasse ma il bambino non era mai riuscito a dargli una spiegazione soddisfacente, limitandosi a dire che i fratelli sono come gli amici… ma per qualche motivo tendono a somigliarsi e a vivere sotto lo stesso tetto, con altre persone che chiamano ‘genitori’. Il principe s’atteggiava sempre da so-tutto ma l’ombra sapeva bene che in realtà certe cose non le comprendeva neanche lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Nonostante ciò, Oscurità aveva assimilato questo e molti altri concetti al meglio delle sue possibilità e sapeva bene che avrebbe fatto meglio a tenersi alla larga dagli altri membri della famiglia.

La sua amicizia col principe era, e sarebbe dovuta rimanere, un segreto.

Specialmente dopo che la piccola Kida l’aveva visto aggirarsi per i corridoi nel bel mezzo della notte ed era corsa piangendo ed urlando ad avvertire i suoi genitori che avevano fatto rivoltare il palazzo da cima a fondo alla sua ricerca. Oscurità sapeva bene che se l'avessero trovato per lui non vi sarebbe stato scampo.

Fortuna che era sempre stato bravo a nascondersi, era un’ombra dopotutto, e rimpiattarsi anche nell’angolo più angusto era la sua specialità. In effetti, era proprio questo quel che stava facendo quando lui e il principe si erano incontrati per la prima volta, ormai quasi un anno prima.

Era appena giunto in quel mondo sconosciuto e aveva fatto la sola cosa che sapeva fare: andare a caccia di Cuori. La fame era la sola costante della sua esistenza, un vuoto cavernoso ed incolmabile nel suo ventre, un bisogno così preponderante da non lasciar spazio per nient'altro nella sua esistenza.

Mangiare, consumare, soffocare tutta la luce e poi ricominciare da capo.

Ma a differenza delle altre ombre, lui era piccolo e debole, un cucciolo, se così possiamo dire, e se i viandanti che si perdevano nel Mondo Oscuro erano per lui facili prede, sfiniti e privati della loro volontà, questo non era altrettanto vero per le creature di carne e sangue che popolavano quel nuovo mondo in cui era lui ad essere un estraneo.

Sarebbe sicuramente morto di stenti e di fame se non fosse stato per l’inaspettata generosità (o forse, ingenuità) del giovane principe. Invece di finirlo con un colpo di quella sua strana chiave, tanto simile ad un giocattolo nelle sue mani di bambino, il futuro re di Atlantide lo aveva tartassato di domande, più incuriosito che spaventato da quella strana creaturina di tenebre che aveva appena tentato di mangiargli il cuore, fallendo miseramente.

Oscurità non aveva mai parlato con qualcuno prima di allora. A dire il vero, non sapeva nemmeno di esserne capace o di avere una voce propria e forse fu proprio per questo che la modulò inconsciamente ad imitazione di quella del suo interlocutore.

Ripensare al loro primo incontro lo metteva sempre di buon umore. Da allora, erano cambiate così tante cose…



 

E, proprio come gli aveva fatto notare poco prima il principe, lui era cambiato. Cresciuto, per la precisione. Non era più soltanto una forma evanescente, un groviglio di ombre e fame privo di raziocinio ma qualcosa di più solido, di più umano, in un certo senso. Giocare con il suo amico era molto più divertente adesso che potevano toccarsi, rotolandosi ed azzuffandosi sul pavimento come due leoncini.

Mangiare ‘cibo vero’ era l’altra cosa che aveva imparato a fare e la brama di cuori che l’aveva sempre tormentato era sparita senza che lui se ne accorgesse, sostituita dal desiderio di assaggiare cose nuove e, a sua insaputa, saziata per sempre dal fatto che lui stesso stesse sviluppando un cuore tutto suo.

La voragine dentro di lui s'era a poco a poco colmata ed era solo merito del suo amico e del tempo che avevano trascorso insieme. All'inizio, il principe lo trattava più come un curioso animaletto che come un suo pari, ma Oscurità imparava e s'adattava in fretta. Era come una spugna, terreno fertile pronto ad assorbire gli stimoli esterni e farli propri.

