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Autore: time_wings    05/07/2020    2 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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2. Paura

 





Halloween, 1981
 
Paura.
Un’emozione brillava nera sopra tutte le altre. Paura.
Peter ne sentiva le vene gonfie mentre correva come un matto in un vicolo deserto e buio, il piccolo naso che già percepiva altri mille odori in più e una nuova e più grande consapevolezza dello spazio che lo circondava, nonostante ci fosse abituato.
Ruzzolò per delle scale umide e andò a sbattere contro un cassonetto di latta. Il rumore metallico lo riportò alla realtà, facendogli sentire per la prima volta il bruciore e il sangue che pompava con forza contro il dito… o quel che ne restava. Non aveva percepito dolore fino a quel momento, forse per l’impennata di adrenalina, ma notò che a stento riusciva a muoversi, un fischio gli bucava le orecchie.
Aveva paura.
E si sentiva un codardo.
Non aveva alcun interesse a uccidere Sirius. A dire il vero non credeva che ci sarebbe mai riuscito. Quel compito, in fondo, non gli era stato assegnato prima che succedesse. E poi farlo con le sue mani era tutto un altro paio di maniche.
Nonostante ciò sapeva benissimo che, in un certo senso, lo aveva condannato. Era l’unica opzione, davvero, non ne vedeva altre. I suoi amici erano sempre stati pronti a schierarsi, a mettere in gioco la vita, credevano nell’onore e nella lealtà.
Non che lui non ci avesse creduto, all’inizio. Se avesse avuto modo di parlare con la persona che era due anni prima e raccontargli cosa avrebbe finito per fare era certo, sicuro, che quel ragazzino avrebbe stentato a crederci, forse l’avrebbe addirittura odiato.
Peter aveva semplicemente capito che era molto meglio così, che non c’era alcuna vittoria in serbo per loro contro uno come il Signore Oscuro. Aveva accettato che le sorti della guerra erano state decise molto tempo prima che James e Sirius e Remus potessero capire o scegliere da che parte schierarsi.
E sarebbe stato impossibile convincerli della verità.
Lui non era cattivo.
Lui era diverso. Lo era sempre stato. E un tempo la cosa gli era pesata immensamente.
Gli anni a Hogwarts erano stati la parte più bella della sua vita. Quando era salito su quel treno, il primo giorno, aveva avuto una gran paura, quasi asfissiante, di rimanere solo. Scenari apocalittici si erano dipinti nella sua testa e si vedeva triste, preso in giro, a condividere il dormitorio con ragazzi belli, brillanti e senza ombra di dubbio migliori di lui.
Gli anni a Hogwarts erano stati felici davvero, ma, a ripensarci dopo il tradimento, c’erano state proprio tante cose sopra le quali era passato e che a quel punto usava per rincuorarsi, giustificarsi o, almeno, per alleggerire il peso che sentiva crescere nel petto. E funzionava.
Peter aveva avuto torto. Ci aveva messo meno tempo del previsto a farsi degli amici. James era simpatico e non aveva storto il naso quando l’aveva visto e Sirius gli dava pacche sulle spalle quando era abbattuto e ogni volta si era sentito innegabilmente suo amico. Anche a Remus aveva voluto bene, davvero, aveva rischiato la vita per aiutarlo con il suo problema, anche se una parte di lui aveva sempre creduto che Sirius l’avrebbe ucciso, se si fosse rifiutato.
Non che non avesse voluto diventare un animagus, gli era tornato utile dopotutto, è solo che una parte di lui si chiedeva a quel punto se avesse avuto propriamente scelta.
Sebbene fosse riuscito a fare amicizia, il senso di inferiorità non l’aveva mai abbandonato e, a passare il tempo con James e Sirius, si era di tanto in tanto anche acuito.
Era pienamente consapevole che tutte quelle cose non le aveva neanche mai processate, al tempo, ma da quando i Malandrini non esistevano più ne aveva di colpo preso coscienza.
Stare attorno a James e Sirius era stato difficile, estenuante, quasi. A volte uno strano dolore gli stringeva il petto quando pensava che la loro infinita intesa era qualcosa che era destinato a guardare da lontano, perché lui era solo Peter.
Ridevano alle sue battute, ascoltavano le sue idee per un nuovo scherzo, si complimentavano quando gli riusciva un incantesimo particolarmente difficile, ma sentiva costantemente di dover dimostrare loro qualcosa, come se una battuta bruttina, un’idea poco brillante e un incantesimo andato storto avessero potuto dar loro la scusa per dargli il benservito. A volte si era sentito come se non avesse potuto sbagliare, come se un errore gli fosse potuto costare l’intera amicizia.
Peter di battute brutte, idee terribili e incantesimi disastrosi ne aveva fatti parecchi e i ragazzi l’avevano sempre sostenuto, ma, semplicemente, per James non era Sirius e per Sirius non era James. E il problema, forse, era sempre stato lì. 
In Remus aveva sempre visto un alleato silente, ma lui non cercava la loro approvazione, non sembrava disperato quanto lui in tal senso ed era intelligente e brillante e aveva dei motivi per essere protetto, dei gesti nobili che i suoi amici potevano dedicargli. Tutto ciò lo faceva sentire ancora più escluso e insulso. Quando Remus e Sirius avevano iniziato a stabilire un nuovo legame, lo spettro del “noi e Peter” doveva averlo inconsciamente assalito.
Trovava ancora difficile ammettere a se stesso pensieri tanto sinceri, mentre sfruttava il buio del viale per rintanarsi e prendere fiato. Una parte di quell’odio non era altro che una difesa bella e buona. Non era pentito, almeno per il momento, perché sapeva che, suo malgrado, l’avrebbe fatto altre mille volte. Questo non significava che non provasse dolore.
Peter non voleva uccidere James, semplicemente non aveva scelta. I suoi amici restavano la cosa più bella che il mondo gli avesse mai regalato, ma la guerra era anche questo.
Sacrificio? No, rassegnazione.
Riprese a correre. Mentre vicoli bui e umidi gli scorrevano ai lati, una parte di lui si domandò dove posizionare quelle sensazioni e, senza pensarci troppo, Peter trovò un contenitore abbastanza grande per tutte: la Paura.
 
