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Autore: MaxB    21/09/2020    3 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehilà... ahem...
Non è il capitolo più lungo che abbia mai scritto... anzi... E non è nemmeno il migliore... anzi...
A dire il vero non era nemmeno preventivato ma è uscita questa cosa e l'ho lasciata. Non ho potuto allegare altre pagine perché quelle successive iniziano una specie di nuovo filone e non volevo interromperle a metà. Insomma, mi sono capita io, sappiate che spero di aggiornare la prossima volta. E in settimana spero anche di riuscire a pubblicare la prima parte del finale di Echi per come me lo immagino io. Poi dovrei anche iniziare a scrivere il prossimo capitolo di Into the deep... oh signore mi viene l'ansia.
Scusate davvero il ritardo, in tutte le storie. Però ci sono, farò del mio meglio scrivendo ogni volta che ho un minuto libero (che proprio scarseggiano ultimamente). Scusate ancora e grazie♥


Capitolo 19

Serena cominciò a chiacchierare a ruota libera dopo aver imparato a pronunciare i nomi dei genitori e del padrino. Fu poi il turno delle zie e della cuginetta, della madrina, dell’ambasciatore, con sommo fastidio di Thorn, e infine delle formule matematiche.
Quando cominciò a pronunciare i nomi di “Pitagoa”, “Lap-as” e “Lagiange”, la zia Roseline sputò il tè dalla tazzina.
- Per tutti i dizionari, ma sta parlando un’altra lingua?
Erano seduti in salotto, con Serena che guardava il papà con aria innocente, e la zia Roseline, Renard e Ofelia che li fissavano con gli occhi sgranati. Renard bevve un bicchierino di grappa senza che nessuno lo vedesse.
Thorn scoccò un’occhiata tagliente alla zia Roseline. – Sono i teoremi geometrici e aritmetici basilari, i nomi di alcuni matematici e qualche assioma.
Serena, nel silenzio che seguì la risposta di Thorn, snocciolò con voce da bimba e grande coraggio un dogma breve e incomprensibile che nessuno, tranne Thorn, distinse. Anzi, quest’ultimo la corresse quando sbagliò una parola, increspando la fronte.
La bimba batté le mani da sola e tornò a stropicciare innocentemente il giornale che Thorn aveva accanto, come se fosse tutto normale.
Ci mancava poco che la zia Roseline spalancasse la bocca. – I bambini a quest’età iniziano a ripetere parole, in effetti, a volte frasi, essendo ancora incapaci di formularne di proprie. Ma per tutte le teiere bollenti, ripetere a memoria intere teorie incomprensibili è fuori dal comune.
- Thorn gliele sciorina come se fossero ninne nanne da quando era neonata, zia – le spiegò Ofelia, come se la questione potesse essere spiegata in quel modo.
La zia scosse la testa, sorbendo il tè. – Vi ho visti crescere uno ad uno, te e i tuoi fratelli e sorelle, e nessuno ha mai ripetuto nulla. Non credo che foste più ottusi del normale, anche Vittoria non ha mai fatto nulla del genere.
La zia continuò a borbottare come una caffettiera piena, mentre Ofelia guardò il marito. Quando i loro occhi si incontrarono, capì che avevano pensato la stessa cosa.
- La tua memoria – disse infatti Ofelia.
- La mia memoria – ripeté contemporaneamente lui, arcigno.
- Cosa c’entra in questo momento? – bofonchiò la zia, che odiava non venire a capo di una questione.
- Il dono di Serena. Ha ereditato la memoria degli Storiografi – chiarì Ofelia, senza mai distogliere lo sguardo da Thorn.
Renard, che stava cercando di ricondurre all’ordine Salame, che se la prendeva con l’orlo dei suoi pantaloni, sgranò gli occhi. Era una strana novità che la figlia legittima dell’intendente del Polo avesse il dono del clan caduto ormai in rovina da decenni. Era curioso di vedere come si sarebbe evoluta la faccenda.
- Ma è troppo presto perché il potere familiare si manifesti! – esclamò la zia. – Non può essere così precoce, la bambina!
- La memoria degli Storiografi funziona diversamente – spiegò Thorn con voce gelida, più per chiarire la questione a sua moglie che alla zia Roseline. – Noi che ne siamo dotati ricordiamo ogni parola, ogni cosa che leggiamo, ogni singolo evento della nostra esistenza, fin da quando siamo in fasce. Io stesso ho ricordi di prima che il cervello di un bambino possa riuscire ad immagazzinare ricordi. Non è inusuale che Serena ripeta le frasi che io le ho spesso riferito.