La porta della cameretta cigolò sui cardini facendolo sussultare e riscuotendolo dai suoi pensieri. Immediatamente, i sensi d’Oscurità scattarono sull’attenti, gli artigli sfoderati e i muscoli tesi sotto la pelle lustra e nerissima, pronto a difendersi o a scappare se ve ne fosse stata necessità.

“Sono io.” s’annunciò il principe in un bisbiglio prima di entrare con un fagotto di stoffa bianca tra le braccia. “Visto? Un gioco da ragazzi.” si pavoneggiò, tornando a sedersi accanto a lui. “Scommetto che ti piacerà, ho preso una cosa speciale.”

In circostanze normali, Oscurità avrebbe smaniato per scoprire quale leccornia il suo amico gli avrebbe proposto questa volta, ma in quel momento era ancora assorto nei suoi pensieri e nei suoi dubbi. “Lo so che te l’ho già chiesto… ma cosa significa essere fratelli?”

L’altro alzò gli occhi al cielo. “Ancora con questa storia?”

L’ombra si strinse nelle spalle, risentita “Non riesco a capirlo. Ricordi che mi hai detto che i fratelli si assomigliano?”

“Beh, non tutti i fratelli si assomigliano… diciamo che è più che altro una delle cose che a colpo d’occhio ti permette di capire se due persone sono fratelli. Ma non è una regola-”

“Ma se vale quasi per tutti...” Oscurità aggrottò la fronte “...allora io devo avere tantissimi fratelli. Ce ne sono altri, tutti uguali a me."

"Intendi le altre Ombre?"

"Già...” la creatura rabbrividì visibilmente.

“Quelli non sono fratelli tuoi.” lo rassicurò il bambino, accorgendosi del suo disagio “Nemmeno per sogno!”

“Come fai a dirlo?”

“lo so e basta!” rincarò l’altro premendosi una mano sul petto per poi dare al compagno una spintarella giocosa “E poi, quelli là sono davvero grossi e cattivi, mica delle mammolette come te!”

Oscurità si coprì la bocca con gli artigli, trattenendo una risatina. “In ogni caso, non m'importa di loro. Non voglio essere come loro."

“Esatto, questo è lo spirito giusto." esclamò il principe compiaciuto. Di solito, Oscurità era sempre timido ed indeciso, perciò in quel momento fu bello sentirlo così sicuro di sé. “E sentiamo un pò, a chi vorresti assomigliare?” gli chiese poi, porgendogli lo spicchio di un curioso frutto giallo a forma di stella che aveva appena estratto dall’involto di stoffa.

“Che cos’è?” lo interrogò l’ombra, ignorando la sua domanda.

Il principe aveva già la bocca piena di pappa gialla e gommosa “E’ un frutto Paopou. E’ dolce, dai assaggia.”

Oscurità prese la punta di stella che l’altro gli stava offrendo e l’accostò alle labbra, fermandosi ad annusarla prima di darvi un piccolo morso. Era delizioso. Dolcissimo, sapato. Come una grossa caramella.

“Vorrei assomigliare a te.” ammise, cacciandosi in bocca il resto del boccone e tendendo la mano per prenderne ancora. Ridendo, il bambino gli lasciò finire la sua parte, pulendosi le mani appiccicose di succo e zucchero sulla tunica.

“Allora sei fortunato che stiamo proprio mangiando uno di questi. Sai, dicono che se due persone dividono lo stesso Paopou allora è un po’ come se diventassero fratelli. Per questo mio papà ne spezza sempre uno a metà coi suoi generali e alleati, così sa di potersi fidare di loro quando va in guerra.”

Oscurità guardò l’ultimo bocconcino di Paopou che ancora stringeva tra gli artigli con rinnovato interesse e deferenza “E’ una promessa, allora.” disse poi, con fare solenne.

Il Principe lo guardò perplesso “Che cosa?”

La creatura sorrise, scoprendo i dentini affilati e nerissimi dietro le labbra spesse “Puoi fidarti di me. Ti prometto che sarò la tua ombra, qualunque cosa succeda!”

Perbias riusciva a stento a credere a quel che vedeva.

