Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: alessandroago_94    16/05/2020    18 recensioni
Alex è un giovane uomo pieno di dubbi e di voglia di mettere in carreggiata la propria vita, che spesso gli appare senza senso. È infatti vittima di un’ossessione, quella riguardante una persona idealizzata, o forse un suo stesso personaggio inventato; il fantomatico G.
Alla ricerca costante di questa persona si aggiunge una ricerca interiore, quella riguardante sé stesso.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’agente James Barley, prossimo al pensionamento, si ritrova immischiato in una vicenda quasi assurda. Immerso in una società dell’orrore dove regnano bugie e disonestà, e dove sono solo i soldi a fare la differenza tra gli esseri umani, indagherà a riguardo di una clinica privata in cui si effettuano strani e proibiti esperimenti.
Le due vicende si intrecciano, anche se non si incontrano mai definitivamente. Possibile che anche questo racconto sia tutta una grande bugia? Un Limbo, appunto. Un Limbo dei Bugiardi. Un luogo immaginario in cui regnano solo le maschere.
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo quattro

CAPITOLO QUATTRO

 

 

 

 

 

 

 

 

“Tu mi ricordi una poesia

che non riesco a ricordare,

una canzone che non è mai esistita

e un posto in cui non devo essere mai stato”.

Efraim Medina Reyes.

 

“Quando un amore finisce,

uno dei due soffre.

Se non soffre nessuno,

non è mai iniziato”.

Marylin Monroe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capisco solo poco dopo il motivo di tale frettolosità. Non devo nemmeno bussare alla porta dell’ufficio di Ramsey che lo sceriffo della contea mi fissa con insistenza.

Ho già avuto modo di vedere in giro il vecchio Jake, mi è sempre sembrato un tipo che si è meritato il posto che occupa, anche se mi impressiona ogni volta la sua serietà eccessiva. Non mi ha mai tuttavia degnato di uno sguardo, io che sono un bassofondo della gerarchia. Quindi è stato un problema di altri. Ma, adesso…

“Ecco l’agente Barley, signor sceriffo. È lui che ho scelto appositamente” mi presenta subito Ramsey, venendomi incontro e accogliendomi con fare anomalo, poiché amichevole. È tutta scena, solo scena.

Lo sceriffo mi allunga la mano e me la stringe.

“Bene, agente Barley. Abbiamo un caso che fa per lei” aggiunge l’anziano, serafico.

“Per… me?” chiedo, titubante. Quale caso potrebbe fare per me, che non mi è mai stato affidato nulla? Poi sto anche per ricevere il pensionamento. Qualche mese e sarò fuori da questo giro.

“Per lei, sì” ribadisce il mio superiore, mentre Ramsey mi riserva un’occhiataccia.

“Si tratta in effetti di una questione adatta a una persona della sua esperienza”.

Prima che io possa ribadire qualcosa di fuori luogo, Ramsey interviene.

“Un passato nella stradale, poi diversi piccoli casi seguiti in città con un’attenzione e una circospezione da manuale. L’agente qui presente è stato selezionato con cura tra quelli disponibili e al momento disoccupati”. Disoccupati. È una vita che in effetti lo sono. Fare sopralluoghi in mini appartamenti dopo una rapina infruttuosa in effetti non è che sia un grande impegno. Solo quel po’ di burocrazia nel raccogliere la testimonianza del padrone di casa, una firma lì, due parole là. Fine.

“Perfetto” torna ad aggiungere lo sceriffo, impassibile nello sguardo ma convinto nel parlare.

“Gliene vuole parlare lei, agente?” interloquisce poi Ramsey, ma il mio detestato collega declina con cortesia.

“Penso che sia meglio che sia lei a farlo, signore” dice, infatti, “l’agente qui presente è il migliore al momento disponibile, è vero, ma a volte fa orecchie da mercante quando gli parlo. Ci conosciamo da un sacco di tempo e la nostra amicizia ormai è abitudine. Con me non capirebbe quanto è delicata la faccenda che sta per affrontare. Lo faccia lei, per favore”.

