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Autore: Le_FF_di_Max_Casagrande    11/07/2020    0 recensioni
Quando Kageyama e Hinata sono al secondo anno un nuovo studente si presenta al club di pallavolo. È alto quasi due metri e più possente di una montagna. Mette subito sotto pressione il prof Takeda, che cerca di indagare su una terribile voce che gli aleggia attorno. Una voce che potrebbe fargli lasciare la scuola e costringerlo in prigione.
Riusciranno con questo nuovo giocatore a vincere le nazionali?
NdA: La storia contiene spoiler per chi non ha finito il manga
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bella maghi,
volevo solo dirvi che ho finito di leggere il manga (per necessità, visto che questa FF è ambientata dopo tali eventi). Nel caso non si fosse ancora capito: la storia è ambientata al secondo anno di Hinata e Kageyama, quindi se non avete letto il manga potreste incorrene in spoiler.
Buona lettura ^^

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Capitolo 2: Accuse

 

«Non credi che sia arrivato il momento di darti una calmata?!» gli chiese Ukai mentre veniva trascinato dal professor Takeda dentro la sala insegnanti. Non c'era nessuno, per sua fortuna. Il professore aveva smesso di essere calmo e pacato e sorridente non appena avevano imboccato il corridoio, cominciando invece a trascinarlo con una forza che di certo non si aspettava da lui.

«Hai visto quello che ho visto io? Il pallone è esploso!».

«Certo che l'ho visto, sarebbe stato difficile fare il contrario, ma mi spieghi che ti prende? Non è da te comportarti così».

«Come fai a essere così tranquillo?».

«È solo un ragazzo con molti muscoli e capace a usarli, quale dovrebbe essere il problema?».

«Quella palla è esplosa» sottolineò Takeda. «Mai, nella storia della pallavolo, un pallone era esploso in seguito a una battuta».

Ukai incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, fissando il professore con uno sguardo di incomprensione. «Se fosse stato Yamaguchi ad avere una battuta così potente la tua reazione non sarebbe stata questa».

Per un brevissimo istante al professore venne in mente l'idea di mentire, dicendo che invece sarebbe proprio stata quella. Sapeva, tuttavia, che non era la verità. Probabilmente avrebbe spalancato occhi e bocca per lo stupore e avrebbe sorriso di fronte tanta forza, ma non si sarebbe ritirato in disparte con l'allenatore. Non avrebbe chiesto a Kei di ripresentarsi con la domanda ufficiale per iscriversi al club come scusa per mandarlo via e non avrebbe chiesto alla squadra di fare riscaldamento da sola fino a quando non fossero tornati. Dopo un respiro profondo, rispose.

«Il preside ha detto che quel ragazzo ha delle accuse legali molto gravi sulle spalle» spiegò. «Per chissà quale motivo, noi professori non possiamo saperle».

«Hai provato a chiedergliele?».

La prontezza con cui Ukai gli fece quella domanda lo colse del tutto impreparato. «Come?».

«Sì, sai, “che tipo di accusa?” Oppure “Sei innocente, vero?”».

«Mi spieghi come potrei anche solo cominciare una conversazione per arrivare a queste domande?».

L'allenatore tirò un sorriso e gettò fuori l'aria in un sospiro, guardandolo dall'alto al basso con una mano sul fianco. Non aveva visto il professore così spaventato, ma non credeva sarebbe potuto succedere di nuovo. «Sei tu il professore» disse Ukai con ovvietà. «Sei tu quello che ha sempre trovato le parole giuste e questa è solo una domanda. Secondo me non ti metterà neanche in difficoltà».

 

Il professor Takeda aveva passato il resto del pomeriggio in sala insegnanti a sbrigare un sacco di faccende da professore con l'unico scopo di distrarsi mentre il coach Ukai era tornato al club per mandare avanti l'allenamento. Si vergognava di quell'attacco di panico avuto qualche ora prima che ormai gli sembrava appartenere a un'altra vita, a un'altra persona. Camminava pensieroso e guardingo, leggendo dal foglio di carta pieno di appunti che aveva in mano ogni volta che si trovava a un incrocio. La sua mente era però distante, pensosa su chissà quali parole avrebbe dovuto usare. Pensò che la cosa migliore sarebbe stata improvvisare come sempre.

La casa degli Ikeda aveva due piani e si trovava a pochi chilometri dalla scuola, ultimo edificio della via di fronte l'ultimo lampione prima che la strada continuasse tra gli alberi e il buio. C'era un piccolo fiume che passava sotto la strada e quella sera gli diede un senso di tranquillità.

Deglutì, poi percorse il vialetto e, arrivato sul portico, bussò alla porta.

«Vado io» gridò una voce giovane, molto più allegra di quella Kei, molto meno profonda. Ad aprire fu un giovane sulla decina d'anni, alto poco meno del professore; se avesse avuto il doppio dei muscoli, quaranta centimetri in più e i capelli neri un po' più lunghi sarebbe stato la copia spiccicata di Kei. «Buonasera».

«Ciao», gli sorrise, «sono il professor Takeda, insegno nella scuola di Kei. C'è tuo fratello?».

«Sì, un secondo che lo chiamo».

«Chi è Go?» domandò Kei arrivando nel corridoio di fronte l'entrata. Vestiva con una tuta grigia e aveva i capelli sciolti in parte celati dal cappuccio. «Professore, buonasera». Si mise quasi sull'attenti raggiungendo il pianerottolo.

Takeda si accorse subito che teneva nella mano destra una bottiglia di Jack Daniel's vuota per metà e quando Kei si accorse che il wiskey era il bersaglio dello sguardo dell'uomo subito la mise in mano al fratello minore. «Chi l'ha aperta?».

