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Autore: Hi Ban    04/07/2020    0 recensioni
[Chicago Typewriter]
“Sì, sajangnim. Sì, ho letto dell’articolo di Song. Piuttosto, però, stavo pensando che forse sarebbe il caso di fissare un appuntamento per Han Se Joo dal suo terapista…”
“Dall’ortopedico intendi? Perché? Ha di nuovo problemi con i piedi piatti? Deve cambiare le solette?”
“No, non l’ortopedico. L’altro terapista.”
“Aaah, ah, ah, ho capito, l’oculista. Ma non ha cambiato le lenti qualche mese fa?”
“Non- no, non intendo l’oculista. L’altro ancora!”
“Quello per la prostat-”
Lo psicoterapeuta! Per la testa!
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ghostbetareader cercasi
 
 

Kang biseonim continuò a camminare per i corridoi della casa di Han Se Joo senza staccare gli occhi dal tablet. Ormai la conosceva a memoria, sapeva anche in quali punti il parquet scricchiolava di più. In quel momento era immersa nella lettura dell’ennesimo stupido articolo diffamatorio e pieno di speculazioni infondate che Song gija aveva deciso di pubblicare.
Secondo indiscrezioni di una fonte che vuole rimanere anonima” ovviamente “parrebbe che il nuovo romanzo dello scrittore Han Se Joo sia basato sul proprio passato e sulla sua battaglia contro la droga.”
Se adesso tra le droghe rientravano anche le aspirine, il collirio per gli occhi e quei puzzolenti bastoncini di cannella allora sì, era un drogato, altrimenti no.
E ancora: “Una clinica riabilitativa di Busan, che per ovvi motivi vuole rimanere anonima” scioccante “ha rivelato di aver avuto tra i suoi pazienti l’autore del famoso best seller Chicago Typewriter all’incirca sette anni fa, ma all’epoca si era registrato con uno pseudonimo per rimanere sotto copertura.
Quell’uomo non sapeva davvero più che pesci prendere.
Fortunatamente lei era abituata a pezzi del genere, perciò sapeva come gestire situazioni come quella. Doveva comunque avvisare Han Se Joo per prendere le giuste precauzioni; ovviamente erano tutte fandonie, ma a volte anche delle false accuse potevano minacciare le fondamenta di una carriera così ben avviata come quella dello scrittore.
Girò a destra e a sinistra senza prendere neanche uno spigolo ed era ad un passo dal bussare alla porta dello studio, quando si fermò con la mano a mezz’aria. Han Se Joo stava parlando.
Non si era accorta che qualcuno fosse andato a fargli visita. Per un attimo si chiese se non fosse il caso di interromperli comunque, ma poi abbassò la mano e scosse la testa. Dubitava che in quel lasso di tempo le cose sarebbero potute peggiorare più di tanto. Ne avrebbe approfittato per telefonare a Gal Ji Seok e discutere sulla strategia da adottare; ovviamente c’erano degli avvocati da chiamare. Forse partecipare ad una campagna contro la droga così, all’improvviso, sarebbe stata una risposta troppo ovvia, avrebbe addirittura suscitato qualche sospetto. Meglio una classica conferenza stampa: diretta e senza fronzoli. Alla fine era un’accusa piuttosto seria…
Stava per voltarsi e tornare da dov’era venuta, quando colse parte della conversazione.
“Yoo Jin Oh? Tu che ne pensi?”
Chi era Yoo Jin Oh? Non aveva mai sentito nessuno con quel nome, sicuramente non era un conoscente di lunga data di Han Se Joo perché, volente o nolente, lei le conosceva tutte le persone con cui l’uomo aveva a che fare. In più non aveva una vita sociale così ampia, prima di conoscere Jeon Seol se usciva era solo per tenere conferenze, firmare autografi o per promuovere il suo ultimo libro.
“Non puoi darmi un segno di vita? Mh?”
Il suo interlocutore non rispose alle richieste di Se Joo e Kang si chiese se non fosse il caso di chiamare un’ambulanza. Era forse svenuto?
“Tanto lo so che sei lì dentro. Ti ci ho messo io.”
In che senso… La donna fu scossa da un lungo brivido di freddo. Aveva messo chi dove? E perché nessuno gli stava rispondendo? Per un attimo la mente di Kang fu attraversata da un’immagine macabra in cui lo scrittore parlava tranquillamente con un cadavere riverso sul pavimento.