Abbasso lo sguardo e mi sento avvampare. Quante stronzate per appiopparmi quella che probabilmente è una grana bella e buona.

“Va bene” acconsente il superiore comune a entrambi, “allora, agente Barley” ribadisce di nuovo, sembra gli piaccia farlo, “a lei è affidato un caso un po’ particolare. È stato scelto perché è di servizio da molto tempo, è un tipo molto calmo, e tutto questo le servirà. Capirà che un novellino non potrà affrontare a nervi saldi una faccendina così…”.

Appoggia sulla scrivania di Ramsey il plico di fogli che ha stretto tra le mani fino a questo momento. Mi fa cenno di avvicinarmi, mentre inizia a sfogliarli. Noto immediatamente che si tratta di una deposizione abbastanza corposa.

“Qualche settimana fa, presso la clinica psichiatrica Mary’s House, la più famosa qui in città, un paziente è deceduto per cause ancora parzialmente da scoprire”. Profondo sospiro del sergente, prima di proseguire. “La figlia del defunto ha deciso di sporgere una pesante denuncia. Indignata, pensa che suo padre sia stato ucciso dai componenti dell’equipe medica che lavora nell’edificio”.

Il sergente si ferma ancora un attimo e chiude il fascicolo con una manata lesta.

“Fin qui le sembrerà tutto normale. Un padre che muore solo in una clinica dalla quale non può uscire nemmeno con la punta del naso, e una figlia che si ritrova bramosa di vendetta. E… le dirò, si tratta solo di una caccia alle streghe”.

Ramsey tossicchia, poi fa vistosamente cenno di assenso con la testa.

“L’uomo è morto per cause naturali, come conferma l’autopsia. Solo che la signorina si è impuntata sulla sua idea. Poiché non sono state finora svolte indagini approfondite, a lei sarà affidato il compito di ascoltarla, leggere queste deposizioni e poi fare un sopralluogo in quella clinica e controllare la cartella del paziente, per essere certi che sia tutto in perfetto ordine. E quando ciò sarà accertato e constatato, con la sua calma lei inviterà la signorina a mettersi a sedere e a bere un tè mentre le spiega che non c’è nulla che non va, e che suo padre è morto anziano e solo perché i suoi disturbi si erano aggravati così tanto da spingerlo a compiere follie pretenziose, di quelle che portano alla morte”.

Lo sceriffo di contea allora mi allunga il fascicolo e fa sì che lo stringa bene tra le mani, prima di lasciarlo.

“Ricordi che si parla comunque della morte di un ex senatore. È per questo che la stiamo mobilitando, agente Barley” conclude. Mi stringe la mano con professionalità, poi saluta Ramsey e se ne va, lasciandomi frastornato e perplesso.

“Quindi dovrei calmare questa signorina solo perché è ricca e suo padre è un ex politico?” chiedo, una volta rimasto solo con il mio superiore locale. So di aver sbagliato a parlare così, ma non so stare zitto quando le cose mi restano sulla punta della lingua. Mi sento umiliato, in un certo senso.

Ramsey infatti mi riserva un’occhiataccia e mi mette a tacere subito.

“Non si lamenti, finalmente ha la scusa buona per non annoiarsi tra scartoffie e traffico da dirigere” affonda il dito nella piaga, senza alcuna pietà, “e si tenga stretto questo caso inutile, prima che glielo tolga”.

Resto in silenzio, ammutolito.

“Ricordi anche che questa sarà la sua ultima occasione per compiacere e onorare il suo lungo servizio. E anche per avere un distintivo suo…”, con non celato astio, Ramsey mi allunga quello che un tempo era stato il mio desiderio più recondito. Distintivo da sfoggiare e diversi documenti che contengono alcuni permessi speciali. All’improvviso, proprio quando non me l’aspettavo più, anche a me è stata offerta l’occasione per essere qualcosa di più di un semplicissimo agente di quartiere.

Per questo non replico nulla, mi lascio scivolare tutto addosso. In fondo ho ottenuto ciò che ho più desiderato durante la mia intera carriera.

