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Autore: Abby_da_Edoras    05/09/2020    4 recensioni
Questa storia nasce da un sogno che ho fatto e sinceramente non avrei mai creduto di tornare a scrivere in questo fandom, eppure... mai dire mai! Questa ff è il sequel della mia storia "Shadows and lights" (ma non è indispensabile averla letta): sono passati più di due anni dalla conquista di Napoli da parte del Re Carlo e dalle atroci esperienze del Principe Alfonso. Nel frattempo il Re è tornato in Francia, lasciando il Generale a guidare il Regno di Napoli in sua vece, ma all'inizio di questa storia il Generale è morto. Il Papa Borgia, allora, non perde l'occasione per ampliare i suoi domini e manda il figlio Juan come "protettore" del Principe Alfonso, perché sia lui a governare Napoli. Il rapporto tra Juan e Alfonso, però, evolverà in maniera inaspettata...
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori della serie TV The Borgias.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri, Juan Borgia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo dodicesimo: Masters of destiny

 

All of the things we've said and done
All of the things we have become
All of the things we've said and done
We've said and done, we've said and done

I am the dreamer
I roll the dice and I'm alive
My hands aren't tied

We are the dreamers
We roll the dice so we're alive
We'll always be
Masters of destiny!

(“Masters of destiny” – Delain)

 

Alfonso aveva inviato una lettera al Marchese Gonzaga, signore di Mantova, per invitarlo a trascorrere qualche giorno nel suo castello di Napoli. Voleva infatti parlare con lui a proposito della nuova alleanza che desiderava stipulare tra il Regno di Napoli e il Marchesato di Mantova, un’alleanza indipendente da quella che il Gonzaga aveva costituito con il Papa, l’Imperatore d’Asburgo, la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano contro Re Carlo. Il nobiluomo aveva accettato e, due settimane dopo, si trovava al cospetto di Alfonso, nella Sala del Trono. Il giovane aveva dato un banchetto per accogliere il signore di Mantova e, dopo la cena, lo aveva ricevuto privatamente.

Per il giovane Principe fu una strana sensazione ritrovarsi nuovamente in quella sala, seduto su quel trono, più di due anni dopo. Ricordava fin troppo bene come Re Carlo lo avesse costretto a fingersi il vero signore di Napoli davanti al Gonzaga, per ingannarlo e convincerlo a non fidarsi dei potenti che gli avevano proposto un’unione dei loro eserciti per scacciare i Francesi da Napoli. Allora era terrorizzato, aveva dovuto parlare al Marchese in presenza di Re Carlo e pesare ogni parola, perché il gentiluomo non sospettasse nulla e credesse a ciò che gli era stato ordinato di dire, sapendo che, se solo avesse fallito, il Re Francese lo avrebbe fatto riportare nella camera delle torture…*

Adesso, invece, lui era il legittimo sovrano di Napoli e avrebbe parlato con Francesco Gonzaga per ottenere la sua alleanza indipendentemente dagli altri Stati italici.

A volte Alfonso si chiedeva come fosse possibile che la sua vita fosse cambiata così tanto negli ultimi anni, da Principe ereditario a ostaggio dei Francesi fino a tornare sul trono che era suo di diritto. Si chiedeva se non fosse tutto un sogno…

“Vostra Maestà, è un grande onore per me essere vostro ospite e una grande gioia vedervi finalmente sul trono che vi spetta” disse con calore Francesco Gonzaga. “Ricordo che rimasi addolorato, due anni fa, di vedervi ostaggio di quel malvagio sovrano straniero, ma non potevo fare niente per voi. Voi stesso insistevate sul fatto che non eravate prigioniero e che, anzi, Re Carlo era il legittimo erede in quanto discendente degli Angioini… ma io sapevo che quella non era la verità.”

“Diciamo che lo era in parte” precisò Alfonso, desiderando dimenticare quella parentesi dolorosa e spaventosa della sua vita. “Purtroppo era vero che il Papa Borgia si era sempre rifiutato di dare l’investitura ufficiale a mio padre, Re Ferrante, mentre aveva incoronato Re Carlo allo scopo di farlo venire a Napoli dove già sapeva che infuriava la peste. Tutto il resto, com’è ovvio, non potevo dirvelo. Ma ora, per fortuna, è tutto passato e sono io a governare il Regno, a dispetto del Papa Borgia e dei Francesi!”

