Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moonlight_Tsukiko    05/07/2020    1 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Go Ahead and Cry, Little boy
Capitolo 17
 
Eren
 
21:59, bagno di Bertholdt.
 
Fuori posso sentire la musica pulsare dalle pareti. È pesante e profonda; non ciò che ascolto di solito, ma non riesco a concentrarmi troppo a lungo. Bertholdt grugnisce e affonda ancora di più il viso nella tavoletta del water. Faccio una smorfia quando rigetta rumorosamente, il suo intero corpo trema dallo sforzo di tenerlo in piedi.
 
Mi trascino in ginocchio e ignoro l’odore acido che mi arriccia le narici. Afferro il collo della maglietta di Bertholdt per tenerlo in posizione e piego il braccio attorno alla sua vita. Il suo corpo si irrigidisce e si rilassa, i muscoli lavorano duramente e io lo tiro indietro un po’ per lasciarlo riposare contro di me.
 
Lui si accascia tra le mie braccia e io lo guardo con esitazione. Continua a sbattere gli occhi, ma è sveglio. Rilascio un respiro sollevato e mi rilasso anch’io. Sta ancora tremando, quindi stringo il braccio attorno a lui e cerco di trasferire in qualche modo il calore del mio corpo su di lui.
 
Premo il viso sui suoi capelli. Odora di alcool. Storce il naso e mi tiro indietro.
 
“Bertholdt?” Lo chiamo a bassa voce. Non si muove. “Ehi, non addormentarti su di me.”
 
Bertholdt apre lentamente gli occhi, mi guarda prima di cominciare a tossire. Lo faccio sedere come meglio posso. Ha un rigetto, ma non vomita. Si appoggia a me abbastanza da far sbattere la mia schiena contro la parete del bagno. Grugnisco al leggero dolore e cerco di aggiustare la mia posizione. Il mio sedere è insensibile, realizzo, ma la comodità di Bertholdt è più importante della mia al momento.
 
“…Bertholdt?”
 
“…Sì?” Risponde. Il tono della sua voce è solitamente basso, ma stavolta devo sforzarmi per sentirlo.
 
“Stai bene?” È una domanda stupida, ma voglio farlo parlare. Non voglio che svenga su di me.
 
“Sì,” dice ancora, sembrando esausto.
 
“Coraggio,” continuo, prendendolo per le ascelle e facendolo alzare. È molto più alto di me e anche piuttosto pesante, ma in qualche modo riesco nel mio intento. “Devi darti una ripulita.”
 
Ci dirigiamo verso il lavandino e gli dico di lavarsi i denti, poi di appoggiarsi contro mentre io tiro lo sciacquone. Torno al suo fianco e rimango in piedi. Si strofina i denti svogliatamente e ora posso finalmente guardarlo bene.
 
I suoi capelli sono arruffati e gli occhi rossi; il viso incavato e stanco; quando solleva il braccio per sistemare lo spazzolino, noto qualcosa sotto la manica della sua maglia.
 
“Cos’è quello?” Mormoro, quasi a me stesso e gli tiro su la manica.
 
Bertholdt mi spinge via come se fosse rimasto scottato dal mio tocco. Osservo, sconcertato, lui che si allontana sempre di più da me. Sta tremando di nuovo, e mi ritrovo a corrugare la fronte al suo strano comportamento.
 
“Bertholdt?” Dico, con voce calma. “Mi stai spaventando.”
 
Sembra agitarsi ancora di più. Deglutisco e faccio un passo lento e incerto verso di lui. Si preme ancora di più contro il muro, come se stesse cercando di fondersi con esso e qualcosa di freddo mi stringe attorno al cuore.
 
“Non ti farò del male,” dico, tendendo le mani alzate. “Voglio solo sapere cosa è successo. Puoi dirmelo?”
 
Bertholdt non risponde subito. Mi ritrovo a trattenere involontariamente il respiro mentre provo a valutare cosa farà dopo. Scivola contro il muro e mi precipito per prenderlo prima che si schianti sul pavimento.
 
“Bertholdt?” Ripeto, la voce spessa. “Devi dirmi cosa è successo, amico. Non posso aiutarti se non lo so.”
 
