Capitolo dodicesimo: Masters of
destiny
All of the things we've said and done
All of the things we have become
All of the things we've said and done
We've said and done, we've said and done
I am the dreamer
I roll the dice and I'm alive
My hands aren't tied
We are the dreamers
We roll the dice so we're alive
We'll always be
Masters of destiny!
(“Masters of destiny” – Delain)
Alfonso aveva inviato
una lettera al Marchese Gonzaga, signore di Mantova, per invitarlo a
trascorrere qualche giorno nel suo castello di Napoli. Voleva infatti parlare
con lui a proposito della nuova alleanza che desiderava stipulare tra il Regno
di Napoli e il Marchesato di Mantova, un’alleanza indipendente da quella che il
Gonzaga aveva costituito con il Papa, l’Imperatore d’Asburgo, la Repubblica di
Venezia e il Ducato di Milano contro Re Carlo. Il nobiluomo aveva accettato e,
due settimane dopo, si trovava al cospetto di Alfonso, nella Sala del Trono. Il
giovane aveva dato un banchetto per accogliere il signore di Mantova e, dopo la
cena, lo aveva ricevuto privatamente.
Per il giovane
Principe fu una strana sensazione ritrovarsi nuovamente in quella sala, seduto
su quel trono, più di due anni dopo. Ricordava fin troppo bene come Re Carlo lo
avesse costretto a fingersi il vero signore di Napoli davanti al Gonzaga, per
ingannarlo e convincerlo a non fidarsi dei potenti che gli avevano proposto
un’unione dei loro eserciti per scacciare i Francesi da Napoli. Allora era
terrorizzato, aveva dovuto parlare al Marchese in presenza di Re Carlo e pesare
ogni parola, perché il gentiluomo non sospettasse nulla e credesse a ciò che
gli era stato ordinato di dire, sapendo che, se solo avesse fallito, il Re
Francese lo avrebbe fatto riportare nella camera delle torture…*
Adesso, invece, lui era
il legittimo sovrano di Napoli e avrebbe parlato con Francesco Gonzaga per
ottenere la sua alleanza indipendentemente dagli altri Stati italici.
A volte Alfonso si
chiedeva come fosse possibile che la sua vita fosse cambiata così tanto negli
ultimi anni, da Principe ereditario a ostaggio dei Francesi fino a tornare sul
trono che era suo di diritto. Si chiedeva se non fosse tutto un sogno…
“Vostra Maestà, è un
grande onore per me essere vostro ospite e una grande gioia vedervi finalmente
sul trono che vi spetta” disse con calore Francesco Gonzaga. “Ricordo che
rimasi addolorato, due anni fa, di vedervi ostaggio di quel malvagio sovrano
straniero, ma non potevo fare niente per voi. Voi stesso insistevate sul fatto
che non eravate prigioniero e che, anzi, Re Carlo era il legittimo erede in
quanto discendente degli Angioini… ma io sapevo che quella non era la verità.”
“Diciamo che lo era
in parte” precisò Alfonso, desiderando dimenticare quella parentesi dolorosa e
spaventosa della sua vita. “Purtroppo era vero che il Papa Borgia si era sempre
rifiutato di dare l’investitura ufficiale a mio padre, Re Ferrante, mentre
aveva incoronato Re Carlo allo scopo di farlo venire a Napoli dove già sapeva
che infuriava la peste. Tutto il resto, com’è ovvio, non potevo dirvelo. Ma
ora, per fortuna, è tutto passato e sono io a governare il Regno, a dispetto
del Papa Borgia e dei Francesi!”
Il Gonzaga sorrise.
“Ed io ne sono molto
lieto, Vostra Maestà. Adesso non siete più un ragazzo spaventato, ostaggio di
stranieri brutali e selvaggi, siete un vero sovrano e sarà un onore, per me,
stringere alleanza con voi. Eppure c’è ancora un dubbio che mi tormenta e
desidererei porvi una domanda, se ciò non vi offende, Vostra Maestà” disse.
“Domandate pure,
Vostra Grazia” acconsentì il Principe.
Il nobiluomo pareva a
disagio.
