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Autore: Astry_1971    14/08/2009    7 recensioni
“Ce la faremo anche questa volta, lui non tornerà.” Lo rassicurò, poi fissò la macchia scura sulla parete, accanto al ritratto di Silente. Era ciò che restava della cornice d’argento che ospitava la sua effige, sparita magicamente dopo che Potter l’aveva riportato in vita.“E farò anche in modo che quella parete resti vuota ancora per molto tempo.” Affermò deciso.
Questa storia è il seguito di “Per amore di un figlio” ed è dedicata a tutti quelli che hanno storto il naso per finale di quella storia. Evidentemente non mi conoscono bene. A tutti gli altri è severamente sconsigliata la lettura, per il bene dell’autrice che non ama guardarsi le spalle.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Harry Potter, Lucius Malfoy, Neville Paciock, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ernil: Grazie! Sono contenta che tu abbia letto anche "per amore di un figlio" dato che ciò che avviene in questa storia è strettamente legato alle vicende dell'altra. Ci sono molti riferimenti che non si possono capire senza conoscere i precedenti. Neville avrà un ruolo molto importante, anche a me piace molto come personaggio. Mi piacciono i suoi dubbi e le sue paure, e mi piace come lui riesce a vincerle sempre e a dimostrarsi una persona coraggiosa e leale.
PS: sì "Amando il vento" l'ho scritta io. :-)
Allison91: Grazie anche a te, spero davvero di non deludere le tue aspettative. :-)

Buona lettura!


Cap 2 Amara verità

Intanto Severus, che si era precipitato in corridoio chiudendo piuttosto bruscamente la porta dietro di sé, non era andato molto lontano. Aveva fatto appena qualche metro prima di fermarsi appoggiandosi con la schiena al muro.
Ansimava, come se avesse fatto una lunga corsa. Sollevò il braccio sinistro, fissandolo con un’espressione mista di orrore e disgusto.
La manica della tunica arrivava fino al polso, ma lui sapeva cosa avrebbe visto sotto la stoffa. Era una sensazione fin troppo familiare, qualcosa che credeva di essere riuscito a dimenticare.
Ripiegò lentamente il tessuto arrotolandolo su se stesso, e poi, con altrettanta lentezza, prese a sbottonare i polsini della camicia. La mano tremava, e il cuore sembrava volergli sfondare il petto.
Sollevò la stoffa candida e lo vide: l’orribile serpente, il simbolo della sua antica schiavitù, era tornato, come se avesse attraversato la barriera della morte per raggiungerlo e farlo precipitare di nuovo nell’inferno del suo passato.
Si piegò in avanti colto da un conato di vomito, e rimase chino, con gli occhi chiusi, cercando di riprendere il controllo. Avrebbe voluto solo urlare in quel momento, ma si portò una mano alla bocca e appoggiò l’altra al muro. Affidandosi a quelle amate pietre come avrebbe fatto un cieco, si trascinò curvo fino alla sua camera.
Giunto nel suo appartamento, chiuse la porta con la magia ed entrò in bagno. Aprì il rubinetto e prese a lavarsi il viso con l’acqua gelida, come se ciò servisse a svegliarlo da quello che sperava potesse essere solo un incubo.
Non riusciva a capacitarsene, non poteva essere reale.
Solo il ritorno di Voldemort avrebbe potuto risvegliare il Marchio, ma l’unico modo per tornare dal mondo dei morti era attraversare il Velo, ed ora che lui l’aveva distrutto, il passaggio era stato sigillato per sempre.
Forse esisteva un altro Horcrux? Il mago scosse il capo. No, non era possibile. Ammesso che Voldemort avesse creato un ottavo Horcrux, non avrebbe di certo aspettato vent’anni per tornare.
Era tutto così assurdo. Sollevò di nuovo la manica e guardò il Marchio. Non stava sognando, l’emblema del suo antico padrone era vivo e pulsante e, anche se sembrava una cosa impossibile, non poteva negare la realtà.
Magari stava solo impazzendo? Forse era un effetto collaterale del Velo? In fondo nessuno lo aveva mai attraversato prima.
Ecco, forse, dipendeva da lui, doveva essere un’allucinazione.
Un’allucinazione fin troppo dolorosa, pensò, mentre una nuova fitta lo costringeva ad appoggiarsi al lavandino e un lamento soffocato sfuggiva dalle labbra serrate.
Sollevò il viso; dallo specchio un uomo giovane gli restituì il suo sguardo.