Bertholdt scuote la testa.
 
“Non posso,” gracchia. “Non posso… dirtelo…”
 
“Dire cosa?”
 
“Nulla,” dice, chiudendo fermamente gli occhi. “Non ho detto niente.”
 
Espiro pesantemente e mi passo le dita tra i capelli. Bertholdt mi aveva telefonato in lacrime. Mi sono preoccupato immediatamente e sono venuto qui il più velocemente possibile. Quando sono arrivato stava vomitando e, guardando la casa, mi sono accorto che non c’era nessuno oltre a lui.
 
Da allora siamo rimasti in bagno. Non so che ore siano, ma immagino non sia troppo tardi. Nondimeno, invio un breve messaggio a Jean dicendogli che resterò a casa di un amico. Non lascerò da solo Bertholdt quando ha chiaramente bisogno di me. 
 
“Va bene,” dico, rendendomi conto che non stiamo andando da nessuna parte con questa conversazione. Non mi parlerà. “Allora puoi dirmelo dopo.”
 
Non dice niente. Lo faccio andare nella sua stanza. È passato un po’ di tempo da quando ci sono stato, ma ricordo dove si trova. Apro le porte che conducono al suo balcone e gli dico di sedersi per aiutare con la nausea.

Mentre l’aria gelida raffredda rapidamente la stanza, mi lascio cadere sulla sedia di fronte alla sua scrivania. Bertholdt appoggia la fronte contro il vetro delle porte. Le tende si gonfiano, non permettendomi di vederlo.
 
Si appoggia all’indietro fino a quando non è disteso sulla schiena sul morbido tappeto bianco.
 
“Stanco?” Chiedo.
 
“No,” mormora, “Ho freddo, però.”
 
Chiudo le porte e guardo le tende tornare a posto. Bertholdt non sembra si voglia spostare, quindi mi lascio cadere a terra accanto a lui. Le nostre spalle si sfiorano e mi ritrovo a fissare uno dei costosi dipinti sul muro.
 
“Mi sono fatto male,” dice infine Bertholdt dopo che un lungo minuto di silenzio. Mi ritrovo a girarmi a guardarlo all’istante.
 
“Dove?”
 
“Qui,” mormora, sollevando la manica della maglia.
 
I miei occhi si fissano sul suo braccio, avvolto da alcuni pezzi di garza. Si toglie le bende e lo straccio leggermente sporco di sangue cade a terra. Mi siedo rapidamente una volta che i miei occhi si fissano sullo squarcio che corre per tutta la lunghezza del braccio.
 
“Che cazzo?” Dico prima di potermi fermare. Bertholdt sussulta e si tira giù la manica. “Com’è successo?”
 
“È stato un incidente,” mormora. “Con un vetro rotto.”
 
“Vetro rotto?” Ripeto, aggrottando la fronte. “Che diavolo stavi facendo con dei vetri rotti?”
 
“Niente,” risponde Bertholdt.
 
Apro la bocca per fare un’altra domanda, ma Bertholdt ha le braccia sul viso.
 
“Non voglio parlarne,” dice, la sua voce calma e quasi impossibile da sentire. Deglutisco.
 
“Okay,” dico e mi chiedo quante volte ho detto quella parola stasera. “Non sei obbligato.”
 
“Okay,” risponde.
 
“Dai,” dico, massaggiandomi la nuca. “Dormi un po’.”
 
Le sue braccia volano via dal suo viso e mi guarda impaurito. Cerco di sorridere in modo rassicurante, ma sono sicuro che sembra più una smorfia che altro.
 
“Non preoccuparti, non ti lascerò solo.”

Annuisce e lo aiuto di nuovo. Lo porto sul letto e mi assicuro che sia comodo prima di dirigermi verso la porta e spegnere la luce. Giro la maniglia della porta, in procinto di partire per trovare una stanza per gli ospiti o qualcosa del genere, quando Bertholdt piagnucola piano.
 
Il mio cuore fa male fisicamente al suono. Mi giro e tolgo le scarpe.
 
“Spostati,” mormoro.
 
