11.
Si
trovavano ancora tutti nel negozio di Beth, quando i coniugi Wallace si
presentarono per recuperare Liza.
Non
appena Richard entrò – aprendo galantemente la
porta per Rachel – strabuzzò
confuso gli occhi quando vide Liza impegnata in un tira e molla con
Chelsey… utilizzando
un ragazzo come corda.
«E’
uno sport canadese che non conoscevo?» ironizzò
dopo qualche attimo l’uomo,
rendendo così nota la sua presenza.
Subito,
Liza mollò la presa, lasciando così che il peso
di Mark precipitasse contro
Chelsey che, impreparata ma, soprattutto, memore di doversi comportare
come una
comune dodicenne, crollò a terra imprecando in malo modo.
Mark
ce la mise tutta per non pesarle addosso ma, nel farlo,
picchiò dolorosamente
le ginocchia a terra, finendo comunque a cavalcioni di
un’incolpevole Chelsey.
Quando
ogni corpo ebbe infine arrestato la propria corsa, e i presenti ebbero
avuto
modo di denotare il disastro causato da una semplice domanda, le risate
sorsero
spontanee quanto immediate.
Affrettandosi
ad aiutare Mark nel rialzarsi mentre, con lo sguardo, fulminava un
incolpevole
Richard, Liza borbottò: «Complimenti per
l’entrata in scena, papà.»
«Non
ti ho detto io di mollare la presa» precisò
imperturbabile l’uomo, piegandosi
poi su un ginocchio per spazzolare i jeans di Mark sotto i suoi occhi
sgomenti.
«Oh,
no, non ce n’è affatto bisogno,
signore!» esalò il ragazzo, divenendo paonazzo
in viso.
Richard
ammiccò al suo indirizzo prima di rialzarsi e, scrollando le
spalle, replicò:
«Mia figlia è una pasticciona, e non è
la prima volta che risolvo dei guai
combinati da lei. Stavolta mi è anche andata bene.»
Sorpreso,
Mark lanciò un’occhiata curiosa
all’indirizzo di Liza che, annuendo, disse con
tono lamentoso: «Al matrimonio non ho avuto modo di
presentarvi, visto che qui
sanno fare bisboccia alla grande, e nessuno era propriamente in sé, quel giorno…
comunque, lui è mio
padre Richard, mentre lei è mia madre Rachel.»
Affrettandosi
ad allungare una mano verso di loro, Mark a quel punto
dichiarò: «Avrei dovuto
immaginarlo, visto che sedevate al tavolo degli sposi ma, lì
per lì, non ho
abbinato volti a ruoli. Io sono Mark Sullivan, molto piacere di
conoscervi.»
Richard
strinse la mano del ragazzo, lanciando poi di straforo
un’occhiata alla figlia,
che annuì impercettibilmente e, con tono tranquillo,
asserì: «Non preoccuparti,
ragazzo. Durante i matrimoni si ha sì e no il tempo di
conoscere una decina di
persone nuove, non di più. Il resto, sono solo nomi
ammonticchiati a caso nella
mente. Inolte, con il caos presente quel giorno, è stato
già qualcosa non
essere finiti lunghi riversi sotto i tavoli a causa di una sbronza
colossale.»
Mark
rise di quel commento mentre Rachel, scuotendo il capo, replicava:
«Ora cosa
penserà di noi, questo giovanotto, a sentirti parlare
così?»
«Che
siamo persone alla mano, anche se siamo di Los Angeles»
ammiccò il marito,
sospingendola in avanti. «Non agitarti per niente, Rachel
cara.»
Arrossendo
suo malgrado, la donna strinse la mano protesa di Mark e
mormorò: «Scusami, caro,
ma ho sempre il terrore di fare brutte figure. Dovrei aver imparato, in
tanti
anni, ma ancora ci casco.»
«Ne
so qualcosa di momenti imbarazzanti, mi creda»
replicò il giovane, indicandosi
i capelli rossi. «La mia pelle è trasparente,
quanto a emozioni, e divento
subito del colore dei miei capelli.»
Rachel
gli sorrise calorosamente prima di notare i residui di un taglio
recente a
terra e, curiosando all’indirizzo di Beth,
domandò: «E’ opera tua, questo
taglio strepitoso?»
