7.
«Proseguono
le
ricerche dell’escursionista scomparso tre settimane addietro,
nei boschi a sud
del Denali. Le sue ultime tracce sono state trovate a una trentina di
miglia a
nord-ovest di Petersville, dove si era accampato per la notte. Non
ricevendo
notizie, la famiglia ne ha denunciato la scomparsa e, da quel giorno,
le
Guardie Forestali del Parco e diversi civili della zona si stanno
intervallando
nella ricerca del giovane Nigel Grant.»
Iris
spense la TV quando lo speaker interruppe il collegamento da Nome, in
Alaska e,
nel guardare dubbiosa Dev, borbottò: «E’
possibile che…»
«Senza
un corpo, possiamo pensarle tutte. Può essersi perso, essere
caduto in un
burrone, aver affrontato i ghiacciai del Denali ed essere finito in un
seracco.
Vai a sapere» scosse impotente le spalle l’uomo.
«Non pensarci. Domani è il
gran giorno, e oggi devi passare una bella giornata con le tue amiche,
divertirti, sognarmi a occhi aperti e agognare il momento in cui
potremo dire
sì davanti all’altare, okay?»
Iris
assentì nell’avvicinarsi a lui, che se ne stava
appollaiato su uno sgabello
della cucina e, dopo avergli passato un’unghia sul torace,
mormorò: «Anche tu
mi sognerai a occhi aperti?»
«Vedremo»
mormorò roco lui, strappandole un bacio prima di afferrare
il suo borsone da
lavoro e aggiungere: «Sarà meglio che vada, se
voglio finire in tempo per la
festa di addio al celibato di stasera.»
«Fai
un buon lavoro!» esclamò allora lei, salutandolo.
«Quando
mai non lo faccio?» ironizzò Dev, uscendo di gran
fretta da casa per poi
raggiungere il pick-up e allontanarsi lungo la carreggiata.
Nel
reclinare la mano, Iris tornò con lo sguardo alla TV ormai
spenta e Gunnar,
pensieroso, disse: Ci stai rimuginando
troppo. Dev ha ragione. I motivi della scomparsa di quel turista
possono essere
mille e più. Concentrati sui festeggiamenti e non pensare ad
altro.
“Ci
provo, ma è
più forte di me.”
Un
frullo d’ali interruppe i pensieri di Iris che, nel volgere a
mezzo lo sguardo,
intravvide uno dei corvi di Liza posarsi sul doppio trespolo che
tenevano in
salone proprio per loro.
Nel
riconoscerlo – grazie ai suoi chiari occhi grigi, era
impossibile non
riconoscere il Corvo del Pensiero – Iris lo raggiunse e
mormorò: «Sei
preoccupato anche tu, Huginn?»
Il
corvo gracchiò un paio di volte prima di annuire col capo e
Iris, nel
carezzarlo con delicatezza, sospirò e disse:
«Allora siamo in due. Hai visto
qualcos’altro?»
Il
corvo scosse il musetto prima di strusciarsi contro la mano di Iris,
quasi a
volerla consolare.
La
giovane allora sorrise, si chinò per dargli un bacetto sul
becco prima di
levare il capo non appena avvertì il rumore di
un’auto in avvicinamento.
Huginn, per contro, si involò fuori dalla finestra e Iris,
sorridendo a mezzo,
comprese subito il perché.
C’era
Brianna, su quell’auto.
Da
quel che aveva capito, la presenza di Fenrir all’interno di
Brianna metteva in
agitazione i corvi, senza nessuna eccezione, perciò era
quasi impossibile che
lei riuscisse a restare nei pressi di uno solo dei Guardiani della
Vista di un
Geri.
Nel
chiudere la finestra da cui era uscito Huginn, Iris raccolse in fretta
dal
divano il soprabito e, raggiunta che ebbe la veranda, salutò
le nuove arrivate
– Brianna, Helen, sua zia Rachel e Mary Beth – e
accorse all’auto per salirvi.
«Buongiorno!
Allora, ti senti pronta per questa giornata di
festeggiamenti?» esordì Brianna,
che era sul sedile del passeggero mentre Rachel guidava
l’auto di famiglia.
«Buongiorno
a tutte! Direi di sì. Cos’abbiamo in
programma?» volle sapere lei, più che mai
curiosa. Brianna e le altre non avevano voluto sbilanciarsi,
perciò era
all’oscuro di tutti i loro macchinamenti.
«Partiremo
con il raggiungere il campeggio e il resto delle lupe – e non
– che
parteciperanno ai festeggiamenti» dichiarò
Brianna, già eccitata all’idea.
«Dopodiché
ci sposteremo in auto fino alle Spahats Falls e lì
pranzeremo dopo una
passeggiata per i boschi.»