***
 
“Secondo me hai paura.”
James alzò uno sguardo offeso su Peter e si passò una mano tra i capelli, incurante. “Assoluta…”
“Se la sta facendo sotto,” rincarò la dose Sirius, dando di gomito a Peter e guardando James. Il ragazzo sbuffò disinvolto, ma era evidente che una parte di lui non riuscisse a fare a meno di sentirsi avvilita.
“Non me la sto facendo sotto,” sbottò, con un po’ troppa irruenza per essere così rilassato come diceva.
Non me la sto facendo sotto,” gli fece il verso Sirius, alzando entrambe le mani come a sottolineare la sincerità delle sue parole, che di sincero non avevano nulla.
James assottigliò lo sguardo e scosse la testa. “Sei una spina nel fianco, te l’hanno mai detto?”
Sirius finse di pensarci su, poi scosse la testa come se fosse stato sul punto di tirar fuori una risposta negativa. “No, non direi,” ragionò infatti, “se non contiamo tutti i giorni da quando sono nato,” aggiunse infine, scrollando le spalle e sorridendo furbo.
James alzò gli occhi al cielo, ma non ebbe modo di aggiungere altro.
“Oh, sei tornato!” Peter mosse una mano verso il fondo della Sala Grande. Remus li aveva appena avvistati e si stava dirigendo verso di loro a passo lento. Poggiò la tracolla sulla panca come se quel gesto gli fosse costato tutte le sue forze e si lasciò cadere accanto a Peter.
“Tutto bene?” gli domandò James, giocherellando nervosamente con il lembo inferiore del suo mantello e lanciando uno sguardo veloce in quello stanco di Remus. Il ragazzo annuì e non disse altro. Pareva che attendesse disperatamente che qualcuno parlasse, per sfuggire a quell’analisi.
Sirius, seduto di fronte a lui, lanciò uno sguardo di sottecchi a James e Peter, prima di sporgersi nella sua direzione e puntare gli occhi stranamente gentili nei suoi. “Sei sicuro? Hai un graffio…”
“Sto bene,” Remus alzò una mano davanti a lui, come a stroncare sul nascere qualunque domanda. Prima che Sirius potesse rispondere, James lo ammonì con lo sguardo.
“Se i tuoi genitori ti…” si interruppe però, sibilò e si morse veloce un labbro. James gli aveva tirato un calcio in uno stinco da sotto il tavolo. “Se hai voglia di parlare di qualcosa,” raddrizzò il tiro, “noi siamo tuoi amici,” concluse semplicemente e Remus abbassò lo sguardo per un attimo.
“Siete miei amici?” il ragazzo alzò un sopracciglio, un’aria di sfida a tingergli gli occhi stranamente brillanti e un’irrequietezza che si trascinava da giorni a rischiare di irritarlo di continuo e senza un reale motivo.
Peter annuì energicamente e James per poco non saltò dalla panca. “Sì!”
Remus annuì pratico e afferrò un biscotto secco. “Allora non guardatemi così ogni volta che mi…” Remus si congelò e Sirius alzò velocissimo lo sguardo su di lui, “ogni volta che torno,” tagliò corto, cacciandosi il biscotto in bocca. I ragazzi si scambiarono sguardi complici, poi Sirius annuì e scrollò le spalle.