Il Gonzaga sorrise.

“Ed io ne sono molto lieto, Vostra Maestà. Adesso non siete più un ragazzo spaventato, ostaggio di stranieri brutali e selvaggi, siete un vero sovrano e sarà un onore, per me, stringere alleanza con voi. Eppure c’è ancora un dubbio che mi tormenta e desidererei porvi una domanda, se ciò non vi offende, Vostra Maestà” disse.

“Domandate pure, Vostra Grazia” acconsentì il Principe.

Il nobiluomo pareva a disagio.

“Ecco… ho notato che durante la cena al vostro fianco sedeva Juan Borgia, uno dei figli di Sua Santità. Lo avete presentato come Generale dell’esercito pontificio e avete detto che è stato proprio il Santo Padre a inviarlo a Napoli per mettervi sotto la protezione della famiglia Borgia, ma… avete anche detto che Sua Santità non vi ha mai riconosciuto come legittimo sovrano di Napoli. Se non avete fiducia nel Papa, come potete fidarvi di suo figlio?” chiese.

In effetti a volte se lo chiedeva anche lo stesso Alfonso. In quel momento, ad esempio, si rese conto che Juan non era nella Sala del Trono e, stranamente, non partecipava a quell’incontro così importante. Dov’era andato? Possibile che avesse volutamente evitato di parlare con Francesco Gonzaga sapendolo un avversario del padre?

“Avete ragione, Vostra Grazia” rispose il giovane Principe, cercando di sembrare convincente. “In effetti quando il Gonfaloniere Borgia è giunto a Napoli io non mi fidavo affatto di lui e temevo che volesse strapparmi il trono, per volere di suo padre. Nei mesi successivi, tuttavia, mi sono reso conto che non era questa la sua intenzione e che, anzi, lui sembrava volersi staccare dalle ambizioni paterne. E’ stato proprio lui, infatti, a consigliarmi di rinforzare l’esercito e di stipulare nuove alleanze indipendenti da quelle con il Papa. Credo anche che Sua Santità sia molto deluso dal figlio e che lo abbia mandato qui pensando che avrebbe fallito di nuovo…”

“Sono molto felice che le cose siano andate così, allora, Vostra Maestà” concluse il Gonzaga, soddisfatto. “Ora, se permettete, mi ritirerò per la notte. Magari domattina avrò occasione di parlare personalmente anche con il Gonfaloniere e potrò farmi un’opinione diversa di lui, constatare di persona quanto sia lontano dall’avidità del padre. Per me è inconcepibile che un Servo di Dio possa ordire simili trame… ma sicuramente Nostro Signore saprà come usare per il meglio anche le manovre del Papa Borgia.”

“Ne sono certo, Vostra Grazia. Buonanotte” rispose Alfonso con un sorriso. Ricordava che Francesco Gonzaga era un uomo devoto e pio e che già nel colloquio di due anni prima era rimasto sconvolto alla rivelazione delle ambizioni mondane del pontefice!

Il Marchese di Mantova si ritirò nell’ala del castello che Alfonso aveva fatto allestire per lui e per gli uomini del suo seguito, mentre il giovane Principe si avviò verso la sua camera. Continuava tuttavia a domandarsi che fine avesse fatto Juan e perché mai non avesse partecipato, come avrebbe dovuto, alla conversazione con il Gonzaga.

Ebbe ben presto la sua risposta.

Juan era nella sua stanza, ancora una volta a letto con Elena, la cortigiana amica di Madonna Flora. E, senza il minimo senso del pudore, aveva lasciato la porta quasi del tutto aperta, così che chiunque si trovasse a passare di là avrebbe visto e udito tutto ciò che accadeva in quella camera. Alfonso, che mai si sarebbe aspettato una cosa del genere, rimase impietrito.

Ma ciò che lo ferì di più, ciò che veramente lo colpì al cuore fino a straziarglielo, non fu tanto vedere Juan con la donna o sentire i loro gemiti, no… Fu la complicità che percepì tra loro, vederli ridere e scherzare mentre facevano sesso, come fossero stati una coppia di amanti.