«Ovviamente,
cara e, se vorrai, darò una spuntatina anche ai
tuoi» ammiccò la donna,
sforbiciando l’aria con indice e medio della mano sinistra.
Rachel
si tastò la lunga chioma bruna ridendo nervosamente e,
scuotendo il capo,
esalò: «Ah,.. no, Beth. Ti ringrazio, ma ci tengo
molto a questa lunghezza,
dopo tutta la fatica che ho fatto per raggiungerla.»
«Come
vuoi tu» scrollò le spalle la donna prima di
guardare l’orologio da parete e
aggiungere dubbiosa: «A che ora dovresti essere a casa, di
solito, ragazzo?»
Mark
lanciò velocemente un’occhiata
all’orologio e, storcendo il naso, borbottò:
«Ah… direi, venti minuti fa.»
Spiacente,
Liza lo fissò piena di contrizione – lei e Chelsey
si erano divertite a usarlo
da corda per il tiro alla fune, facendogli così perdere
tempo – prima di
rivolgersi al padre e domandare: «Papà, possiamo
dargli uno strappo a casa? Non
dista molto da qui.»
«Nessun
problema» assentì l’uomo, ignorando
subito dopo le proteste di Mark. «Fa parte
del mio dovere di padre, risolvere problemini del genere. Non temere,
ragazzo.»
«D’accordo»
accettò alla fine Mark, ringraziando infine Beth per il
taglio gratuito e
salutando il resto delle presenti prima di uscire con la famiglia
Wallace.
Chelsey sarebbe rimasta a dormire da Jennifer e Graham, quella sera,
perciò non
sarebbe andata con loro e, a portarla dai nonni materni avrebbe pensato
Beth.
In
breve, quindi, i Wallace condussere Mark a casa. Fu proprio di fronte
al
villino dove abitava con la sua famiglia, che il cellulare prese a
squillare.
Da
bordo strada, quindi, il giovane fece segno a qualcuno affacciato alla
finestra
del bow window che si affacciava
sul
giardino e, dopo alcuni istanti, sulla porta d’entrata fece
la sua apparizione
Diana.
Sinceramente
sollevata, la donna spense il cordless e, dopo aver lanciato
un’occhiata
curiosa agli accompagnatori del figlio, si fissò su Mark e
domandò: «Liza ti ha
dato una spuntatina ai capelli, caro? Perché, se
è così brava, le chiederò lo
stesso trattamento.»
La
giovane, che era scesa a sua volta dall’auto per perorare
un’eventuale difesa in
favore dell’amico, rise divertita alla battuta della donna e
replicò: «Ci siamo
attardati nel salone della nonna di Chelsey, dimenticandoci
completamente
dell’orario. Scusaci.»
Diana
assentì con un sorriso e scrollò negligente una
mano, prima di salutare
simpaticamente i coniugi Wallace, che si presentarono alla donna per
poi
scusarsi a loro volta con lei.
«Oh,
ma non c’è problema, davvero. Di solito gli
concedo una mezz’ora di abbuono,
quando non lo trovo in casa, dopodiché parto con le
telefonate» si limitò a
dire Diana con un caldo sorriso. «Saperlo con voi mi ha di
sicuro rasserenata,
comunque.»
«In
ogni caso, se dovesse ricapitare, mi assicurerò che suo
figlio la avverta per
tempo» si premurò di dire Richard prima di
accomiatarsi assieme al resto della
sua famiglia.
Nel
rientrare quindi in auto, salutati dalla porta d’ingresso sia
da Mark che da
Diana, l’uomo domandò: «Sono loro,
coloro che devi tenere d’occhio?»
«Io
devo badare a Mark, per così dire, Iris a suo padre Donovan,
mentre Dev e Rock si
premurano di controllare Diana» gli spiegò
sinteticamente Liza.
Lui
assentì torvo, ammettendo subito dopo: «Sembrano
davvero delle persone perbene.
Ora capisco meglio i tuoi sensi di colpa e i tuoi dubbi.
Dev’essere complicato
agire alle loro spalle, visto quanto sanno essere cordiali.»
Liza
non poté che annuire con aria grave.