“Va bene,” concesse con tono nervoso e James sospirò rumorosamente, accanto a lui. “Scusa,” aggiunse poi, addolcendo genuinamente il tono.
Remus annuì, piano.
“Sai,” iniziò Peter. Percepiva un’aria tesa e pensò che fosse compito suo trovare qualcosa da dire per stemperare l’atmosfera, “James se la sta facendo sotto,”
Sirius sembrò risollevarsi e la sua reazione fece un po’ ridere, paragonata a quella di James, accanto a lui. “Non me la sto facendo sotto, Peter,” obiettò lui e Remus alzò un sopracciglio, in una muta richiesta di spiegazioni.
“No, non se la sta facendo sotto,” Sirius diede una pacca amichevole sulle spalle tese di James e il ragazzo si voltò verso di lui, vagamente all’erta e pronto a incassare la prossima battuta.
Quando notò che Sirius non sembrava intenzionato ad aggiungere altro annuì piano, voltandosi verso Peter e Remus e alzando di poco il mento, per apparire più sicuro. “Già, non ho paura.”
“Oh, ehi,” Sirius si voltò a guardarlo, accigliandosi e poggiando drammatico una mano sul petto, “da quando hai i capelli così bianchi?” domandò poi, puntandogli contro la bacchetta, dandogli una manata in testa e iniziando a rovistare nei capelli già normalmente in disordine. James si divincolò e cercò di scrollarselo di dosso, più che deciso a iniziare una vera e propria lotta sulle panche della Sala Grande.
“E tu, Peter,” mormorò James, “non ridere e dammi una mano a togliermi questo coso di dosso.”
“Coso?”
Remus scosse la testa e rise piano, addentando un secondo biscotto. “Qualcuno mi può spiegare perché James se la sta facendo sotto?”
“Io non me la sto facendo sotto!”
“Ci sono le selezioni di Quidditch e lui vuole tentare,” lo informò Sirius, scrollando le spalle e cacciandosi in bocca un angolo del toast al burro che teneva in mano. Ci riuscì per un pelo, un attimo prima che James si scagliasse di nuovo contro di lui, “mh, e ha paura perché di solito al primo anno non prendono nessuno,” concluse, rimasto impassibile all’attacco e anzi biascicando appena perché aveva ancora la bocca piena.
Remus alzò un sopracciglio divertito. “Allora perché hai deciso di tentare quest’anno?”
James, dall’alto dei suoi undici anni, sfoderò un sorriso sicuro e si sistemò più dritto sulla panca. “Si vive una volta sola, Remus,” commentò, semplicemente.
Peter alzò gli occhi al cielo, mentre divorava le sue uova, “credi che ce la farai?” domandò, poi, sollevando uno sguardo curioso e squisitamente ingenuo su James.
Il ragazzo si strinse nelle spalle, sentendo tre paia d’occhi puntarsi su di lui. Qualche compagno Grifondoro si era perfino voltato a origliare. Tra loro, una ragazza dai folti capelli rossi sembrava particolarmente più attenta. James si portò una mano ai capelli, arruffandoli appena istintivamente e sorridendo. “Certo, Pete, ce la farò sicuro,” replicò convinto.
Sirius sbuffò derisorio e, nonostante l’occhiata di James, lo sguardo ammirato di Peter non vacillò.
 