“Dai, ripetimi ancora una volta cosa ha gridato il Duca Caldora, amore mio” disse Juan tra una risata e un ansito.

“Ha detto… ha detto Tu non sei più mio figlio, d’ora in poi se vorrai... se vorrai accompagnarti con questa… con questa…” cercò di rispondere Elena, ma non riuscì a finire la frase. Alfonso, con il volto livido e gli occhi pieni di rabbia e dolore, era entrato nella stanza sbattendo la porta con violenza.

“Vostra… Vostra Maestà…” balbettò la cortigiana, cercando di ricoprirsi alla meno peggio. “Io… io stavo solo…”

“Lo so benissimo cosa stavate facendo, Donna Elena, non sono né cieco né sordo, grazie a Dio” tagliò corto il Principe.

“Non è quello che può sembrare, Alfonso. Elena era venuta al castello per parlare con te…” provò a intervenire Juan, infilandosi una camicia e cercando di scendere dal letto per avvicinarsi al Principe. Ma il ragazzo indietreggiò, fulminandolo con un’occhiata.

Non gli interessavano le spiegazioni di Juan, non voleva nemmeno ascoltarlo. Era arrabbiato, certo, perché il giovane Borgia lo aveva preso in giro di nuovo e si era portato a letto quella cortigiana, ma questa volta era diverso. Sapeva che Juan frequentava quelle donne, che era dipendente dal sesso forse più che dall’oppio e dall’alcool, non gli piaceva ma pensava che, prima o poi, sarebbe riuscito ad accettarlo. No, non era quello il problema.

Il vero problema erano state le risate tra i due e la loro aria di scherzosa complicità.

Il vero problema era stato sentire Juan che diceva amore mio ad Elena.

Era stato questo a piantare una lama affilata e incandescente nel cuore del Principe.

“Vostra Maestà, ve lo giuro, non era mia intenzione…” stava dicendo Elena mentre si rivestiva. “Ero venuta per parlare con voi, il Duca Caldora ha sorpreso il figlio con Margherita e davanti a tutte noi ha urlato che non era più suo figlio, che lo diseredava e lo cacciava di casa. Io volevo avvertirvi subito perché… ma voi stavate ricevendo un nobiluomo e io…”

“Molto bene” la interruppe, gelido, il ragazzo. “Vi ringrazio di avermi avvertito con tanta tempestività. Vi farò scortare dalle mie guardie al palazzo di Madonna Flora e, nei prossimi giorni, manderò dei doni per ricompensarla di quanto sta facendo per me. In quanto a voi… beh, immagino che abbiate già ricevuto la vostra ricompensa, quindi non potrete prendere niente dei gioielli che invierò alle vostre amiche. Andate, ora.”

Elena, al colmo dell’imbarazzo, prese le sue cose e si affrettò a uscire dalla stanza. Sperava solo che Flora non le chiedesse niente… come avrebbe potuto giustificarsi dopo aver offeso così il Principe che loro dovevano servire? Flora avrebbe persino potuto cacciarla dal palazzo!

Juan e Alfonso rimasero soli nella stanza, ma il volto del Principe era talmente tempestoso che neanche lo spregiudicato Borgia ebbe il coraggio di avvicinarsi a lui come faceva di solito.

“Ma che cosa ti dice il cervello, se è lecito saperlo?” sibilò il ragazzo. “O forse non è con il cervello che ragioni? Non eri presente alla conversazione con Francesco Gonzaga, non c’eri mentre io parlavo con lui dell’importantissima alleanza da stipulare, puoi immaginare che cosa ha pensato di te il Marchese?”

“Alfonso, io… senti, volevo venire, ma poi è arrivata Elena all’improvviso, ha detto che era accaduta una cosa importantissima al palazzo di Madonna Flora e che dovevi esserne subito informato e così…”

“E così hai pensato bene di farti riferire questa cosa importantissima in privato, nella tua camera da letto. Oh, sì, capisco benissimo” lo interruppe Alfonso, sfoderando tutta la sua pungente ironia. “Tuttavia avresti potuto evitare di lasciare la porta praticamente aperta, non trovi? Volevi che l’intero castello vedesse e ascoltasse le vostre prodezze? Ti assicuro che, almeno per quanto mi riguarda, ne avrei fatto volentieri a meno. Tu e quella cortigiana siete diventati molto intimi, non è così? E non mi riferisco solo al sesso…”

“Cosa? Ma di che parli, Alfonso? E’ una cortigiana come le altre, lo sai che mi capita spesso di frequentare locande e bordelli, non sono un santo, credevo lo avessi capito!” tentò goffamente di giustificarsi Juan.