«Personalmente, non li reputo colpevoli di
nulla e, stando alle ultime informazioni in nostro possesso, sono
sempre più
propensa a crederlo ma, finché Lucas non deciderà
diversamente, mi dovrò
attenere al compito assegnatomi.»
Fu
così che, durante la loro cena assieme a Helen, la ragazza
li mise al corrente
degli ultimi sviluppi legati ai simboli inuit
scoperti da Dev e Iris, oltre a ciò che Rock era venuto a
sapere per bocca di
Diana.
La
famiglia ascoltò accorta l’intera disamina della
situazione, lasciando per un
secondo momento le domande e, quando Liza ebbe terminato il suo lungo
soliloquio, si lasciò andare contro lo schienale della panca
dov’era accomodata
e chiese: «Questo è tutto. Idee? Pareri?»
Richard
fece per parlare ma Helen, impallidendo visibilmente, chiese il
silenzio al
padre per poi puntare il dito verso la televisione a schermo piatto, in
quel
momento collegata con la CBS.
Mentre
la anchor woman sottolineava con
tono
grave l’improvviso quanto tragico epilogo delle ricerche del
campeggiatore
scomparso in Alaska, immagini di repertorio mostravano le vette
innevate del
Denali.
Nessuno
osò aprire bocca, gli occhi incollati al televisore mentre
scenari da favola di
distese infinite di pinete innevate si intervallavano a nuove notizie
sul
macabro ritrovamento, oltre alle possibili spiegazioni di un simile
evento.
Non
molto lontano da loro, in un’altra casa di Clearwater, lo
stesso servizio della
CBS veniva seguito con eguale ansia, ma per motivi assai diversi.
Donovan
poggiò lentamente la forchetta sul piatto di spaghetti al
ragù di cervo, fissò
ombroso il volto della giornalista che stava riportando con dolente
dovizia di
particolari l’accaduto e, a mezza voce, borbottò:
«L’ha rifatto.»
Mark
si massaggiò nervosamente la nuca – ora libera
dalla massa fulva di capelli
che, per anni, aveva lasciato crescere senza curarsene molto
– e, reclinando il
viso, replicò: «Non può essere stato
attaccato semplicemente da un orso? Quella
zona ne è piena.»
Il
padre, però, scosse il capo e ribatté:
«Quante prove vuoi ancora, prima di
capire? Quanti cadaveri dovrà lasciarsi alle spalle, prima
che tu veda lo
schema che sta dietro a queste morti apparentemente casuali?»
Diana
poggiò una mano sul braccio del marito, ammonendolo con lo
sguardo a non
esagerare coi toni e Donovan, sospirando, prese un gran respiro e
ritentò,
moderando parole e modo di parlare.
«Ricordi
lo schema che ti mostrai prima di venire qui?»
Mark
annuì cauto, volgendo la sedia verso il padre per non dare
l’idea che
rifiutasse di ascoltarlo.
In
realtà, avrebbe voluto davvero farlo. Avrebbe desiderato con
tutto se stesso
tornare a quel pomeriggio nel negozio di Bethany Saint Clair, quando si
era
divertito, aveva riso spensieratamente, non aveva pensato per un solo
istante a
morti e assassini.
Certo,
a scuola sarebbe stato la vittima delle domande incrociate dei suoi
compagni
che, pur in buona fede, lo avrebbero messo nella condizione di esporsi,
di parlare di sé
– cosa che lo terrorizzava
– ma, in fondo, sarebbe stato contento lo stesso.
Passare
quel pomeriggio insieme a Liza e Chelsey, alle nonne di
quest’ultima, alle sue
dipendenti, alle clienti del negozio, era stato per lui
un’autentica novità.
Era stato un cambiamento di routine che lo aveva aiutato a capire ancor
di più
cosa si fosse perso, in quegli anni di ricerche mai volute ma sempre
imposte.
Dopo
quei momenti così belli, così divertenti e,
paradossalmente, così semplici, non
voleva tornare ad affrontare le tesi complottistiche del padre, il
mondo
complesso e oscuro in cui lui l’aveva costretto a vivere in
tutti quegli anni.
Eppure,
doveva. Perché, per quanto lui odiasse parlarne, sapeva che
il padre ne era
ossessionato, e lasciare che gliene spiegasse gli intrinsechi misteri
sembrava
essere l’unico modo per chetarlo un poco. Per riavere in
parte quel padre che
sentiva di stare perdendo.