***
 
Il vento che rombava nelle orecchie a stento gli fece sentire il fischio forte di Sirius, seduto sugli spalti dello stadio della scuola insieme a Peter e Remus. Volò loro accanto, alzando una mano per zittirlo, ma Sirius si sentì solo più incoraggiato a farsi sentire. Lo ignorò, mentre si concentrava per mirare. Ruotò il braccio per darsi lo slancio e lanciò la pluffa, segnando nell’anello.
“Oh,” Sirius tornò a sedersi tra Remus e Peter.
“È forte,” commentò quest’ultimo, annuendo meravigliato, la bocca ancora semiaperta per la sorpresa.
Sirius annuì come colpito da un fulmine. “E chi l’avrebbe mai detto?”
Remus inclinò la testa di lato e cercò di concentrarsi sul suo amico. Non aveva mai avuto tanto tempo per imparare le regole del Quidditch. Conosceva i rudimenti del gioco, gli scopi essenziali e riusciva a riconoscere che tirare la palla in un anello poteva considerarsi un punto. Le sue conoscenze, però, finivano lì. Non se la sentiva di dare un giudizio, ma, a giudicare dal silenzio di Sirius e l’assenza di brevi interventi di Peter, James doveva saperci fare.
“Sei fortunato che siamo a corto di Cacciatori, Potter, Edgar ha lasciato la scuola l’anno scorso e lui…” Davey Gudgeon adocchiò un ragazzo del terzo anno che a stento riusciva a tenere la pluffa in mano, poi sospirò, scribacchiando qualcosa sulla cartellina che teneva fra le mani, “sei dei nostri,” annunciò infine, richiamando gli altri giocatori per reclutarne e confermarne alcuni. James sgranò gli occhi e un sorriso orgoglioso gli si dipinse in viso, mentre Gudgeon annunciava altri compagni di squadra.
James si voltò verso i suoi amici e alzò un pollice, accanto a un sorriso smagliante che non nascondeva un pizzico più che abbondante d’orgoglio. Udì distintamente Sirius fischiare di nuovo e toccare veloce la spalla di Remus. Il ragazzo si alzò di malavoglia, già sorridendo e, fece scivolare due dita in bocca, fischiando fortissimo. Vide Sirius sgranare gli occhi e voltarsi verso di lui, probabilmente chiedendogli come diavolo avesse fatto.
“Allenamenti ogni sabato mattina, più qualche straordinario quando ci avviciniamo alle partite. Confido in voi, ragazzi. Mi dispiace per tutti gli altri, spero avrete modo di rifarvi i prossimi anni,” concluse il capitano, congedando tutti e recandosi affaccendato negli spogliatoi.
 
“Sei stato fantastico!” gridò Peter, andando incontro a James, quando finalmente uscì dagli spogliatoi per tornare al castello con i suoi amici.
“Che ti avevo detto, Pete?” scherzò il ragazzo, alzando un sopracciglio e ringraziando anche Remus per i complimenti.
“Ehi, James,” Sirius lo intercettò e gli poggiò disinvolto un braccio sulle spalle, “non mi hai detto di essere nato con la scopa in cu…”
“Davvero divertente,” lo interruppe il ragazzo, “un amico di mio padre mi ha regalato una scopa, quando ero piccolo, diceva che è importante arrivare a scuola pronti,” spiegò semplicemente, scrollando le spalle, “avevo un anno.”
Sirius si bloccò sul posto, costringendo James a fare lo stesso, poi scoppiò a ridere. “Scusa, ma che…” si ritrovò a interrompere la frase a metà, tenendosi la pancia dalle risate. Peter non resse e si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, scoppiando anche lui a ridere un attimo dopo, “non riesco a immaginarti.”
“Cosa?” James lasciò vagare confuso lo sguardo da Sirius a Peter, non riuscendo a contenere un sorriso. “Guardate che non c’è niente di strano a… Remus?” James cercò conforto sul viso del suo amico, che alzò entrambe le mani come a difendersi.
“Ecco, c’è da dire che è un po’ strano, James, tutto qua,” commentò infine, mordendosi un labbro per non ridere quando Sirius gli si scaraventò praticamente addosso mentre rideva. Doveva essere esagerato in tutto quello che faceva?
Remus però non vacillò affatto.
“Ma che c’è di strano?” domandò James, allargando le braccia e costringendo gli altri a riprendere il cammino verso il castello, “no, davvero, spiegatemi cosa…” James si interruppe e alzò la testa come a pregare il cielo, poi si voltò a guardare Sirius. “E tu la finisci?”
“James Potter,” pronunciò il ragazzo, facendosi improvvisamente serio e tornando a cingergli le spalle con un braccio. Si batté la mano libera sul petto, prima di riprendere a parlare: “giuro solennemente che, se mai ti verrà in mente di riprodurti, ahinoi, la prima cosa che farò sarà regalare una scopa a quella povera creatura,” concluse e Peter e Remus risero forte.
James alzò gli occhi al cielo, ma ridacchiò. “Grazie dell’avvertimento, adesso, se vossignoria vuole scusarmi,” Sirius grugnì, ma lui continuò: “vorrei proprio tornare al dormitorio, perché quello scherzo non si penserà da solo.”
 