Aveva i capelli ben curati e l’acqua scivolava sui lineamenti spigolosi formando una rete di rivoli sottili. Il volto era quello di un uomo preoccupato, gli occhi leggermente arrossati, probabilmente per la febbre. Il Marchio infiammandosi provocava anche questa conseguenza. Era come una ferita infetta.
Ciò nonostante, il Severus che aveva di fronte era molto diverso dall’uomo morto vent’anni prima. Sembrava persino più giovane.
La vita tranquilla aveva di sicuro giovato al suo fisico.
Quello appena trascorso era stato un anno sereno, il primo dopo tanto tempo.
Un anno in cui aveva imparato lentamente ad assolversi, ad accettare la sua nuova vita, senza provare sensi di colpa ad ogni respiro, ad ogni battito di cuore, come se sentisse di rubarlo alla sua Lily.
Avrebbe barattato la propria vita per quella di Lily, anche ora, ma, dopo averla finalmente raggiunta nella morte, aveva capito che oltre quella soglia non era possibile provare odio o rancore. Lily era in pace e lo aveva perdonato.
Sospirò. Per un anno si era davvero illuso di riuscire a dimenticare. In fondo un anno di serenità era più di quanto avesse potuto sperare. Più di quanto avesse mai meritato.
Un anno pieno di tutte quelle piccole cose che nella sua precedente vita aveva imparato ad ignorare, persino a disprezzare: il pranzo nella Sala Grande, una bella partita, i raggi di sole che, attraversando le vetrate istoriate dell’ufficio di Silente, proiettavano immagini colorate sulla scrivania. Tutte quelle cose che in prospettiva di un’altra terribile guerra, sarebbero tornate ad essere inutili sciocchezze.
Il pensiero lo fece rabbrividire.
Cosa sarebbe successo?
Come avrebbero potuto difendersi questa volta, se Voldemort fosse davvero tornato in vita? Un'altra fitta lo distolse dai suoi pensieri.
Si tolse la giacca e la camicia, con rabbia, quasi strappandosela di dosso. Gettò tutto in terra senza curarsene, poi, stringendosi il braccio che continuava a tremare incontrollato, se lo portò al petto, e si diresse verso la cassettiera nella stanza da letto.
Aprì con la mano destra il cassetto più in basso e afferrò una piccola fiala all’interno.
Conteneva un liquido color sangue: una Pozione preparata vent’anni prima.
Piton la fissò disgustato. Non sapeva nemmeno perché avesse deciso di conservarla e, soprattutto, portarla a Hogwarts. Ne aveva una ricca scorta nella sua casa di Spinner’s End. Dopo il suo ritorno, aveva deciso di sbarazzarsene, conservando solo quell’ultima fiala. Troppi penosi ricordi erano legati a quella Pozione. L’unica che riusciva ad alleviare il dolore del Marchio. L’unica che gli permetteva di entrare in un’aula e affrontare i suoi studenti ignorando i terribili effetti dell’ira del suo Padrone.
Si portò la fiala alle labbra, ma prima che potesse berla, un colpo alla porta lo bloccò.
“Chi è?” chiese seccato.
“Preside, sono Paciock, volevo, ecco, volevo chiederle se ha bisogno di qualcosa.” rispose una voce amabile, ma resa particolarmente acuta dall’ansia.
Severus sbuffò, posando sul ripiano del mobile la fiala con la pozione ancora intatta.
Neville, non aveva ancora imparato a non farsi prendere dal panico in sua presenza, pensò. Possibile che dopo aver affrontato Voldemort in persona, quel ragazzo ancora non riuscisse ad affrontare il suo ex insegnante?
Si alzò tenendo il braccio sinistro accostato al petto, afferrò il mantello che pendeva dall’attaccapanni e, gettandoselo sulle spalle, ne accostò i lembi in modo da nascondere il tremore.
Aprì la porta con un colpo di bacchetta e si affacciò con un’espressione minacciosa dipinta sul viso, cosa che non aiutò a far sentire a proprio agio l’incauto visitatore.
“Sì, professor Paciock?” chiese in un sibilo.
“Ecco, mi dispiace, non volevo disturbare, ma ho avuto l’impressione che stesse poco bene.”
Poi, come se si fosse ricordato tutto ad un tratto di non essere più un alunno, drizzò la schiena e affermò con ritrovata decisione: “Volevo farle sapere, che se ha bisogno di qualsiasi cosa, può contare su di me.”
Piton lo fissò confuso, mosse le labbra per rispondere, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Sollevò lo sguardo oltre la spalla di Paciock.