L’idea
di non avere più al suo fianco anche il padre dopo che, come
un pacco postale,
era stato scaricato dalla madre, lo atterriva. Sapeva che suo padre non
lo
avrebbe mai abbandonato ma, di fatto, non si stava accorgendo di
ciò che nella
sua vita stava cambiando, di come lui stesso stesse cambiando.
Era
solo la ricerca, a contare, e ormai quella verità cominciava
a venirgli
stretta. Molto stretta.
«Me
lo ricordo, papà. Ma ammetterai che non hai prove
certe» disse infine Mark,
lasciando perdere pensieri e ipotesi per concentrarsi sulla loro
conversazione.
«Certo.
Sono solo supposizioni, visto che non posso avere accesso ai documenti
dei
coroner né alle indagini dei detective ma, da quello che ho
scoperto, le
coincidenze sono molte» ammise il padre, pur continuando a
credere nel proprio
dire.
«Coincidenze
che hanno visto soltanto dei blogger di siti astrusi, che credono
nell’esistenza degli omini verdi e di cospirazioni
governative atte a
impiantarci DNA alieno nel corpo» sottolineò
scettico Mark.
«Lascia
perdere quelle idiozie… so anch’io che la maggior
parte delle scemenze che
scrivono sono solo panzane» ribatté Donovan,
accigliandosi leggermente.
«Ma
quello che interessa a te non lo
è»
sbuffò Mark, scrollando una mano con fare spazientito.
Ben
deciso a non darsi per vinto, Donovan prese carta e penna e,
grossolanamente,
disegnò la pianta del nord America prima di iniziare a
punteggiarla in vari
punti.
«Seguimi
nel ragionamento, e dimmi che non noti qualcosa di strano anche
tu» lo pregò
con una certa fermezza il padre, puntando la penna sulla zona dove
avrebbe
dovuto trovarsi New York City.
«Gli
zii sono stati i primi che abbiamo controllato. Poi abbiamo avuto
quella
soffiata che ci ha portato a Toronto, ma che si è rivelata
infondata. Nel
frattempo, abbiamo avuto quell’omicidio a Minneapolis, dove
hanno trovato un
barbone sventrato nell’hinterland cittadino.»
«Come
se ne trovano a migliaia,
papà»
sottolineò Mark con tono fiacco.
«Persino
i media rimasero colpiti dall’efferatezza
dell’omicidio, e non trovarono mai il
colpevole» sottolineò imperterrito Donovan, deciso
a non farsi trascinare a
fondo dall’irritazione del figlio.
Sapeva
di averlo messo in una situazione insostenibile, in tutti quegli anni,
e
comprendeva quanto fosse giusta anche la sua indignazione ma, per nulla
al
mondo, avrebbe lasciato libero l’assassino di suo fratello. Doveva trovarlo a ogni costo.
Mark
annuì con uno sbuffo, così l’uomo
proseguì nel suo soliloquio, indicando le
città di Saskatoon, nella regione del Saskatchewan, di
Mackenzie, in Columbia
Britannica, e infine nella zona della Chugach National Forest, in
Alaska.
Da
lì, tornò a sud, dirigendosi verso Seattle e, per
ogni omicidio considerato
sospetto o misterioso, Donovan segnò date e tipologie di
morte. Di nuovo si
spostò verso il centro degli Stati Uniti, e lì
sorrise spiacente a Diana,
rammentando il suo incidente prima di puntare più a sud,
verso il confine con
il Messico.
A
ogni nuovo punto, Mark aggrottava la fronte e si passava una mano tra i
corti
capelli, suo malgrado sconvolto da quelle morti sempre più
numerose e dal fatto
che il padre le ricordasse tutte, senza eccezione. Ne era rimasto
così
coinvolto da rammentare non solo luoghi e date, ma anche i nomi di
coloro che
erano stati feriti gravemente, o erano morti in seguito alle ferite
riportate.
A
parte Diana, solo altre tre persone erano sopravvissute agli attacchi,
e due avevano
dichiarato di aver visto un lupo. L’altra era finita in un
ospedale
psichiatrico, completamente devastata dall’incidente, mentre
Diana li aveva
seguiti in quell’avventura senza capo né coda e,
alla fine, si era sposata con
Donovan.