***
 
“No,” Remus si bloccò al centro della stanza, voltandosi a guardare James e Sirius, che avevano appena varcato la soglia del dormitorio. Peter li fissò sconvolto, alzandosi a sedere sul letto, “ci prendete in giro, vero?”
I nuovi arrivati scossero il capo sconsolati. James si passò una mano tra i capelli e inspirò profondamente. “Ascoltate, potete trovarli voi, dobbiamo solo…”
“Dovevamo essere in quattro per non destare sospetti!” si lamentò Peter, lasciandosi cadere a peso morto sul materasso e sospirando avvilito.
“Come avete fatto?” domandò Remus, grugnendo appena e camminando avanti e indietro per il dormitorio.
Sirius alzò un sopracciglio e inclinò il viso di lato. “Ti sei preso a cuore la questione dell'associazione a delinquere.” Remus si limitò a fissarlo per qualche secondo, senza fiatare e Sirius sospirò. “È impossibile avere occhi ovunque, questo castello è dannatamente complicato e quella gatta è odiosa.”
“Vi siete fatti beccare da Gazza?” Peter si rialzò a sedere solo per alzare entrambe le sopracciglia, sconcertato.
“No, ma sono esplose davanti alla professoressa McGranitt,” spiegò James, alludendo alle loro bombette rudimentali, “che abbiamo incontrato mentre scappavamo… da Gazza.”
“Una settimana di detenzione e niente Hogsmeade, ma lascia fare gli allenamenti a James perché è più competitiva di un’aquila.”
“Le aquile sono competitive?” domandò Peter, ma Sirius lo ignorò. 
“Remus,” parlò invece, afferrandolo per le spalle. Lupin si guardò attorno e lasciò cadere lo sguardo su James, che si trattenne dal ridere con un rumore strozzato. Remus riabbassò lo sguardo su Sirius, trovando incredibilmente difficile mantenere una faccia seria. Annuì, prendendolo chiaramente in giro. “Io ripongo tutte le mie speranze in te,”
“Scusami?” Peter si rialzò per la terza volta a sedere e Sirius lanciò un veloce incantesimo in direzione del ragazzo, senza staccare gli occhi da Remus.
Peter cadde rovinosamente a terra. “Ehi!”, si lamentò e James corse in suo soccorso, non riuscendo comunque a trattenere le risate.
“E ovviamente anche su me e James, visto che troveremo sicuro un modo per venire lo stesso,” buttò lì Sirius, lasciando finalmente il suo amico e dirigendosi disinvolto al suo letto.
“Che cosa?” Peter si rialzò da terra, senza accettare la mano di James, perché era troppo molle per il ridere.
“Che ti aspettavi, che ce ne saremmo rimasti con le mani in mano? Qualcuno di voi conosce un passaggio?” domandò James, riprendendosi e dirigendosi anche lui verso il suo letto.
I ragazzi si scambiarono qualche sguardo veloce, Remus fu il primo ad abbassarlo, vagamente a disagio. Sirius corrugò le sopracciglia e lo studiò per qualche secondo. “Be’, abbiamo sette anni per scoprirli tutti,” disse, non nascondendo un’occhiata più intensa in direzione di Remus.
Sirius tirò le tende del suo letto, mormorando qualche buonanotte assonnato e, lentamente, tutti andarono a dormire.
 