Mentre
l’auto si immetteva sull’interstatale, Mary Beth
proseguì dicendo: «Nel
pomeriggio, ci attendono al Clearwater Lodge per coccolarci con sauna,
Jacuzzi
e massaggi, mentre stasera…»
Tutte
risero all’unisono, di fronte a quel silenzio carico di
sottintesi e Iris,
curiosa, domandò: «…stasera?»
«Festa
all’Old Caboose, che abbiamo interamente
prenotato, con musica dal vivo e
spo-glia-rel-lo!» ciangottarono in coro le
presenti, facendo scoppiare a
ridere Iris.
***
Mentre
il rombo della cascata esplodeva a contatto dell’acqua con il
suolo,
inerpicandosi lungo le sporgenze rocciose fino a sfiorare le creste dei
pini,
Iris ne ammirava la potenza, la selvaggia bellezza e la
grandiosità. In momenti
come quelli si sentiva pacificata, come se la natura stessa riuscisse a
proteggerla dai suoi tristi pensieri, così come dalle ansie
di un futuro
incerto.
Il
suo essere una licantropa le permetteva di godere delle bellezze della
Natura
come, in passato, non era mai stata in grado di fare e, specialmente in
quel
momento, trovò quel luogo adatto a calmarle lo spirito e il
cuore.
Brianna
e le altre avevano avuto ragione nel voler organizzare quel pic-nic nei
pressi
della cascata, nonostante fossero agli inizi di ottobre e
l’aria fosse già
frizzante, per i senza-pelo.
Zia
Rachel, Helen e un paio di altre neutre appartenenti al branco,
comunque, si
erano ben equipaggiate per quella mattinata all’aperto.
All’apparenza, non
sembravano risentire delle gelide correnti che si innalzavano dal
canalone dove
scivolavano le acque delle Spahats Falls, formatosi nei millenni a
causa del
passaggio della cascata.
Le
loro giacche a vento davano l’idea di essere più
che adatte a proteggerle
adeguatamente e, a discapito dei loro nasi rossi, parevano divertirsi
davvero.
Nel
sentirsi sfiorare una spalla, Iris si volse a mezzo per sorridere a
Brianna
che, ammiccando al suo indirizzo, mormorò: «Ha un
che di rigenerante, vero?»
«Questo
luogo? Sì, molto. Ci vengo spesso con Dev e Chelsey, e non
posso che trovarlo
sempre bellissimo» annuì la donna, tornando a
osservare la cascata fragorosa.
«Grazie per aver organizzato questa gita fuori porta per me.
Ne avevo davvero
bisogno. Tra gli ultimi preparativi per il matrimonio e la faccenda dei
Sullivan, mi sembra di avere sempre troppo poco tempo per
tutto.»
«Avete
scoperto altro?» si informò allora Brianna, mentre
Rachel e Helen disquisivano
sul posto migliore in cui sistemarsi per il pic-nic.
Scuotendo
il capo, Iris ammise: «Nonnina dice che nessun mostro simile
a un lupo
appartiene alle memorie della sua gente, ma sa di creature simili in
altri miti
del Popolo. Non sapendo però nulla di specifico in merito a
questo nemico, non
abbiamo niente a cui aggrapparci per una ricerca più
approfondita. Potremmo
trovare decine di miti diversi senza mai incappare in quello
giusto.»
Brianna
annuì pensierosa prima di domandarle a bruciapelo:
«Avete già deciso il luogo
della luna di miele?»
Vagamente
sorpresa, Iris esalò: «Ah, beh… io e
Dev pensavamo di fare un viaggio
itinerante con il camper. L’idea era di stare via un paio di
settimane al
massimo, per non far ingelosire troppo Chelsey,
sai…»
Con
un risolino, arrossì e aggiunse: «Desiderava
venire anche lei, ma Dev è stato
irremovibile, in merito, così abbiamo proposto di non stare
via tre settimane
ma solo due, e di lasciarle la possibilità di scegliere dove
andare per le
feste di Natale.»
La
giovane wicca assentì
comprensiva.
«Giungere a compromessi con un’adolescente non deve
essere semplice.»
«No,
per niente. Tanto più che adoro Chelsey, ma ammetto di
volere questo viaggio
solo per noi. Non so se mi spiego» tentennò Iris,
insicura.
Brianna,
allora, scoppiò a ridere ed esalò: «Oh,
credimi, ti capisco! Noi impiegammo
anni prima di poter fare un vero e proprio viaggio in santa pace, e in
quel
periodo io scoprii di essere incinta! Figurati il caos di quella
novità
improvvisa, quando per tanto tempo avevamo sperato in un periodo
tranquillo e
basta.»
«Immagino
non sia stata una scoperta del tutto normale, vero?»
