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Autore: sissi149    04/07/2020    3 recensioni
Dopo la fine del World Youth Tsubasa ha chiesto a Sanae di sposarlo e la ragazza ha accettato.
I festeggiamenti sono nel culmine, ma andrà davvero tutto liscio?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Nakazawa, Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Philip stava spazzando davanti alla porta della sua gelateria, ci teneva che tutto fosse in ordine e a fare bella figura con i clienti, qualunque cosa ne dicesse Lenders. Lanciò uno sguardo obliquo verso l’edicola, ma il suo proprietario non si intravedeva: probabilmente era rintanato al caldo della sua stufetta portatile.
Callaghan afferrò lo zerbino e lo sbatté con energia, per poi riposizionarlo al suo posto, pronto per accogliere chiunque fosse entrato nel suo locale.
“Buongiorno.”
Il gelataio alzò gli occhi e si trovò davanti una delle cose più meravigliose che avesse mai visto: una donna molto graziosa, con lunghi capelli neri raccolti in una treccia lo stava salutando.
Subito si rizzò in piedi e velocemente cerò di pulirsi le mani nel grembiule.
“Buongiorno. Cosa posso fare per lei?”
La donna parve esitare per un istante.
“Potrei avere una delle sue cioccolate calde?”
“Ma certo! Prego, si accomodi.”
Philip aprì  la porta per farle strada, ma la sconosciuta scosse la testa.
“No, davvero. Vorrei solo una cioccolata d’asporto. La aspetterò qui fuori.”
“Ne è sicura?”
Al cenno di assenso della donna Philip non poté far altro che rientrare e mettersi al lavoro per poter essere il più svelto possibile. Si liberò del grembiule che usava per le pulizie, gettandolo in un angolo del magazzino e si mise al lavoro.
Cercò di non pensare troppo al fatto che la sua cliente non avesse voluto entrare, forse perché non c’era nessun altro all’interno, ma il locale aveva delle ampie vetrate per cui l’ambiente era perfettamente visibile dalla strada. Alzando lo sguardo verso il marciapiede la vide portare le mani vicino alla bocca e tentare di scaldarle con il calore del fiato. Doveva aver dimenticato i guanti, motivo in più per volersi rintanare al caldo invece di aspettare in strada.
Afferrò un bicchiere di carta, lo riempì e lo chiuse con il pratico coperchio per le consumazioni veloci durante le passeggiate.
“Ecco a lei!”
Annunciò uscendo e porgendole la cioccolata ancora fumante.
“La ringrazio davvero.”
“Sono quattro dollari.”
“Oh, certo.”
La donna estrasse dalla tasca del cappotto una banconota da cinque dollari.
“Tenga pure il resto, per avermi portato il bicchiere qua fuori.”
Philip non sapeva cosa dire, non gli sembrava giusto tenere un dollaro in più su una consumazione così piccola, dall’altra parte non voleva essere scortese e rifiutare il gentile pensiero della cliente.
Improvvisamente la vide irrigidirsi e per istinto si girò verso la direzione in cui era puntato il suo sguardo: Jack Morris, il proprietario del Fiore del Nord, stava arrivando alla carica come un bisonte inferocito.
“Tu! Che diamine stai facendo con la mia fidanzata?” Lo apostrofò puntandogli contro un dito.
Il gelataio rimase sbalordito, ma la parlantina non gli mancava.
“Nulla signor Morris, le ho solo dato una cioccolata calda, come desiderava.”
Morris era arrivato davanti a loro e si era fermato. Philip era sicuro che potesse vedere il bicchiere che la fidanzata teneva in mano.
“E perché mai Jenny sarebbe dovuta venire da lei?”
“Jack, ti prego, calmati.” La donna stava supplicando e Callaghan si sentì terribilmente a disagio.
“Forse perché è lontana dal suo locale ed aveva bisogno di qualcosa di caldo.”
Morris non diede segni di volersi calmare, anzi, sembrava che la sua furia stesse montando sempre di più.
“Senti che lingua, Callaghan. Stai cercando forse guai?”
“Come prego?”
Lo scatto violento della finestra dell’edicola fece voltare tutti giusto in tempo per vedere Mark Lenders affacciarsi con fare minaccioso.
