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Autore: Saigo il SenzaVolto    03/10/2020    2 recensioni
AU, CROSSOVER.
Sequel de 'Il Pianto del Cuore' e de 'La Battaglia di Eldia'
Il Villaggio della Foglia ha una lunga serie di precedenti nella formazione di alcuni dei più pericolosi e famigerati Ninja Traditori che abbiano mai messo piede sulla Terra: Orochimaru, Kabuto, Obito, Itachi, Sasuke... era solo questione di tempo quindi prima che ne producessero un altro. Ma nessuno, specialmente Naruto, si era aspettato che il prossimo Nukenin sarebbe stato Boruto Uzumaki, il prodigio di Konoha. Questa è la conclusione della sua storia, e di tutto ciò che ha generato. Una nuova Guerra sembra aleggiare inevitabilmente all'orizzonte. La Quinta Guerra Mondiale.
Una Guerra per porre fine a tutte le Guerre.
Uno scontro tra Bene e Male. Tra Luce e Oscurità. Tra Shinobi e Guerrieri. Tra Famiglia e Famiglia.
Riuscirà Naruto a rimettere insieme la sua famiglia spezzata? Oppure la sua storia terminerà così, schiacciata sotto la morsa crudele ed implacabile del Destino?
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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COMPLICAZIONI INATTESE




03 Febbraio, 0022 AIT
Confine tra la Terra dell’Erba e la Terra del Fuoco
Canyon Grande Cicatrice
PONTE DEL CIELO E DELLA TERRA
11:00

Il motivo per cui, nei secoli passati, la Terra della Pioggia era stata scelta come campo di battaglia tra il Paese del Fuoco, quello della Terra e quello del Vento invece dei campi più diretti della Terra delle Valli e dell'Erba era uno solo: le barriere naturali. La Terra delle Valli era costellata da fiumi serpeggianti, fitte foreste e valli insidiose che si rivelavano mortali per tutti tranne che i loro abitanti. La Terra dell'Erba, invece, era difesa da quella che molti chiamavano la "Grande Cicatrice": un immenso canyon che si estendeva per tutta la lunghezza del confine, così profondo e oscuro che non si poteva vederne il fondo nemmeno con l'aiuto di un Dojutsu (Arte Oculare). Numerosi ponti collegavano la Terra del Fuoco alla Terra dell'Erba, e ciascuno di essi rappresentava un'importante struttura per il commercio e i viaggi. In passato erano state combattute diverse guerre per il loro possesso, e Boruto sperava che non ne iniziasse un'altra oggi. Almeno, non senza una buona ragione.

Il Ponte del Cielo e della Terra, come era giustamente chiamato quello più lungo, colmava uno dei più grandi spazi vuoti nella Cicatrice, e la Foglia lo aveva scelto come punto d'incontro per il loro scambio di trattative. Infatti, mentre Boruto osservava il paesaggio con il suo Jougan, poteva chiaramente vedere la fazione nemica sul lato opposto del canyon. Là, insieme all’immensa figura del Rokubi (Esacoda), c'erano sua sorella – che lo stava osservando allo stesso modo col Byakugan – Sarada, e gli ultimi due membri del clan Nara rimasti al mondo: Shikamaru e suo figlio.

E, cosa più importante, il Settimo Hokage e Sentoki non si vedevano da nessuna parte. Anche se, senza dubbio, stavano schiumando dalla rabbia e dalla voglia di intervenire. Ma Boruto sapeva che non l’avrebbero fatto. Non ci sarebbero stati negoziamenti, altrimenti. Non dopo quello che era successo il giorno prima. Il Nukenin puntava sul fatto che la Foglia confermasse la riuscita delle trattative e tenesse lontano da lui sia l'ex Hokage che quel falso monaco, come promesso. Altrimenti, le conseguenze di questa promessa infranta sarebbero state pesanti, giurò.

I suoi occhi si assottigliarono. Inizialmente, solo Shikamaru avrebbe dovuto essere presente per effettuare lo scambio e i negoziamenti. Ma adesso c’erano anche altri con lui. Questo non era certo un problema, ma…

…ma, rifletté mentre osservava la forma sinuosa del Rokubi, era un rischio che valeva la pena correre. I suoi occhi superarono la mostruosa forma del Demone codato e si posarono sulla guarnigione che difendeva Shikamaru: Shikadai e Himawari. Una strana scelta come gruppo di guardia, pensò Boruto. Himawari poteva comprenderlo, sì, ma Shikadai? Al suo posto, lui avrebbe fatto mettere Sarada, viste le abilità quasi onniscienti del suo Sharingan Ipnotico.

Evidentemente, però, la Foglia aveva altri piani.

I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di Lucy. "Ebbene?" domandò lei, con impazienza.

Boruto sospirò. "…sono lì, come pensavo," rispose lui, gli occhi eterocromi puntati ancora una volta sul lato opposto del canyon. Sua sorella teneva a sua volta gli occhi su di lui, sussurrando qualcosa a Shikadai e suo padre. "Sembra che saremo in tre ad incontrarci sul ponte. Shikamaru e due guardie, ed io ed altri due. Il resto delle nostre forze ci guarderà le spalle a vicenda."

"Io vengo con te!" dichiarò Lucy, facendo un passo in avanti mentre raddrizzava le spalle e alzava il mento con aria di sfida.

"Seguiremo i tuoi comandi, Boruto," disse a sua volta Shirou.

Mikasa rimase in silenzio, ma si mosse per stargli più vicino. Non aveva bisogno di dire niente. Sora e Gray non dissero niente a loro volta, ma per una ragione completamente diversa. Coi loro occhi, stavano aiutando Kairi e Kumo a setacciare le terre circostanti con le marionette e le abilità sensoriali. Juvia li teneva d’occhio entrambi per difendergli le spalle, tenendo ferma con le mani una Temari rabbiosa ed imbavagliata.

"No, tu resterai qui, Lucy," iniziò a dire Boruto. "Andremo io, Mikasa e Sora..."

"Che cosa?!" strillò acutamente la bionda. "No! Assolutamente no! Questa è la vendetta di Shizuma per cui stiamo negoziando, e non verrò lasciata qui a guardare! Me lo devi, Boruto!"

Il Nukenin poté vedere il fuoco nei suoi occhi, e sapeva che nessun ragionamento o discussione l'avrebbe convinta a desistere da quella decisione. Quindi, le opzioni erano due. Poteva trattenerla con la forza – cosa che era restio a fare, vista la loro ritrovata amicizia – o lasciare che lo accompagnasse come una delle sue guardie. Boruto chiuse gli occhi e sospirò. "…va bene," sussurrò alla fine. "Ma dovrai stare zitta. Lascia parlare me. Niente lamentele o esplosioni di rabbia, capito?"

Lucy si accigliò furiosamente ma annuì.

"Mikasa, verrà con me," continuò lui, rivolgendosi a tutti. "Voialtri resterete a guardia del ponte. Se le trattative falliscono, distruggete il canyon con un’esplosione. Mikasa, Lucy ed io scapperemo e lasceremo morire la prigioniera. Kumo, voglio che tu sia preparato per richiamarci subito all'Occhio della Tempesta. Ordina alle tue marionette esplorative di sorvegliare la foresta circostante alla ricerca di trappole anti-evocazione."

L’Organizzazione Kara si affrettò ad eseguire i suoi ordini e Boruto annuì. Poi fece alzare rudemente da terra Temari, togliendola dalle grinfie di Juvia, prima di iniziare a dirigersi verso il ponte. Il vecchio sentiero per cervi che scendeva attraverso la foresta era stretto e quasi indistinguibile per via della vegetazione circostante, ma era molto più facile da seguire rispetto che al vagare alla cieca tra i cespugli. Mikasa lo seguì da vicino, aiutandolo a tenere d'occhio Temari, mentre Lucy saltellava sulle punte dei piedi con un sorriso maniacale in previsione dell'arrivo dei negoziamenti.

Nel momento in cui uscirono dalla foresta ed entrarono sulla strada che precede il ponte, tutti gli occhi si voltarono per fissarli. L'enorme forma demoniaca del Rokubi si profilava in alto, e i suoi due occhi da lumaca lo scrutarono immediatamente con uno sguardo bestiale, come un predatore che segue la sua preda. Sarada e il resto della guardia indugiarono vicino al Bijuu ad una manciata di piedi di distanza. Invece, Boruto osservò da vicino Shikamaru, Shikadai e Himawari mentre si avvicinavano a loro senza fretta, preparandosi a negoziare.