«No,
affatto. I poteri di una wicca
decuplicano, quando si è incinte e, se consideri la portata
del mio potere in
momenti normali, capirai il mio
smarrimento» ammise Brianna. «Comunque, una volta
risolto anche quel dramma,
riuscimmo a goderci la nostra vacanza in Toscana.»
«Dici
dovremmo andare lì anche noi?»
Brianna
ammiccò misteriosa al suo indirizzo e replicò:
«Io pensavo piuttosto
all’Irlanda.»
Iris
sgranò gli occhi per la sorpresa ma, prima di poter chiedere
spiegazioni in
merito, scoppiò a ridere quando Helen, in posa da generale,
si impose su sua
madre con un tonante: «Lo faremo là!
E non voglio sentire repliche!»
«Sei
spietata…» sospirò Rachel, scuotendo il
capo per l’esasperazione. «…pensavo
soltanto che, quella bella e pacifica radura laggiù, sarebbe
stata più adatta
rispetto ai tavoli che ci sono nel piazzale della terrazza
panoramica.»
«Mamma,
si congela. Verranno le chiappe blu
persino alle nostre amiche lupe, credimi»
sottolineò Helen con maggiore tatto,
ma non meno determinazione. «Le panche sono al riparo sotto
tettoie
appositamente costruite, sono asciutte e ci permetteranno di non farci
venire
una paresi alle ginocchia.»
«Non
sei per nulla romantica, cara. E’ proprio vero che assomigli
a nonna Maggie»
sbuffò Rachel, accettando suo malgrado la proposta della
figlia maggiore.
«Sì,
lo so, mamma. Sono un pezzo di legno formato donna»
scrollò una mano Helen,
dirigendosi verso l’uscita del sentiero mentre il resto del
gruppo si accodava
a lei.
Iris
rise divertita, riconoscendo in quel battibecco altri mille di cui era
stata
testimone negli anni. Helen era sempre stata pragmatica, mentre sua
madre
Rachel prediligeva il romanticismo e i sentimenti, e questo le aveva
portate
spesso e volentieri a discutere.
Era
indubbio quanto si volessero bene, ma Helen aveva davvero troppo di
nonna
Margareth – genitrice di Richard – per non
scornarsi un poco con la madre.
***
L’acqua
calda e gorgogliante della vasca idromassaggio era qualcosa di
impagabile. Il
Clearwater Lodge le aveva accolte con tutti gli onori – forse
pesavano gli
oltre duecento invitati che, il giorno seguente, avrebbero invaso i
loro
saloni? – e ora, coccolata da quelle dolci acque profumate,
Iris era totalmente
rilassata.
Liza
e Chelsey, nella stessa vasca di Iris, sembravano preda di una trance medianica e, nel guardarsi
intorno per curiosare l’enorme SPA dove si trovavano in quel
momento, la
festeggiata notò medesimi sguardi persi e soddisfatti.
L’idea
di gustarsi qualche coccola dopo la mattinata passata a camminare e
respirare
aria frizzante, le era parsa davvero azzeccata e aveva plaudito a chi
aveva
avuto il pensiero di prenotare per tutte loro.
Dopotutto,
non c’erano solo lupe da soddisfare, ma anche umane. Inoltre,
anche alle lupe,
in ogni caso, piaceva farsi massaggiare da mani esperte.
Sollevando
pigramente il capo dal cuscino su cui era poggiato, Liza
mormorò: «Davvero io e
Chelsey non possiamo venire, stasera? Faccio sempre in tempo ad
annullare la
nostra festa.»
«Da
quel che ho inteso, è davvero il caso di no. Se non altro,
per non sconvolgere
i proprietari del locale e zia Rachel che, per quanto di aperte vedute,
non
accetterebbe mai che la propria figlia minorenne
e la sua nipote acquisita di dodici anni vedano degli uomini
nudi… o quasi»
sottolineò con un sorrisino Iris.
Sbuffando,
Liza borbottò contrariata: «Mi mancano pochi mesi,
per raggiungere i diciotto
anni. Mia madre potrebbe anche fare uno strappo alla regola.»
«E
mi lasceresti sola?» esalò Chelsey, fissandola con
occhi liquidi.
«Oooh,
non guardarmi così!» protestò Liza,
coprendole il viso con una mano mentre
l’altra scoppiava a ridere. «Spero almeno che a
casa ci siano un sacco di
leccornie per lenire il mio dispiacere.»
«Voi
e i vostri amici avrete di che divertirvi, promesso. Ma niente uomini
nudi,
spiacente» scrollò le spalle Iris, chiudendo gli
occhi per poi poggiare il capo
sul suo cuscino in memory foam.
Non
poté comunque evitare un sorriso, quando udì Liza
bofonchiare: «E’ tutto
tremendamente ingiusto.»