Ma era una cosa ridicola da pensare.
Era irreale, vero?
Se Joo proseguì nel suo classico tono strascicato e ora leggermente infastidito dall’assenza di collaborazione da parte di chiunque fosse il ricevente delle sue richieste: “Ormai sono passati mesi da quando sei sparito lì dentro, un altro po’ e ti faccio una torta per l’anniversario. Non puoi uscire per un attimo, giusto il tempo di dirmi che ne pensi? Bastano anche dieci minuti. Cinque” contrattò con veemenza l’uomo.
Anche questa volta passarono i secondi, ma non giunse nessuna risposta.
“Yah, Yoo Jin Oh! Quando ti sei autoinvitato a casa mia, io ti ho dato un posto dove dormire, ti ho sfamato e lavat- no, beh, i fantasmi non si lavano… però ho fatto trovare la pace alla tua anima, perciò in un certo senso ho lavato via i tuoi rimpianti passati. Questa frase devo segnarmela. Comunque! Devi ricambiare il favore, perciò esci di lì e dimmi se questa dannata frase ti suona bene!” urlò quasi con isteria Se Joo; a Kang sembrava anche avesse l’affanno per la foga con cui si era espresso.
Ancora silenzio.
La donna sorrise debolmente, scuotendo la testa. Aveva anche un inquietante tremolio alla palpebra destra che non riusciva a controllare ed era certa che il suo cuore avesse iniziato a battere ad un ritmo leggermente preoccupante.
Doveva aver sentito male. Forse era giunto il momento di andare a fare qualche visita per l’udito, chiaramente qualcosa nell’orecchio doveva essersi spostato, indebolito, tragicamente rotto, qualsiasi cosa, perché lei aveva sentito la parola fantasma e non poteva essere. Di sicuro lo scrittore aveva detto qualcos’altro.
Come miasma, marasma o cataplasma.
Che cosa ridicola anche solo da pensare. Perché se aveva capito bene, Han Se Joo era nel suo studio e aveva appena chiesto ad un fantasma di dirgli se la frase che aveva scritto suonava bene. Cioè, aveva chiesto ad un fantasma di fargli da beta reader.
Ridicolo, appunto.
Una risata isterica stava risalendo lentamente dal plesso solare verso la bocca, nel tentativo di liberarsi, ma la segretaria strinse i denti e tentò di mantenere la calma.
Doveva esserci una spiegazione razionale, pensò, mentre il suo capo non faceva nulla per tranquillizzarla, perché continuò a parlare: “Mi sono bloccato. Questa frase non mi convince, ma l’ho riletta troppe volte e non ne capisco più il senso. Ho bisogno di un parere esterno e non ho nessuno a cui chiedere. No, non posso chiedere a Jeon Seol, sta lavorando e non voglio disturbarla.”
Oh, stava per avere un mancamento, stava per svenire. Kang chiuse gli occhi con così tanta forza da sentir tirare anche muscoli facciali di cui non conosceva l’esistenza. Ora si stava rispondendo anche da solo, la cosa stava peggiorando in fretta e lei non sapeva cosa fare. Parte di lei le stava dicendo di andarsene, perché occhio non vede, cuore non duole: se non vedeva Se Joo comportarsi come un pazzo non doveva essere preoccupata per la sua sanità mentale.
Ma i suoi piedi erano di tutt’altro avviso, perché si erano incollati per terra.
“Sì, lo so che dovrei lasciar perdere questa parte, andare avanti e tornarci dopo, ma non ci riesco. Ho bisogno che qualcuno la legga e quel qualcuno sei tu, perciò porta fuori il tuo culo fasciato di flanella e vieni a leggere.”
Ah! Probabilmente stava parlando con una persona muta che rispondeva a gesti. Però udente, motivo per cui Han Se Joo stava parlando.
Per un attimo quella spiegazione parve calmarla, ma quella tranquillità d’animo era destinata ad avere vita breve, considerando che l’ipotetica condizione del misterioso interlocutore non spiegava le stranezze che lo scrittore continuava a proferire. Tipo la parola fantas-
No, no, non doveva pensarci.