Il biondo sorrise. Con un respiro deciso, avanzò a sua volta, con Temari al seguito e Mikasa e Lucy alle sue spalle. Shikamaru e Shikadai apparvero contemporaneamente sollevati e furiosi alla vista di Temari.

Boruto si fermò ad un paio di metri dai nemici e scosse ironicamente la testa, guardando tra i Nara e la donna ammanettata. "Credo che abbiate perso qualcosa," disse senza preamboli.

Con grande merito dei Nara, nessuno dei due sembrò abboccare alla frecciatina. Boruto sorrise debolmente. "Sei ferita, Temari?" chiese invece Shikamaru.

Temari scosse la testa, mordendo il bavaglio che Boruto le aveva legato intorno alla bocca. Niente più morsi, di questo si era assicurato. "Al sicuro e illesa," confermò il Nukenin con tono gelido. "A differenza di qualcuno, io so come trattare i miei prigionieri."

Shikadai sembrò essere stato colpito allo stomaco e Himawari sussultò visibilmente. Bene, pensò Boruto. Adesso conoscevano la loro posizione. Erano stati loro a torturare e uccidere un prigioniero di guerra, non lui. "Dunque, mettiamoci al lavoro," enunciò allora senza perdere tempo. "Io ho qualcosa che voi volete. E voi avete qualcosa che io voglio. Per cui, facciamo uno scambio."

Shikamaru strinse i denti. "E cosa sarebbe ciò che vuoi?" domandò.

Boruto sorrise e lasciò che il suo sguardo si spostasse verso il cielo, cadendo sulla forma sinuosa e incombente del Rokubi (Esacoda) in lontananza.

Shikamaru, astuto come sempre, capì immediatamente. "Assolutamente no!" ribadì subito. Boruto poté ammirarlo, in quel momento. Bisognava avere dei nervi d’acciaio per trovarsi faccia a faccia con la propria moglie catturata e dire all'uomo che la teneva prigioniera che non avrebbe scambiato un mostro per lei. La sua voce non vacillò nemmeno.

"Oh? E perché mai?" canticchiò il biondo, amaro. "Perché preoccuparsi di difendere un Bijuu? Essi sono solamente Demoni. Ammassi di chakra senza logica e senza scopo. Pensa a quante persone sono state uccise per colpa dei Cercoteri, che sia stato per loro spontanea volontà o per ordine di qualcuno. Sei davvero disposto a difendere un mostro simile invece che riavere tua moglie?"

"...i Bijuu sono entità sono troppo pericolose perché un uomo solo possa controllarli tutti," ringhiò Shikamaru. "I miei sentimenti personali non hanno nulla a che fare con questo. Temari non vorrebbe mai che la salvassi a costo di condannare centinaia di migliaia di vite."

Boruto inarcò un sopracciglio, rivolgendo uno sguardo a Temari. Gli occhi della donna brillavano di lacrime non versate, ma la sua schiena era dritta, il mento sollevato e le spalle squadrate. "…capisco," rifletté. "Siete Shinobi d’onore, dunque. Ma l’onore vi servirà a ben poco, in questa circostanza."

"Un mostro come te non potrebbe mai capire, Boruto!" ringhiò Shikadai, tremando con tutto il corpo. Era quasi sul punto di saltargli addosso per strozzarlo. Fu solo grazie ad Himawari che lo trattenne per la spalla che le trattative non si interruppero in quel momento.

"Molto bene," Boruto scrollò le spalle. "Allora sentite questo: il vostro esercito sta bloccando i confini della Terra del Vento. Voglio che ritiriate le vostre forze a Sud del confine e che le teniate lì senza fare nulla. E nel frattempo, né voi né nessun’altra forza delle Nazioni Alleate attaccherà il mio Impero, i miei uomini e la mia gente fino a quando non saranno trascorsi quattro mesi a partire da oggi. Confido che questa proposta sia più accettabile, no?"

Shikamaru strinse un pugno così forte che le sue nocche schioccarono udibilmente. "Vuoi che ce ne restiamo in disparte mentre conquisti un'altra Nazione?!" sputò con odio.

"Beh…" canticchiò Boruto, le sopracciglia falsamente aggrottate in pensiero. "Sì. Questo è il punto, sostanzialmente."

Temari scosse violentemente la testa. Il Nukenin la fissò torvo, esasperato. "Suvvia," sospirò. "È la Terra del Vento! A nessuno piace la Terra del Vento! È infestata da ogni sorta di criminalità da quando il Kazekage è morto, e il recente governo della Sabbia non ha più legami diplomatici e commerciali con la Foglia, ora che anche voi siete entrati in guerra. L'unica cosa che sto chiedendo è che vi facciate da parte. Nessuno dovrà morire, in questo modo."

Shikamaru, Himawari e Shikadai lo fissarono con rabbia dopo quelle parole. Ci fu un lungo, teso, e rabbioso silenzio che sembrò perpetrarsi in maniera innaturale. Alla fine, dopo un’eternità, Shikamaru parlò. "...questo è tutto quello che vuoi?" chiese con voce roca.

Boruto sorrise. Scambiare una donna inutile per una Nazione intera? Una che all’anno produceva più uomini, più Shinobi e più soldati rispetto che al resto del mondo intero? Questo sì che era un affare. "Sì," sibilò.

Ma a qualcuno, invece, la cosa non andava bene.

"Che cosa?!" Lucy, a quanto pareva, aveva finalmente raggiunto il suo limite. Si sporse più vicino a lui, sibilandogli nell’orecchio. "E che ne è della mia vendetta?" chiese con rabbia, quasi ad alta voce.

Boruto gemette internamente. Ecco perché non aveva voluto portarla con sé. Non c'era modo di riuscire a convincere Shikamaru o Temari di rinunciare a loro figlio per vendicare Shizuma. Assolutamente nessuna possibilità. Era inutile persino chiederlo. Ma Lucy sembrava non riuscire a capirlo. "Ci sarà un tempo e un luogo preciso per la punizione di Shikadai. Ma non è adesso," sibilò in risposta, sottovoce. "L'eredità di Shizuma consisterà nel dare all'Impero la Terra del Vento."

"Non è abbastanza!" ringhiò invece Lucy. "Lui…" indicò con rabbia Shikadai. "...ha ucciso il mio amico! Se pensi che me ne andrò via senza vederlo soffrire, allora sei più pazzo di quanto pensassi!"

Boruto lanciò un'occhiata a Shikamaru e vide un fuoco riflesso nei suoi occhi. Aveva visto la discordia nel loro gruppo, e l'avrebbe usata a suo vantaggio se avesse potuto. "Non ora," ordinò il biondo a bassa voce. "Tu eseguirai i miei ordini, Lucy. Stai ferma e taci. Avrai la tua vendetta, ma non oggi."

Mikasa – il giovane la benedì mentalmente – si avvicinò a Lucy e le impose silenziosamente di tacere, la sua volontà ferrea e la sua aura pericolosamente più minacciosa del solito. Boruto fece un respiro profondo prima di tornare a parlare. "Allora," dichiarò. "Abbiamo un accordo?"

Lentamente, ma inesorabilmente, Shikamaru annuì. Temari grugnì qualcosa attraverso il suo bavaglio, scuotendo la testa, e Shikamaru distolse lo sguardo, incapace di incrociare i suoi occhi.

"Eccellente," esclamò allora Boruto con un cenno del capo. Mise una mano tra le scapole della donna e la spinse in avanti, lanciandola tra le braccia in attesa di suo marito e suo figlio. Tutti e tre avevano le lacrime agli occhi mentre si abbracciavano di nuovo. Accanto a lui, Lucy tremava con una rabbia a malapena repressa. Le chiese silenziosamente di comportarsi bene finché non si fossero ritirati.

"Beh, è stata un'esperienza piacevole," disse allora il Nukenin, camminando lentamente all'indietro e costringendo Mikasa e Lucy a seguirlo. "Spero che manterrai la tua parte dell'accordo, Shikamaru. Resterei davvero deluso se i nostri negoziamenti civili dovessero fallire."

Era sorprendente, davvero, quanto la Guerra fosse simile ad un gioco. Il biondo l’aveva imparato da poco. Come un gioco, infatti, spesso la Guerra veniva portata avanti più da entrambi i giocatori che si incontravano e accettavano un accordo reciprocamente vantaggioso che dal combattere una lunga e sanguinosa battaglia. Era solo quando quei giocatori smettevano di essere civili e di accordarsi che iniziava la vera Guerra.