***
Iris
e le altre erano già uscite da almeno un’ora per
raggiungere il pub, e anche
Dev e i suoi compagni di brigata si erano dileguati con il fare della
sera.
Era
stato davvero buffo vedere degli uomini fatti e finiti sghignazzare
– e bere
birra – in onore del festeggiato, prima di riversarsi come un
fiume in piena
verso le rispettive auto. Per andare dove, nessuno lo sapeva ma, dai
loro
sguardi eccitati, Liza aveva dedotto che ci sarebbe stata una caccia
nel mezzo.
Essendo un gruppo formato soltanto da lupi, era quasi certa di non
sbagliarsi.
Dev,
infatti – al pari di Iris – aveva organizzato un
secondo addio al celibato il
giorno precedente per tutti coloro che non facevano parte del branco,
così da
non destare sospetti o fomentare domande. L’ipotesi di una
festa in stile
mannaro era avvalorata anche da questo; se si fossero trovati nei
boschi,
nessuno avrebbe potuto vederli.
A
ogni buon conto, avrebbe indagato in merito, nei giorni successivi.
Sorridendo
a Chelsey nel sistemare gli ultimi tovaglioli sull’ampia
tavola della cucina,
batté il cinque con la quasi neo-cugina e infine attese che
gli amici
giungessero lì per la loro personale festa pre-matrimonio.
Ligi
agli orari prefissati a suo tempo, questi ultimi non tardarono ad
arrivare, con
tanto di raccomandazioni da parte dei genitori e ringraziamenti vari
per quella
serata diversa dalle altre.
Un
ringraziamento particolare andò anche a nonna Jennifer
offertasi di fare da
guardiana alla masnada di minorenni presenti in casa.
Con
un sorriso truffaldino e l’aria furba, la donna attese che il
grosso del gruppo
fosse giunto, dopodiché si portò al primo piano
per lasciare campo libero ai
divertimenti. Sapeva bene che, qualora vi fosse stato bisogno di lei,
Liza e
Chelsey sarebbero state abbastanza mature da avvisarla.
D’altro
canto, non voleva fare l’avvoltoio e stare loro addosso per
tutta la sera,
perciò trovare “riparo”
nello studio
di Devereux le parve la soluzione migliore.
Quello
era stato un anno denso di cambiamenti. Jennifer, il marito e i
genitori di Dev
non avevano soltanto visto cambiare le dinamiche di quella famiglia, ma
avevano
visto mutare tutti gli equilibri interni a Clearwater.
L’avvento
dei licantropi nella loro vita aveva destabilizzato tutte le loro
certezze ma,
per lo meno, avevano restituito loro un Devereux e una Chelsey di nuovo
felici,
pur se con l’ombra di Julia a rendere quel risultato
totalmente positivo.
Non
aveva mai fatto una colpa a Iris per ciò che era stata
costretta a fare, ma
rimpiangeva ogni giorno di non aver saputo fare di meglio, con la
figlia.
Quella
festa era il degno coronamento di un anno di sacrifici e battaglie, e
trovava
giusto che si divertissero tutti, in famiglia. A suo modo, si sarebbe
divertita
anche lei, ascoltando le risate dei ragazzi dabbasso.
Aperta
la finestra per lasciar entrare Huginn e Muninn – era meglio
che i ragazzi non
li vedessero neppure per sbaglio – Jennifer
osservò i due bei corvi dal nero
piumaggio appollaiarsi sui loro trespoli e, nel chiudere le imposte,
asserì:
«E’ molto carino che siate voluti restare accanto
alla vostra padroncina,
invece di uscire a caccia.»
Huginn
nascose il musetto sotto un’ala, quasi vergognandosi per
quell’ovazione, mentre
Muninn annuì con vigore, rinvigorendo così le
parole della donna.
Jennifer
allora rise sommessamente, prese per sé un lavoro a maglia
dopo aver sistemato
nei pressi del trespolo una ciotola di interiora per i due corvi e, con
calma,
si mise a lavorare.
Dabbasso,
nel frattempo, Liza inserì un CD con una raccolta di canzoni
dei Linkin Park nel lettore,
dopodiché
azionò l’impianto Dolby di Dev e raggiunse gli
amici per scambiare quattro
chiacchiere.
Come
aveva immaginato fin da quando aveva deciso di organizzare il party, i
suoi
amici e quelli di Chelsey avevano formato due gruppi ben distinti e
separati
tra loro.
La
cosa, però, sembrava non pesare a nessuno, poiché
in casa non si trovavano più
di una dozzina di persone, perciò il caos non era tale da
rovinare la festa di
uno dei due clan formatisi.
Sperava,
comunque, che prima della fine della serata, si potesse trovare un
comune
terreno di gioco in cui incontrarsi, così da rendere la
festa ancor più
grandiosa.
