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Autore: Digihuman    13/05/2020    7 recensioni
[IN CORSO]
Mi chiamo Brent Smith, ho trent'anni e voglio raccontarvi la mia storia. […]
A dirla tutta il mio certificato di nascita indica Tokyo come mia città natale, ma la città in cui ho vissuto per la maggior parte della mia infanzia e adolescenza è Exeter. […] E niente, la maggior parte dei miei ricordi sono proprio legati a questa città. Ricordi, che tra le tante cose, mi riportano a lei, alla mia dolce Yoshiko. […]
Spesso mi ritrovo a pensare a quando, temporaneamente parlando, potrei collocare il momento esatto in cui mi sono innamorato di lei. Avevo sentito le farfalle allo stomaco già la prima volta che la vidi. […] L'unica certezza che ho è che il mio amore è nato con lei e che morirà ciecamente con lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buongiorno,
questa storia originale si intreccia con una mia storia già scritta precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta, riconoscerà subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT! Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto poiché contiene spoiler per questa originale.

Ringrazio con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in veste di Beta Reader!

Rating capitolo: giallo per presenza di tematiche delicate
Personaggi capitolo: Brent, Isaac, sergente Gamble, Sam

Capitolo 5





Nonostante la confessione implicita che Sam mi aveva fatto, tra di noi non era cambiato nulla. Continuavamo ad ignorarci in pubblico, per poi finire ad esplorare la nostra sessualità in completo silenzio e lontano da occhi indiscreti. Sapevo che tutto questo era sbagliato. Era sbagliato che lei non volesse fare coming out dichiarando il proprio orientamento sessuale; era sbagliato che io me ne stessi zitto in silenzio, lasciandola fare e quasi approfittando della situazione; era sbagliato che la nostra fosse solo una messa in scena, una finta relazione segreta; era sbagliato che nessuno dei due volesse parlarne con l'altro; ed era soprattutto sbagliato il pensiero secondo cui, oggigiorno, una giovane ragazza non potesse esprimere la propria sessualità senza il timore di venire additata dalla gente come un'eretica.
Era nato tutto come un gioco, per me lei era un diversivo allo studio, mentre io per lei non ero nient'altro che un escamotage per fingersi etero, quando in realtà non lo era. Perché, nonostante noi cercassimo di staccarci dal gruppo la sera e di nascondere la nostra tresca, le voci giravano veloci a scuola e tutti già sapevano che tra di noi vi era un rapporto piuttosto carnale.