È troppo buio per vederlo, ma sento frusciare le lenzuola. Mi assicuro sia dall’altra parte del materasso prima di buttarmici sopra. È molto più comodo del mio merdoso letto a casa, ma sono troppo preoccupato per apprezzarlo davvero. La mia mente corre mentre scivolo giù fino a quando la mia testa è appoggiata sul cuscino.
 
“Eren?”
 
“Sì,” giro la testa verso la direzione della sua voce.
 
“Mi dispiace.”
 
“Non preoccuparti,” dico subito, ma Bertholdt non risponde. Aspetto che dica qualcos’altro, ma poi mi accorgo del suo respiro regolare e tranquillo.
 
Sta dormendo.
 
Sospiro e mi forzo a chiudere gli occhi.
 
 
***

Bertholdt non era accanto a me quando mi sono svegliato. Tiro fuori il telefono dalla tasca e controllo l’ora. Sono appena le sette del mattino. Sbadiglio e porto le gambe sul lato del letto. Afferro le mie scarpe da ginnastica, le infilo e poi apro la porta per cercare Bertholdt.
 
Lo trovo in cucina a testa bassa sul tavolo. C’è una tazza di caffè intatta accanto a lui, così come una bottiglia piena di pillole. Aggrotto le sopracciglia, ma mi rilasso quando vedo che è solo Advil[1].
 
“Ehi,” dico, colpendogli la spalla in segno di saluto.
 
Solleva lentamente la testa e mi guarda. Le occhiaie sotto i suoi occhi sono troppo scioccanti per distogliere lo sguardo.
 
“Ehi,” risponde, con voce roca dal disuso.
 
Mi siedo dall’altra parte del bancone. Bertholdt evita i miei occhi e si fissa le mani. Lo guardo giocherellare con le dita prima di rendermi conto di non farcela più.
 
“Cos’è successo?”
 
“Che vuoi dire?” Chiede stupidamente e assottiglio gli occhi.
 
“Ieri sera,” continuo, cercando il suo viso. “Eri fuori di testa, si vedeva chiaramente ci fosse qualcosa che non andava. E puzzavi di alcool.”
 
Sussulta e serra la mascella.
 
“Niente,” dice.
 
“Stronzate,” sbotto e Bertholdt solleva velocemente lo sguardo verso di me. “Non cercare di rifilarmi delle bugie che non stanno in piedi. Guardati il braccio, santo cielo!”
 
Bertholdt scuote la testa e fissa un punto del pavimento. Sospiro rassegnato e faccio scorrere le dita tra i capelli. Non sono abbastanza ubriaco per avere a che fare con situazioni come questa, qualsiasi situazione sia, e non riesco a non sentirmi un po’ frustato. Bertholdt e io siamo amici, no? Perché non può semplicemente parlarmi?
 
“Bertholdt,” dico, cercando di sembrare calmo. “Non sono arrabbiato, okay? Di qualsiasi cosa si tratti, puoi dirmelo. Non mi arrabbierò, va bene? Sto solo cercando di aiutare.”
 
“Smetti di provare,” risponde testardo Bertholdt e non riesco a fermare la risata che mi scappa dalla gola.
 
“Scordatelo,” dico.
 
Bertholdt solleva la schiena in modo da sedersi composto sulla sedia. Si morde il labbro inferiore prima di guardarmi negli occhi.
 
“Non puoi dirlo a nessuno,” comincia. Deglutisce a fatica e torna a guardare il pavimento. “Dico sul serio, Eren.”
 
“Okay,” rispondo. “Non dirò niente a nessuno.”
 
Bertholdt mi dedica uno sguardo dubbioso prima di grattarsi nervosamente la nuca. “E non puoi nemmeno fare niente.”
 
“D’accordo,” dico, nonostante trovi la richiesta alquanto strana. “Non farò nulla. Parola di scout.”
 
Bertholdt stringe gli occhi.
 
“Eri uno scout?”
 
“No, ma è bello dirlo,” continuo, sorridendo. Lui mi guarda ancora più dubbioso.
 
Il sorriso sparisce dal mio volto e mi schiarisco la gola.
 
“Va bene,” dico infine. “Parla.”