Come per dimostrarlo, Serena alzò lo sguardo sulla mamma ed enunciò: - La lege di Kepelo pemette di caccoae…
- Santissimi spiriti di famiglia, la cosa è sbalorditiva! – esclamò la zia Roseline, mentre la sua mascella sembrava voler cadere dentro la tazza. Denti cavallini e lingua inclusa.
Ofelia sorrise, quasi con malinconia. – Per lo meno sai chi potrà prendere il tuo posto come intendente.
Thorn aggrottò le sopracciglia ma, invece di incassare il commento come una battuta a cui dare poca importanza o ribattere esponendo le varie leggi e procedure burocratiche secondo le quali non sarebbe mai stato possibile un simile scenario, restituì ad Ofelia uno sguardo serio.
- Date le circostanze, effettivamente Serena potrebbe essere designata come mio successore. In ogni caso, la carica di intendente non è ereditaria, bisogna studiare economia, finanza, matematica, tutti i tipi di diritto, politico, civile, penale, priv…
Ofelia ebbe un giramento di testa. – Ci credo che serve la tua memoria per svolgere il tuo incarico – lo interruppe, in parte ammirata e in parte terrorizzata.
- Aiuta – ammise Thorn con una piccola smorfia. – In ogni caso, non c’è mai stata una donna, nella storia del Polo, che abbia ricoperto una carica di questo tipo. Alle donne è precluso l’accesso a…
La faccia sbigottita e oltraggiata di Ofelia e della zia Roseline bloccò Thorn. La zia era diventata rossa dall’indignazione.
- Cosa c’è? – le incalzò, dopo un silenzio troppo lungo.
- In vita mia non ho mai sentito un discorso così misogino – esordì la zia, paonazza e scandalizzata. – Mi state dicendo che qui al Polo non ci sono donne che ricoprono ruoli d’importanza? In nessun ambito?
Thorn la guardò accigliandosi appena. – Sto dicendo che al Polo non ci sono donne che ricoprono qualsiasi tipo di ruolo. Svolgono lavori in casa, sono governanti, levatrici, massaie, o come dame di compagnia per qualche signora nobile e benestante. Ma sono solo le donne più povere e senza poteri a lavorare. La vostra amica Gaela è un’eccezione, ma alla fine anche lei era sotto la protezione di Madre Ildegarda, quindi al suo servizio.
Ofelia si sentì punta nell’orgoglio da quelle asserzioni, come se fossero attacchi diretti alla sua figura di donna invece che realistiche constatazioni.
- Quest’Arca è più matta della cugina Benedetta, che andava in giro millantando di essere una sirena e si buttava in qualsiasi fonte d’acqua trovasse. Una volta si è gettata anche nella mangiatoia degli asini, ricordi, Ofelia?
Ofelia non era sicura che la vicenda della strampalata zia di terzo grado Benedetta fosse pertinente in quel contesto, ma non poteva che dirsi d’accordo con la prima parte della frase della zia. Ormai viveva al Polo da parecchio tempo, abbastanza per non stupirsi più di fronte alle minacce di corte, agli intrighi politici e all’offerta di favori mai disinteressata, eppure non aveva ancora prestato attenzione al fatto che le donne non potessero assurgere a ruoli d’importanza politica o a lavori di un certo rilievo. Oltre a rendersi conto di quanto fosse ingiusta la cosa, capì anche quanto Thorn fosse andato controcorrente solo per accontentarla, permettendole, anzi, aprendo per lei lo studio di lettura.
- Ti piacerebbe se Serena prendesse il tuo posto all’intendenza? – domandò Ofelia di punto in bianco, scrutando il marito con insistenza.
Non riuscì ad interpretare il fremito che fece tremare le labbra di Thorn, i suoi occhi erano duri e l’espressione impassibile come se stessero discutendo del tempo.
- Non ha importanza ciò che piacerebbe a me, Serena sarà libera di scegliere cosa vuole fare.
- Ma se hai appena detto che nessuna donna… - intervenne la zia Roseline, prima di essere nuovamente interrotta da Thorn.