Una sera, però, esplosi e decisi di parlarne faccia a faccia con lei.
-Sam, forza, seguimi- dissi afferrandola per il braccio e trascinandola sul retro del bungalow.
-Quanta fretta che hai, Brent- mi disse masticando rumorosamente la gomma che aveva in bocca -hai tutta questa voglia stasera?-.
Le lanciai uno sguardo piuttosto truce, tanto da riuscire a zittirla in un istante.
-Non ce la faccio più ad andare avanti così- le dissi facendola finire spalle al muro e parandomi davanti a lei con le braccia conserte -cosa sono esattamente per te?-.
Sam dapprima spalancò gli occhi - sicuramente presa contropiede - per poi trattenere una risata alquanto divertita.
-Cielo, Brent! Non ti facevo così sentimentale- disse sghignazzando -non so quale sia stato il tuo trauma infantile, ma, cavolo, se ti ha segnato la cosa-.
Feci per ribattere sciogliendo le braccia e aprendo la bocca, quando lei si scaraventò sulle mie labbra iniziando a divorarle. La allontanai da me quasi con disprezzo, confuso dalla sua risposta -Sam, è proprio questo che non va-.
Questa volta fu lei a tentennare nell'udire le mie parole.
-Perché fai così? Perché tenti sempre di... eccitarmi, quando sappiamo benissimo che non è me che vuoi!- avevo finalmente trovato il coraggio di ribellarmi a quella malsana relazione -non sono scemo, cosa credi. Ho visto benissimo come guardi Cassandra Blake-.
A quel nome, Sam si inalberò e si fiondò su di me coprendomi la bocca e azzittendomi -ti prego, non così ad alta voce-.
Distolsi la mano di Sam dalla mia bocca, fino ad osservarla e capire che avevo perfettamente centrato il punto.
-Se qualcuno dovesse scoprirlo...- i suoi occhi si annebbiarono e per un istante non la riconobbi.
Sam era sfrontata, disinvolta e disinibita. Il suo carattere forte non si piegava neanche sotto lo sguardo più severo e non si faceva mai mettere i piedi in testa da nessuno. Ma era evidente che quel discorso l'aveva scossa nel più profondo. La sua voce tremava e con essa anche le sue braccia.
Mi avvicinai meglio a lei fino a racchiudere le sue piccole mani nelle mie -ti hanno fatto del male?-.
Lei mi guardò con i suoi occhi profondi -chi?-.
Alzai le spalle -non lo so, qualcuno, magari!-.
-No, non ha niente a che fare con questa scuola, non così direttamente per lo meno- mi disse scostando lo sguardo e riprendendo fiato -mio padre è un predicatore di Dio. Credo di non dover aggiungere altro-.
Alzò gli occhi al cielo, facendoli roteare in maniera piuttosto scocciata.
In quel momento mi sentì uno stronzo, ma non riuscì a trattenere una risata malvagia -lesbica figlia di un reverendo?-.
Lei mi tirò un pugno piuttosto potente al petto, facendomi per un istante mancare il fiato. Mi piegai in due per il dolore. Con la coda dell'occhio notai che Sam stava cercando di divincolarsi dalla mia presa, perciò l'allentai senza però concederle la libertà.
-Frena, frena- dissi riprendendo il controllo del mio corpo, per poi fronteggiarla ancora una volta -mi dispiace, non era mia intenzione essere così stronzo-.
Lei scostò il capo di lato e cercò di nascondere una piccola lacrima che, gelida e solitaria, cercava di scendere sul suo volto. Fu allora che mi sentì scosso nell'anima e capì che lei non era fatta di ferro, non era immune alle mie parole. Avevo trovato il suo punto debole e non era certo da me approfittarne in quel modo.
-Sam- sussurrai cercando di attirare la sua attenzione -ti prego, guardami-.
Le poggiai una mano sotto il mento, costringendola a voltarsi verso di me e guardarmi dritto negli occhi.
-Il tuo segreto è al sicuro con me- le dissi facendomi una croce sul cuore -ti prometto che non dirò nulla a nessuno-.
Lei rimase per un attimo a fissarmi. Il suo sguardo magnetico trapassò le mie pupille, come a volere entrare dentro di me fino a leggermi nell'anima. Trattenni il fiato, come se stessi attendendo la mia ora.
Lei aprì la bocca e finalmente mi confidò tutto -a me piacciono le ragazze e non i ragazzi. Ma mio padre è un uomo di fede e di vecchia veduta, non accetterebbe mai una figlia lesbica in casa. Sarebbe come tradire la sua fiducia-.
-Così, però, tradisci te stessa ed i tuoi sentimenti- dissi di getto.
-Come se già non lo sapessi- sbuffò divertita -non dovrei mentire al mio cuore e dovrei essere più sincera con i miei genitori, meglio?-.
Scoppiai a ridere e feci spallucce -non lo so, meglio?-.
Lei si unì alle mie risate ritrovando il buonumore -ecco, è proprio per questo che ho scelto te, Brent. Sei l'unico ragazzo della scuola che non mi ha mai trattata diversamente dalle altre. Non sei uno sporco maschilista e, se non fosse stato per me, non ti saresti mai infilato sotto i miei vestiti-.
-E' un onore essere scelto da una lesbica per assecondare i suoi istinti sessuali, mentre, scopandomi, pensa ad un'altra donna. Questo è esattamente ciò a cui ho sempre aspirato!- non era da me uscirmene con frasi tanto sarcastiche, ma non riuscì a trattenermi e, per una volta dopo tanto tempo, mi sentì finalmente me stesso.
Lei mi diede una spallata amichevole e disse -che sfortuna venir sbattuto da una delle ragazze più sexy dell'accademia, eh?-.
Istigatrice, fu tutto ciò che mi venne in mente in quel momento. Però non aveva certo tutti i torti, il sesso con lei era perfetto e non potevo certo lamentarmene.
Non potevo non notare, però, che ogni volta che lo facevamo, lei teneva regolarmente lo sguardo fisso al soffitto.
D'altra parte era solo sesso. Lo sapevo io e lo sapeva benissimo anche lei.