Oscurità sedeva al suo fianco sbocconcellando il frutto dolciastro con aria contenta, la lingua violacea che sgusciava tra gli artigli per ripulirli dalla polpa succosa.

Era davvero la stessa Oscurità che lo tormentava incessantemente da decenni?

Anche attraverso la visione surreale di quel ricordo, percepiva la sua innocenza, quanto quella creatura fosse giovane, confusa, debole persino. Ai suoi occhi di bambino doveva essere sembrata poco più che un amico immaginario che col passare del tempo s’era fatto sempre più reale.

Qualunque fosse la vera natura di Oscurità, una cosa adesso gli era spaventosamente chiara.

Non era la sua Oscurità.

Era un essere con cui aveva stretto un legame molto forte, ma che non faceva intrinsecamente parte di lui. Perbias e Oscurità non erano due gemelli siamesi che si odiavano a tal punto da volersi dividere a tutti i costi, rimanendo entrambi storpiati e segnati a vita da quell'orrorifica separazione… no.

I loro cuori s’erano sovrapposti, così come le voci nelle loro teste e avevano finito per dimenticare come e perchè quell’unione fosse avvenuta, l’amicizia che avevano forgiato, le promesse che si erano fatti. Avevano completamente dimenticato di essere stati due persone diverse.

Se da un lato quella rivelazione sollevava un gravosissimo peso dalle spalle del Maestro, rassicurandolo finalmente del fatto che non fosse sempre stato così instabile senza un valido motivo, essa riempiva anche la sua testa di una nuova miriade di inquietudini e domande.

Oscurità aveva perso la memoria esattamente come lui? Pensava davvero di essere sempre stato parte del suo cuore oppure in tutto quel tempo non aveva fatto altro che perpetrare quella menzogna per tormentarlo? Per fargliela pagare per aver cercato di sopprimerlo?

Per la prima volta in tutta la sua esistenza, Perbias provò pietà per la sua nemesi. Oscurità lo guardava con i grandi occhioni gialli attraverso quel ricordo appena recuperato e il solo pensare che fossero passati da ridere e giocare insieme a cercare di distruggersi l’un l’altro lo raggelò. Era così che Oscurità lo vedeva? Come l’amico che aveva infranto la promessa, che l’aveva tradito e abbandonato?

Scacciò via quel pensiero. L’Oscurità del suo presente non aveva più niente a che spartire con quella buffa creaturina e, se quello che il suo io più giovane aveva detto era vero, allora era chiaro che fosse diventato proprio come le altre ‘Ombre’ con cui aveva spergiurato di non voler avere niente a che fare.

Era diventato ‘grosso e cattivo’, crudele e vendicativo.

Ma cos’era Oscurità, veramente? Pura, assoluta tenebra che esisteva sin dall’alba dei tempi, una forza primordiale come il fuoco e la tempesta?

Si poteva davvero definire ‘cattiva’ una cosa del genere? La piccola Oscurità di quel ricordo era puro potenziale, come la scintilla che può dar vita alla fiamma che renderà tiepida e accogliente una casa oppure finirà con l’incenerirla consumando tutti i suoi abitanti.

Perbias si alzò dal lettino rivestito di pregiate stoffe ricamate lasciando il piccolo sé stesso e Oscurità ai loro giochi. C’era ancora molto altro da vedere.





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Salve a tutti!
Mi ero ripromessa di non aggiornare fino al prossimo update di KHUX (cioè domani) ma in fin dei conti questa parte della storia non ha quasi niente a che fare con i Denti di Leone e i loro travagli quindi non c'è davvero motivo di tenermi i capitoli del Maestro e di Atlantide chiusi nel cassetto. In ogni caso, la pausa mi ha fatto bene, ne sono convinta XD ho avuto occasione di riorganizzare un pò le idee e revisionare i capitoli precedenti così come i successivi. Spero che queste ultime rivelazioni vi abbiano intrigato!
Ancora una volta ringrazio Malakia per l'adorabile illustrazione e per aver suggerito i versi della canzone che propongo all'inizio di ogni capitolo. Un caloroso saluto e alla prossima!

   
 
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