Ma Alfonso era implacabile.

“Certo, locande e bordelli. Ma questo è il castello del Re di Napoli, dunque non è né un bordello né una locanda. E, di grazia, sei solito scherzare e mostrarti amichevole con tutte le prostitute e le cortigiane che frequenti? Sei solito chiamarle tutte amore mio?”

Juan rimase spiazzato. A dirla tutta, lui non si era nemmeno accorto di quello che aveva detto a Elena e chissà se gli era mai capitato con qualche prostituta? Forse sì, chi poteva dirlo? In quei momenti di certo non stava a pesare le parole!

Però Alfonso lo aveva sentito e, a quanto pareva, era questo che lo aveva fatto soffrire. Più ancora del trovarlo di nuovo a letto con un’altra, erano state quelle parole e quel modo scherzoso di fare a spezzare il cuore al Principe, era per quello che si era sentito veramente tradito.

Come poteva fargli capire che per lui non significava un bel niente?

“Alfonso, sul serio?” replicò, cercando di minimizzare. “Pensi davvero che mi importi qualcosa di Elena? Non so nemmeno quello che posso averle o non averle detto, per me non è importante, ciò che conta è che il Duca Caldora ha diseredato suo figlio per averlo trovato con una cortigiana e quindi…”

“Sì, questa è una notizia interessante, perciò ho deciso di inviare dei doni a Madonna Flora e alle sue amiche come ricompensa per le informazioni” tagliò corto il Principe. “Ma vorrei sapere se ti rendi minimamente conto di che cosa abbiamo rischiato questa sera per colpa del tuo comportamento irresponsabile e volgare!”

Il tono di Alfonso era duro, severo. Somigliava spaventosamente a quello di suo padre quando lo rimproverava per i suoi fallimenti, e non era un caso: il giovane Principe aveva deciso di far soffrire Juan esattamente quanto aveva sofferto lui vedendolo così intimo e amichevole con la cortigiana.

“Francesco Gonzaga è un uomo onesto, integerrimo e timorato di Dio. Hai la minima idea di cosa avrebbe potuto fare se avesse scoperto che ospitiamo prostitute e cortigiane in questo castello per il tuo divertimento? Già non si fida di te… cosa pensi che avrebbe fatto se fosse stato lui, o uno del suo seguito, a passare di qui e a vedere e sentire tutto, visto che hai avuto anche la bella idea di tenere la porta aperta? L’alleanza che è così importante per questo Regno sarebbe andata a farsi benedire! Ma forse a te, in realtà, non importa niente del Regno di Napoli? Forse ha ragione il Marchese Gonzaga e io non dovrei fidarmi di te così come non mi fido della tua dannata famiglia?”

Fu la volta di Juan di rimanere impietrito. Si rese conto di quanto male avesse fatto ad Alfonso senza nemmeno accorgersene e di come avesse stupidamente messo a repentaglio l’alleanza con Mantova e la fiducia che il Principe aveva imparato a riporre in lui.

“Non è così, Alfonso, io… non ho nemmeno pensato che…”

“Già, è proprio questo il problema, tu non pensi. O, perlomeno, non pensi con il cervello ma con qualcos’altro” fece il Principe, lapidario. “Basta, per fortuna ho fatto in modo che il Marchese Gonzaga e il suo seguito fossero ospitati in un’altra ala del castello, altrimenti chissà… Molto bene, non abbiamo altro da dirci.”

Alfonso voltò le spalle a Juan e fece per uscire dalla stanza. Non lo fece nemmeno apposta, forse non se ne rese neppure conto, ma mentre lasciava la camera gli sfuggì un sospiro intriso di tristezza e malinconia.