- Il fatto che questa sia la realtà dei fatti non significa che non possa essere cambiata. Ofelia ha il suo studio, o sbaglio? Uno studio di perizie e autenticazione, non un negozietto di verdura come quelli che ci sono nei quartieri più poveri della città, dove le donne sono costrette a lavorare perché i mariti sono degli ubriaconi che spendono tutto il salario in alcol. Anzi, alcuni non ce l’hanno nemmeno, un salario – disse Thorn con stizza malcelata. – Se mia figlia vorrà fare la mantenuta sarà libera di farlo. Per quanto io sia nato bastardo, ora sono stato riabilitato e Serena non dovrebbe faticare a trovare un partito benestante. Se invece vorrà fare carriera potrà rimboccarsi le maniche di sua spontanea volontà e cercare di ambire a qualche lavoro prestigioso. Con la sua memoria le sarà facile studiare e nessuna porta le sarà preclusa. I concorsi sono aperti e, per quanto nessuna donna ci provi, a partecipare, non c’è nessuna legge che lo vieti.
La zia Roseline era sorpresa dal lungo discorso di Thorn, Ofelia glielo vedeva in faccia. Solitamente con la zia Thorn scambiava solo qualche parola di circostanza a tavola, e solo se costretto. Era Ofelia quella con cui Thorn parlava sul serio, con cui scambiava idee, la cui opinione era importante e tenuta in considerazione. A giudicare dallo sguardo affilato del marito e dal modo in cui stava ripiegando il giornale accartocciato dalla figlia per alzarsi, infatti, dedusse che affrontare un discorso del genere con la zia come interlocutrice e Renard come ascoltatore non gli piacesse granché.
Thorn andò in camera per mettere a letto Serena e la zia Roseline si avviò verso la biblioteca per fare ricerche storiche circa l’emancipazione femminile lì al Polo. Ofelia sperò solo che non si addormentasse su un libro: l’indomani sarebbe stata dura sopportare le sue lamentele, se le si fosse bloccata la schiena. Lei diede una mano a sparecchiare, ma la domestica accorse subito per fermarla. Le vecchie abitudini erano dure a morire, e Ofelia era vissuta in una casa in cui i domestici erano animali, non persone che lavoravano per te dietro compenso. Una famiglia numerosa, oltretutto, in cui tutti dovevano dare il proprio contributo.
In ogni caso, decise di lasciar fare alla cameriera quando questa la guardò con occhi imploranti e terrorizzati insieme: temeva che Thorn tornasse e la vedesse con le mani in mano. Ofelia si accostò a Renard sospirando.
- Faccio ancora fatica ad abituarmi a questa gerarchia imposta.
- Io faccio fatica ad immaginarmi la vita che conducevate su Anima, invece. Dove tutti sono parenti, tutti hanno un lavoro, non ci sono distinzioni e si è tutti uguali e amici, pronti ad andare in soccorso del proprio vicino. Mi farebbe piacere farci un salto un giorno.
Ofelia gli sorrise. – Mi farebbe piacere portarvi con me, un giorno.
- Dite che il signor intendente vi permetterà di tornarci?
Ofelia aggrottò le sopracciglia. – Certo che me lo permetterà. Thorn non è dispotico, credo che se glielo chiedessi mi lascerebbe andare molto più spesso. L’importante è che torni – disse ridacchiando. In realtà, Thorn non le avrebbe mai e poi mai imposto qualcosa. Si ricordava bene di quando le aveva detto che sarebbe stata libera di tornare definitivamente su Anima, se avesse voluto. Ma la verità era che, anche se all’epoca l’idea di vivere al Polo non le piacesse per nulla, in quel momento allontanarsi dal fianco di Thorn era impensabile. Casa era ovunque loro due e Serena potessero rimanere insieme, e la cosa sarebbe andata avanti così ancora per lungo tempo. Almeno, era ciò che si augurava. Rise nuovamente. – Anzi, credo che Thorn coadiuverebbe volentieri un mio viaggio su Anima, se questo potesse risparmiargli la visita di qualche decina dei miei parenti qui.
Renard non poté non unirsi alla sua risata, convenendo che in effetti l’intendente era più lugubre del solito quando riceveva le visite degli Animisti. Poi diventò serio, per quanto la sua faccia buona e i suoi occhi gentili potessero apparire seri.
- Secondo voi l’intendente diceva sul serio? Non ci sono leggi che limitano il lavoro femminile al Polo?