 “Lo stai facendo di proposito, vero? Sai quanto sia difficile per me chiedere aiuto, perciò te ne stai lì dentro a ridere di me.”
Ma lì dentro dove?!, urlò internamente Kang biseonim, di nuovo in procinto di strapparsi i capelli. Di sicuro quella sera le sarebbe toccato armarsi di pinzetta per tirare via tutti i capelli bianchi che le stavano spuntando in quell’esatto momento.
“Vuoi restare ad ammuffire in una storiella a lieto fine? Come vuoi. Certo, sarebbe un vero peccato se, per sbaglio, il mio dito dovesse scivolare su cancella. Capito? Se per sbaglio schiaccio il tasto CANCELLA, ti elimino. Puff. Via. Niente? Non ti spaventano nemmeno le minacce adesso?”
Onestamente la povera Kang non sapeva più se essere spaventata per il contenuto della conversazione, per i protagonisti – ammesso e non concesso che fossero davvero due – o per tutta la situazione in generale.
“Per favore?”
“Jagganim…” sussurrò Kang, sempre meno incline a credere che ci fosse anche solo qualche rotella salvabile nella testa di quell’uomo. Ecco cosa succedeva a dare anima e corpo per scrivere libri di quel calibro: si finiva per perdere il senno e parlare da soli. O con persone mute, si ricordò flebilmente, perché una parte di lei continuava a ignorare testardamente tutte le parti della conversazione che smentivano totalmente quella possibilità.
“Tu vorresti che io ti chiedessi per favore, ma non mi abbasserò a tanto.”
Kang biseonim, che lavorava per lo scrittore ormai da anni e sapeva abbastanza bene chi si nascondeva dietro la stoica maschera di compostezza e riservatezza, iniziò a contare sulla punta delle dita.
Al quarto dito – l’indice – tirato su, l’uomo proferì uno sconfitto: “Per favore?”
Ovviamente, però, non seguì nessuna risata vittoriosa, nessun assenso e nessun commento divertito. Nulla di nulla.
Seguì però un pesante sospiro sconfitto dello scrittore.
“Forse è perché non mi sente? Magari anche se è finito nel manoscritto resta collegato alla macchina da scrivere, perciò se parlo lì mi sente di più” borbottò poi, immerso nelle sue stravaganti congetture e ignaro che la sua segretaria fosse dietro la porta con le gambe che da un momento all’altro avrebbero smesso di reggerla, facendola cadere con il sedere per terra.
Cosa stava dicendo adesso?
Era impazzito. O forse aveva ragione Song gija quando parlava di un passato di droga, solo che aveva fatto qualche errore a livello temporale, perché era un passato molto più presente dei sette anni che millantava la sua anonima fonte.
No, non poteva essere. Doveva star capendo male; forse da dietro alla porta stava recependo solo parte della conversazione ed era un errore piuttosto comune quello di trarre delle conclusioni affrettate, certi di avere la situazione ben chiara davanti, quando in realtà mancava una parte enorme. Gigantesca in quel caso. A lei chiaramente mancavano tutte le risposte dell’interlocutore di Han Se Joo, che a giudicare da quel che stava dicendo quest’ultimo doveva essere un attore o qualcosa del genere.
Magari era impegnato in una di quelle full immersion strategiche che era solito fare quando voleva approfondire il ruolo svolto da uno dei suoi protagonisti. Come quella volta in cui si era finto un barbone o quando aveva fatto il commesso per una settimana, prima di essere sbattuto fuori insieme alle trentasei mail e alle ventinove lettere di lamentele nei suoi confronti. E aveva servito sì e no quindici clienti.
Doveva davvero togliersi quel dubbio.
Facendo il più piano possibile per evitare che la porta facesse anche il minimo rumore che potesse annunciare la sua invasione, Kang biseonim abbassò la maniglia e si affacciò nello studio dello scrittore quel tanto che bastava per assestare la situazione.
Ciò che vide per poco non la fece, in ordine sparso, strillare, svenire, cadere per terra, mettersi le mani nei capelli, perdere un numero indefinito di battiti e prenotare un biglietto di sola andata per l’Uzbekistan.