***
 
“Devi stare attento,” sussurrò Sirius, buttando un occhio alla fiala su cui stava lavorando James.
Il ragazzo aveva il viso all’altezza dell’orlo, la cravatta alzata su una spalla perché non lo intralciasse e spostava di tanto in tanto gli occhiali avanti e indietro sul naso come se vedere bene la fiala e poi vederla sfocata potesse dare un senso di completezza al tutto. Sirius si sporse con la testa un po’ più verso di lui e James interruppe il suo lavoro lasciando il braccio a mezz’aria e alzando la testa per guardare il suo amico, un sopracciglio alzato e gli occhi ridotti a una fessura. “Ti devi tagliare i capelli, amico, stanno iniziando a crescere troppo,” constatò, levandosi di dosso la massa nera che rischiava di soffocarlo.
“A me piacciono,” replicò semplicemente Sirius, con una scrollata di spalle. James alzò un sopracciglio, poco d’accordo, ma tornò sulla sua fiala.
“Devi stare attento,” ribadì Sirius, tornando a fissare l’orlo della pozione con gli occhi spalancati, mentre James lasciava cadere una goccia. “Devi stare…”
Sirius!
“Scusa, scusa,” si difese il ragazzo, alzando le mani, “volevo solo assicurarmi che non facessi un disastro.”
“Lo farò, se continui a starmi appiccicato, dannazione,” James versò due gocce di un composto scuro e denso nella soluzione che aveva preparato.
“A che state?” Remus spuntò proprio in quel momento dietro di loro, poggiando le mani sulle spalle di Sirius e facendolo non solo sobbalzare, ma anche cascare appena in avanti, addosso a James, che perse la presa sulla fiala e la fece cadere sul pavimento del dormitorio. Questa si spaccò, riversando il liquido scuro sul parquet.
James non disse una parola, si girò soltanto con il viso verso Sirius, fissò un punto imprecisato della stanza e poi piantò gli occhi nei suoi, mordendosi la lingua.
“Mi ha spaventato,” si difese il ragazzo, umettandosi le labbra e raccogliendo un paio delle sue fiale. “Niente paura,” lo rassicurò poi, raccattando un po’ delle erbe che avevano disseminato per la stanza e scippando la sostanza scura dalle mani di James. Appoggiò tutto sull’unico angolo ancora libero del suo comodino, inspirò profondamente, si liberò della cravatta con uno strattone e tirò indietro qualche ciuffo ribelle che gli ricadeva sulla fronte.
“Perché lo deve fare in bilico?” chiese Remus in quella che era più una constatazione rassegnata che una domanda. Alzò un sopracciglio a quella visione buffa ma anche… elegante, in un certo senso.
James lo fissava a braccia conserte, un cipiglio che gridava ‘non ce la farà e potrò prendermela con lui’ da tutti i pori.
Con somma sorpresa di James e Remus – e anche un po’ dello stesso Sirius – ce la fece eccome, versando il composto nero tutto in un solo colpo, il che fece rizzare i capelli della nuca di James.
“A voi,” annunciò Sirius, porgendo la fiala all’amico come se avesse appena vinto alla lotteria dei maghi.
James gliela strappò di mano, sotto il suo ghigno vittorioso, e la esaminò con cura, per poi passarla a Remus per un secondo parere. Ci mise solo un attimo a trasformare quel cipiglio in un ghigno d’intesa che si abbinava perfettamente a quello di Sirius.
“Perfetto,” commentò Remus, un angolo della bocca alzato in un sorriso, mentre Sirius e James si davano il cinque.
In effetti era impressionante. 
 