Ofelia lo fissò per un lungo istante prima di rispondere, cercando di immaginare dove volesse andare a parare Renard con una simile domanda. – Thorn non è un bugiardo, e conosce tutte le più piccole e nascoste postille legislative. Sono fermamente convinta che abbia detto la verità. Come mai me lo chiedete?
Renard sembrava a disagio, il che, data la sua mole muscolosa e il fisico imponente, gli dava l’aria di un gigante goffo. – Vedi, ragazzo, vorrei tanto fare qualcosa per Gaela. So che il suo più grande desiderio sarebbe quello di affrancarsi da Chiardiluna e mettere su un’attività in proprio. Non lo dico perché sono di parte, ma lei è proprio brava nel suo lavoro. Non c’è macchinario che non sappia riparare. Solo che… una donna che fa il meccanico, con una propria attività…
Ofelia comprese la reticenza di Renard e, empatica com’era, sentì subito il desiderio di attivarsi per fare qualcosa.
- Ne parlerò con Thorn per vedere cosa si può fare, ti farò sapere il prima possibile, Renard.
Notando che il suo amico non sembrava comunque sollevato, anzi, era più imbarazzato di prima, gli posò una mano guantata sul braccio. – Grazie per avermene parlato. Gaela sarebbe perfetta per gestire un’officina.
Renard sembrò rilassarsi un pochino, ma poi fece una smorfia perché Salame gli era risalito su per il pantalone, ficcandogli le unghie nella carne.
Ofelia gli augurò la buonanotte mentre lui ancora sgridava il gatto. Quando entrò in camera, trovò Thorn che si divertiva con Serena, per quanto Thorn potesse essere associato al sostantivo “divertimento”. Stava facendo ripetere alla figlia formule matematiche di cui Ofelia non capiva nemmeno una parola, mentre Serena sembrava comprendere benissimo. La piccola sorrideva e batteva le mani alla fine di ogni frase, e quando si distraeva il papà la riportava gentilmente all’ordine. Negli occhi aveva una luce orgogliosa che lo faceva tendere ancora di più in quel lungo corpo da spaventapasseri.
Ofelia non poté che scoppiare a ridere, rompendo il loro incantesimo e facendo ridere anche Serena.
Thorn aveva la solita espressione truce stampata in volto, ma stranamente gli occhi d’acciaio erano ingentiliti da una strana morbidezza, come se stare vicino alla figlia e immaginarsela come suo successore lo rendesse felice.
E a proposito di successore…
- Pensi davvero quello che hai detto prima? – chiese Ofelia infilandosi sotto le coperte, dopo che Serena si fu addormentata.
Thorn stava posizionando l’orologio da taschino sul comodino, in modo tale che occupasse il centro perfetto del mobile. La osservò mentre si sistemava al suo fianco, con le sopracciglia aggrottate, perplesso. Stava evidentemente ripercorrendo tutta la conversazione della serata, parola per parola.
- Ho detto molte cose, prima.
- Sulle donne. Qui al Polo abbiamo davvero la possibilità di fare carriera? Serena sarebbe libera di succederti, se lo volesse? Perché nessuna donna allora ambisce a certe cariche?
Il cipiglio sulla fronte di Thorn si accentuò ancora di più, mentre lui fissava il soffitto.
- Al Polo non abbiamo una grande tradizione di donne emancipate. Quello che conta, qui, è far parte dei clan favoriti, quelli più potenti, e le donne sono ambiziose come in qualsiasi altra arca, solo in modo diverso. Non provano a fare carriera perché sarebbero ostacolate, non lo nego, ma dai propri familiari e dai mariti.
- Non ci sono mai state donne che hanno provato a sovvertire queste… tradizioni?
- Sì, ma non sono state imprese concluse positivamente. Alcune sono state mutilate, altre ripudiate, una è addirittura scomparsa e all’intendenza abbiamo ancora un fascicolo di ricerca aperto a suo nome.
Ofelia vide all’improvviso tutto nero nella penombra, e capì che mentre lei era impallidita, le sue lenti si erano scurite.
- Questo è quello che succede alle donne che vogliono un lavoro diverso dal fare la cameriera? – domandò con più acredine di quanta volesse.
Sapeva che Thorn non avrebbe mai fatto a lei una cosa del genere. Come aveva lui stesso ribadito, aveva aperto lui, per lei, uno studio di lettura. Ma aveva fatto qualcosa di concreto per cambiare la situazione delle donne al Polo? Forse non era nel suo interesse, e poteva capirlo, ma le sembrava comunque ingiusto.