I mesi a seguire furono tra i migliori della mia vita.
Io e Sam avevamo instaurato una relazione veramente unica. Certo, era tutto basato su una menzogna e ne ero consapevole però, in un certo senso, vi era un legame vero e proprio che ci univa. Io ero diventato il suo confidente e cavaliere dall'armatura scintillante, e lei era il famoso diversivo di cui avevo tanto bisogno.
Le lezioni private con il sergente Gamble stavano portando i loro frutti e, per la prima volta da quando avevo abbracciato l'adolescenza, stavo rigando dritto. Insomma, avevo una finta fidanzata etero, che in realtà era lesbica, che mi regalava indimenticabili nottate di fuoco, un professore che buttava anima e corpo sul mio apprendimento ed un padre amorevole su cui contare, che si faceva sentire con una certa costanza. Eppure, sentivo che mi mancava ancora qualcosa. Per quanto Sam si fosse rivelata fantastica con me, per me non era abbastanza. Mi mancava l'amore e, perché no, mi mancava il romanticismo.
Sono un uomo, non dovrei dedicarmi a tutte queste smancerie - Sam mi aveva rimproverato già abbastanza su questo - ma fa parte del mio essere e non riesco a farne a meno.
Lo stare insieme a Sam aveva portato i suoi frutti. Prima di tutto, gli altri ragazzi della scuola avevano smesso di additarmi come uno sfigato. Perché, siamo sinceri, a scuola non ero certo il più popolare. Mi avevano allontano dai corsi, venivo seguito privatamente dal sergente in persona, neanche fossi figlio suo, e, fino ad allora, nessuno mi aveva mai visto in gentil compagnia. Almeno finché non era comparsa Sam nella mia vita.
Consapevole che la mia fama era solo l'ombra di ciò che in realtà ero, trascorsi gli ultimi mesi nella popolarità. Finalmente tutti mi salutavano per i corridoi. Molti ragazzi mi davano il cinque anche senza conoscermi. Più tardi scoprì che Sam aveva alimentato la mia fama, facendo circolare certe voci piccanti sul mio conto, su quanto fossi ben messo e sulle mie capacità sotto le lenzuola. In quel momento, tutto di me urlava sesso. La mia nuova pettinatura, tipica alla militare, rasata ai lati con una bella cresta di pochi centimetri che si reggeva fiera sul mio capo; il mio nuovo fisico, scolpito dai duri allenamenti programmati con il sergente; la mia pelle, finalmente non più color latte, ma fortemente abbronzata; la mia altezza, che nell'arco di un anno aveva raggiunto il metro e novanta. Insomma, mesi intensi dedicati al mio corpo, alla mia mente e alla mia carriera.
Conclusi l'ultimo semestre ottenendo i punteggi più alti del mio corso. Gamble era molto orgoglioso di me. Un anno ancora e sarei potuto entrare nell'esercito. E lui non era il solo. Mio padre non aveva potuto assistere alla consegna dei diplomi, ma mi aveva chiamato la sera stessa piangendo al telefono dalla gioia. Un atteggiamento che mi aveva colpito parecchio, poiché non tipico di lui.
E con il concludersi dell'anno accademico, finalmente si aprì l'estate e la possibilità di tornare a casa per ben due mesi e mezzo. Avrei potuto rivedere mio padre, svagarmi un po', andare al mare e magari mangiare un po' di quel fish and chips cucinato dalla bancarella ambulante presente in fondo alla nostra strada, che tanto mi piaceva.
Feci i bagagli, salutai Sam in maniera plateale con tanto di bacio davanti a tutti, genitori compresi, e presi il primo treno per tornare a casa.