Nel
sentire suonare alla porta, Liza lasciò perdere quei
pensieri e si scusò coi
presenti, iniziando ad agitarsi per diretta conseguenza. Aveva
cominciato a
pensare che non sarebbe venuto ma, a quanto pareva, Mark era infine
riuscito a
cedere alle sue lusinghe.
Vedere
– e conoscere meglio – Mark al di fuori della
scuola, e non solo per
accompagnarlo a casa, era stato non soltanto bello, ma anche
sorprendente.
Per
quanto non si fosse affatto dimenticata della sua missione, aveva
comunque
trovato piacevole scoprire dei lati nuovi di Mark, delle parti di lui
che,
necessariamente, a scuola non poteva vedere.
Si
era dimostrato molto pratico di campeggi e di vita in mezzo alla natura
– la
sua attrezzatura ma, soprattutto, il suo modo di muoversi nei boschi,
lo
avevano reso lampante. Aveva spiegato loro, con dovizia di particolari,
le
piante presenti nei pressi del lago e, non senza qualche imbarazzo,
aveva
ricevuto i pieni complimenti di Sasha e Chanel in merito.
Con
Fergus, aveva ingaggiato una piccola gara per stabilire chi fosse il
miglior
intagliatore di legno ma, dopo circa un’ora di vani
tentativi, il loro comune
compagno di classe aveva dichiarato Mark vincitore.
Liza
aveva voluto per sé il bastone che Mark aveva intagliato con
fantasie di tralci
d’uva e e il giovane, con una scrollata di spalle e un
rossore profuso, glielo
aveva concesso.
Più
di ogni altra cosa, però, Liza aveva notato quanto fosse
più rilassato e
sereno, se contrapposto al ragazzo guardingo che era solita incontrare
a
scuola.
Il
senso di quiete di quei posti lo aveva apparentemente liberato dai
freni
inibitori che soleva tenere in classe e, a quel punto, Mark aveva
potuto essere
se stesso.
Si
era esibito per loro in alcuni brani suonati con l’armonica
– dimostrando di
avere, a sua volta, un buon orecchio musicale – e, durante il
loro ritorno a
casa, il ragazzo si era attardato più del solito con lei per
parlare di quanto
vissuto quel giorno.
Liza
aveva trovato fastidiosamente piacevole ascoltarlo, soprattutto in
considerazione del suo duplice ruolo di amica di Mark e di spia per il
branco.
Se
fosse stata soltanto la prima, non avrebbe dovuto preoccuparsi della
seconda
ma, dovendo essere entrambe, si era sentita sporca e crudele nei suoi
confronti.
Di
ritorno da quella gita lungo il Dutch Lake, si era quindi chiusa in
casa e
aveva telefonato a sua madre per chiederle consigli, piagnucolando
forse per
prima volta in vita sua.
Al
solo sentirla, sua madre l’aveva dolcemente presa in giro,
ricordandole che il
ruolo della piagnucolona spettava a lei, e che Liza non poteva pensare
di
usurparglielo così facilmente.
Quelle
semplici parole avevano portato il sorriso sul suo volto e,
più serena, aveva
esposto i suoi problemi alla madre, che l’aveva consigliata
con semplicità e
candore.
Rassicurante
ma determinata le aveva detto che, più il dovere si fosse
fatto gravoso, più le
scelte sarebbero diventate difficili. Avrebbe dovuto trovare nel suo
cuore le
risposte, e sapere dire basta al momento giusto.
Diventare
adulti significava anche prendere decisioni scomode e spiacevoli e,
forse, quel
caso le riassumeva pienamente.
«Da
grandi poteri derivano grandi
responsabilità…» brontolò
Liza, raggiungendo la
porta. «… quanto avevi ragione, Zio Ben1.»
Stampandosi
un enorme sorriso sul volto nel cancellare dalla mente quelle
elucubrazioni,
aprì infine il battente e, nel vedere sia Mark che Diana, si
rasserenò un poco
ed esordì dicendo: «Ben arrivati. Entrate
pure!»
Mark
borbottò un ‘grazie’
molto più nelle
sue corde, rispetto al ragazzo visto sul lago e Liza, pur spiacendosene
un po’,
cercò di non prendersela. Era chiaro che la confusione
generale e, forse, anche
la presenza materna, tendevano a frenarlo, per quanto fosse evidente il
suo
amore per la madre adottiva.
Diana
la ringraziò con più vivacità e,
guardandosi intorno, esalò: «Beh, se questo
è
un esempio di ciò che sanno fare Devereux e i suoi ragazzi,
sono ben lieta di
lavorare per loro.»
Chelsey
li raggiunse in uno svolazzare di capelli e ciabattare di infradito
– vizio che
aveva preso dal padre – e, sorridendo ampiamente, strinse una
mano di Diana ed
esclamò: «Benvenuta! Vieni al tavolo dei
rinfreschi! Devi assolutamente
assaggiare le polpette di Iris.»