Neville si voltò, cercando di capire cosa stesse guardando Piton, ma non c’era nulla in corridoio a parte una fila di armature addossate alle pareti.
Il volto di Piton passò dall’attenzione, alla curiosità, fino all’ira furibonda.
Sorpassò Neville e agitò la bacchetta puntandola verso il fondo del corridoio. Un vento improvviso gettò a terra tutte le armature, provocando un frastuono terribile.
L’insegnante di Erbologia sobbalzò, ma immediatamente, dopo lo sbigottimento iniziale, il suo volto si fece cupo, era arrabbiato e deluso al tempo stesso.
Sul pavimento un groviglio di gambe sembrava fuoriuscire dal nulla. Non fu difficile per Neville capire a chi appartenessero.
Severus si avvicinò e fece come per agguantare l’aria, ma non era aria ciò che stringeva tra le dita un attimo dopo, bensì l’antico Mantello dell’Invisibilità che apparteneva a Harry Potter.
Lo sguardo truce del preside si soffermò per qualche istante su Albus e James ancora in terra a cercare di districarsi, poi il mago rivolse l’attenzione alla terza persona che condivideva il Mantello con i fratelli Potter.
Scorpius Malfoy sembrò rimpicciolire davanti allo sguardo furente di Piton. Rimase immobile, come se un peso lo schiacciasse contro il pavimento, con la bocca aperta e gli occhi che correvano dal preside all’uomo al suo fianco, quasi implorandone l’intervento in propria difesa.
Per tutta risposta il preside regalò un’occhiata altrettanto gelida al suo ex alunno.
“Professor Paciock, voglio augurarmi che non fosse al corrente dei piani di questi ragazzi. Non vorrei trovarmi costretto a prendere provvedimenti contro un docente di questa scuola.
Neville scosse il capo confuso.
“No, certo che no, come può pensarlo?”
Ma Piton sembrò non sentirlo nemmeno. Si chinò sui ragazzi e sussurrò, la voce simile ad una lama.
“Naturalmente il vostro comportamento non resterà impunito.” poi, rivolgendosi ai fratelli Potter e accennando al Mantello dell’Invisibilità, “Questo lo conserverò io.”
Arricciò le labbra in un sorrisetto di scherno.
“A quanto pare Harry Potter non ha ancora imparato a rispettare le regole visto che permette ai propri figli di portare a scuola un oggetto che esula dal normale equipaggiamento di uno studente, oltre ad essere potenzialmente pericoloso.”
I ragazzi non risposero, ma si alzarono da terra esibendo una delle loro migliori espressioni da cuccioli pentiti, che Piton ignorò completamente, bensì, dopo aver lanciato i suoi dardi infuocati ai due fratelli, rivolse lo sguardo rovente all’altro imputato.
“Sono davvero deluso, signor Malfoy. Oggi stesso chiederò a suo nonno di presentarsi a scuola per un colloquio.”
“Mio nonno?” squittì Scorpius. “Ha capito benissimo, signor Malfoy”.
“Ma, signor preside,” intervenne Paciock. “non crede che Draco vorrebbe essere informato sul comportamento di suo figlio? Lucius è…”
“Lucius è ancora uno dei maggiori finanziatori di questa scuola; è suo interesse conoscere i nostri metodi educativi e il modo in cui vengono applicati.”
Neville guardò sconsolato i suoi alunni, ma non ribatté.
“Ora potete tornare ai vostri dormitori.” Proseguì Piton gettando sul gruppetto un’occhiata gelida.
Mentre James e Scorpius continuavano a fissarsi le scarpe, gli occhi verdi del piccolo Albus corsero al Mantello di suo padre.
Non osava implorare Piton di restituirglielo, ma la sua espressione era più che eloquente. Per tutta risposta, il preside strinse la stoffa con più forza. Un gesto istintivo, come se il desiderio dipinto negli occhi verdi del suo alunno, gli stessi di Lily, bastasse a strapparglielo dalle mani.
Il preside restò immobile, intanto che i tre giovani si allontanavano a testa bassa. Li seguì con lo sguardo finché non scomparvero dietro l’angolo del corridoio, poi, finalmente, lasciò libere le sue labbra di piegarsi in una smorfia di dolore. Il Marchio continuava a pulsare. Era come se un fuoco fluisse nelle vene, a ondate. Dandogli tregua per alcuni minuti, per poi tornare con più vigore, provocandogli degli spasmi incontrollati.