«Non io» risposero i due all'unisono. «Valla a mettere a posto, per favore, poi controlla la cena» continuò Kei rivolgendosi al fratello.

Il giovane Go annuì, fece un inchino al professore e disse «lieto di averla conosciuta» prima di andare via verso il fondo del corridoio, poi si chiuse la porta alle spalle. Ci furono un paio di secondi trascorsi con entrambi che fissarono la porta chiusa e Kei sapeva di non poter cambiare discorso. «Mio padre» borbottò alla fine, «le accuse nei miei confronti, mia madre in ospedale... cerchiamo di fargli bere il meno possibile, così abbiamo la certezza che non esca e vada nei locali senza che qualcuno lo fermi».

Il professore annuì e quella nuova informazione non fece altro che farlo sentire in colpa per il comportamento avuto nei suoi confronti quel pomeriggio. «Si chiama Go, giusto?».

«Go. Fa ridere perché gli piacciono i giochi come lo shoji e il go. Quindi è “Go che gioca a go”». [Kei sta facendo un gioco di parole dai molti significati. Il primo è “giocare a go all'indietro”. N.d.A.]

Il professore annuì e ridacchiò poi anche Kei fece altrettanto. «Professore, se ho fatto qualcosa di sbagliato, mi scuso».

«Cosa ti fa pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato?».

«Se lei è venuto direttamente a casa mia dopo le lezioni significa che è grave» ragionò lui.

«Già, in effetti è tardi, ma non voglio prenderti molto tempo. Posso entrare?».

«Certo, sì...». Kei prese da un'anta un paio di pantofole e le lasciò sopra il gradino. «Posso offrirle qualcosa? Un po' d'acqua?».

«No, grazie».

«Andiamo nella mia stanza, al piano di sopra». Salirono le strette scale ed entrarono nella prima porta a sinistra. Kei la fece scorrere, lasciò entrare il professore e se la chiuse alle spalle.

«Anche papà lavora?».

«Sì, è un organizzatore di eventi» spiegò il ragazzo, piantonato sulla porta dall'emozione. Imbarazzo, probabilmente, stimò Takeda. Il futòn era ripiegato in un angolo, un piccolo tavolino al centro della stanza, un armadio incassato nel muro e una libreria che occupava parte della parete destra, quella opposta al letto. Alcuni libri, non entrando tra gli scaffali, erano lasciati a terra a formare piccole pile.

«Questi non sono in giapponese» notò il professore.

«Mia madre», fece una pausa, «io sono nato in Italia, mi sono trasferito qui quando ero piccolo, ma parlo bene entrambe le lingue». Takeda annuì, poi fece qualche passo verso la finestra guadagnando tempo per capire da dove cominciare. Scusa, oggi mi ha spaventato quando hai distrutto un pallone con una battuta, per quanto fosse sincera, non gli piaceva affatto come frase d'apertura. Arrivato alla finestra, sul lato del cornicione, la sua attenzione venne attirata da delle ammaccature nel legno. Erano solchi simili a tagli ed erano di un imprevisto colore blu scuro. «Scusi professore, ma perché è qui?».

«Noi professori siamo stati avvisati del tuo arrivo solo ieri. Non capitano spesso questo genere di trasferimenti e mai con così tanta riservatezza. Non so neanche che genere di accuse ti riguardino né perché ti siano state affibbiate o se siano fondate o meno».

«Il mio avvocato mi ha detto di non parlarne» spiegò Kei, poco più di un borbottio.

«Perché è bravo. Io però non possiedo né microfoni né videocamere nascoste» allargò le braccia come per invitarlo a perquisirlo ma il ragazzo non si mosse. Si mosse il labbro e si sfregò i palmi con le dita delle mani, sembrava non ricordasse come si chiude un pugno «Di conseguenza, se tu mi facessi un cenno con la testa e mi dicessi quali sono le accuse a tuo carico non solo non sarebbe una confessione, ma se io provassi a farla valere come tale potresti accusarmi tu per diffamazione». Gli sorrise, un sorriso ironico e divertito, ma Kei rimase immobile, lo sguardo piantato al pavimento.

«Non voglio...» borbottò il ragazzo.

«Perché?».

«Lei fraintenderebbe».

«Sono un professore, il mio lavoro consisterebbe nel non farlo».

Kei si schiarì la voce. «Non mi crede nessuno». Aveva lo sguardo piantato verso il basso.

«Vorrei farlo io».

Il silenzio che ne seguì sembrò toccare entrambi con mani invisibili, poi Kei alzò gli occhi sul professore, mosse la testa e gli disse due parole con un tono troppo vuoto per farlo restare tranquillo, colpendolo come un pugno in pieno petto. Una lacrima gli scese da un occhio, ma il suo viso non si mosse. Non un singhiozzo sfuggì alle sue labbra. Il suo respiro rimase regolare e gli occhi sul professore. Takeda, dal canto suo, rimase immobile a fissarlo con volto inespressivo.

«Be'... senza dubbio non me l'aspettavo...» commentò il professore. Il sorriso che mostrò al ragazzo era il suo, quello di sempre, ennesima riprova che adesso andava tutto bene. Non c'era più niente di strano, solo un ragazzo che aveva bisogno di sentirsi dire che tutto sarebbe andato bene. Un suo studente che non voleva più restare da solo.

Questa volta non avrebbero perso.

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Sono sempre alla ricerca di beta-reader per le mie FF, quindi se vi va fatevi avanti :D
Se vi è piaciuto il capitolo, lasciatemi una recensione qua sotto <3

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Grazie per aver letto fino a qua, ci si legge \(^o^)/

   
 
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