«Vedi,
ora, lo schema?» domandò il padre, dopo aver
segnato l’ultimo punto su quella
cartina improvvisata.
Suo
malgrado, Mark dovette ammettere di sì. Effettivamente, per
quanto assurdo,
esisteva davvero uno schema, e portava sempre
in Alaska.
Gli
altri Stati in cui avvenivano gli omicidi – o gli incidenti
– erano sempre
diversi, ma l’Alaska era una costante. E con tempistiche fin
troppo chiare.
Gli
omicidi alaskiani avvenivano sempre con l’approssimarsi
dell’inverno. Tra
ottobre e dicembre.
Stringendo
i pugni sulle cosce, Mark borbottò un’imprecazione
tra i denti prima di
domandare: «Quindi, ci troviamo qui perché pensi
che possa colpire in zona?»
Annuendo,
Donovan mormorò: «Ora che ha ucciso in Alaska,
quando si muoverà per rientrare
in Canada e negli Stati Uniti, non passerà più
per lo Stato di Washington, ma
taglierà quasi sicuramente per l’Alberta e il
Montana, dove non ha ancora
colpito. Stando ovviamente ai miei calcoli.»
«Tra…
tra quanto?» balbettò Mark, cominciando a sentire
freddo nelle ossa. Erano
davvero lì con la speranza
che
quell’assassino uccidesse qualcuno?!
«Se
segue lo schema che ha percorso finora, colpirà intorno agli
albori dell’anno
prossimo, forse a febbraio o marzo» scrollò le
spalle Donovan.
Mark
annuì una sola volta dopodiché, senza dire una
parola, si allontanò da tavola
per raggiungere la propria stanza e il padre, con un sospiro, non lo
fermò.
Immaginava senza troppi problemi quanto, quelle notizie, potessero
essere
disturbanti.
Lui
stava aspettando la morte – o il ferimento – di
qualcuno per poter prendere
l’assassino di suo fratello e, da un punto di vista etico,
tutto ciò era
davvero terribile da affrontare.
D’altro
canto, rivolgersi all’autorità costituita era
impossibile. Aveva già provato
anni addietro a tentare quell’approccio, ma tutto era
risultato vano. Nessuno
ascoltava un professore di Storia, fissato con dei lupi che attaccavano
la
gente per il solo gusto di ammazzare e dilaniare.
Chi
mai avrebbe potuto credergli? Eppure, ciò che lui aveva
trovato, i punti di
giunzione in quell’intricata serie di omicidi apparentemente
disgiunti tra
loro, doveva avere senso.
Non
poteva pensare che Derek avesse barbaramente ucciso moglie e figlia per
dei
debiti di gioco. Per quanto gli spiacesse conoscere quel torbido
segreto del
fratello, non avrebbe mai creduto che fosse stato la causa di tutto.
«Non
pressarlo troppo, Don. E’ una battaglia già molto
difficile per noi, figurarsi
per lui che è ancora così giovane»
mormorò a quel punto Diana, sfiorandogli una
spalla con la mano.
L’uomo
assentì affranto, reclinando il capo verso il basso e,
sconfortato, replicò:
«Forse… forse dovrei sentire sua madre. Chiederle
se può tenerlo per un po’.
Così potrebbe conoscere meglio i suoi fratellastri, vivere
in un ambiente
diverso, senza di me che lo assillo con le mie ricerche.»
Diana
sorrise comprensiva e, dopo averlo baciato su una guancia,
replicò: «Mark non
si troverebbe mai bene a El Paso, con Adele e i suoi figlioletti, o con
quel
bovaro maleducato di suo marito. Lui è un ragazzo troppo
sensibile ed educato,
per trovarsi bene in mezzo a un branco di bambini urlanti e
diseducati.»
Donovan
sorrise a mezzo, ammettendo con la moglie quanto fosse reale quel
problema.
Diana non lo diceva per gelosia nei confronti di Adele quanto
perché, in
effetti, la nuova famiglia della sua ex moglie era quanto di
più caotico e
nevrotico vi potesse essere.
Adele
era iperprotettiva con i suoi pargoletti, di quattro e sei anni. Per
quel che
riguardava il marito, non poteva certo dire che fosse cattivo; era
semplicemente limitato. Per lui
esistevano solo le sue vacche da carne, il raccolto di granturco e poco
altro.