Fece cinque passi verso la libertà, forse sei, prima che Lucy esplodesse. "No!" gridò ancora, spingendolo via. "Non me ne andrò finché quel bastardo non sarà morto! Mi hai promesso vendetta, Boruto!"

Il Nukenin vide rosso. Afferrò saldamente la bionda per il polso e lei sussultò di dolore per la forza della sua presa. Poi, la ragazza ringhiò come un cane rabbioso, e la sua pelle iniziò lentamente a brillare di un opaco bagliore rosso-bianco che annunciava l’attivazione della sua Armatura Esplosiva. Dagli alberi in lontananza, il suono del legno che si spezzava scattò alla vita mentre il resto dei Ninja della Foglia balzava in avanti e si preparava per la battaglia. Lingue di chakra rosso-arancio leccarono la pelle di Sarada, mentre lacrime di sangue le scorrevano lungo le guance.

Boruto deglutì. "Non qui, non ora," disse con urgenza. "Per favore. Fidati di me, Lucy."

La bionda fece per rispondere, quando qualcuno la batté sul tempo.

"Sono stata io!" la voce di sua sorella, Himawari, echeggiò attraverso il ponte alle sue spalle, forte e chiara. "Non è stato Shikadai ad uccidere il vostro amico. Sono stata io. L'ho fatto io. Io ho ucciso Shizuma!"

Boruto sentì il suo cuore smettere di battere per un secondo. "Che cosa?!" esclamò mentalmente, allentando la presa su Lucy mentre si voltava per fissare sua sorella. Himawari lo guardava a sua volta con mento alto, orgogliosa, in quel tentativo di apparire coraggiosa anche quando sapeva di essere terrorizzata a morte. Boruto ammiccò con le palpebre, attivando il Jougan, studiandola con uno sguardo gelido e allibito. Ma per quanto la osservasse, non riuscì a trovare nemmeno una sola traccia di falsità nel suo corpo. Per quanto lo odiasse, stava dicendo il vero.

Era stata lei ad uccidere il loro amico.

Eppure, una parte di lui non riusciva a crederlo. Non poteva crederlo. Non voleva crederlo. Sua sorella aveva un carattere forte, vero, ma era pur sempre dolce, gentile e premurosa. Himawari non era una guerriera, non era un soldato. Non aveva combattuto nessuna grande battaglia, non aveva mai versato così tanto sangue da non riuscire più a togliersi il profumo metallico dal naso come lui. Himawari… non poteva uccidere qualcuno. Non era quello che era. Sua sorella non poteva torturare a morte una persona. Non aveva un briciolo di cattiveria nel suo corpo.

Non poteva essere vero.

Lucy ringhiò, liberandosi dalla sua presa, ed avanzò verso la ragazza. Shikadai si mise tra lei e Himawari. "L'ha fatto su mio ordine!" abbaiò duramente. "Ero io in carica, e ho dato io l'ordine! Se vuoi incolpare qualcuno, incolpa me!"

"Boruto!" Mikasa gli sibilò nell'orecchio e Boruto, finalmente, si liberò dall’immobilità che lo aveva travolto.

Si lanciò in avanti, afferrando Lucy per la spalla e tirandola indietro. Aveva imparato dalle esperienze passate: se fosse esploso un combattimento, i suoi nemici avrebbero vinto. Lui non aveva modo di battere Sarada. Non ancora. Non adesso. Lei lo aveva sopraffatto, lo aveva sconfitto, e lui non aveva ancora escogitato un modo per aggirare la sua abilità di Preveggenza. Inoltre, aveva dato l'ordine di far esplodere il canyon in caso di lotta. Combattere non era un’opzione. Non qui. Non ora.

"Non cambia nulla!" gridò Himawari. "Conoscevo i rischi quando ho cercato di rimuovere il chakra di Shizuma! Solo perché mi è stato ordinato, questo non assolve le mie azioni! Se devi incolpare qualcuno per la sua morte, incolpa me!"

"Allora sistemiamo questa disputa!" ringhiò a sua volta Lucy, spingendosi contro Boruto con tutte le sue forze. "Io e te, un duello all'ultimo sangue! Senza nessun altro che interferisca!"

Il Nukenin non lo avrebbe permesso. "Lucy!" sibilò con forza, supplichevole. "Non farlo. Per favore. Per favore, ascoltami. Te lo prometto, te lo giuro, vendicheremo il nostro amico. Ma non farlo. Per favore. Non qui. Non ora. Non quando siamo così vicini alla vittoria."

Alcune delle sue parole dovettero raggiungerla, perché il giovane vide il fuoco negli occhi della ragazza che veniva temperato. Lucy riprese a rivolgere più attenzione a lui invece che a sua sorella e Shikadai. Ma non era abbastanza, Boruto poteva vederlo. Poteva vedere il dolore, la rabbia, la tristezza, la solitudine nel suo sguardo. Poteva vedere quanto fosse schiacciante la sua sete di vendetta, quanto l'avesse spezzata, e quanto Lucy fosse persa e ferita, e non voleva nient'altro che il dolore se ne andasse.

Boruto non sapeva come avrebbe potuto far sparire il suo dolore, ma sapeva che doveva provarci. Se non l’avesse fatto, tutto ciò per cui aveva lavorato, per cui aveva sanguinato, e per cui si era sacrificato sarebbe stato distrutto qui ed ora. "Per favore, fidati di me," la esortò piano, desiderando che obbedisse.

Gli occhi di Lucy indugiarono sui suoi, prima di sfrecciare oltre la sua spalla, dove senza dubbio sua sorella, Sarada e i Ninja della Foglia erano pronti e più che disposti a combattere se fosse arrivato il momento. I suoi occhi tornarono sui suoi. "L-Lei è… è tua sorella," sussurrò Lucy, oltraggiata, le labbra tremanti e gli occhi che versavano lacrime di rabbia. "La… La stai proteggendo! La stai proteggendo perché è tua sorella!" sibilò.

Boruto fece un respiro profondo e si avvicinò alla bionda. "Sì," ammise. "Sì, è mia sorella. E sì, per quanto detesti ammetterlo, una parte di me ancora ci tiene a lei, proprio come tu ci tieni a Shizuma. Proprio come io ci tengo a te. E ti prometto che farò giustizia per la morte del tuo amico. Ma Himawari non è l'unica responsabile. Lo sai, Lucy. Lo sai benissimo. Io ho ucciso molte persone, no? Molte più con le parole che con i fatti. Le loro famiglie potranno anche odiare l'assassino della loro persona amata, ma la colpa è mia! La responsabilità dell’atto ricade su di me! Colui che odiano davvero non è l’assassino! Loro odiano me!"

Lucy respirava pesantemente, tremava, ma stava ascoltando. Boruto voltò lo sguardo. "Guardali," disse, inclinando la testa verso gli ultimi tre membri del clan Nara. "Guardali negli occhi. Lo vedi? Vedi il loro risentimento? Il loro odio? Ma non sei tu che odiano, vero? Sono io. Tu eri lì, ed hai ucciso più membri del loro clan rispetto a me, ma sono stato io a dare l'ordine. Sono io che ho orchestrato le loro morti."

Boruto si fermò, senza fiato, e pregò. Pregò che le sue parole potessero raggiungerla. Che potessero forzarla a ragionare, a vedere di nuovo la luce.

Passarono diversi e lunghissimi momenti di silenzio. Momenti in cui non era sicuro che le sue parole sarebbero riuscite ad arrivare al cuore della ragazza. Era testarda, combattiva e arrabbiata, e quelle tre qualità non erano mai una buona combinazione in nessuno. Boruto parlò di nuovo. "Himawari è mia sorella. Ed io… ci tengo a lei, che sia mia ​​nemica o meno. Pensa a come ti sei sentita dopo la morte di Shizuma. Vuoi davvero farmi provare quel dolore? Vuoi davvero ripagarmi con la loro stessa moneta?” chiese a bassa voce.

Lucy sussultò come se fosse stata schiaffeggiata, gli occhi sgranati a dismisura.

"Per favore," insistette il guerriero. "Guarda la verità. Himawari è stata la spada, ma Shikadai era colui che la brandiva davvero. Perciò, ti prego… non fare a me quello che loro hanno fatto a te."