Han Se Joo le dava la schiena e aveva tra le mani la vecchia macchina da scrivere che il proprietario del cafè di Chicago gli aveva mandato molti mesi prima. Se l’era portata davanti alla faccia – con qualche sforzo, perché anche dalla soglia della porta lo vedeva tremolare – e ci stava parlando.
Lo Stephen King coreano stava dialogando tranquillamente ad un oggetto. Inanimato, come tutti gli oggetti. Ed era da solo nella stanza, non c’era nessuna persona che potesse rispondere al nome di Yoo Jin Oh.
La donna si aggrappò alla maniglia della porta, boccheggiando.
Non era possibile.
“Yoo Jin Oh, mi senti? YOO. JIN. OH. Allora? Forse da questo lato ci sente di meno? Proviamo di qua… Mi senti? Allora? Mi serve il tuo parere su questa frase: dimmi, come ti suona...”
Kang decise che aveva visto fin troppo. Facendo il più veloce possibile, ma senza fare rumore, richiuse la porta. Ormai non si sentiva al sicuro neanche con lo spesso piano di legno massello che la divideva da quell’uomo e dalla sua macchina da scrivere. Una parte di lei ci aveva davvero creduto alla possibilità che il suo interlocutore, per quanto strano, fosse affetto da mutismo. Così invece le era caduto il mondo addosso.
Un attimo dopo il cellulare iniziò a suonarle nella tasca. Ancora piuttosto scioccata, lo tirò fuori in fretta e sospirò quasi sollevata quando lesse che era Gal Ji Seok. Forse lui era la persona più azzeccata al momento.
“Sì, sajangnim. Sì, ho letto dell’articolo di Song. Piuttosto, però, stavo pensando che forse sarebbe il caso di fissare un appuntamento per Han Se Joo dal suo terapista…”
“Dall’ortopedico intendi? Perché? Ha di nuovo problemi con i piedi piatti? Deve cambiare le solette?”
“No, non l’ortopedico. L’altro terapista.”
“Aaah, ah, ah, ho capito, l’oculista. Ma non ha cambiato le lenti qualche mese fa?”
“Non- no, non intendo l’oculista. L’altro ancora!”
“Quello per la prostat-”
Lo psicoterapeuta! Per la testa!”
“Ah, quello specialista.”
“Parla da solo, sajangnim.”
“Ma non era finito quel periodo?!”
Parla con la macchina da scrivere.
“Lo stress, fors-”
“Le ha dato un nome. Yoo Jin Oh.”
“Stavo pensando che questa volta potremmo provare in un’altra clinica, ti mando un messaggio con il numero.”
Click.
Aveva riattaccato.
Kang biseonim sospirò con sollievo, felice di avere una soluzione a portata di mano. Nel frattempo nello studio sembrava essere calato il silenzio. Per assicurarsi che quella botta di follia fosse finita davvero si sporse verso la porta, appoggiandovi l’orecchio. Attese qualche secondo, trenta, forse cinquanta; si era quasi decisa a smettere di invadere silenziosamente la privacy dello scrittore quando sentì di nuovo la sua voce.
“Quando finalmente ti reincarnerai nella prossima vita te la farò pagare, Yoo Jin Oh.”
Reincar-
No.
Aveva sentito abbastanza.
Il messaggio di Ji Seok con il numero non fece neanche in tempo ad arrivare che Kang biseonim era già fuggita dall’altro lato della casa per fissare un appuntamento il prima possibile.

 

[Da queste storie potrebbe quasi sembrare che ce l'abbia con la povera Kang - che è sprovvista di nome perchè io non ricordo lo abbiano mai menzionato -, ma giuro che non è intenzionale! Il titolo è molto pacchiano, lo so, ma in tutti questi anni una cosa non è cambiata, ovvero la mia incapacità di trovare dei titoli decenti; ogni tanto esagero proprio e partorisco roba del genere, ma abbiate pietà di me XD
L'idea di fargli chiedere aiuto a Yoo Jin Oh per rileggere la frase deriva dal fatto che io in primis mi ero bloccata su una frase e non avevo nessuno a cui chiedere coma suonasse meglio. Io però non avevo fantasmi da tormentare, perciò ho cancellato quel pezzo e sono andata avanti ¯\_(ツ)_/¯
Mi scuso per eventuali sviste e ringrazio nuovamente chiunque leggerà questo delirio, sia mio che del povero Se Joo!]
  
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