Lasciatasi
travolgere dall’esuberanza di Chelsey, Diana
salutò simpaticamente il figlio
mentre quest’ultimo scuoteva esasperato il capo e, nel
togliersi il parka,
borbottava: «Dimostra di avere meno anni di noi, quando si
intrufola così alle
feste.»
Sorridendo
divertita, Liza prese in consegna la giacca dell’amico e,
dopo averla sistemata
sull’appendiabiti, disse: «Mi sembra un peccato che
non le assaggi. Sono
veramente buone, sai?»
«A
proposito della professoressa Walsh… sei davvero
sicura che possiamo venire al matrimonio? So che
l’invito è stato esteso a
tutta la famiglia, e non solo a mio padre, visto che loro sono colleghi
di
lavoro, ma…» tentennò lui prima di
arrossire quando udì sua madre ridere
divertita a un commento di Chelsey.
Liza
prevenne qualsiasi sua protesta, replicando: «Iris
è nuova di qui esattamente
come me e te, anche se è qui da un anno. Ha invitato tutti i
suoi nuovi
colleghi della scuola con le loro famiglie, quindi mi pare normale che
abbia
esteso l’invito anche a voi. Devereux lo avrebbe fatto con
tua madre, credimi,
se Iris non si fosse mossa per prima con tuo padre. Inoltre, i
matrimoni sono
un buon modo per farsi degli amici.»
Mark
si guardò intorno, rispose timido al saluto di Sasha e
Fergus – che sembrarono
voler avvalorare le parole di Liza, senza volerlo – e, dopo
un attimo, mormorò:
«Amici nuovi, eh?»
«Sì»
assentì lei, sospingendolo verso il tavolo dei rinfreschi.
«Serviti pure. Dai.»
Lui
lo fece, cercando al tempo stesso di apparire divertito da quella
serata in
compagnia, ma Liza non si convinse del tutto. Sembrava che, dal giorno
passato
al lago, Mark si fosse chiuso a riccio ancor più di prima.
Era
mai possibile che fosse in rotta con il padre per via di ciò
che loro avevano
sentito? Era questo a turbarlo tanto? Qualcosa aveva peggiorato una
situazione,
di per sé, già assai spinosa?
Nel
dire arrivederci a Diana – che invece appariva tranquilla
– Liza si chiese più
e più volte se le sue speculazioni fossero esatte, ma le
occorsero più di due
ore per scoprirlo. Per farlo, inoltre, dovette giocare un jolly che si
era
ripromessa di tenere ben lontano dalla sua vita di tutti i giorni.
Mentre
in casa la festa procedeva di gran carriera, e i gruppi avevano finito
con il
mescolarsi grazie a una battaglia senza quartiere a Zelda
– utilizzando il megaschermo di Dev, e non le piccole
consolle della Nintendo Switch
– Liza
era uscita di casa in cerca di Mark.
Non
trovandolo appresso al capannello di spettatori impegnati nella visione
della
partita, si era preoccupata un poco e, nel controllare
l’attaccapanni
sull’entrata, aveva notato la mancanza del parka del giovane.
Questo
l’aveva spinta a uscire in cortile e, non lontano dalla
piccola quercia che era
anche il loro Vigrond, lo aveva infine trovato in assorta
contemplazione della
voliera dei suoi corvi. Naturalmente vuota, in quel momento.
In
ansia, era rimasta in religioso silenzio per diversi attimi, tentando
di capire
come e se approcciarlo ma, alla fine, si era decisa ad avvicinarlo. Era
inutile
tentennare davanti ai problemi; andavano affrontati.
Ora,
appresso a lui, si limitò a chiosare: «Bella
grossa, eh?»
Mark
sobbalzò per lo sgomento, nel sentirla parlare e, volgendosi
a mezzo, esalò:
«Dio! Non ti ho sentito arrivare!»
Liza
ne fu quietamente soddisfatta. Lavorare per tanti mesi con Rock aveva
affinato
anche quel particolare; non avrebbe mai ingannato un licantropo, ma un
umano,
sì, e questo era già importante.
«Ho
il passo leggero» dichiarò lei, lanciando
un’occhiata alla voliera vuota.
«Qualsiasi
cosa voi ci teneste dentro, è chiaramente scappato. O avete
liberato qualche
uccello dopo averlo curato?»
Avrebbe
potuto mentirgli, raccontare che sì, avevano liberato un
uccello di qualche
genere, ma non vi riuscì. Sentiva
di
dovergli dire la verità, dopo quelle settimane di domande
mirate a
smascherarlo, di intrusioni nella sua sfera privata, di bugie
perpetrate per il
bene superiore del branco.