E lì, lentamente, i suoi occhi videro i muscoli di Lucy rilassarsi mentre l’odio e la rabbia la abbandonavano. La bionda abbassò il mento e annuì, e Boruto vide una lacrima cadere lungo la sua guancia. Tirò un sospiro di sollievo e accompagnò Lucy indietro, lontano da sua sorella e dalla battaglia. Una battaglia che le sarebbe sicuramente costata la vita. E lui non aveva intenzione di perderla. Lucy era un guerriero potente, certo, ma era in primo luogo un’amica. Non poteva perderla dopo tutto ciò che avevano passato.

"…andiamo," ordinò, spingendola in avanti.

Lucy obbedì, seguendolo a tesa bassa assieme a Mikasa. Però, purtroppo, uno dei nemici non aveva intenzione di lasciarli andare senza prima dire la sua.

"Il conflitto viene prima della caduta," li schernì Shikamaru Nara. Boruto lo fissò con odio. "Stai perdendo il controllo, Boruto, proprio come ogni tiranno prima di te. Proprio come ogni tiranno che verrà dopo di te. Mi divertirò molto a guardare il tuo Impero crollare alla fine della guerra."

Boruto si voltò di scatto sull'uomo, la rabbia che gli bruciava nelle vene come un incendio ineluttabile, ma Sarada, fortunatamente, lo batté sul tempo. Afferrò brutalmente Shikamaru per la sua casacca da Jonin e lo strattonò con forza prima di tirarlo indietro. "Sta' zitto!" sibilò, con una lacrima di sangue che le solcava la guancia.

Il Nukenin li fissò con uno sguardo odioso e infestato, ma lasciò che la sua rabbia si esaurisse mentre si voltava e se ne andava, seguendo Mikasa e allontanando Lucy da sua sorella. Si chiese cosa, esattamente, avesse visto Sarada coi suoi occhi da costringerla ad intervenire in quel modo.

Alla fine, però, non importava. Boruto aspettò un paio di secondi per vedere se la scintilla sarebbe esplosa. Ma non accadde. Suo padre non si precipitò da loro, i nemici non lo attaccarono quando voltò loro le spalle, e il Rokubi non andò su tutte le furie in un impeto di rabbia demoniaca. Le trattative erano state un successo.

Eppure, lui non si sentì per niente vittorioso.

Si riunì agli altri Kara in silenzio, con un’imbronciata Lucy dietro di lui ed una stoica Mikasa al suo fianco, e tutti quanti furono immediatamente riportati alla sicurezza e la pace dell'Occhio della Tempesta.

Presto, molto presto, si sarebbe vendicato. Ma non oggi. Dopotutto, ora aveva un'invasione da pianificare.

La Terra del Vento era sua da conquistare.
 


03 Febbraio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza del Settimo Hokage
16:30

“Cioè, fammi capire bene,” Naruto esitò, facendo un respiro profondo per calmarsi, prima di tornare a fissare il monaco davanti a lui, nervosamente seduto sul divano del suo soggiorno. “Hai provato ad impossessarti del corpo di mio figlio tramite un’abilità del Ninshū… ed hai fallito?”

Sentoki annuì, abbassando gli occhi a terra con vergogna. Naruto sentì il suo sangue raggelare nelle vene. Accanto a lui, Hinata osservava nervosamente la scena in silenzio, incerta su cosa pensare.

L’ex Hokage sentì il suo corpo tremolare. “…che cosa cazzo ti è saltato in mente?” sibilò, trattenendo a malapena la propria furia. “Come hai potuto attuare un attacco del genere senza prima consultare Konohamaru? Senza prima consultare me?!”

Il monaco appassì visibilmente. “Le chiedo scusa, Hokage-sama. Ma non ho avuto scelta. Ciò che suo figlio ha compiuto… temevo potesse accadere di nuovo. Ho agito in nome della preoccupazione,” ammise, lento e pentito.

Naruto sentì la sua rabbia diminuire dinanzi alla tristezza nel volto dell’anziano. Sembrava sinceramente sconfortato dalla svolta che avevano preso gli eventi. E nemmeno lui poteva negare che ciò che aveva fatto era stato a fin di bene. Suo figlio, che lui lo volesse o meno, andava fermato se volevano riportare la pace, l’ordine e la stabilità nel loro mondo. Senza contare, poi, gli Otsutsuki. E prima fossero riusciti a catturarlo, meglio era. Per cui, poteva comprenderlo, davvero. Ma il fatto che avesse tentato di catturarlo senza dire niente a nessuno non era qualcosa che poteva ignorare.

Scambiò un’occhiata silenziosa con sua moglie. Hinata gli fece un cenno col capo, spingendolo a ritentare. “…Sentoki,” iniziò allora a dire, calmandosi e passandosi una mano sulla faccia. “Come… Come hai fatto? A scovare Boruto ed impossessarti di lui, intendo.”

L’anziano sospirò pesantemente. “Shikamaru le ha già spiegato a grandi linee come funziona il Ninshū, vero? Esso è la capacità di percepire e leggere la possente rete spirituale che ci collega tutti tramite il chakra. Ci permette di capirci l’un l’altro ad un livello che non può essere descritto in questa o in nessun’altra lingua. Non c’è separazione di sé in questo livello spirituale. Quando raggiungi l’essenza di te e ti connetti al Cerchio, ti connetti con le altre anime, e di conseguenza… ti capisci. Raggiungi la consapevolezza di te stesso e degli altri. I loro pensieri diventano i tuoi pensieri, e le loro emozioni diventano le tue emozioni. Questo gliel’aveva già detto, no?”

Naruto annuì, esitante. Shikamaru gli aveva riferito, a grandi linee, delle sue chiacchierate filosofiche con Sentoki durante la loro missione nella Terra del Ghiaccio. Ma lui non era mai stato un grande pensatore, né una mente brillante, quindi aveva dato poco peso a quella faccenda così astratta. Il fatto che Boruto potesse usare il Ninshū, invece, lo aveva preoccupato non poco.

“Ciò che ho fatto, è stato semplicemente connettermi a questa immensa rete che ci collega tutti,” continuò il monaco. “In essa, nessun essere vivente è completamente isolato. Come le ho già detto, siamo tutti uniti assieme – collegati – dal Cerchio. Per cui, mi è semplicemente bastato passare da un sussurro di coscienza all’altro, da un’anima all’altra, per arrivare a Boruto. E così è stato,” concluse, semplicemente, come se fosse la cosa più scontata del mondo.

Il biondo lo guardò a bocca aperta, completamente perso. Sapeva a grandi linee il modo in cui funzionava il Ninshū e la sua applicazione – lui stesso in passato, durante la Quarta Guerra Mondiale, lo aveva usato per salvare Guy-sensei dalla morte grazie alle abilità curative dell’Arte Eremitica – ma non aveva mai avuto realmente idea di cosa fosse o di come fosse organizzato. E quella spiegazione non gli aveva certo reso più chiare le idee. Forse le speculazioni e i discorsi astratti non facevano per lui, semplicemente.

Hinata s’intromise nervosamente. “Ma, ecco, com’è possibile?” domandò, le sue mani unite assieme come ai vecchi tempi. “Una cosa del genere è…”

“Impossibile?” Sentoki le sorrise affettuosamente, con gli occhi chiusi. “Oh, Hinata-sama, lei e suo marito siete ancora giovani. Certo, avete vissuto molto, e siete convinti di conoscere molte cose, ma il Ninshū richiede anni di rigoroso esercizio e meditazione per essere a malapena intuito; e molto più tempo ancora per poterne concepire una vaga forma di comprensione. Ci vuole una conoscenza di sé quasi perfetta per poterne anche solo iniziare a scrutare le basi, glielo assicuro.”

Naruto sospirò. “Indipendentemente da questo, puoi rifarlo ancora?” chiese, serio.

Sentoki comprese immediatamente a cosa si stava riferendo con quella domanda. Il suo sorriso cadde all’istante. “Purtroppo no. Ormai Boruto avrà sicuramente innalzato le sue difese mentali dopo il mio precedente tentativo di sottometterlo. Non si farà cogliere impreparato di nuovo,” rispose.

“Ma sei riuscito a capire dove si nasconde, almeno?” domandò ancora l’ex Hokage. “Hai visto in che dimensione si sono rifugiati lui e i suoi amici?”

Il monaco assunse un’espressione solenne. “Più o meno,” ammise, lento. “In base a quello che ho intravisto mentre avevo il controllo del suo corpo, la dimensione in cui Boruto e i Kara si nascondono non è normale. Non è semplicemente lontana dalla Terra, come lo era la Luna. È più complessa, più distante e corazzata, ed è difesa da invisibili barriere di protezione, più numerose di quanto potessi mai immaginarmi. Non sarà facile raggiungerla, nemmeno col Rinnegan di Sasuke Uchiha. Se non fosse stato per il legame che unisce le nostre anime nel Cerchio, nemmeno io avrei potuto accedervi,” spiegò.