***
 
“Ci siamo,” Peter si guardava attorno come un animale in gabbia, convinto che tutte le persone che, per puro caso, posavano lo sguardo su di lui fossero assolutamente e innegabilmente a conoscenza di quello che stavano combinando. La notte di Halloween non era mai stata così terrificante.
“Pete, così ti viene un infarto prima ancora che iniziamo,” considerò Sirius, alzando un sopracciglio confuso e costringendo il ragazzo a guardarlo.
“Pare che Silente voglia far ballare degli scheletri,” li informò Remus, addentando un pezzo di carne con un po’ troppa irruenza.
“È buona?” gli domandò Sirius, alzando un angolo della bocca divertito e indicando la carne con un cenno del capo. Era felice che quel ragazzino dall’aspetto così malato avesse finalmente un po’ di fame.
Remus scrollò le spalle. “Troppo cotta,” esalò, prima di sgranare gli occhi e fissare Sirius per qualche secondo, come colpito da un fulmine. Si riscosse un attimo dopo, però, ma l’amico aveva già aggrottato la fronte.
“Be’, lo dice ogni anno, pare, ma nessuno li ha mai visti ballare,” si intromise James, che non aveva affatto notato il modo in cui Sirius lo stava guardando.
“Non lo sapremo mai,” si aggiunse Peter, il cipiglio nervoso ormai disteso e rimpiazzato dall’eccitazione per quello che stavano per fare.
“Ben detto!” James diede una pacca ben assestata sulla spalla di Peter. “Procediamo?” domandò poi, accennando con lo sguardo ai pipistrelli che volavano per la Sala Grande e le zucche che ne adornavano il soffitto.
I tre ragazzi annuirono, un sorriso impaziente illuminò gli occhi di Sirius.
“Altri dieci anni così!” brindò James, senza alcun bicchiere, levando la sua bacchetta per prima e aspettando che i suoi amici lo imitassero.
Con un colpo sincronizzato delle loro bacchette e un incantesimo sussurrato da quattro voci contemporaneamente, la Sala Grande piombò nel buio, le lanterne di zucche intagliate si spensero e solo le candele laterali della Sala rimasero accese. Un brusio concitato prese a diffondersi nella stanza, aumentando di volume di secondo in secondo.
Prima che qualunque professore potesse prendere la situazione in mano e limitarsi semplicemente ad agitare la bacchetta e riaccendere le luci, un fruscio nell’aria, ai lati delle candele, attirò l’attenzione di tutti.
Le loro fiamme rosse e vibranti si tinsero di un blu acceso e tremolarono a ritmo di un insolito spostamento d’aria. La Sala Grande piombò nel silenzio e gli occhi di tutti si concentrarono ai lati della stanza, dove le fiamme danzavano sulle note di una musica muta.
Dopo qualche secondo di silenzioso stupore, le luci delle zucche si riaccesero una ad una e il cibo sui tavoli della cena fu rimpiazzato dalle più famose leccornie di Mielandia.
La professoressa McGranitt ne raccolse una e lesse, a caratteri quasi illeggibili: ‘Per Minnie, uno speciale’.
Mentre le mani di tutti si protendevano ad afferrare i dolci, un fumo verde si sprigionò nella stanza con uno scoppio, facendo annegare la Sala Grande in una nube densa e che sapeva di polvere da sparo.
“Cos’è successo?” domandò una ragazza bruna, non troppo lontana da loro.
Quando la nube verde si diradò, l’intera Sala Grande risultò ricoperta di striscioni rossi e oro, con particolare attenzione al tavolo dei Serpeverde, dove il legno del ripiano era praticamente invisibile e le teste dei ragazzi spuntavano appena da sotto i festoni, tra ringhi e grida di rabbia. Il resto della stanza eruppe di risate e apprezzamenti, mentre un’unica domanda si faceva strada nella folla.
“Qualcuno ha visto chi è stato?”
“Dove sono i Prewett?”
“Lupin, la storia che la luce cambia colore quando passano i fantasmi è geniale!” gridò esaltato Sirius, sorridendo a Ser Nicholas, che si inchinò a loro a qualche metro di distanza. 
“Ho solo studiato,” si limitò a rispondere Remus, stringendosi nelle spalle, “modificare i dolci con quell’esplosivo è stato davvero geniale,” ribatté il ragazzo, suo malgrado, con un'occhiata a Sirius e James.
Minerva McGranitt aveva a quel punto una morbida sciarpa Grifondoro arrotolata al collo e Sirius, che a stento riusciva a trattenere le risate, alzò un pollice e le fece l’occhiolino dal suo posto al tavolo.
 
“Questi ragazzi ci faranno penare,” pronunciò la professoressa, sporgendosi verso il preside della scuola.
“Pare che neanche quest’anno farò ballare gli scheletri,” Silente sorrise enigmatico e la McGranitt sospirò, già esasperata. Si puntò la bacchetta al collo e, amplificando la voce, esclamò: “Black, Lupin, Minus e Potter, siete in detenzione per una settimana.”
E, a dirla tutta, quel genere di fama era l’unica cosa che gli mancava.
 