Lanciato
perciò un fischio modulato, attese che Jennifer liberasse i
suoi corvi
dopodiché, nel vederli involarsi per raggiungere la voliera
sotto gli occhi
basiti di Mark, mormorò: «Sono i miei corvi
ammaestrati.»
“Perché
ci hai
voluto mostrare a lui, mamma?!” esclamò Muninn, assai
preoccupato.
“Non
temere.
Lasciami fare”
lo ammonì dolcemente lei.
Carezzando
con un dito il petto del suo Muninn, Liza addolcì lo sguardo
e aggiunse: «Li ho
addestrati io.»
Mark
la fissò strabiliato mentre carezzava con dita leggere i due
enormi corvi dalla
sericea cascata di penne nere, mormorando: «Sapevo che si
potevano addestrare i
rapaci, ma non pensavo anche i corvi. E perché, poi, proprio
i corvi?»
Altra
bugia, pensò
tra sé
Liza, pur replicando: «I corvi sono tra gli uccelli
più intelligenti che si
conoscano, e sono anche estremamente affettuosi, se li allevi fin da
piccoli.
Questi due li trovai senza mamma, durante una passeggiata coi miei
genitori,
così chiesi di poterli salvare, e loro trovarono qualcuno in
grado di aiutarmi
a farlo.»
«Sei
stata carina a pensare a loro. Molti, semplicemente, li avrebbero
lasciati
morire» sottolineò Mark, sorridendo con calore
alle sue parole.
«Ti
sembrerà stupido, ma pensai ai miei zii, morti in un
incidente perché nessuno
era stato in grado di salvarli, e così mi sentii male dentro
al pensiero di
lasciarli a loro stessi» mentì ancora Liza,
sperando di saper mettere un
genuino dolore nelle sue parole.
Aveva
sofferto molto, alla notizia della morte dei genitori di Iris e,
durante il
funerale, si era stretta alla cugina con tutte le sue forze per
trasmetterle il
suo amore e la sua partecipazione. Quando, però, aveva
saputo della sua
partenza improvvisa, per un po’ l’aveva odiata,
quasi che quel viaggio lontano
da loro sminuisse l’amore che la famiglia provava per lei.
Solo
tempo dopo, a mente fredda, aveva iniziato a comprendere la
necessità di Iris
di cambiare aria e, alla scoperta della verità, si era
sentita piccola e
inutile, di fronte all’enorme problema affrontato in
solitudine dalla cugina.
Tutto
questo dolore, lo straniamento provato in quei mesi di lontananza da
Iris, lei
lo riversò in quell’enorme bugia e, a giudicare
dal volto addolorato di Mark,
lui credette a ogni parola.
Volgendosi
verso i corvi, disse con tono sommesso, quasi soffocato:
«Capisco cosa tu
voglia dire. Avrei dato tutto, pur di poter salvare i miei zii e mia
cugina.»
«L’incidente
di cui mi accennasti?» mormorò lei, tesa come una
corda di violino.
Mark
annuì e, nel tendere timoroso una mano verso
l’immobile Muninn, domandò: «Posso
toccarlo? O mi beccherà?»
«Starà
buono» gli promise lei.
Il
giovane allora si allungò ulteriormente e, nello sfiorare il
piumaggio fresco e
morbido del volatile, ammise: «La polizia diede la colpa di
tutto a mio zio, ma
mio padre non si fece mai una ragione di quella risposta.
Cercò prove che
invalidassero quella visione semplicistica dell’orrore che
era accaduto a casa
dei miei zii, ma non trovò mai nulla che lo aiutasse a
riaprire il caso.»
Liza
assentì muta. Muninn le aveva spiegato per sommi capi
ciò di cui Curtis aveva
parlato durante la riunione con la Triade e, pur con una versione
edulcorata,
lei si era sentita torcere lo stomaco per l’orrore. Non aveva
davvero idea di
come avrebbe reagito, se fosse stata lei a trovarsi dinanzi agli occhi
un
simile scempio.
Continuando
a carezzare Muninn come se, il solo toccarlo, producesse in lui una
sorta di
placebo contro il dolore, Mark proseguì dicendo:
«Li trovai io. Volevo fare una
sorpresa a mia cugina Lacey per il suo compleanno, così
papà mi portò a casa degli
zii. Scesi dall’auto per suonare alla porta ma, trovandola
aperta, mi
intrufolai dentro per gridare ‘auguri’.
Con mio sommo orrore, mi ritrovai a fissare un mare di sangue, corpi
dilaniati
e la casa ridotta a un caos inenarrabile. Credo di aver urlato,
perché vidi mio
padre entrare di corsa, trafelato. Da quel momento in poi, ho ricordi
frammentari.»
La
ragazza non seppe trovare le parole per confortarlo perché,
forse, nulla poteva
essere abbastanza per colmare un dolore simile, un orrore di quel
genere.