Mi riprometto di tenere la bocca chiusa e di obbedire; mi sento come onorato di poter svolgere un ruolo delicato e più complesso rispetto a ciò che ho affrontato finora, seppur la faccenda mi puzzi abbastanza.

Devo sapermi accontentare.

 

Una malattia, come G è stato per me. E’ questo che penso non appena un’automobile sfreccia a mio fianco e interrompe il mio continuo rimuginare.

Non mi ero mai accorto di quanto fossi omosessuale, prima di incontrarlo. E, come c’era da aspettarsi, si è rivelato una delusione celestiale.

Ma davvero, poi? O anche questo è frutto della mia fantasia? Che testa del cazzo che mi porto in giro sulle spalle, mannaggia.

 

G è la persona che non ti aspetteresti mai. Non sono un tipo sociale e non mi importa di restare ai margini dell’umanità; è così da quando sono nato, me ne sono fatto una dannata ragione. Non temo più la solitudine, o per lo meno non la temo più come prima, quando ero più giovane e lo sconforto costante mi spingeva a fumare quel tabacco amaro che mi rendeva la bocca amara e l’alito pesante.

G non fuma, è un uomo distinto e dall’apparenza cordiale. Forse fin troppo, dato che ha conquistato il cuore di tanti. E di tante, penso.

L’uomo più sociale e realizzato che esista, che si crogiola nel suo lavoro e si diverte mentre lo svolge. Simpatico e accattivante, costantemente circondato da frotte di amici che pendono dalle sue labbra.

Parla e tutti ridono, tutti lo guardano. Una stella nel mezzo di un cielo inscurito dalla notte.

Per me, abituato alla solitudine, all’inizio era il nulla. Persino antipatico. Siamo stati da sempre due destini destinati a non incrociarsi mai, rette parallele che si affiancano all’infinito e corrono verso un orizzonte ignoto.

Poi, cosa è successo? La vita è una sorpresa, ma anche una bella merda, a volte.

Ci siamo incontrati. Quando due rette parallele si sfiorano, ecco che può accadere l’impossibile... e, in effetti, è accaduto. Mi sono innamorato per la prima volta nella mia vita.

 

Lui mi cerca. Lui mi vuole.

Troppo tardi però mi sono accorto che mi desidera solo quando si annoia. Oppure per soldi.

Adesso beve, e beve tanto; la bottiglia di birra sempre tra le mani. Ha la memoria che dura una frazione di secondo, forse anche meno. La barba gli si è allungata e ingrigita, ha perso i suoi anni migliori e quello charme che mi aveva fatto capitolare al suo cospetto.

Ora G è pronto a tornare nel dimenticatoio, tra le tante persone che non meritavano nulla di me. Nemmeno un pensiero. E pensare che all’inizio lo pensavo sempre, immaginando che facesse lo stesso nei miei confronti.

Invece no, a lui sono sempre importati i soldi e quello che potevo dargli. Sì, nulla di romantico, solo la materia.

Benvenuti nella società capitalista, eh.

 

“I bengalini”.

Sobbalzo improvvisamente. Durante il mio cammino, non mi sono accorto che in effetti lui è presente e mi ha già affiancato.

“Co… come?” quasi balbetto, preso un po’ alla sprovvista. G, colui che ho amato tanto da desiderare di dedicargli la mia intera esistenza, alza la mano destra in cenno di saluto. O vuole un cinque? Ah, cazzo, non ho sei anni! Il cinque non glielo do, se è quello che vuole.

Tengo ben strette le mani alla cintola e ignoro la sua mossa.

“Come vanno i bengalini, allora? Mister?”

Mister. Da millenni ci conosciamo e mi chiama ancora Mister. Ma porca vacca.

“Bene” taglio corto. Faccio  per svignarmela ma lui mi blocca, perentorio nel parlare.

“Non sono aumentati di numero?”

Mi chiede questo. La stessa domanda che mi ha fatto solo qualche giorno fa. O forse ieri.

Chi se lo ricorda?

Pare che ogni volta che mi vede escogiti il Metodo Bengalini per intortarmi amabilmente. In verità so che a lui fanno gola, tutto qui.