Ci vollero circa cinque ore di viaggio ed uno scalo a Birmingham, prima di poter rincasare. Alla stazione non venne a prendermi nessuno, ma già ne ero al corrente. Perciò, raccolsi il mio borsone, me lo caricai in spalla e mi incamminai verso casa. Per fortuna dovetti camminare solo per una quindicina di minuti e, visto le ore trascorse seduto in treno, non mi diede poi così noia potermi sgranchire le gambe.
Avevo già in mente il programma della serata: cena con mio padre, probabilmente meno imbarazzante del solito, visione di un bel film d'azione, trasmesso rigorosamente in seconda serata, ed una bella dormita nel mio letto, il tutto non prima delle due di notte.
Nel passeggiare verso casa, dopo aver attraversato tutta Western Way, presi un paio di svincoli fino a raggiungere il Quay. Le mie gambe si fecero d'un tratto molli e con la mente iniziai a divagare nei lontani ricordi che avevo di quel posto. Ed ecco che, come per magia, mi si parò davanti una figura alta e snella, dai lunghi capelli neri e lisci. La guardai meglio, mi dava le spalle. I miei occhi si riempirono di speranza e le mie gambe iniziarono a camminare da sole. Quando mi avvicinai a lei, misi una mano sulla sua spalla, costringendola a voltarsi verso di me. Seguì la delusione di aver solo incontrato una ragazza che le assomigliava tanto, ma che, purtroppo, non era Yoshiko. Lei mi guardò stranita, mi scusai e tirai dritto imbarazzato come non mai. Mi diedi un colpetto alla tempia e feci retromarcia verso casa maledicendomi.
Com'era possibile che, a distanza di tutti quegli anni, la mia mente ancora mi giocasse quegli scherzi? Mi venne istintivo specchiarmi nella vetrina di un negozio a lato della strada, per domandarmi cosa avrebbe pensato lei di me. Poi scossi il capo e procedetti dritto lungo la via. Stavo con Sam, o almeno così facevamo credere. Ero un ragazzo diverso rispetto a quello di pochi anni prima. Non ero sicuro che sarei ugualmente piaciuto a Yoshiko in queste vesti.
Mi diedi del patetico, perché, per quanto mi sforzassi di apparire risoluto e forte, in realtà ero solo un debole ancorato ad un vecchio ricordo amoroso. Anzi, con il tempo mi accorsi che stavo idealizzando la figura di Yoshiko più del previsto. Non l'amavo veramente, ma amavo l'idea che mi ero fatto di lei. Ed era impossibile non pensare a lei come un metro di paragone. Sarà stato per quel motivo che mi ritrovavo ad avere una finta relazione con una ragazza omosessuale.
Mentre il flusso dei miei pensieri non mi dava tregua, tanto da provocarmi un simpatico mal di testa, raggiunsi casa. Non ebbi neanche modo di cercare le chiavi, perché, stranamente, la porta d'ingresso era già aperta.
Entrai guardando subito l'orologio: erano solo le due del pomeriggio. Eppure mio padre sarebbe dovuto essere a lavoro.
Un signore dalla salute cagionevole si avvicinò all'ingresso, pregandomi di chiudere subito la porta per evitare correnti d'aria.
Il mio sguardo rimase fisso su quella figura che mi si parava davanti. Non avevo mai visto mio padre così stanco, così spossato e insofferente. Non è mai stato un uomo dalla folta chioma, ma la sua testa ora era coperta solamente da una fine peluria ramata. Gli occhiali mascheravano il suo sguardo affaticato, ma lasciavano ugualmente intravedere due occhiaie marcate che gli contrassegnavano il volto. Alto, giusto qualche centimetro in meno a me, ma smunto e sciupato nell'aspetto, avvolto in un pigiama di almeno due taglie più grandi. A completare il suo aspetto vi era il colore della sua pelle, bianco, pallido e a tratti violaceo. Sembrava un fantasma.