Si
limitò a stringere una mano sul suo avambraccio, mentre i
suoi occhi di perla
si incatenavano a quelli di Mark, verdi come l’erba baciata
dalla rugiada.
«Capisco,
perciò, perché tu abbia voluto
salvarli» terminò di dire Mark, ritirando la
mano dalla voliera.
«Non
voglio che si sappia, però. Gli altri non capirebbero, e non
desidero che
prendano in giro i miei corvi» lo pregò lei
scendendo con la mano fino a
incontrare la sua.
Lui
gliela strinse a mo’ di promessa, si volse un’altra
volta in direzione dei
corvi e infine domandò: «Hanno dei nomi?»
«Huginn
e Muninn.»
Questo
lo sorprese così tanto da portarlo a sorridere, e Liza si
ritrovò nella
spiacevole condizione di sentirsi imbarazzata tanto quanto si sentiva
felice.
Era bellissimo veder sorridere Mark, anche se non ne capiva il motivo.
«Hai
chiamato i tuoi corvi come quelli di Odino?» esalò
Mark, cancellando poco alla
volta il dolore che era sceso sui suoi occhi.
«Come…
come sai che…» tentennò Liza, non
sapendo che pensare. Aveva forse detto
troppo? Li aveva messi tutti in pericolo, rivelando i loro nomi?
«Leggo
anch’io i fumetti Marvel. Perché immagino che i
nomi li avrai presi da lì»
chiosò Mark con una scrollatina di spalle. «O sei
una patita dei miti nordici?»
Liza
non aveva mai letto un fumetto in vita sua, pur se aveva visto tutti i
film
Marvel fin lì usciti. Sapeva, però, che sia nei
film che nei fumetti facevano
la loro comparsa anche i due corvi di Odino perciò, annuendo
con vigore,
asserì: «Ovviamente. Dove altro potrei averli
presi?»
Subito
dopo, rise sommessamente e Mark si unì a lei. Uno starnuto,
però, interruppe la
risata di entrambi e il ragazzo, avvolgendole spontaneamente un braccio
attorno
alle spalle, la volse verso la casa per poi dire:
«Sarà meglio se rientriamo,
prima che ti buschi un raffreddore. Non vorrai avere il naso che cola,
domani,
vero?»
«Già,
è il caso di evitarlo» annuì lei,
apprezzando fin troppo quel braccio
drappeggiato sulle sue spalle.
Poco
prima di entrare, però, Mark la bloccò per un
istante e, serio in viso,
mormorò: «Preferirei che tu non ne parlassi con
gli altri. Sai, della faccenda
dei miei zii. Come te, preferisco che certi argomenti non siano di
dominio
pubblico.»
«Da
me non sapranno mai nulla» gli promise lei, sapendo di poter
mantenere quella
promessa, almeno per quanto riguardava i loro compagni di scuola.
«Loro…»
indicò Mark, facendo un cenno verso i corvi con il capo.
«… e i miei zii
saranno il nostro piccolo segreto, allora.»
«E’
bello avere dei segreti in comune con qualcuno»
celiò lei, avventurandosi lungo
le scale che conducevano alla veranda.
Lui
la seguì e, nel bloccarla prima che lei rientrasse in casa,
mormorò ansioso
quanto irritato: «Papà è convinto che
Diana sia stata ferita dalla stessa cosa
che ha ucciso i miei zii… per
questo continuiamo a girare come
trottole per mezzo continente. Nella vana ricerca di questo… mostro. Sta impazzendo, e non si rende
conto di stare cercando un fantasma che non esiste.»
Liza
non seppe che dire, o come confortarlo, ma ebbe la risposta che
cercava. Lui e
suo padre erano ai ferri corti, ed era molto probabile che la cosa
sarebbe
peggiorata, andando avanti.
Senza
risposte ai loro quesiti, era molto probabile che i Sullivan si
sarebbero ben
presto trasferiti ancora, alla ricerca di qualche altro indizio
illusorio su
questa fantomatica creatura… e Mark se ne sarebbe andato.
Quella
consapevolezza, invece di farla sentire più leggera
– il branco sarebbe stato
nuovamente al sicuro, senza di loro – la fece sentire fredda
e arida dentro,
del tutto svuotata.
Lei
voleva davvero che Mark se ne andasse?
1: Lo Zio Ben a cui fa riferimento Liza è quello di Peter Parker (Spider-Man), a cui è legata l'ormai famosa frase "da grandi poteri derivano grandi responsabilità".
N.d.A:
Liza è sempre più combattuta, nel suo duplice
ruolo di Geri e di amica di Mark. Riuscirà a reggere fino a
quando sarà necessario, o crollerà prima,
mandando all'aria la sua copertura?