“Ecco… ho notato che
durante la cena al vostro fianco sedeva Juan Borgia, uno dei figli di Sua
Santità. Lo avete presentato come Generale dell’esercito pontificio e avete
detto che è stato proprio il Santo Padre a inviarlo a Napoli per mettervi sotto
la protezione della famiglia Borgia, ma… avete anche detto che Sua Santità non
vi ha mai riconosciuto come legittimo sovrano di Napoli. Se non avete fiducia
nel Papa, come potete fidarvi di suo figlio?” chiese.
In effetti a volte se
lo chiedeva anche lo stesso Alfonso. In quel momento, ad esempio, si rese conto
che Juan non era nella Sala del Trono e, stranamente, non partecipava a
quell’incontro così importante. Dov’era andato? Possibile che avesse
volutamente evitato di parlare con Francesco Gonzaga sapendolo un avversario
del padre?
“Avete ragione,
Vostra Grazia” rispose il giovane Principe, cercando di sembrare convincente.
“In effetti quando il Gonfaloniere Borgia è giunto a Napoli io non mi fidavo
affatto di lui e temevo che volesse strapparmi il trono, per volere di suo
padre. Nei mesi successivi, tuttavia, mi sono reso conto che non era questa la
sua intenzione e che, anzi, lui sembrava volersi staccare dalle ambizioni
paterne. E’ stato proprio lui, infatti, a consigliarmi di rinforzare l’esercito
e di stipulare nuove alleanze indipendenti da quelle con il Papa. Credo anche
che Sua Santità sia molto deluso dal figlio e che lo abbia mandato qui pensando
che avrebbe fallito di nuovo…”
“Sono molto felice
che le cose siano andate così, allora, Vostra Maestà” concluse il Gonzaga,
soddisfatto. “Ora, se permettete, mi ritirerò per la notte. Magari domattina
avrò occasione di parlare personalmente anche con il Gonfaloniere e potrò farmi
un’opinione diversa di lui, constatare di persona quanto sia lontano
dall’avidità del padre. Per me è inconcepibile che un Servo di Dio possa ordire
simili trame… ma sicuramente Nostro Signore saprà come usare per il meglio
anche le manovre del Papa Borgia.”
“Ne sono certo,
Vostra Grazia. Buonanotte” rispose Alfonso con un sorriso. Ricordava che
Francesco Gonzaga era un uomo devoto e pio e che già nel colloquio di due anni
prima era rimasto sconvolto alla rivelazione delle ambizioni mondane del
pontefice!
Il Marchese di
Mantova si ritirò nell’ala del castello che Alfonso aveva fatto allestire per
lui e per gli uomini del suo seguito, mentre il giovane Principe si avviò verso
la sua camera. Continuava tuttavia a domandarsi che fine avesse fatto Juan e
perché mai non avesse partecipato, come avrebbe dovuto, alla conversazione con
il Gonzaga.
Ebbe ben presto la
sua risposta.
Juan era nella sua
stanza, ancora una volta a letto con Elena, la cortigiana amica di Madonna
Flora. E, senza il minimo senso del pudore, aveva lasciato la porta quasi del
tutto aperta, così che chiunque si trovasse a passare di là avrebbe visto e
udito tutto ciò che accadeva in quella camera. Alfonso, che mai si sarebbe
aspettato una cosa del genere, rimase impietrito.
Ma ciò che lo ferì di
più, ciò che veramente lo colpì al cuore fino a straziarglielo, non fu tanto
vedere Juan con la donna o sentire i loro gemiti, no… Fu la complicità che
percepì tra loro, vederli ridere e scherzare mentre facevano sesso, come
fossero stati una coppia di amanti.
“Dai, ripetimi ancora
una volta cosa ha gridato il Duca Caldora, amore mio” disse Juan tra una risata
e un ansito.
“Ha detto… ha detto Tu non sei più mio figlio, d’ora in poi se
vorrai... se vorrai accompagnarti con questa… con questa…” cercò di
rispondere Elena, ma non riuscì a finire la frase. Alfonso, con il volto livido
e gli occhi pieni di rabbia e dolore, era entrato nella stanza sbattendo la
porta con violenza.