“Morris, la smetta di starnazzare come un’oca. La sua fidanzata è venuta a prendere qualcosa ed è stata servita. È così che funziona.”
Philip dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non spalancare la mascella e farla cadere fino a terra dallo stupore: da quando l’edicolante si muoveva in sua difesa?
Jack Morris fece scorrere lo sguardo da uno all’altro uomo, probabilmente non si aspettava di essere messo in minoranza.
“Voi due sentirete parlare di me molto presto! – sibilò – Andiamo via!”
Senza attendere altro afferrò Jenny per un braccio e la trascinò via con sé verso il quartiere del Fiore del Nord.
“Sai una cosa? – Philip sobbalzò nel ritrovarsi Lenders alle spalle, uscito dall’edicola – Cominciò a credere che quel giornalista che ha avuto a che dire con Morris non avesse tutti i torti.”
Callaghan annuì.
“Ho sentito della vicenda. Voci dicevano che si fosse intromesso tra Morris e la fidanzata. A proposito, grazie dell’aiuto.”
Tese la sua mano verso l’edicolante. Questi la guardò dall’alto in basso, con supponenza.
“Non l’ho fatto per te, l’ho fatto per la ragazza.”
“E ti pareva. È stato bello non litigare per cinque minuti, almeno per una volta.” Ribatté secco Philip, tornando verso il suo locale.
Per una volta  che lui e l’edicolante parevano sulla stessa lunghezza d’onda sarebbe stato un peccato sprecare così la situazione. Doveva fare qualcosa, il massimo che poteva capitare era che Lenders lo snobbasse o gli rispondesse male, come sempre del resto.
“Vuoi qualcosa di caldo?”
 
 
 
 
 
 
Padre Ross si muoveva rapido per le vie del quartiere latino americano, reggendo un ombrello nero. Cadeva una leggera pioggia invernale, abbastanza insistente e fastidiosa.
Aveva lasciato un po’ di tempo al sindaco e a Santana per risolvere la situazione della condotta del personale del Cyborg, ma da quello che gli veniva raccontato non c’erano stati significativi cambiamenti, così aveva deciso di recarsi di persona a parlare con le ballerine. Ovviamente non poteva entrare nel locale di sera e quindi si stava recando lì il pomeriggio in uno dei giorni in cui sapeva che le ragazze provavano i vecchi numeri musicali e lavoravano a eventuali nuove coreografie.
L’ingresso principale era chiuso, per cui si recò nel vicolo sul retro da cui aveva visto ancora uscire i dipendenti. Vicino alla porta era accumulata una grande quantità di mozziconi di sigarette, lasciate dai baristi o dalle stesse ballerine che si prendevano una pausa e una boccata d’aria durante la serata. Era schifato, non solo all’interno del locale si incentivavano i vizi, ma pure all’esterno la situazione non era differente.
La porta si aprì senza troppa resistenza ed il reverendo entrò senza aspettare di essere invitato o che qualcuno gli venisse incontro. Non aveva intenzione di farsi mandare via prima ancora di essere riuscito a proferire una parola. Lasciò l’ombrello accanto all’entrata e proseguì lungo il corridoio. Oltre una porta lasciata socchiusa intravide quello che doveva essere uno dei camerini con alcuni borsoni appoggiati per terra.
Quando arrivò alla pista da ballo, dovette ammettere che il salone, senza le luci colorate che impazzavano e la musica ad alto volume non era poi così male, in fondo era arredato anche con un certo gusto. Peccato per come veniva gestito ed utilizzato lo spazio.
Il suo sguardo di disapprovazione si appoggiò per un lungo istante oltre il bancone dell’angolo bar, sulle bottiglie di alcolici schierate in bella mostra per invogliare i clienti a consumare. Al momento non c’era nessuno e, fosse stato per lui, sarebbe sempre dovuto essere così.
Si voltò verso il palco, le ballerine erano impegnate in un sollevamento: quattro di loro stavano reggendo la ragazza dai capelli rossi che  aveva soccorso qualche tempo prima. Successe qualcosa, il reverendo non seppe dire cosa esattamente, se una distrazione o un semplice incidente, ma la presa di una delle ballerine cedette e l’intera figura venne rovinata e trasformata in un groviglio di corpi uno sopra l’altro.