Avevo già avuto qualche sospetto l'anno prima, durante l'estate trascorsa insieme al mare, ma non avevo mai avuto il coraggio di approfondire l'argomento con lui. Tutto andava per il meglio finalmente, perciò la mia mente in quell'anno scolastico si era rifiutata di voler pensare al peggio. Purtroppo però, la tua situazione era più critica del previsto e un dolore lancinante stava per imbattersi nella mia vita.
-Papà...- sussurrai con un filo di voce.
-Figliolo, ben tornato a casa- mi disse avvicinandosi a me e abbracciandomi calorosamente.
Lo scostai forse con troppa irruenza, notando subito che il suo mancato equilibrio lo stava facendo cadere a terra. Allungai un braccio e afferrai la sua maglia, aiutandolo a rimanere in piedi.
-Scusa- dissi di getto spaventandomi per l'accaduto -io non volevo-.
Mi sorrise e non disse nulla.
Mi accompagnò in cucina ma, prima di raggiungere la stanza, mi soffermai in salone dove avvistai una scena dell'orrore. La sala era stata adibita a camera ospedaliera. Vi era un grande lettino di quelli elettrici che hanno la funzione di alzare ed abbassare sia lo schienale che il poggiapiedi. Insieme ad esso vi erano tanti altri strani macchinari, uno più rumoroso dell'altro. Potevo distinguere il trespolo della flebo, il respiratore artificiale, siringhe sigillate e sterilizzate in apposite confezioni sul tavolo, insieme ad una combinazione di farmaci e ad un apparecchio in grado di registrare il battito cardiaco. Nonostante mio padre fosse un medico, non mi ero mai interessato a nulla di tutto ciò.
La domanda più spontanea sarebbe stata “papà, cos'hai?” ed invece riuscì solo a chiedergli -quanto ti resta?-.
I suoi occhi si fecero lucidi, ma trattenne comunque le lacrime -un mese, forse due-.
Avrei potuto abbracciarlo, baciarlo, fargli sentire il mio calore ed il mio affetto. Ed invece strinsi il pugno talmente forte da farmi male ed uscì rapido dalla stanza fino ad oltrepassare la porticina sul retro. La mia testa si mosse veloce a destra e sinistra, lo sguardo impazzì e gli occhi rotearono furiosi alla ricerca di un qualsiasi oggetto da distruggere.
Quel pomeriggio sfasciai gran parte dell'arredo esterno che avevamo. Quando rincasai, circa mezz'ora più tardi, mio padre non osò chiedermi nulla.
Mi aspettavo una cena di rientro silenziosa, ma mai come quella. Più il tintinnio delle posate si faceva assordante, più la mia rabbia ribolliva dentro di me.
-Perché?- domandai furioso guardandolo dritto negli occhi.
Vidi il suo sguardo triste e sconfortato, e capì che si sentiva in colpa.
-Vedi, Brent. Avrei voluto dirtelo prima, ma ho sempre sperato di riuscire ad uscire da questo tunnel da solo- mi disse appoggiando le posate sul piatto -circa tre anni fa ho scoperto di soffrire di una forma piuttosto comune di leucemia. Ho fatto della radioterapia e della chemioterapia. Ma le mie difese immunitarie sono calate drasticamente e il mio lavoro in ospedale non è stato d'aiuto-.
Con l'avanzare del suo racconto, mi accorsi di star piangendo come un bambino. Mi guardai le mani tremanti, per poi concentrarmi di nuovo su di lui che, in silenzio, tentennava sul da farsi.
-Perché?- domandai nuovamente -perché non me lo hai voluto dire! Non sono più un bambino. Io... avrei potuto esserti vicino, piuttosto che sprecare il mio tempo a scuola-.
-Non sarebbe cambiato nulla, figliolo- mi disse portandosi una mano sulla fronte -avresti solo perso tempo prezioso, badando a me-.
-Tu non sei e non sarai mai tempo perso per me- dissi esternando forse per la prima i miei sentimenti per lui.
Entrambi ci ritrovammo nel silenzio più totale.
-Ed ora?- domandai verso di lui senza alcuna speranza.
-Ed ora godiamoci la splendida estate che ci aspetta, figliolo- mi rispose sorridendo.