Hinata e Naruto rimassero spiazzati. “C-Com’è possibile?” chiese la donna.

Sentoki scrollò le spalle. “Probabilmente, Boruto si è preparato dopo la caduta dell’Astro Celeste,” dedusse. “Per evitare di essere nuovamente scoperto, ha innalzato le barriere e le difese della sua nuova dimensione, per impedirne a chiunque l’accesso. Anzi, l’ha resa addirittura invisibile. Se non fosse stato per le abilità del Ninshū, nemmeno io sarei riuscito a scovarla.”

“E quindi… non possiamo raggiungerla di nuovo, come hai fatto tu?” sussurrò ancora Naruto, abbattuto, mentre la sua speranza spariva.

Il monaco esitò. “…no,” rispose alla fine. L’anziano si rattristò molto nel vedere le espressioni sconfortate dei due coniugi. I loro occhi lampeggiavano letteralmente di dolore e rassegnazione. “Non come ho fatto io, almeno. Forse però, quando Sasuke tornerà sulla Terra, avremo modo di scovare una falla nelle difese nemiche. Al momento, tuttavia, mi è impossibile dirlo.”

Ma ne dubito, visto che non posso raggiungerla nemmeno io col mio Rinnegan,” aggiunse mentalmente.

Naruto e Hinata annuirono, sconfitti, prima di sospirare pesantemente. Per come stavano le cose, era evidente che fosse impossibile riuscire a raggiungere Boruto. Non così, non adesso, senza qualcuno che potesse viaggiare tra le dimensioni. Ma Sasuke era ancora lontano, e non aveva più fatto sapere sue notizie da molto tempo. E questa cosa, per quanto Naruto cercasse di essere ottimista al riguardo, lo preoccupava molto. Sapeva che Sasuke era forte, ma le minacce fuori dal loro mondo erano innumerevoli, e nessuno poteva dire con sicurezza cosa sarebbe potuto succedere. Non c’era certezza, insomma.

Per cui, il Settimo poté solo pregare che il suo migliore amico stesse bene. E che potesse tornare quanto prima.

“Però… c’è una cosa che non mi convince,” disse ancora Naruto. I suoi occhi azzurri si posarono di nuovo su Sentoki. “Tu… come fai a sapere tutto questo? Come fai a conoscere il Ninshū, ad essere così forte, e a riuscire a tenere testa a Boruto anche da solo? Nessun monaco Ninja, per quanto esperto possa essere, potrebbe possedere Tecniche e poteri così avanzati. Ed è da un po' di tempo che non riesco a smettere di percepire qualcosa in te… qualcosa di sinistro e sospetto. Perciò, come fai, insomma?”

Sentoki s’irrigidì dopo quelle parole, fissandolo con attenzione.

Naruto lo guardò con gelido sospetto. “Sentoki… chi sei tu, veramente?”

Passarono cinque secondi di silenzio. Poi, con sommo stupore di Naruto e Hinata, il monaco sorrise. “Credo che nascondervelo oltre sarebbe solo controproducente,” sussurrò alla fine, ilare. “Avrei voluto restare anonimo per un altro pò, ma… viste le circostanze, credo che sia giunto il momento di dire anche a voi la verità.”

L’Hokage e sue moglie si fecero rigidi come non mai, ma non ebbero il tempo di pensare altro. Di colpo, senza nessun preavviso, il corpo del monaco iniziò ad illuminarsi, avvolgendosi in una luce bianca accecante che investì ogni cosa. Naruto strinse le palpebre e si portò le mani davanti al volto, schermandosi bruscamente dalla luce, similmente a Hinata. Poi però, quando il buio ritornò e la luce smise di accecarli, la persona che si trovavano dinanzi aveva mutato completamente aspetto. Davanti ai loro occhi non c’era più un vecchio calvo e raggrinzito vestito di stracci, ma una figura solenne e divina. Un vecchio vestito di bianco e nero, con una lunga barba grigia e due occhi viola concentrici. Alle sue spalle, nove piccole sfere di chakra nero levitavano attorno a lui, mentre i suoi piedi non toccavano mai terra, facendolo volteggiare nel vuoto mentre reggeva un lungo bastone scuro in mano.

Naruto e Hinata trattennero il fiato.

"Questo è il mio vero aspetto, miei giovani amici," disse Hagormo Otsutsuki, sorridendo con magnanimità. “E visto il vostro stupore, immagino di dovervi delle spiegazioni.”
 


05 Febbraio, 0022 AIT
Villaggio della Sabbia, Terra del Vento
15:00

Boruto sorrise feralmente.

Seguito dalla moltitudine di soldati dell’esercito – oltre che dai suoi fedelissimi Kara – restò immobile dinanzi ai cancelli del Villaggio della Sabbia, fissando con uno sguardo deciso le porte che venivano sfondate dai suoi uomini a colpi di Jutsu e testate d’ariete. Poi, dopo quasi un minuto o due di attesa, i cancelli vennero sfondati e l’esercito entrò nella città senza problemi.

Il giovane sorrise di trionfo. Non dovette nemmeno combattere. Non ce n’era bisogno. Gli bastò superare i cancelli, solenne e imperioso, per eliminare qualsiasi sorta di resistenza e opposizione. Il Villaggio della Sabbia era un Villaggio modesto, più piccolo e meno evoluto rispetto a quelli delle Cinque Grandi Nazioni – ormai completamente distrutte – ma non per questo meno importante. La Terra del Vento, nonostante l’economia scarsa ed il clima ostile che la flagellavano, era principalmente famosa per le sue immensa dimensioni, e per l’immensa popolazione che la caratterizzava. Era una Nazione povera, certo, ma che sfornava migliaia e migliaia di uomini all’anno. Soldati, Ninja e combattenti, tutti pronti e desiderosi di unirsi ad un esercito. Era sempre stata una Nazione combattiva, sin dall’alba della sua fondazione, e basava la sua economia sul commercio, viste le scarse risorse che possedeva.

Proprio per questo, Boruto aveva faticato tanto per conquistarla. Aveva tentato innumerevoli volte di sottomettere la Terra del Vento, anche prima di finire su Eldia. Era stata nei suoi piani di conquista sin da quando aveva spinto la Roccia ad entrare in guerra, ormai più di due anni prima. E adesso, alla fine, ce l’aveva fatta. Per quanto avessero resistito, per quanta ribellione avessero messo su gli Shinobi di questa Terra, alla fine c’era riuscito. Il Vento ed il Villaggio della Sabbia erano infine suoi. Erano stati dei bravi combattenti, delle spine nel fianco resistenti e fastidiose. Ma come tutti coloro che avevano inutilmente osato opporsi a lui, ormai avevano fallito. La Terra del Vento era sua per la conquista.

Certo, non tutti si erano arresi dopo l’accordo di tregua con Shikamaru e la Foglia. La maggior parte dei Ninja della Sabbia, ad esempio, non avevano preso di buon grado l’idea di finire sottomessi all’Impero. E quindi, com’era prevedibile da parte loro, avevano fatto esattamente ciò che Boruto si era aspettato che facessero: abbandonare la nave. Se n’erano andati. Comandati dal temporaneo Kazekage, Ittan, tutti gli Shinobi della Sabbia avevano abbandonato il Villaggio, fuggendo in fretta e furia verso la Terra del Fuoco; e lasciando la loro patria spoglia, priva di difese e di governo. E, soprattutto, pronta per essere conquistata da lui.

Una mossa poco onorevole, certo, ma Boruto sapeva di non poterli biasimare. L’onore non si addiceva ad una Guerra Mondiale. Ciò che contava, invece, era sopravvivere. Sopravvivere e combattere per un nuovo giorno. E la Sabbia, esattamente come la Nebbia, era più che intenzionata a resistere fino alla fine. Per questo gli uomini di quelle due Nazioni si erano ritirati nella Terra del Fuoco. Per unirsi alla Foglia, ed evitare una battaglia che si sarebbe – inevitabilmente – conclusa con la distruzione di altri due Villaggi Shinobi e la devastazione di due Paesi interi.

Boruto poteva rispettarli per questo.