Bertholdt si agita sulla sedia. Lo guardo attentamente. Sembra quasi sia in procinto di vomitare e prego qualsiasi divinità che non lo faccia. Quando l’espressione scomoda sul suo viso passa, resisto all’impulso di sospirare di sollievo. Ho trattenuto e visto abbastanza vomito per durarmi una vita la scorsa notte.
 
“Ricordi quello che ti ho detto?” Comincia lui, mordendosi forte il labbro. “Di io e Reiner che siamo andati a letto insieme quando avevamo quindici anni?”
 
Ho una brutta sensazione di malessere, ma decido di ignorarla. Mi dico che ciò che Bertholdt sta per dirmi potrebbe non essere così male, ma so che non sarà così.
 
Il pensiero mi terrorizza fino in fondo, ma mi rifiuto di lasciare che lo veda anche lui. Devo essere forte. “Sì.”
 
“Ci ho pensato ieri sera,” dice Bertholdt. “Diciamo che… mi ha fatto impazzire ripensarci. Voglio dire… pensavo di averlo superato. Ma non è così. Volevo solo dimenticarlo.”
 
I miei occhi si spalancano.
 
“Il taglio sul tuo braccio,” dico con voce bassa e calma. “Te lo sei procurato da solo, vero?”
 
Non dice niente. Annuisce una sola volta.
 
“Non l’avevo mai fatto prima,” espone. “Tagliarmi, dico. Ma ero davvero sconvolto e volevo solo… una distrazione. È successo, ma quando ho visto il sangue sono andato nel panico.”
 
“E quindi mi hai chiamato per questo,” continuo. “Perché eri spaventato.”
 
Si morde ancora il labbro.
 
“Io…” comincia, ma si interrompe subito. “Devo dirti qualcosa. Della notte in cui io e Reiner siamo andati a letto insieme.”
 
“Cosa c’è?” Chiedo e il mio cuore martella ritmicamente nel petto. Bertholdt deglutisce e poi si passa le mani sulle cosce.
 
“Potrei… aver mentito,” comincia. Aggrotto le sopracciglia, ma non dico ancora nulla. “Ho detto che eravamo entrambi ubriachi, ma la verità è che solo lui lo era.”
 
Quella sensazione di malessere ritorna mille volte più intensa. Afferro il bordo del bancone e deglutisco.
 
“Bertholdt …”
 
“Abbiamo davvero fatto sesso,” dice, facendo una smorfia e provo a deglutire il nodo in gola.
 
“Era molto felice per aver vinto la partita e l’alcool ha peggiorato tutto. Lui e Franz avevano litigato per una cavolata. Franz lo colpì in faccia prima che se ne andasse. Reiner... Reiner non si calmò. Ho dovuto convincere la gente ad andarsene perché era fuori controllo.”
 
“Che cosa è successo dopo che tutti se ne sono andati?” Chiedo attentamente.
 
“Reiner continuava ad andare in giro per la casa,” continua Bertholdt. “L’ho afferrato per fermarlo. Ho provato a dire alcune cose per calmarlo e per un po’ aveva anche funzionato. Poi però ha ricominciato a dare di matto, quindi… l’ho baciato per zittirlo.”
 
“E poi?”
 
Bertholdt stringe gli occhi ed espira piano.
 
“Ha continuato a baciarmi,” sussurra. “Non provavo niente per lui. Non so perché l’ho baciato. Io... non mi aspettavo si spingesse così oltre. Non ho ricordi precisi, so solo che ci siamo trovati nello stesso letto a fare sesso. Non ho fatto nulla per fermarlo. L’ho solo... accettato.”
 
Si ferma e mi guarda.
 
“... Eren?”
 
“Non hai mai detto di sì,” dico e osservo Bertholdt sussultare. “Non hai mai detto di sì, vero?”
 
“Ma non ho nemmeno detto di no,” mormora Bertholdt.
 
Mi mordo l’interno della guancia con così tanta forza da sentire il sapore del sangue. Il mio sangue stava praticamente bollendo e mi sforzo di tornare in cucina in tentativo di calmarmi.
 
“Lui non… non penso mi abbia costretto. L’ho lasciato fare.”
 
Mi si stringe la gola.
 
“Lo volevi fare?” 
 