“Dannazione, Becky! Volevi ammazzarmi?” La ragazza che era in aria si sollevò di scatto ed inveì contro una delle compagnie.
“Mi sei scivolata!” Urlò di rimando l’interpellata.
“Come no!”
“Vorresti dire che l’avrei fatto apposta?”
“Non sarebbe la prima volta che tenti di sabotarmi.”
Il battibecco tra le due ballerine stava raggiungendo rapidamente toni sempre più accesi. Padre Ross fece qualche passo in avanti per farsi notare, sperando che la sua presenza calmasse gli animi.
Una terza ballerina si introdusse nella conversazione:
“Ragazze, non gridate. Francisco è in ufficio, sapete che non apprezza che lo disturbiamo.”
La ballerina dai capelli rossi alzò entrambe le mani in segno di resa, sbuffando però sonoramente ed afferrando piuttosto nervosa una borraccia trasparente.
“Cinque  minuti di pausa.” Annunciò.
Padre Ross decise che quella era l’occasione che stava aspettando per presentarsi alle ragazze. Le osservò per un ultimo istante: erano tutte molto belle anche senza il trucco eccessivo che portavano quando il locale era aperto al pubblico, del resto il loro lavoro consisteva nell’offrire qualcosa di bello a chi le  guardava.
“Buon pomeriggio.” Si annunciò, dopo aver attraversato con rapide falcate tutta la pista da ballo ed essersi portato in prossimità del palco.
La ballerina che aveva sedato la lite si rivolse a lui:
“Siamo chiusi, torni questa sera. Oh – lo stupore si dipinse sui suoi occhi non appena riconobbe il suo interlocutore – Padre Ross, cosa ci fa da queste parti?”
Al reverendo non sfuggì il piccolo scatto della testa della ragazza che aveva accompagnato a casa non appena era stato pronunciato il suo nome.
“Volevo parlare un po’ con voi della vostra attività, del fatto che fare le ballerine in una discoteca non può essere la vostra prospettiva per la vita. E anche di come vi comportate quando lavorate.”
Becky si  avvicinò a lui con sguardo di sfida.
“In altre parole è venuto a farci la predica. Io passo volentieri, vado a fumarmi una sigaretta.”
Lo superò senza nemmeno salutarlo.
“Vengo con te!”
Una ragazza mingherlina dai folti capelli ricci si alzò e seguì di corsa la compagna appena uscita.
Padre Ross sapeva fin dall’inizio che non sarebbe stato facile farsi ascoltare e convincere qualcuna di quelle ragazze a cambiare vita, a darsi una possibilità, ma non si aspettava che non lo lasciassero nemmeno parlare.
“Senza offesa, padre. – A rivolgersi a lui era la ballerina che per prima aveva risposto al suo saluto – Noi ci troviamo bene col nostro lavoro, è qualcosa che ci piace. Forse non corrisponderà ai suoi canoni, ma, almeno per me, preferisco fare qualcosa che mi piace che un lavoro che finirei per detestare, anche se più prestigioso e remunerativo.”
Il reverendo annuì, capiva il discorso ed anche lui credeva fermamente nel fatto che bisognasse assecondare le proprie passioni personali, ma non al punto di rovinarsi.
“Comprendo il suo punto di vista, ma potete fare questo lavoro senza per forza incorrere in comportamenti viziosi, come il fumo, l’alcol, le droghe…” O i rapporti sessuali occasionali, ma questo lo pensò soltanto, non voleva tirare  troppo la corda.
Una ragazza dalla pelle scura scoppiò a ridere:
“Suvvia padre, com’è puritano! Nessuno si è mai fatto male per un paio di bicchierini.”
“Nelle serate più lunghe ci danno la carica.”
Padre Ross si rese conto di trovarsi contro un muro invalicabile.
“Vi chiedo solo di riflettere su quello che vi ho detto. Le porte della mia parrocchia sono sempre aperte per chiunque voglia confidarsi.”
Aveva notato che la ballerina dai capelli rossi era andata in un angolo del palco, seduta con le gambe a penzoloni, separata dal resto del gruppo. Non era intervenuta nella sua discussione con le compagne, né dava segno di voler scambiare quattro chiacchiere con loro. Era isolata dalle altre.