Ormai il leggero mantello che si era gettato sulle spalle non riusciva più a camuffare i sussulti del suo braccio. Così il mago era costretto ad usare anche la stoffa di quello di Harry per nascondere il tremore. Lo teneva appallottolato intorno al braccio come una sorta di cuscino.
Senza voltarsi si rivolse al suo collega.
“Credo che, per stasera, sia tutto, professor Paciock.” disse stringendo con più forza l’involucro di tessuto scuro. Doveva resistere ancora pochi minuti, il tempo di sbarazzarsi di quella visita inopportuna. Ancora poco, poi la pozione avrebbe calmato, almeno temporaneamente, il dolore che lo stava facendo impazzire.
Neville esitò, avrebbe voluto riprendere il discorso, chiedergli di restare: era chiaro che l’uomo che aveva di fronte, infagottato alla meglio nel suo mantello, come un barbone in una coperta, non era di certo l’impeccabile e rigoroso Severus Piton che conosceva.
Poi decise che, forse, non era il caso di irritarlo ulteriormente. Gli aveva già detto quello che doveva: se il preside avesse avuto bisogno, gli avrebbe offerto il suo aiuto. Anche se, conoscendo quanto poteva essere orgoglioso Severus Piton, sapeva che non lo avrebbe comunque accettato a meno che non fosse questione di vita o di morte, e, forse, nemmeno in quel caso.
Mugugnò qualcosa che somigliava ad un saluto e si allontanò. Severus fece altrettanto: appena Paciock lo superò dirigendosi verso il fondo del corridoio, si voltò e rientrò nella sua stanza, bloccando di nuovo la porta.
Lì si sfilò il mantello e lo gettò sul letto assieme a quello di Potter.
Fu un sollievo: il contatto della stoffa sul Marchio, ne accresceva il bruciore. Distese il braccio, assaporando l’improvvisa sensazione di fresco sulla pelle nuda.
Si avvicinò alla cassettiera e afferrò l’ampolla con la pozione. Chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro.
Se la portò alle labbra, ma si bloccò. Sollevò la fiala osservandola contro la luce della candela e le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto.
Il Marchio gli tormentava la carne, ma, come se non avesse più percezione del dolore, Severus iniziò a far oscillare il piccolo contenitore di vetro, con calma, come avrebbe fatto un sommelier con un prezioso calice di vino o, piuttosto, come se stesse osservando un mortale veleno.
La pozione aveva un sapore amaro, ma non provocava particolari effetti collaterali. Agiva in pochi minuti come un semplice calmante.
Eppure berla diventava ogni minuto più difficile.
Quelle poche gocce vermiglie erano ciò che restava della sua vita passata, una vita fatta di rimorsi, ma anche di determinazione. La stessa determinazione che lo aveva spinto a creare quel filtro, simbolo della sua ribellione all’Oscuro Signore.
Un liquido che gli permetteva di opporsi al richiamo del suo padrone, di ignorare il dolore della schiavitù, di disobbedire.
Era fiero di ciò che aveva creato, ma allo stesso tempo lo odiava, perché sapeva che la sua era solo una falsa libertà.
Mitigare la sofferenza fisica non era come cancellare il Marchio. Ed ora più che mai si rendeva conto di quanto potesse essere potente il controllo di Voldemort su i suoi servi, tanto da riuscire a raggiungerli persino oltre la barriera della morte.
Avvicinò ancora la boccetta alla bocca. La mano tremò.
Se solo avesse potuto, non l’avrebbe bevuta.
Aveva l’impressione che nel momento in cui il liquido avrebbe di nuovo toccato le sue labbra, tutto sarebbe ricominciato.
Non voleva ammettere a se stesso che stava accadendo di nuovo. Bere la Pozione sarebbe stato come accettare la terribile verità: le sue catene non si erano mai spezzate.
Voldemort era ancora il suo padrone e poteva raggiungerlo persino ora.
Ci volle una nuova e più violenta fitta, tanto dolorosa da farlo cadere in ginocchio, per convincerlo ad ingoiare il filtro. Lo bevve con rabbia e poi gettò la fiala contro il muro.
Il vetro sottile esplose in una miriade di frammenti che si sparsero sul pavimento, assieme a quel poco che restava della pozione.
Severus rimase chino e ansimante per diversi secondi, fissando con orrore quelle che parevano schegge insanguinate.
Infine si alzò. Aveva un’espressione di disgusto dipinta sul volto, mentre si obbligava a distogliere lo sguardo da quel piccolo disastro e ad andare verso il letto. Si stese sopra le coperte e rimase immobile in attesa che il liquido facesse il suo dovere.



Continua…






  
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