“Non lo so,” ammette Bertholdt. “Ho pensato lo volesse lui, quindi…”
 
Mi lascio cadere a peso morto sulla sedia. Mi sento improvvisamente esausto. Il mio intero corpo pizzica e peggiora ogni qualvolta cerco di elaborare l’informazione su ciò che è accaduto quella notte.
 
“Si chiama stupro, Bertholdt.”
 
Alza di scatto la testa alla parola.
 
“Lui non… Reiner… non avrebbe mai-”
 
“Ma l’ha fatto,” lo interrompo, gli occhi bruciavano per la rabbia. “È… È esattamente ciò che ha fatto.”
 
Bertholdt si ammutolisce. Evita di incontrare i miei occhi e io mi passo una mano tra i capelli.”
 
“È per questo che eri sconvolto ieri sera, vero?” Chiedo. “Perché lo stavi ricordando.”
 
Bertholdt scrolla le spalle.
 
“Penso di sì,” mormora. Sprofondo le dita nella mia coscia per fermarmi dal tirare pugni al muro.
 
“Cosa vuoi fare al riguardo?” Chiedo nuovamente. Lui scuote la testa.
 
“Nulla,” risponde e io spalanco gli occhi.
 
“Nulla?” Ripeto. “Non puoi lasciare che quel bastardo-”
 
“Eren.”
 
Mi fermo.
 
“Non voglio denunciarlo,” si spiega a voce bassa. “Voglio solo…”
 
“Cosa?”
 
“Dimenticare,” finisce. Deglutisco a fatica. “Ecco perché vorrei che lo facessi anche tu.”
 
“Non puoi portarti tutto il peso sulle spalle,” gli dico, scuotendo la testa. “Hai bisogno di aiuto.”
 
Bertholdt mi morde il labbro inferiore. Poi, mi viene un’idea.
 
“Vestiti,” dico, alzandomi in piedi.
 
“Eh?”
 
“Vestiti,” ripeto, indossando le scarpe. “Conosco qualcuno che può aiutarti.”
 
“Aiutarmi?”
 
Mi giro per guardarlo. Prima di pensarci, faccio il giro del bancone per stringerlo in un forte abbraccio.
 
“Andrà tutto bene,” lo rassicuro. “Lo giuro, starai bene.”
 
Bertholdt ricambia l’abbraccio senza dire nulla.
 
 
***

08:29, l’ultimo posto in cui avrei mai pensato di andare.
 
Bertholdt armeggia con l’orlo del maglione.
 
“Non sei costretto a entrare,” dico, stringendogli la mano. “Ho solo pensato che ti sarebbe stato utile. So che me ne hai appena parlato, ma-”
 
“Tranquillo,” mi interrompe. “Lo farò.”
 
“Sei sicuro?”
 
Annuisce. Gli stringo ancora la mano e lo accompagno per le scale.
 
“Non c’è nulla di male nell’accettare aiuto,” gli dico, ripetendo le parole che Mina ha detto a me. “Non ti rende debole.”
 
“Lo so,” dice Bertholdt, mordendosi il labbro. “Sono… sono passati due anni. Ha importanza?”
 
“Ma certo che sì,” dico. “Non importa quanto tempo sia passato. Se ti fa stare ancora male, meriti aiuto. Non avresti dovuto forzarti nel tenerti tutto dentro.”
 
Bertholdt annuisce. Gli sorrido e lo faccio salire. Alzo la mano libera per premere il campanello. Mi ritrovo a trattenere involontariamente il respiro mentre aspetto che la porta si apra. Bertholdt mi stringe la mano abbastanza forte da farmi male e, con il pollice, gli accarezzo le nocche.
 
La porta si apre e faccio un respiro profondo.
 
“Io… anzi, noi abbiamo bisogno del tuo aiuto,” deglutisco. “Possiamo entrare?”

La persona davanti a noi sembra sorpresa, ma dopo un attimo apre ancora di più la porta.
 
“Certo,” dice con uno smagliante sorriso.
 
Annuisco ed entriamo a casa di Mina.
 
 

[1] Advil: ibuprofene, farmaco antinfiammatorio.
   
 
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