***

Non so dirvi quanto quel mese significò per me. Vorrei raccontarvi che tutto andò per il meglio, che i medici trovarono una cura miracolosa e che guarì come d'incanto. Purtroppo non andò così. Nulla di tutto ciò andò per il verso giusto. Morì esattamente 37 giorni dopo.
Ma di lui conservo ancora un ricordo estremamente bello, perché in quel mese, consci della precarietà della situazione, ci godemmo ogni istante della reciproca compagnia.
Purtroppo mio padre in quel mese ebbe alti e bassi. La cosa migliore da fare, probabilmente, sarebbe stata quella di farlo ricoverare in ospedale, magari sedarlo con un po' di morfina, giusto per attenuare il dolore cronico. Lui, però, non volle ed io non contestai la sua scelta.
Sapete quando si dice che i medici sono i peggiori pazienti al mondo? Santissime parole! Non era stato molto diligente in quel periodo, lo devo ammettere, ma per lo meno aveva conservato la lucidità fino all'ultimo, il che mi permise di averlo per me e di poter godere della sua presenza fino all'ultimo. Impossibile dire che in un mese recuperammo il rapporto degli ultimi anni, ma - lo ammetto – scoprì in lui non tanto un padre amorevole - quello già lo sapevo - ma un amico con cui aprirmi.

***

-E così, figliolo, sei cresciuto- disse una sera allungando gli occhi maliziosi e ridacchiando tra un colpo di tosse e l'altro.
-Papà, che schifo, no!- gli dissi sicuro di non voler affrontare quell'argomento con lui.
-Beh, hai sedici anni, non ci trovo nulla di male- mi disse appoggiando il capo sul cuscino vaporoso del suo letto.
Lo guardai con la coda nell'occhio, in parte tentato all'idea di poter parlare con qualcuno di Samantha, in parte restio a farlo. Era pur sempre mio padre!
Fu lui allora a cogliermi completamente impreparato -io ho perso la verginità a 14 anni-.
La birra che stavo sorseggiando mi andò di traverso. Mi tirai un paio di colpi al petto cercando di riprendere il controllo sul mio corpo. Gli occhi balzarono fuori dalle orbite e non riuscì a non trattenere una risata divertita -papà!- dissi ancora una volta.
-Figliolo, è fisiologico, che vuoi che ti dica!- rispose lui riprendendo fiato.
Ogni parola per lui era una fitta incredibile. Annaspava come poteva, l'aria pareva non essere mai abbastanza.
Ero seriamente intenzionato a dirottare l'argomento, magari parlando del tempo o di sport, ma poi mi voltai incuriosito verso di lui e mi venne spontaneo chiedergli -seriamente 14 anni?-.
Mio padre scoppiò nuovamente a ridere, probabilmente perché era già convinto che avrei abbassato l'ascia di guerra, o forse solo colto alla sprovvista -cosa vuoi che ti dica, Brent, ero un ragazzino precoce- mi rispose ilare.

***

Ricordo benissimo che in quel momento la mia mente divagò ancora una volta, fino a ripercorrere i miei tormentati quattordici anni. Tormentati, si fa per dire. In realtà, fu un periodo grandioso per me, perché conobbi Yoshiko. Mi capita spesso di ritornare indietro a quel giorno e ritrovarmi a pensare che forse, se non l'avessi mai conosciuta, non mi sentirei così bloccato con le altre ragazze. È come se il mio cuore fosse stato rapito da lei e non riuscissi ad andare oltre.