Ma la loro resistenza era inutile. Il Ninja traditore sorrise sotto i baffi a quel pensiero. Ormai le sue gesta ed il suo potere lo avevano reso temuto dal mondo intero. Era evidente che i suoi nemici fossero incapaci di combattere contro di lui. Talmente tanto incapaci da dover necessariamente fuggire per sopravvivere. Questa cosa, già di per sé, era una vittoria ben più grande di qualsiasi battaglia di conquista. Boruto era diventato talmente potente da costringere il mondo intero a piegarsi sotto al suo volere. Nessuno poteva negargli ciò che voleva, insomma.

Tuttavia, però, non mancavano certo le proteste. Il Nukenin se le aspettava. E fu per questo che, una volta entrato nella Sabbia, evitò casualmente un pugno sferratogli da un coraggioso Jonin rimasto che tentò di impedire la sua avanzata nella città, ricambiando la cortesia con un fendente che lo centrò nel collo. L’uomo cadde a terra in un istante, con la sua testa recisa e rotolante, calpestato dalle fila del suo esercito in marcia.

Il Jonin fu l’unica eccezione alla regola. Nessun altro osò frapporsi tra lui ed il suo esercito e l’edificio più grosso del Villaggio. La Torre del Kazekage. Era lì, lui lo sapeva, che si trovavano gli ultimi Ninja rimasti nel Paese. L’ultima linea di dissenso rimasta senza fuggire. Boruto non sapeva nemmeno perché non fossero andati nella Foglia, come i loro compagni. E, se doveva essere sincero, non gli interessava nemmeno. Ciò che voleva era portare a compimento la missione il prima possibile, per poi tornare a pianificare la sua prossima mossa. Non aveva intenzione di perdere tempo. Dopotutto, aveva un piano in mente.

Un piano che doveva mettere in atto al più presto.

Le guardie all’interno dell’edificio erano di un altro parere. Appena lui ed i Kara misero piede nell’edificio, tentarono di assaltarli per proteggere la loro casa. Sora ne smantellò una decina da solo, con un singolo getto di terra e fango che li sommerse completamente, immobilizzandoli e rendendoli innocui. Nello stesso istante, un paio di uomini vestiti con le casacche della Sabbia tentarono di assalire Gray, ma lui li trafisse al cuore con delle lance di ghiaccio, uccidendoli in un batter d’occhio. Il Nukenin sorrise a quella scena. I Kara erano abituati a combattere contro di lui e la sua impareggiabile velocità. Questi avversari, per quanto coraggiosi, erano lenti come formiche al suo confronto. Non avevano la minima possibilità di vittoria.

Le sale dell’edificio risuonarono di urla e grida di terrore e panico. Le guardie sbraitavano ordini ad alta voce, solo per poi essere immediatamente silenziate dai portentosi getti d’acqua di Juvia o tranciati a metà dai fendenti di Shirou. Le pareti tremarono e il pavimento fremette per la potenza dei colpi di Mikasa, mentre le porte vennero sfondate come niente al loro passaggio, come se fossero fatte di carta. Boruto ed i suoi amici avanzarono imperterriti, senza ostacoli.

Mikasa sfondò la grossa porta dell’ufficio del Kazekage con un semplice pugno. I cardini e il metallo delle giunture si spezzarono come se fossero fatti di plastica, scagliando la porta per tre metri in avanti e permettendo ai giovani di entrare nell’ufficio con passo lento e solenne. Una volta dentro, tutti e sette i giovani si guardarono attorno con attenzione, alla ricerca di trappole o esplosivi nascosti per la stanza.

Non ne trovarono. L’ufficio era vuoto e spoglio, completamente privo di vita. Solo una semplice donna si trovava al suo interno, una segretaria, buttata a terra col volto pallido ed un’espressine congelata dalla paura e dal terrore. Se ne stava nascosta dietro la scrivania abbandonata del Kazekage, e teneva le mani unite assieme in un gesto di supplica o, dedusse Boruto, preghiera. E a giudicare dal volto pallido e gli occhi sgranati e ricolmi di lacrime, era terrorizzata a morte. Una visione veramente patetica.

Il biondo la guardò con sufficienza. “La Terra del Vento appartiene all’Impero, adesso,” dichiarò, freddo e solenne come una lama. “Se ci tieni alla tua vita, sottomettiti e sparisci dalla mia vista.”

La donna divenne ancor più pallida di prima, annuendo freneticamente prima di risollevarsi e scappare da lì come un animale terrorizzato.

Kairi, i suoi occhi chiusi, si guardò attorno con gli occhi della mente. “Non è rimasto nessun altro,” riferì, abbozzando un sorriso mentre scandagliava tutta la città coi suoi sensi. “L’intero Villaggio è sotto il nostro controllo.”

Lo sguardo di Boruto si fece solenne. “E così ne rimane solo uno...”
 


05 Febbraio, 0022 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
19:26

Konohamaru intrecciò nervosamente le dita assieme. Indossare il Cappello era più stressante di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Soprattutto adesso che la Foglia era, essenzialmente, coinvolta in una Guerra Mondiale. Si era sempre chiesto, negli anni passati, perché Naruto non fosse mai riuscito a destreggiarsi tra l'essere Hokage e l'essere padre. Ma adesso che si era finalmente messo nei suoi panni… poteva comprenderlo appieno.

Ma per il giovane Sarutobi, una cosa stava diventando sempre più chiara: il figlio di Naruto non si sarebbe placato. Boruto non si sarebbe accontentato di sedere sul trono e governare il suo piccolo angolo di mondo. La Foglia ed il mondo intero erano stati degli sciocchi nel restare fermi e sperare il meglio. Ora, Konohamaru aveva solo due opzioni: agire, o lasciare che l'Impero Shinobi Unito crescesse ancora in forza e dimensioni, diventando una minaccia ancor più grande di quanto non fosse già.

Il suo piede sobbalzò nervosamente su e giù mentre guardava l'orologio. Konohamaru non era mai stato in guerra. L’esperienza più vicina ad una guerra che aveva mai vissuto era stata la battaglia contro una delle Sei Vie di Pain, quando l'Akatsuki aveva attaccato il Villaggio. E non c'era paragone neanche tra la Guerra di allora e quella che stava devastando il mondo adesso. Una cosa era combattere un'orda di mostri disumani come gli Zetsu. Era stato facile. Non sembravano umani, non sanguinavano, non gridavano mentre venivano uccisi, e non c'era terrore nei loro lineamenti appena morivano. Ma questa? Questa era una vera Guerra – una Guerra Mondiale – tra uomini e donne. E se c'era una cosa che Konohamaru aveva imparato negli ultimi vent'anni, era che i veri mostri non erano quelli che si potevano vedere dall'esterno, come gli Zetsu, ma quelli che non si potevano vedere subito. Quelli che si nascondevano dietro ad un volto umano.

Quelli come Boruto Uzumaki.

Un lieve bussare alla porta echeggiò nella stanza. Konohamaru si schiarì la gola. "Entrate," ordinò.

Naruto sorrise debolmente mentre conduceva Mei – o meglio, la Mizukage – e il suo successore, Kagura Karatachi, nel suo ufficio. Dietro di loro c’erano anche Yurui e il comandante Ittan, seguiti a ruota da Shikamaru Nara. A Konohamaru non sfuggirono affatto gli sguardi invidiosi che Kagura e Ittan rivolsero al Nara. Shikamaru era tornato sano e salvo dall’incontro coi Kara e aveva riottenuto sua moglie rapita. Non tutti avevano avuto la sua stessa fortuna.

Il loro obiettivo di oggi? Riuscire a capire come sconfiggere una Nazione che si estendeva per quasi la metà dell’intero continente.

"Allora," sussurrò Konohamaru. "Qualcuno ha qualche idea brillante?"

Shikamaru fece una pausa, guardando i Kage nella stanza, prima di iniziare a parlare quando nessuno si decise ad esprimere la propria opinione. "Se mi permettete... io che l’ho," disse, con un ghigno diabolico stampato in faccia.

"Spero che la tua idea non comporti la resa di un’altra Nazione all'Impero,” sibilò sarcasticamente il Kazekage Ittan, acido. Non aveva preso per niente bene il fatto di dover cedere la sua casa al nemico solamente per la salvezza di Temari. “Se tua moglie venisse rapita di nuovo, finiremmo a corto di Paesi da barattare."

Shikamaru si accigliò fragorosamente. Yurui – il futuro Raikage – lo trattenne con una mano. "Che lei ci creda o no," ringhiò. "Non ho chiesto di portare i vostri uomini fuori dalla Terra del Vento solo per la sicurezza di mia moglie. E per la cronaca, Kazekage, questi scambi sono l'unica cosa che mantiene in stallo questa guerra. Una volta che una fazione inizierà ad infrangere le regole, l'altra avrà vinto. Non avevamo scelta.”