Si avvicinò a lei per poterle parlare direttamente e con più tranquillità, dopotutto era soprattutto per lei se aveva deciso di intraprendere il tentativo di redenzione dei dipendenti della discoteca.
“Signorina.”
La salutò inclinando leggermente il capo.
La donna abbassò di colpo gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto incollati su di lui. Aveva percepito il suo sguardo anche quando si era trovato a darle le spalle.
“Sta meglio, oggi?”
“Sì, grazie.”
La sua risposta era un pigolio appena percepibile.
“L’altra sera non ci siamo presentati a dovere, qual è il suo nome?”
“Amy.”
La ballerina continuava a tenere lo sguardo basso, sembrava attratta dal parquet lucido della pista che si snodava sotto i suoi piedi.
“Posso sedermi vicino a lei?”
La sua interlocutrice non si mosse. Dopo qualche istante il reverendo smise di attendere e si sedette al suo fianco.
“Amy – esordì – lei non mi sembra felice qui. Dovrebbe smettere di bere, sono certo che quando l’ho soccorsa non era la prima volta che si ubriacava. Non le fa bene. Si lasci aiutare a cambiare vita. Fuori ci sono un sacco di opportunità.”
La vide stringere convulsamente una mano attorno alla borraccia che ancora reggeva.
“Lei non sa niente, padre Ross.”
Lo disse con decisione, il piglio da uccellino spaventato di poco prima era stato spazzato via.
Padre Ross non aveva intenzione di gettare la spugna.
“Io la posso aiutare. Deve solo raccontarmi qual è il problema.”
“Non c’è nessun problema. Se ne vada!” Ora la donna era decisamente stizzita, segno che aveva toccato un qualche suo nervo scoperto. Doveva approfittarne.
“Amy!”
La voce secca di Francisco Santana fece sussultare la ballerina.
“Devo parlarti in ufficio, adesso.”
Amy si alzò e proseguì verso il corridoio, dove il reverendo la vide sparire sulla destra.
“Padre Ross. A cosa devo l’onore della sua visita?”
La voce del proprietario del Cyborg era carica di ironia e il suo sguardo gonfio di odio.
Padre Ross si alzò e si strinse nelle spalle.
“Niente di particolare, solo fare quattro chiacchiere con le ragazze. In fondo sono anche loro mie parrocchiane. Mi stavo assicurando che stessero tutte bene.”
“Mi ha forse preso per uno schiavista? Come vede le ballerine sono tutte in perfetta salute. Se non le dispiace il locale è chiuso. Immagino conosca la strada.”
“La conosco. Buona giornata.”
Il reverendo recuperò l’ombrello ed uscì sotto la pioggia, che si era fatta più intensa. Le due ballerine che erano uscite prima erano ancora all’esterno, intente ad accendersi  un’altra sigaretta.
L’arrivo di Santana aveva rovinato i suoi progetti, anche se ora gli era chiaro che in quel locale avvenissero più cose riprovevoli di quante avesse immaginato, il sussulto di Amy era stato troppo forte, era come se fosse spaventata dal suo capo. Doveva vederci chiaro.
 
 
 
 
 
 
Per una volta Amy si ritrovò ad essere grata a Francisco: con il suo arrivo l’aveva aiutata a svicolare le domande insistenti di Padre Ross. Sapeva che l’uomo agiva in buona fede, convinto di aiutarla, ma nessuno poteva toglierla dalla situazione in cui era finita.
Dall’altra parte il fatto che il capo l’avesse convocata nel suo ufficio, con fare così brusco e nel mezzo del pomeriggio, non prometteva nulla di buono.
L’attesa del suo arrivo era costellata da incertezze e domande: temeva nuove richieste da parte dell’occupante della villa sulla collina. Tutti a New Team Town la credevano disabitata, invece lassù venivano tirati tutti i fili delle attività illecite della cittadina. Non aveva osato chiedere nulla in più a Santana, durante il tragitto di ritorno nel giorno in cui era stata portata lassù, ma era chiaro che chi si riuniva lì conduceva affari loschi.
“Che voleva da te quell’impiccione di Padre Ross?”