***

-E di questa Sam, che cosa mi dici?- mi domandò mio padre riportandomi al presente.
-Samantha?- domandai posizionandomi meglio sulla sedia posta accanto al letto di mio padre.
La mia reazione fece intendere a mio padre che ero sì disposto ad intraprendere questo arduo argomento con lui ma che, allo stesso tempo, non mi sentivo molto a mio agio in quei panni.
-Samantha è lesbica, papà- fu tutto ciò che riuscì a dire.
Lui mi guardò confuso per poi abbozzare un sorriso -hai perso la verginità con una ragazza lesbica?-.
Girai subito il capo verso di lui per poi lanciargli un cuscino in faccia -ma smettila!-.
Lui ridacchiò divertito ancora una volta, lanciando a sua volta il cuscino sul fondo del letto -suvvia, Brent, non te la prendere con il tuo vecchio e malatticio padre. Piuttosto racconta, sono davvero curioso-.
Lo osservai di sbieco intuendo il suo forte sarcasmo. Per una volta lo guardai dritto nei suoi occhi scuri, per poi riflettermi in lui trovando grandi somiglianze.
-Non sapevo fosse...- non ero mai stato molto bravo con le parole e anche in quell'occasione andai nel panico. Non volevo risultare omofobo, non lo ero affatto. Ma al contempo ero poco informato su quale fosse il termine più corretto per indicare la sua scelta sessuale, senza risultare un fanatico religioso che inforcava un'arma contro gli omosessuali. Insomma, mi soffermai per un istante ed esitai nella scelta del termine.
Per fortuna, mio padre mi venne incontro -... lesbica?-.
Lo guardai confuso -sì, ecco, io non so bene come chiamarla-.
Mio padre appoggiò una mano sulla mia spalla e mi sorrise -chiamala semplicemente Samantha-.
Mi misi una mano sul volto e imprecai contro me stesso sottovoce.
-Che altro mi sai dire su di lei?- mi domandò.
-Beh, Samantha è di Oxford e ha esattamente tre giorni più di me- risposi sorridendo al suo ricordo -è una delle migliori allieve a scuola, una patita delle armi e ha una mira eccezionale-.
-Straordinario. Una ragazza brava a sparare!- rispose mio padre quasi sarcastico.
Finsi di non notare il suo tono ilare e proseguì a parlare di lei -è molto bella, nonostante non voglia che glielo si dica. Le piace il rugby, il canottaggio e la granita all'arancia-.
Mio padre annuì con il volto -e a letto?-.
Questa volta, la birra, al posto di andarmi di traverso, schizzò fuori dalla mia bocca fino ad inondare il suo viso.
-Papà, cazzo!- urlai rivolto tra un misto di risate e imprecazioni.
-Che diavolo di farmaci ti stanno dando per renderti così...- non mi venne subito il termine.
-Disinibito?- rispose lui alzando una scatoletta azzurrina dal suo comodino -in ogni caso ti conviene approfittarne ora del tuo vecchio, mio caro Brent, perché un domani non potrai più godere di queste mie perle di saggezza-.
Alzai lo sguardo e lo fissai inebetito per un istante.

***

Seppur io non abbia mai avuto modo di aprirmi molto con mio padre, dovete sapere che quei rari e trascorsi momenti di trasparenza tra di noi, erano comunque tenuti a bada da un comportamento molto riservato da parte sua.
Perciò non ero abituato a sentirlo parlare così liberamente, senza alcun filtro.
In quel mese e mezzo trascorso a stretto contatto con lui, conobbi mio padre nel più profondo dell'anima. Fu un rapporto esclusivo il nostro.
Purtroppo non durò molto e, come mi abituai alla sua costante presenza, dovetti abituarmi anche alla sua improvvisa scomparsa.
E lo devo ammettere, da allora niente fu più lo stesso.
Dovetti imparare a vivere senza di lui.
Vi assicuro che sopravvivere ad un genitore alla sola età di 17 anni è dura, perché non si hanno ancora le basi per poter affrontare di petto la vita come viene nonostante, al contrario, agli occhi dello stato tu sia già un uomo completo, quasi maggiorenne ed indipendente.
Perciò venni colto da una solitudine incolmabile e venni lasciato solo da tutti e da tutto, ad affrontare una vita che agli occhi di un adolescente appare insormontabile.
  
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