“Vostra… Vostra
Maestà…” balbettò la cortigiana, cercando di ricoprirsi alla meno peggio. “Io…
io stavo solo…”
“Lo so benissimo cosa
stavate facendo, Donna Elena, non sono né cieco né sordo, grazie a Dio” tagliò
corto il Principe.
“Non è quello che può
sembrare, Alfonso. Elena era venuta al castello per parlare con te…” provò a
intervenire Juan, infilandosi una camicia e cercando di scendere dal letto per
avvicinarsi al Principe. Ma il ragazzo indietreggiò, fulminandolo con un’occhiata.
Non gli interessavano
le spiegazioni di Juan, non voleva nemmeno ascoltarlo. Era arrabbiato, certo,
perché il giovane Borgia lo aveva preso in giro di nuovo e si era portato a
letto quella cortigiana, ma questa volta era diverso. Sapeva che Juan
frequentava quelle donne, che era dipendente dal sesso forse più che dall’oppio
e dall’alcool, non gli piaceva ma pensava che, prima o poi, sarebbe riuscito ad
accettarlo. No, non era quello il problema.
Il vero problema
erano state le risate tra i due e la loro aria di scherzosa complicità.
Il vero problema era
stato sentire Juan che diceva amore mio
ad Elena.
Era stato questo a
piantare una lama affilata e incandescente nel cuore del Principe.
“Vostra Maestà, ve lo
giuro, non era mia intenzione…” stava dicendo Elena mentre si rivestiva. “Ero
venuta per parlare con voi, il Duca Caldora ha sorpreso il figlio con
Margherita e davanti a tutte noi ha urlato che non era più suo figlio, che lo
diseredava e lo cacciava di casa. Io volevo avvertirvi subito perché… ma voi
stavate ricevendo un nobiluomo e io…”
“Molto bene” la
interruppe, gelido, il ragazzo. “Vi ringrazio di avermi avvertito con tanta
tempestività. Vi farò scortare dalle mie guardie al palazzo di Madonna Flora e,
nei prossimi giorni, manderò dei doni per ricompensarla di quanto sta facendo
per me. In quanto a voi… beh, immagino che abbiate già ricevuto la vostra ricompensa, quindi non potrete
prendere niente dei gioielli che invierò alle vostre amiche. Andate, ora.”
Elena, al colmo
dell’imbarazzo, prese le sue cose e si affrettò a uscire dalla stanza. Sperava
solo che Flora non le chiedesse niente… come avrebbe potuto giustificarsi dopo
aver offeso così il Principe che loro dovevano servire? Flora avrebbe persino
potuto cacciarla dal palazzo!
Juan e Alfonso
rimasero soli nella stanza, ma il volto del Principe era talmente tempestoso
che neanche lo spregiudicato Borgia ebbe il coraggio di avvicinarsi a lui come
faceva di solito.
“Ma che cosa ti dice
il cervello, se è lecito saperlo?” sibilò il ragazzo. “O forse non è con il
cervello che ragioni? Non eri presente alla conversazione con Francesco
Gonzaga, non c’eri mentre io parlavo con lui dell’importantissima alleanza da
stipulare, puoi immaginare che cosa ha pensato di te il Marchese?”
“Alfonso, io… senti,
volevo venire, ma poi è arrivata Elena all’improvviso, ha detto che era
accaduta una cosa importantissima al palazzo di Madonna Flora e che dovevi
esserne subito informato e così…”
“E così hai pensato
bene di farti riferire questa cosa
importantissima in privato, nella tua camera da letto. Oh, sì, capisco
benissimo” lo interruppe Alfonso, sfoderando tutta la sua pungente ironia.
“Tuttavia avresti potuto evitare di lasciare la porta praticamente aperta, non
trovi? Volevi che l’intero castello vedesse e ascoltasse le vostre prodezze? Ti assicuro che, almeno per
quanto mi riguarda, ne avrei fatto volentieri a meno. Tu e quella cortigiana
siete diventati molto intimi, non è così? E non mi riferisco solo al sesso…”
“Cosa? Ma di che
parli, Alfonso? E’ una cortigiana come le altre, lo sai che mi capita spesso di
frequentare locande e bordelli, non sono un santo, credevo lo avessi capito!”
tentò goffamente di giustificarsi Juan.