Ittan brontolò, ma rimase in silenzio.

Yurui sospirò. "Cosa facciamo, dunque? Attacchiamo l’Impero?" chiese con una scrollata di spalle.

"Non possiamo," disse Mei Terumi, lentamente. "Non adesso, almeno. La differenza tra noi e l’Impero è che Boruto tiene per la gola tutto ciò che amiamo e che possedevamo in precedenza. Attaccarlo adesso sarebbe un suicidio."

Yurui borbottò qualcosa di incomprensibile.

Shikamaru continuò. "Per fortuna, però, sembra che Boruto sia contento di continuare a giocare secondo le regole, per ora. Questo ci fa ben sperare per le battaglie future. Ci dà del tempo per organizzarci, insomma. Quattro mesi di tempo," disse in tutta serietà.

Kagura ammiccò. "Battaglie future?" ripeté, cauto.

Shikamaru annuì. "Come vi ho detto, ho un piano," sorrise. "Senza più il Vento e la Nebbia, le uniche Nazioni rimaste fedeli a noi e che ci sostengono sono la Terra delle Cascate, quella delle Valli e quella del Ferro. La Terra degli Orsi non ha più Shinobi, quindi non conta. Io ho detto a Boruto che la Foglia si sarebbe ritirata dalla Terra del Vento, e così è stato. Ma nel mentre, Sarada ed io abbiamo organizzato un piano per riprendercela tra quattro mesi. Abbiamo nascosto una parte dell’esercito nei confini della Terra del Suono. Al suo comando, oltre a Sarada, ci sono Sakura, Himawari e Shikadai. E fra quattro mesi, se iniziamo già da adesso a mobilitare un esercito che dia loro supporto nella Terra del Suono, mobiliteremo un contrattacco combinato in diversi Paesi per conquistare la Terra del Vento. E dopo di essa, anche il Suono, il Vapore e la Pioggia."

Konohamaru rimase a bocca aperta. Guardò la mappa spiegata sulla sua scrivania, e poi di nuovo Shikamaru. "Questo... potrebbe funzionare," esalò.

Shikamaru annuì. "Boruto è molte cose, ma non è un tattico efficiente," spiegò. "È un ottimo comandante, glielo concedo, ma la sua visione del campo di battaglia è limitata. Si sofferma sulla conquista imminente, come ha fatto con la Nebbia e la Sabbia, ma non pensa che le nostre forze sono ancora in campo tra i suoi ranghi. E anche se lo sapesse, non può attaccarci di nuovo come prima. Non con tutti e tre i nostri eserciti riuniti nella Terra del Fuoco. Sarebbe un suicidio, persino per lui.”

“E quindi, cosa dovremmo fare?” chiese Ittan, impaziente. Se c’era un modo per riuscire a fermare l’Impero, non potevano perdere altro tempo. Dovevano iniziare a prepararsi per ricambiare il nemico con la sua stessa moneta.

Il Nara li guardò uno per uno. “Potenziamo l’esercito,” rispose. “Mobilitiamo le nostre forze – TUTTE le nostre forze – per un assalto su larga scala mirato alla riconquista dei Paesi che abbiamo perso. E quando la tregua finirà, fra quattro mesi, colpiremo con tutta la potenza di cui siamo capaci. È l’unica opzione che ci rimane se vogliamo riottenere il controllo delle Nazioni.”

Tutti i Kage si guardarono per diversi secondi. L’idea non era priva di merito.

“E dove stanzieremo questo esercito?” chiese allora Mei Terumi. “Di certo non qui, nella Foglia.”

Fu Konohamaru a rispondere. “No, qui non possiamo,” ammise seriamente. “Il Villaggio non ha lo spazio, né le risorse umane, per gestire una quantità tale di soldati per quattro mesi di fila. Dobbiamo posizionarlo nella Capitale.”

Yurui annuì. “La Capitale del Fuoco,” sussurrò, pensieroso. “Ma come faremo a difendere l’esercito? La Capitale dista più di cento chilometri da Konoha.”

“Affideremo la gestione e la difesa dell’esercito a voi Kage esterni,” rispose Shikamaru. “Dopotutto, siete quelli più coinvolti nella Guerra. Avete perso le vostre case per colpa dell’Impero. Perciò, avete il diritto di gestire in prima fila l’organizzazione dell’esercito e la pianificazione della riconquista, no?”

Mei, Kagura, Ittan e Yurui si lanciarono degli sguardi d’intesa. Poi annuirono tutti e quattro. “Partiremo per la Capitale tra tre giorni,” disse allora il Raikage. “Nel frattempo, faremmo meglio a discutere del piano di armamenti e formulare una strategia concreta.”

Tutti i presenti annuirono.

La discussione andò avanti per diverso tempo. I minuti passarono e divennero ore, fino a quando fu notte fonda e la stanchezza iniziò a farsi sentire per tutti. Lo stress e l’ansia che provavano in questo periodo di guerra faceva questo effetto anche a loro, dopotutto. Perciò, fu quando la mezzanotte era già alle porte che Konohamaru mise fine all’incontro. I Kage si scusarono e si ritirarono nei loro alloggi per la notte, e nell’ufficio rimasero solamente Shikamaru, Naruto e l’Hokage.

“Beh, faremmo meglio a smettere per oggi,” disse Shikamaru, accendendosi una sigaretta. “Di questo passo saremo colti dall’esaustione.”

“Già, dobbiamo essere pronti ad un’emergenza in qualsiasi momento. Sei d’accordo, Naruto?” chiese Konohamaru.

Il biondo non rispose.

L’Ottavo Hokage e Shikamaru si scambiarono un’occhiata. “…Naruto?” ripeté il Nara.

L’Uzumaki trasalì con tutto il corpo, risollevando lo sguardo da terra. “E-Eh? Oh, sì, sì! Certo, sono d’accordo,” esalò, ridacchiando nervosamente.

Gli altri due lo guardarono con sospetto. Naruto non era solito essere così silenzioso davanti a loro. Era sempre energico e pronto a dire la sua, ma oggi sembra particolarmente… calmo. Riflessivo, quasi. Anche durante la riunione aveva parlato pochissimo, ed era rimasto quasi sempre sulle sue, con la testa bassa e lo sguardo perso nel vuoto. Come se fosse immerso nei suoi pensieri. E questo era strano. Decisamente strano. Naruto non era il tipo da restarsene immerso nei pensieri. Era una rarità, insomma.

“Ti senti bene?” chiese Shikamaru. “Sei strano.”

Naruto annuì. I suoi occhi non lo incontrarono nemmeno. “Sto bene, non preoccupatevi. È solo… sono solo stanco, davvero,” disse, la sua voce bassa. Poi rivolse loro un piccolo sorriso. “Farò meglio ad andare, ora.” Detto ciò, senza aggiungere altro, uscì in silenzio dall’ufficio e non si fece più vedere.

Konohamaru e Shikamaru ammiccarono confusamente.

Il Sarutobi poté solo sperare che il suo amico e mentore stesse davvero bene come diceva.
 


06 Febbraio, 0022 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione

Città Capitale di Rikubetsu
08:00

Boruto sapeva di non avere più tempo. Con la recente annessione della Terra del Vento e quella dell’Acqua al suo Impero, le cose sembravano finalmente essere tornate in suo vantaggio. Ma non era così, affatto. Il giovane era arrogante, non stupido. Sapeva che, in realtà, la situazione era ben lungi dall’essere sicura come sembrava. Le minacce per il suo Impero ed il suo popolo erano ancora vive e libere di agire indisturbate a sua insaputa. E lui non poteva permettere una cosa del genere. Non più. Non visti i precedenti fallimenti.

Per cui, doveva agire.

Si rialzò di scatto, facendo trasalire Galatea ed Annie sedute affianco a lui nella sala delle riunioni. Il suo occhio sinistro si assottigliò, osservando il rotolo a cui stava lavorando da diverse ore. Il progetto era ancora in fase di lavorazione e studio, chiaramente incompleto, ma presto doveva essere completato efficacemente. Era una necessità che non poteva più evitare, visto ciò che era successo nei giorni passati. Doveva farsi una mossa.

“Ehi,” la voce di Galatea lo riscosse dai suoi pensieri. “Va tutto bene?”