“Da ieri a oggi ci vorrebbe un miracolo, sai. Tipo la moltiplicazione dei pani”.

Sono serio ma lui sorride e le labbra si increspano sotto la barba.

“Non sei ancora diventato un Cristo, allora”.

“Non penso”.

Sempre serio.

Allora G si sbottona e ride.

“Sei forte, ragazzone”.

Sì, sono il suo ragazzone. Una volta avrei voluto essere qualcosa di più, ma adesso che è invecchiato e sembra che non abbia nemmeno più il dono della memoria, tra alcol ed eccessi vari, non ha più alcun senso. Ha un corpo ancora da mille e una notte, però la testa ha perso tanto. Tipo una bellissima bottiglia di spumante, che presso le feste invita a sorseggiare, ma una volta che te la porti alle labbra scopri che dentro c’è solo aria. E ti viene da tirare giù il mondo.

Ho creduto, fino a qualche mese fa, che facesse il cretino per non pagare la tassa, non so se mi spiego. Invece credo che non ci arrivi proprio, ora che lo sto analizzando per bene.

“Sono forte in tutti i sensi” ribatto, dopo un breve tentennamento. Penso sempre un po’ troppo.

Con una leggera goffaggine iniziale, alzo le braccia e gli mostro i muscoli ben sviluppati.

“Ragazzone” ribadisce G, allora.

“Vai con Dio, amico” dico allora, scoraggiato.

Gli do le spalle e faccio per andarmene, schivo come sempre. Schivo come se fossi maleducato, anche se lo faccio per evitare di mostrare la mia timidezza; sto arrossendo a una velocità impressionante e non voglio che veda le mie gote imporporate, così come non gradisco che le notino gli altri. Preferisco insabbiare tutto quanto, piuttosto che mostrarmi fragile, buono e vulnerabile.

Perché sotto sotto sono buono, vero? Lo sono?

“E quindi, i bengalini…” fa per ribattere, senza mollare la presa, “…vorrei comprarli anch’io, li sto cercando…”.

Ma vattene a fanculo, G! So che mi intorti solo perché vuoi che ti dia i miei bengalini. E potrei anche regalarteli, sai? Ma sei solo una testa di cazzo, un coglione.

Mi allontano da lui in fretta, non voglio ascoltarlo, ogni sua parola è per me una coltellata. Io che mi illudevo che mi amasse… invece voleva solo scroccare qualcosa.

In fondo, lui e S non sono poi così tanto diversi, solo che il secondo arraffa e poi sparisce, per tornare a saccheggiare quando gli va, mentre il primo non impari mai davvero a capire cosa vuole. So solo che ogni volta si strappa una parte di me e se la porta via.

Di S non mi frega niente, è solo un malato. G è il fascino fisico reso nel migliore dei modi. E, quasi incredibile da ammettere, ora che mi sto allontanando mi verrebbe voglia di riavvicinarlo.

Dio me ne scampi. Devo fuggire, fuggire da lui… il più lontano possibile.

Forse sarebbe meglio che fuggissi anche dalla vita, ma credo questo sia un altro discorso, più barbaro e insolente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Alex è un vorticare di rabbia, alla fine. Ecco che qui, di nuovo, mi ritrovo a detestarlo. Mi sta su, decisamente.

L’incredibile è che quando scrivo lo faccio e via. Alex è un fiume in piena, i suoi pensieri si collegano con una facilità che ritengo davvero incredibile. Perché ci metto seicento anni a scrivere una sola frase per altri racconti, ma in quelli dove c’è questo qui ecco che viene naturale. Boh, forse sono un mostro rabbioso anche io, in fondo.

Scusatemi, queste note le ho scritte dopo la rilettura. Sono capitoli che ho scritto mesi e mesi fa e rileggo poco prima di voi. Alla fine leggiamo assieme, perché durante la battitura, come mio solito, non mi rendo tanto conto di ciò che salta fuori, scrivo e basta.

Grazie per essere ancora qui, vi voglio bene. Siete tutti fantastici!

   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: alessandroago_94