***
 
Novembre, 1981
 
L’irrequietezza era una delle parti peggiori.
Parlare di ossa che si rompono, visione che cambia e percezioni che si distorcono era sempre stato facile, fin troppo. Chiunque avrebbe potuto capire, immaginare il dolore e comprenderne l’angoscia.
Ma l’irrequietezza era inspiegabile, subdola.
Si insinuava strisciando sotto la pelle, artigliando la nuca e strattonando. Gli solleticava il collo, scendendo lungo la spina dorsale e gli gelava le vertebre, costringendolo a muoversi sulla sedia ogni cinque secondi e a non riuscire a tenere gli occhi fissi su qualcosa per più di un attimo.
Alle volte tremava fortissimo, perché la tensione si accumulava nei muscoli e sentiva il bisogno irrefrenabile di muoverli tutti insieme per scrollarsela di dosso. In quei momenti aveva una voglia immensa di strapparsi la pelle dalle ossa, di essere chiunque ma non se stesso. In quei momenti non vedeva l’ora che finisse.
L’irrequietezza era la peggiore.
Durava giorni interi, notti intere, lo teneva sveglio, lo faceva sudare; i sensi all’erta, le orecchie tese per captare anche il più lieve tubo che perde.
Nei momenti prima della trasformazione si acuiva, lo stracciava, lo stravolgeva. Quasi non vedeva l’ora di perdere la concezione del tempo, dello spazio. Quasi bramava il momento in cui avrebbe finalmente smesso di pensare, di essere lui.
Quella notte lo desiderò più di ogni altra.
Si voltò di scatto, come per abitudine, e la stanza gli restituì solo il buio. Un ricordo malfermo gli si appese al cervello, ricordandogli che non aveva nessuno verso cui girarsi, per quella notte e per tutte le altre a venire. Deglutì e, prima che l’amarezza e il senso d’abbandono lo sommergessero, un dolore bianco gli trafisse la testa, passando per le tempie e facendogli trattenere il fiato.
Percepì le ossa spezzarsi e a stento ne sentì il rumore, mentre qualcosa, dall’interno, gli stringeva lo stomaco e lo costringeva a piegarsi in due dal dolore. L’intestino sembrava volerlo stritolare e sentiva il sangue pulsava tra le tempie come a volergli far esplodere gli occhi. Un formicolio alle gambe lo fece inginocchiare e una sola, inedita, fitta al petto gli spense il cervello.
Al centro della stanza dalle assi di legno graffiate c’era adesso un lupo.
L’animale alzò di scatto il collo, lo puntò al soffitto e liberò un solo straziante ululato.
Non c’era più nessuno a tenergli compagnia.
Tra le grezze emozioni disumane risplendeva pressante la solitudine e la bestia ne ebbe... paura.





 
NotediElCiao. Avvertimento lampo: settimana prossima aggiorno lunedì se sono felice, martedì se lunedì piango, sorry, ma almeno è lunghissimo, quindi mi faccio perdonare.
Bene. Ora revisiono per l'ultima volta, così mi ricordo pure che devo scrivere nelle note (non solo sono disorganizzata, ma rivelo anche i miei segreti, wow).
Sono felice di avervi avvertiti nello scorso capitolo su Peter, perché adesso che avete letto la prima parte possiamo metterci l'anima in pace. Spero che qualcuno non mi venga a cercare dopo questa cosa.
Ah, allora, due cose. Volevo davvero che James entrasse nella squadra al primo anno, lo trovavo carino da confrontare con Harry. La disputa sul ruolo di James nel quidditch è più accesa che mai anche oggi: alcuni dicono fosse Cercatore, altri Cacciatore. Qui è Cacciatore e pace, così Harry mantiene il suo primato speciale di primino cercatore e siamo tutti più felici. L'amico di suo padre che gli ha regalato la scopa a un anno è un mio guilty pleasure, Sirius si è tatuato quella promessa nel sangue e :))
Gudgeon è un vero personaggio di quel tempo, ma ovviamente non si sa niente di lui, è stato divertente dargli una personalità.
Ah, pare che James abbia messo gli occhiali al quinto anno. Non mi interessa, sono il suo simbolo e nessuno glieli toglierà. Già è difficile scrivere le sue battute senza "mate", "bloody" e "git" ogni volta che apre bocca, concedetemelo.
Remus ha undici anni e non riesce a capire che quando pensa "elegante" intende "bello" AH-AH-AH, poraccio.
Mi ha fatto molto ridere che la notte di Halloween del 1971 James abbia detto "altri dieci anni così" ahahahah (mi sentite piangere? Si è capito che non sto ridendo? Ok).
Niente, una cascata di grazie per aver letto, davvero <3
Adieu,

El.
 
   
 
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