Il Ninja traditore annuì distrattamente. “Galatea, prendi Jigen con te e dirigetevi dai comandanti dell’esercito. Raddoppiate le sessioni di addestramento per le reclute,” ordinò. “Per i prossimi tre mesi, voglio che i guerrieri siano sempre e costantemente occupati ad allenarsi.”

La cerulea annuì, incerta, esitando visibilmente nel vedere la freddezza nel volto del loro leader.

Annie lo guardò con attenzione. “È successo qualcosa?” domandò.

Il biondo richiuse la pergamena con gesto rapido. “È ora di agire.”

Non aggiunse altro. Si voltò rapidamente e diede le spalle alle due donne, uscendo in fretta e fura dalla sala del castello di Rikubetsu. I suoi passi non risuonarono nemmeno per le ombre dei corridoi tanto velocemente si muovevano le sue gambe. Tutti coloro che lo incrociavano si fecero da parte, inchinandosi rispettosamente al suo cospetto.

Il Nukenin non badò loro. Sapeva molto bene che stava facendo un azzardo. Ciò che aveva in mente di fare, il suo nuovo piano, era pieno di falle e rischi. E tuttavia, era certo di non poter più aspettare. Se lo avesse fatto, se avesse rimandato ancora, qualcosa dentro di lui sentiva che le cose sarebbero inevitabilmente peggiorate. Che ne avrebbe pagato amaramente le conseguenze ancora una volta. Per cui, non poteva più esitare. Doveva accelerare il processo, e dare inizio alla sua opera prima di quanto aveva pianificato in precedenza.

Ciò che era successo negli ultimi giorni ne era stata la prova. Sarada, l’Hokage e Hagoromo rappresentavano una minaccia che lui e l’Impero non potevano più ignorare come prima. Questi ultimi due, soprattutto, si stavano rivelando più pericolosi di quanto si fosse mai aspettato. Boruto non sapeva come fosse successo, ma era certo che se l’Eremita delle Sei Vie avesse tentato di catturarlo come aveva fatto prima, allora lui sarebbe stato inevitabilmente sconfitto. Ne era certo. Lo aveva visto. Hagoromo aveva preso il controllo del suo corpo, ferito i suoi amici, e liberato Temari sotto al suo stesso naso, e lui era stato letteralmente incapace di reagire. E nonostante fosse riuscito a sistemare tutte le cose alla fine – Urahara, Kumo e Mitsuki stavano bene adesso, e Temari era stata efficacemente consegnata al nemico – una cosa del genere non poteva ripetersi una seconda volta. Era inammissibile.

Per cui, doveva fare qualcosa. Hagormo Otsutsuki doveva essere eliminato, e il Settimo Hokage assieme a lui. Erano entrambi una minaccia incalcolabile. E in quanto tale, dovevano essere annientati il prima possibile.

Il suo occhio cadde sulla pergamena che stringeva in mano. Non aveva ancora l’arma necessaria per abbatterli, certo, ma c’era un altro modo per mettere fuori gioco quei due. Un altro metodo. Un piano B – Boruto aveva sempre un piano di riserva – ideato appositamente in caso in cui le cose fossero precipitate prima del previsto. E adesso era giunto il momento di attuarlo.

Ma non era così semplice. Per farlo, per poterci riuscire, era necessario compiere un azzardo. Una mossa piena di pericoli ed incertezze. Era un rischio, Boruto lo sapeva, ma un rischio necessario. Non avrebbe avuto modo di raggiungere e colpire a dovere quei due se non avesse osato spingersi al limite delle sue capacità. Ed ora, viste le esperienze recenti, la situazione era cambiata, ed il suo piano per eliminarli doveva essere messo in moto prima del previsto.

Il suo Jougan pulsò di una rabbia ed una determinazione indomabili.

Boruto Uzumaki non sarebbe stato sconfitto.
 


07 Febbraio, 0022 AIT
Occhio della Tempesta
23:00

Mitsuki alzò lo sguardo dal suo lavoro, sorpreso di vedere Boruto arrivare nei laboratori ad un’ora così tarda. Le sue labbra si incurvarono inconsciamente nel suo sorriso indecifrabile di sempre. "Ehi, Boruto," lo salutò allegramente.

"Mitsuki," disse quello, avanzando verso di lui. L’albino si accigliò, notando chiaramente le borse scure sotto agli occhi dell’Uzumaki. Non ci mise molto a capire quello che era successo. Quel biondino si era rimesso a studiare e pianificare con più forza e dedizione di prima negli ultimi giorni. "Vedo che stai lavorando sodo. Come procede il controllo del Demone artificiale?"

Il giovane scienziato sorrise, compiacendosi di poterne, finalmente, parlare. Per quanto Kumo fosse geniale e talentuoso come pochi, quell’uomo non parlava molto. Era sempre calmo, silenzioso e inflessibile, intento a macchinare e pensare in disparte. Boruto era l'unico con cui Mitsuki poteva intrattenere una conversazione intelligente e scientifica. "Oh, va a gonfie vele, davvero," dichiarò, toccandosi il sigillo sull’addome. "Ho appena finito gli ultimi ritocchi sul Sigillo. Di questo passo, presto il mio Demone e quelli delle cavie saranno in grado di lanciare Tecnica di classe S come la Bijuudama (Sfera dei Bijuu). Con il tuo aiuto, potremmo riuscire ad avere risultati soddisfacenti in meno di una settimana."

Ovviamente, potenziare e stabilizzare il chakra dei Demoni che avevano creato non era semplice. Quelle bestie erano entità mostruose e prive di senno, ma l’albino era certo che con una buona dose di controllo e potere da parte della Forza Portante, l’idea sarebbe stata possibile.

Boruto annuì. "Ottimo lavoro come sempre, Mitsuki," si complimentò. "Tuttavia, stasera non sono qui per parlare dei Demoni Artificiali."

L’albino si illuminò. "Oh! Un nuovo progetto, dunque?" sorrise speranzosamente.

"Sì," rispose l’altro. "Hai ancora le cellule clonate dal cadavere di Danzo Shimura?"

Mitsuki annuì, indicando una parete ricolma di tubi e contenitori sulla sua destra. "Certo che sì," rispose succintamente. "Sono in crio-stasi, in attesa di essere usate. Esattamente come avevi ordinato."

Boruto sorrise all’udire ciò, e Mitsuki rabbrividì. Il sorriso del biondo era ferale, animalesco. Lupino, quasi. Gli porse una pergamena, e l’albino la prese e la dispiegò rapidamente.

I suoi occhi si sgranarono.

Questo era il motivo per cui aveva scelto di seguire Boruto Uzumaki. Questo era ciò che il suo cuore bramava più di ogni altra cosa. Nessun altro essere vivente al mondo era pronto ad offrirgli – figuriamoci ad incoraggiare – la possibilità di far avanzare la scienza tanto quanto Boruto. Il biondo, invece, dava sempre a Mitsuki progetti interessanti, promettenti, strabilianti. Progetti talmente ambiziosi da togliere il fiato e fargli chiedere se la scienza fosse davvero in grado di fare qualcosa per attuarli. Mitsuki adorava questa sensazione.

Questo era sicuramente qualcosa da cui uno scienziato normale si sarebbe lavato le mani.

Ma Mitsuki, invece, non era uno scienziato normale. Nella scienza, credeva, non poteva esserci posto per la moralità.

"Ho chiamato questo progetto la 'Spada Muramasa'," disse Boruto.

Mitsuki ammiccò con meraviglia. "Una lama demoniaca capace di dividere l’anima stessa di un Demone," mormorò, allibito. Non poteva esserci nome più appropriato. "Ma, se posso chiedere, con chi hai intenzione di usare questo progetto?"

Boruto sorrise, snudando i denti.

"Il Kyuubi (Enneacoda)."

 





 

Note dell’autore!!!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. In esso sono successe diverse cose. Spero che l’intreccio possa essere stato di vostro gradimento.

Come vedete, a causa di ciò che ha passato per colpa dell’Eremita, il nostro Nukenin ha intenzione di agire. Ha in mente un piano, un piano a cui aveva pensato – e a cui anch’io ho pensato – da molto tempo, ma che adesso si ritrova costretto ad attuare prima del previsto. In Guerra, queste cose capitano. Lo vedrete nel prossimo capitolo. Vi dico solo che qualcosa di grosso sta per accadere.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Se ci sono errori nel capitolo, vi chiedo gentilmente di farmeli notare così da poterli correggere quanto prima. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!
   
 
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