Thorn si voltò verso di lei, scrutandola per cercare di capire cosa le passasse per la testa.
- Questo è quello che succede alle donne che non hanno appoggio da parte dei familiari. Tu stessa sei stata obbligata dalla tua famiglia e da intrallazzi politici a sposarmi.
Ofelia quasi sussultò a quelle parole, perché non si era mai resa conto di quella realtà di fatti prima che lui la mettesse in evidenza. Le donne su Anima lavoravano, era vero, ma che differenza faceva se erano costrette dalla famiglia a sposarsi con chi sceglievano loro? Lei aveva rifiutato ben due pretendenti e aveva recato un’offesa non da poco alle famiglie interessate. Gli uomini invece avevano più libertà.
Ovunque andasse, da qualsiasi prospettiva la si vedesse, le donne godevano sempre di meno opportunità rispetto agli uomini, e non era giusto.
Notando il suo turbamento, Thorn corrugò talmente la fronte che le due cicatrici quasi si toccarono. – Cosa ti disturba così tanto?
- Tu assumeresti mai una donna all’intendenza?
La sciarpa, nella culla con Serena, si agitò, adirata da quell’argomento. In fondo, era femmina anche lei. Ofelia non sapeva come mai, ma la questione era diventata personale. Che tipo di uomo aveva sposato, lei?
Thorn non esitò un istante. – Sì, se dimostrasse di avere le qualità necessarie a svolgere il lavoro che richiedo. Quando ho dovuto scegliere il mio segretario ho indetto un concorso. Non si è presentata nemmeno una donna, ma la selezione non aveva limiti di età o sesso.
Ofelia si rilassò impercettibilmente, sollevata nell’udire quella risposta. Temeva che Thorn avesse fatto un’eccezione aprendo lo studio per lei solo perché, appunto, si trattava di lei. Ma sapere che si sarebbe comportato imparzialmente con tutte le donne la faceva sentire meglio. All’improvviso si sentì in colpa per aver dubitato del marito che, nonostante l’aspetto burbero e la poca socialità, era e rimaneva la persona più incorruttibile e di aperte vedute del Polo. Anche lui sembrò notarlo.
- Pensavi che mi opponessi all’ascesa lavorativa femminile?
La sua voce roca e scricchiolante sembrava venata di tensione, come se si fosse offeso.
Ofelia tacque, facendogli irrigidire la mascella.
- Ho fatto pressioni io affinché venissero eliminate le distinzioni di genere nei concorsi pubblici. Ho lavorato in modo che le leggi venissero cambiate. Ci sono donne che sono più intelligenti e laboriose di molti degli uomini che abbiamo al governo ora, ma io non posso prenderle per mano perché si facciano avanti dopo aver aperto loro le porte. Ho spianato la strada, devono percorrerla loro.
Ofelia si vergognò e, in parte cercando di farsi perdonare e in parte perché non aveva mai amato Thorn come in quel momento, si avvicinò a lui e lo baciò, passandogli una gamba sui fianchi. Lui, anche se reticente all’inizio, non poteva rimanere arrabbiato a lungo con Ofelia, specialmente se lo baciava e toccava in quel modo. Così le afferrò la coscia, risalendo fino alla sua vita, trascinandosela sopra senza sforzo.
- Thorn?
Lui la guardò, con il lungo naso che ancora sfiorava il suo, incoraggiandola a parlare.
- Ti amo.
Non se lo dicevano spesso, e in quel momento ad Ofelia parve sbagliato. Come a dimostrare quel pensiero, Thorn prese un respiro profondo, chiuse gli occhi metallici e rimase immobile, sospeso in quell’attimo. Non le disse che anche lui l’amava, non ce n’era bisogno. A dire il vero, ad Ofelia avrebbe fatto piacere sentire quelle due parole, ma Thorn con uno scatto la sormontò e le impedì di parlare ancora, dimostrandole ampiamente quanto l’amasse.
Quando Thorn le si fu addormentato addosso, diverso tempo dopo, Ofelia si ricordò che non gli aveva parlato della situazione di Gaela. Si fece un appunto mentale di sottoporgli la questione il giorno dopo e, soddisfatta della discussione e della giornata, si lasciò scivolare nel sonno con le dita attorcigliate ai capelli spettinati di Thorn.
  
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