“E’ proprio in momenti come questi che avrei tanto bisogno del Generale, del suo appoggio, del suo affetto e dei suoi consigli…” mormorò tra sé. Era una frecciata a Juan? Voleva colpirlo così come era successo a lui? No, Alfonso non era così malizioso, il suo era stato un vero attimo di rimpianto.

Ma Juan lo udì e non gli piacque per niente.

L’accenno al Generale gli fece tornare in mente il fatto che quell’uomo aveva avuto Alfonso tutto per sé per ben tre anni, che lo aveva stretto e baciato, che lo aveva tenuto nel letto e ci aveva fatto l’amore… e Alfonso era suo!

Forse solo in quel momento Juan capì veramente cosa significava la gelosia e quanto forte e straziante poteva essere quel sentimento che ti mordeva il cuore e ti tormentava con immagini e pensieri: Alfonso tra le braccia del Generale, Alfonso stretto a quell’uomo, Alfonso che si lasciava baciare e possedere da lui…

Eh no!

In due falcate Juan raggiunse il Principe prima che potesse uscire dalla sua stanza, lo afferrò, lo riportò dentro e chiuse la porta, poi lo sollevò e lo buttò sul letto, distendendosi su di lui e imprigionandolo.

“Il Generale? Pensi ancora a quel vecchio? Non hai bisogno di lui, non hai bisogno di nessun altro, tu hai me!” esclamò, preso dalla gelosia e dalla passione. Strappò i vestiti di dosso ad Alfonso e si sfilò la camicia che era l’unica cosa che indossava, poi iniziò a baciarlo profondamente per un tempo infinito, sentendo che avrebbe potuto divorare la sua bocca senza mai stancarsi del suo sapore. Intanto gli accarezzava tutto il corpo morbido e vellutato, lo toccava ovunque cercando di cancellare dal Principe qualsiasi traccia e ricordo del Generale. Voleva che Alfonso sentisse solo lui, voleva riempirlo del suo sapore, del suo odore, farlo suo in ogni fibra del suo essere. Si seppellì in lui e affondò nelle sue carni più intime fino a sentirlo fremere e sospirare sconvolto, si spinse in lui ancora, ancora e ancora, e intanto continuava a baciarlo e a parlargli sulla bocca.

“Devi dimenticare il Generale, tu non sei suo, tu sei solo mio” mormorava Juan tra gli ansiti. “Voglio che tu appartenga a me, a me soltanto, che senta solo me, che ami solo me…”

Alfonso era completamente travolto e sbigottito, non riusciva a capire come fossero giunti fino a quel punto e perché Juan lo stesse possedendo con tanta intensità e ardore. In realtà non capiva più nemmeno dove fosse e chi fosse, sentiva solo che il suo corpo non gli rispondeva più e seguiva istintivamente i movimenti del giovane Borgia, incendiandogli il sangue nelle vene e sopraffacendolo con ondate di piacere che non aveva mai nemmeno immaginato potessero esistere.

Dopo lunghe ore di amplessi infiniti durante i quali Juan non si stancò mai di conoscere ed esplorare tutto ciò che poteva del suo Principe, in una confusa sinfonia di gemiti e sospiri, finalmente i due raggiunsero insieme l’apice e Juan, con un ultimo rantolo, strinse più forte a sé Alfonso. Voleva che dormisse nel suo letto quella notte, non in quello che aveva diviso per tre anni con il Generale. Voleva che fosse suo anche nel sonno, così come lo era stato durante l’amore. Voleva essere tutto il suo mondo, la stessa aria che respirava.

“Non ti serve il Generale” gli ansimò all’orecchio, “lui di certo non ti faceva sentire così. Tu sei solo mio.”

E scivolò in un sonno ristoratore, tenendo sempre stretto a sé Alfonso.

Il Principe, dal canto suo, non aveva avuto tempo di comprendere o rielaborare niente e, disfatto e stremato, finì per addormentarsi abbandonato a Juan, proprio come il Borgia aveva voluto.

Non ricordava nemmeno più perché si fosse tanto arrabbiato con lui!

Fine capitolo dodicesimo

 

 

 

 

* La vicenda di un incontro precedente tra Alfonso e Francesco Gonzaga, ovviamente, è inventata da me, esattamente come questa, ed è raccontata nella mia ff “Shadows and lights”.

 

 

   
 
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