La voce irritata di Francisco la raggiunse alle spalle, la visita del reverendo doveva avergli dato parecchio fastidio.
“Niente di che. – rispose alzando le spalle – Le solite cose che predica in chiesa.”
Santana la superò e si appoggiò col fondo schiena al bordo della propria scrivania.
“Sicura? Non ti sarai lasciata sfuggire altro?”
La ballerina incrociò le braccia, assottigliando lo sguardo con aria di sfida:
“Mi prendi per una stupida?”
“Ti prendo per una alla ricerca di una via di fuga e magari il caro reverendo potrebbe esserti sembrato un ottimo alleato.”
“Conosco il prezzo della disobbedienza!”
Istintivamente portò una mano al petto. A volte le sembrava ancora di sentire la morsa di dolore che aveva provato quel giorno.
“Ne sono lieto. Chiudi la porta.” Aggiunse poi il proprietario del Cyborg.
Amy non se lo fece ripetere ed andò a chiudere, dando prima un’occhiata in corridoio. Nessuno era in vista e tutti i dipendenti sapevano che se trovavano la porta chiusa dovevano bussare prima di entrare.
Per dissimulare il nervosismo, diede una sistemata alla coda, poi si voltò.
Stranamente Francisco non approfittò della situazione per farle delle avances, anzi, pareva turbato ed Amy iniziò a sospettare che si trattasse di qualcosa di più complesso della semplice, per quanto indesiderata, visita di Padre Ross.
“Cosa succede?” Chiese, non riuscendo a trattenersi.
Santana le piantò addosso uno sguardo glaciale.
“Lui non è contento.”
La donna avvertì un brivido in tutto il corpo.
“Io, sto facendo quello che lui ha chiesto! Gli ho riferito tutto quello che ho saputo su Kitty.”
“Beh, per lui non è abbastanza! A quanto pare Oliver Hutton è andato a ficcare il naso all’orfanotrofio, su suggerimento di Kitty, immagino.”
Amy lasciò andare un sospiro esasperato, non capiva che problemi ci fossero dietro una cosa del genere.
“E di grazia, cosa ci sarebbe di male nell’andare a trovare dei bambini orfani?”
Francisco non trovò di meglio da replicare che battere un pugno contro la scrivania.
“E io che ne so! Lui non ci dice tutto.”
La ballerina strinse le labbra, iniziando a pensare che anche Francisco alla fine fosse una pedina nel gioco a cui entrambi erano costretti a partecipare. Una pedina posta piuttosto in alto nella gerarchia, di quelle che traevano anche ricavi nell’essere invischiati con l’uomo alla villa, ma questo non lo avrebbe messo al riparo da punizioni e problemi se non si fosse attenuto agli ordini che riceveva. Che situazione da pazzi!
Nel frattempo, il proprietario del Cyborg si era diretto verso la parete a sinistra ed aveva rimosso il quadro che nascondeva la cassaforte. Da questa estrasse una pistola tascabile di colore nero.
Amy sussultò alla vista dell’oggetto.
“È una semiautomatica. Sei in grado di usarla?”
Per la sorpresa, la donna fece un passo  indietro.
“Cosa ci dovrei fare con quella?” Gridò.
“Zitta, sciocca! Le pareti non sono insonorizzate. -  Santana si guardò attorno come se si aspettasse l’irruzione di una pattuglia di poliziotti da un momento all’altro – Dovrai usarla con Kitty.”
Amy scosse violentemente la testa, in preda al panico:
“No, non posso! Datemi altro tempo, posso scoprire cosa trama Kitty, posso convincerla a lasciar perdere. Non chiedermi di ucciderla.”
Francisco attraversò la stanza e si pose a pochi centimetri da lei.
“Non te lo sto chiedendo io, te lo sta ordinando lui. Farai bene ad obbedirgli o non si farà problemi ad eliminare anche te.”
Con forza le cacciò l’arma tra le mani, mentre le lacrime cominciarono a rigarle copiosamente le guance.
“Tu occupati di Kitty, io mi occuperò di Padre Ross.”




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E ci siamo anche con questo capitolo.
Se nel caso di Philip e Mark sembra essere avvenuto un piccolo avvicinamento, sul versante Amy le cose stanno prendendo decisamente una brutta piega.
  
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