Ma Alfonso era
implacabile.
“Certo, locande e
bordelli. Ma questo è il castello del Re di Napoli, dunque non è né un bordello
né una locanda. E, di grazia, sei solito scherzare e mostrarti amichevole con
tutte le prostitute e le cortigiane che frequenti? Sei solito chiamarle tutte amore mio?”
Juan rimase
spiazzato. A dirla tutta, lui non si era nemmeno accorto di quello che aveva
detto a Elena e chissà se gli era mai capitato con qualche prostituta? Forse
sì, chi poteva dirlo? In quei momenti di certo non stava a pesare le parole!
Però Alfonso lo aveva
sentito e, a quanto pareva, era questo che lo aveva fatto soffrire. Più ancora
del trovarlo di nuovo a letto con un’altra, erano state quelle parole e quel
modo scherzoso di fare a spezzare il cuore al Principe, era per quello che si
era sentito veramente tradito.
Come poteva fargli
capire che per lui non significava un bel niente?
“Alfonso, sul serio?”
replicò, cercando di minimizzare. “Pensi davvero che mi importi qualcosa di
Elena? Non so nemmeno quello che posso averle o non averle detto, per me non è
importante, ciò che conta è che il Duca Caldora ha diseredato suo figlio per
averlo trovato con una cortigiana e quindi…”
“Sì, questa è una
notizia interessante, perciò ho deciso di inviare dei doni a Madonna Flora e
alle sue amiche come ricompensa per le informazioni” tagliò corto il Principe.
“Ma vorrei sapere se ti rendi minimamente conto di che cosa abbiamo rischiato
questa sera per colpa del tuo comportamento irresponsabile e volgare!”
Il tono di Alfonso
era duro, severo. Somigliava spaventosamente a quello di suo padre quando lo
rimproverava per i suoi fallimenti, e non era un caso: il giovane Principe
aveva deciso di far soffrire Juan esattamente quanto aveva sofferto lui
vedendolo così intimo e amichevole con la cortigiana.
“Francesco Gonzaga è
un uomo onesto, integerrimo e timorato di Dio. Hai la minima idea di cosa
avrebbe potuto fare se avesse scoperto che ospitiamo prostitute e cortigiane in
questo castello per il tuo divertimento?
Già non si fida di te… cosa pensi che avrebbe fatto se fosse stato lui, o uno
del suo seguito, a passare di qui e a vedere e sentire tutto, visto che hai
avuto anche la bella idea di tenere la porta aperta? L’alleanza che è così
importante per questo Regno sarebbe andata a farsi benedire! Ma forse a te, in
realtà, non importa niente del Regno di Napoli? Forse ha ragione il Marchese
Gonzaga e io non dovrei fidarmi di te così come non mi fido della tua dannata
famiglia?”
Fu la volta di Juan
di rimanere impietrito. Si rese conto di quanto male avesse fatto ad Alfonso
senza nemmeno accorgersene e di come avesse stupidamente messo a repentaglio
l’alleanza con Mantova e la fiducia che il Principe aveva imparato a riporre in
lui.
“Non è così, Alfonso,
io… non ho nemmeno pensato che…”
“Già, è proprio
questo il problema, tu non pensi. O, perlomeno, non pensi con il cervello ma
con qualcos’altro” fece il Principe,
lapidario. “Basta, per fortuna ho fatto in modo che il Marchese Gonzaga e il
suo seguito fossero ospitati in un’altra ala del castello, altrimenti chissà…
Molto bene, non abbiamo altro da dirci.”
Alfonso voltò le
spalle a Juan e fece per uscire dalla stanza. Non lo fece nemmeno apposta,
forse non se ne rese neppure conto, ma mentre lasciava la camera gli sfuggì un
sospiro intriso di tristezza e malinconia.
“E’ proprio in
momenti come questi che avrei tanto bisogno del Generale, del suo appoggio, del
suo affetto e dei suoi consigli…” mormorò tra sé. Era una frecciata a Juan?
Voleva colpirlo così come era successo a lui? No, Alfonso non era così
malizioso, il suo era stato un vero attimo di rimpianto.