Mark
era rimasto traumatizzato, dopo che Adele lo aveva invitato per una
vacanza –
all’epoca, ancora si parlavano regolarmente – e, da
quel momento, non aveva più
voluto avere a che fare con la madre naturale.
In
tutta onestà, però, a Donovan era parso di essere
stato egoista a non aver
neppure tentato di convincere il figlio a mantenere i rapporti con lei.
Dopotutto, Adele era sua madre, e gli sembrava ingiusto che non si
vedessero mai.
Come
percependo dove i pensieri del marito stessero girovagando, Diana
mormorò: «Non
starà mai bene, con Adele, e lo sai anche tu. Sono troppo
diversi.»
Lui
le sorrise addolorato, si poggiò a lei in cerca di conforto
e replicò: «Se non
ci fossi tu, Mark avrebbe una ben misera scelta su cui
ricadere.»
Diana
gli carezzò una guancia con calore, scosse il capo e
asserì: «Lui ti vuole bene
ma è in un’età difficile e, io credo,
ora ha finalmente trovato un posto in cui
si trova bene, perciò ha il terrore che le cose possano
cambiare.»
Donovan
la fissò pieno di curiosità e domandò:
«Pensi che… sì, insomma, il taglio di
capelli significhi qualcosa?»
Sorridendo,
Diana gli raccontò del ritorno di Mark assieme alla famiglia
Wallace e a come
gli fosse parso felice e Donovan, nell’annuire più
volte, mormorò: «Se le cose
stanno così, capisco perché abbia
paura.»
«Dicendogli
che sospetti un prossimo attacco così a breve, lo hai messo
di fronte alla
possibilità che, entro la fine del prossimo anno scolastico,
noi potremmo anche
trasferirci di nuovo, e temo che la cosa lo atterrisca,
stavolta.»
Il
marito annuì, si coprì il viso con le mani e,
straziato, mormorò: «So che devo
farlo, Diana, per Derek e per te… ma sto perdendo Mark,
così facendo.»
«Non
lo perderai, te lo prometto. Insieme, ce la faremo. Inoltre, se questa
sarà la
volta buona, forse non morirà più nessuno e noi
potremo rimanere» gli promise
lei, stringendoselo al petto. «Dopotutto, anch’io
mi trovo bene, qui, e anche
tu mi sembri contento della nuova scuola.»
Pur
vedendolo annuire, Diana era però consapevole di non
potergli dare certezza
alcuna in merito a un loro futuro a Clearwater. Nessuno di loro sapeva
se le
ipotesi di Donovan si sarebbero dimostrate vere, o se il loro assassino
seriale
avrebbe mosso diversamente le sue carte.
Non
c’era nulla di sicuro, in quel disegno, a parte una cosa.
Mark rischiava
davvero di allontanarsi da loro e, stavolta, per sempre.
***
Ah,
la caccia era stata davvero magnifica!
L’umano
si era comportato in maniera egregia, e aveva lottato fino
all’ultimo per
sopravvivere. Si era prodigato in ogni sorta di contrattacco, di fuga
disciplinata, di difesa piena di coraggio e, al suo fianco, aveva avuto
dei
valorosi cani che lo avevano protetto strenuamente.
Ma,
fin da quando lui lo aveva inquadrato nel bosco, solo e con il suo
coraggio a
fargli da spalla, aveva saputo che la fine sarebbe comunque giunta per
mano
delle sue fauci.
Avrebbe
ricordato per un po’ quell’ultima predazione e,
forse, nelle notti buie e
solitarie, lo avrebbe anche celebrato con un ululato alla luna.
Chissà.
Ti stai
trastullando, ma noi dobbiamo raggiungere il nostro tempio al
più presto. Qiugyat
non ama attendere, e noi non possiamo deluderla.
Lei,
naturalmente, aveva sempre ragione. Era la sua guida, la sua creatrice,
la sua amante
e la futura madre dei loro cuccioli. Lui doveva soltanto ascoltarla,
seguirla
ed esserle devoto, e tutto sarebbe sempre andato per il meglio.