Ma Juan lo udì e non
gli piacque per niente.
L’accenno al Generale
gli fece tornare in mente il fatto che quell’uomo aveva avuto Alfonso tutto per
sé per ben tre anni, che lo aveva stretto e baciato, che lo aveva tenuto nel
letto e ci aveva fatto l’amore… e Alfonso era suo!
Forse solo in quel
momento Juan capì veramente cosa significava la gelosia e quanto forte e
straziante poteva essere quel sentimento che ti mordeva il cuore e ti tormentava
con immagini e pensieri: Alfonso tra le braccia del Generale, Alfonso stretto a
quell’uomo, Alfonso che si lasciava baciare e possedere da lui…
Eh no!
In due falcate Juan
raggiunse il Principe prima che potesse uscire dalla sua stanza, lo afferrò, lo
riportò dentro e chiuse la porta, poi lo sollevò e lo buttò sul letto,
distendendosi su di lui e imprigionandolo.
“Il Generale? Pensi
ancora a quel vecchio? Non hai
bisogno di lui, non hai bisogno di nessun altro, tu hai me!” esclamò, preso dalla gelosia e dalla passione. Strappò i
vestiti di dosso ad Alfonso e si sfilò la camicia che era l’unica cosa che
indossava, poi iniziò a baciarlo profondamente per un tempo
infinito, sentendo che avrebbe potuto divorare la sua bocca senza mai stancarsi
del suo sapore. Intanto gli accarezzava tutto il corpo morbido e vellutato, lo
toccava ovunque cercando di cancellare dal Principe qualsiasi traccia e ricordo del
Generale. Voleva che Alfonso sentisse solo lui, voleva riempirlo del suo sapore,
del suo odore, farlo suo in ogni fibra del suo essere. Si seppellì in lui e
affondò nelle sue carni più intime fino a sentirlo fremere e sospirare
sconvolto, si spinse in lui ancora, ancora e ancora, e intanto continuava a
baciarlo e a parlargli sulla bocca.
“Devi dimenticare il Generale, tu non sei
suo, tu sei solo mio” mormorava Juan tra gli ansiti. “Voglio che tu appartenga
a me, a me soltanto, che senta solo me, che ami solo me…”
Alfonso era completamente travolto e
sbigottito, non riusciva a capire come fossero giunti fino a quel punto e
perché Juan lo stesse possedendo con tanta intensità e ardore. In realtà non
capiva più nemmeno dove fosse e chi fosse, sentiva solo che il suo corpo non
gli rispondeva più e seguiva istintivamente i movimenti del giovane Borgia, incendiandogli
il sangue nelle vene e sopraffacendolo con ondate di piacere che non aveva mai
nemmeno immaginato potessero esistere.
Dopo lunghe ore di amplessi infiniti
durante i quali Juan non si stancò mai di conoscere ed esplorare tutto ciò che
poteva del suo Principe, in una confusa sinfonia di gemiti e sospiri,
finalmente i due raggiunsero insieme l’apice e Juan, con un ultimo rantolo,
strinse più forte a sé Alfonso. Voleva che dormisse nel suo letto quella notte,
non in quello che aveva diviso per tre anni con il Generale. Voleva che fosse
suo anche nel sonno, così come lo era stato durante l’amore. Voleva essere
tutto il suo mondo, la stessa aria che respirava.
“Non ti serve il Generale” gli ansimò
all’orecchio, “lui di certo non ti faceva sentire così. Tu sei solo mio.”
E scivolò in un sonno ristoratore, tenendo
sempre stretto a sé Alfonso.
Il Principe, dal canto suo, non aveva
avuto tempo di comprendere o rielaborare niente e, disfatto e stremato, finì
per addormentarsi abbandonato a Juan, proprio come il Borgia aveva voluto.
Non ricordava nemmeno più perché si fosse
tanto arrabbiato con lui!
Fine
capitolo dodicesimo
* La vicenda di un incontro precedente tra
Alfonso e Francesco Gonzaga, ovviamente, è inventata da me, esattamente come
questa, ed è raccontata nella mia ff “Shadows and lights”.