Da
quando aveva conosciuto Lei, la sua vita era diventata splendida. Le
pulsioni
omicide che, da uomo, lo avevano spesso cacciato nei guai, grazie a Lei
avevano
preso un nuovo indirizzo ed erano diventare necessità.
Erano diventate la sua vita, il suo nutrimento, il suo godimento
più puro.
Certo,
doveva sempre farlo nei modi e nei tempi giusti. Già troppe
volte aveva
sbagliato, e Lei si era infuriata a morte, minacciando di ucciderlo e
di
trovarsi un nuovo compagno, ma lui aveva sempre fatto in modo di
redimersi.
Ora
che avevano scoperto un nuovo nemico contro cui lottare,
però, anche Lei era
divenuta nervosa, sovraeccitata e speranzosa di poter tornare al sud
quanto
prima.
Una
volta raggiunto il fiordo, avrebbero pregato per Qiugyat,
avrebbero ripreso le forze nelle acque gelide dell’oceano
e nell’abbraccio sicuro delle Luci del Nord, e infine
sarebbero tornati per
combattere.
Questa
volta, il viaggio verso sud sarebbe stato estremamente dolce. E pieno
di
prospettive.
***
Quando
la anchor woman chiuse il servizio
e
si lanciò su una nuova notizia riguardante i reali inglesi e
le voci su una
spaccatura tra i giovani Sussex e la regina, Helen spense il televisore
e
guardò turbata Liza.
I
corvi, presenti nel salone e appollaiati sui loro trespoli, non avevano
emesso
fiato, e così neppure la loro padrona che, a occhi sgranati
e con labbra
tremanti, aveva seguito l’intera vicenda senza muoversi.
«Cara,
ti senti bene?» mormorò Rachel sfiorando il
braccio della figlia.
Lei,
però, rabbrividì al suo tocco, strillò
piena di paura e crollò a terra,
arrancando all’indietro fino a sbattere contro una credenza.
Lì, come preda di un
incubo, sollevò le mani e se le guardò piena di
orrore, esalando: «Il sangue…
tutto questo sangue…»
Muninn
e Huginn, a quel punto, gracchiarono rabbiosi, sbatterono le ali fino a
raggiungere una finestra e, sempre più nervosi e irritati,
fecero comprendere
agli sconvolti proprietari di casa di voler uscire.
Helen
fu lesta ad accontentarli e, mentre Muninn si involava via veloce,
Huginn venne
richiamato all’ordine da Liza che, di fatto, gli
impedì di fuggire dalla casa.
In uno scoppio di pianto, quindi, lo invitò a raggiungerlo
e, dopo averlo stretto
tra le braccia, mormorò: «Oddio,
Huginn… non è possibile…»
Il
corvo gracchiò spiacente, becchettandole gentile una guancia
mentre Richard e
Rachel, accucciati accanto alla figlia ma ben attenti a non toccarla,
la
scrutavano ansiosi e preoccupati.
Helen
li raggiunse dopo aver chiuso le imposte e, turbata, domandò
alla sorella:
«Muninn se n’è andato per spezzare il
vostro legame?»
Liza
assentì tra le lacrime, balbettando: «S-se siamo
a-abbastanza distanti, non lo
s-sento ma, più che altro, ha voluto evitare un…
un effetto doppler …»
Helen
assentì turbata, mormorando: «Due corvi
così vicini a te erano troppi, vero?»
Liza
mormorò un assenso tremante quanto spaventato. «Il
mio collegamento con Huginn
non è così forte come con Muninn, e riesco a
sentirlo solo fino a qualche metro
di distanza ma, quando è arrivata la Visione, averli
entrambi così vicini mi
ha… sbalestrato.»
«Quando
Huginn ha Visto, hai ricevuto una doppia bordata»
chiosò percettiva Helen,
arrischiandosi a carezzarle il capo.
La
giovane assentì ancora, sempre stringendo a sé
Huginn e, turbata, mormorò:
«Mark… Mark era coperto di sangue… era suo
il sangue che ho visto ieri notte…»
La
famiglia si guardò vicendevolmente senza parole,
comprendendo finalmente fino a
che punto fosse stato terribile l’incubo che, la notte
precedente, aveva così
devastato il sonno di Liza.
Non
resistendo, Rachel si lasciò andare alle lacrime e strinse
delicatamente a sé
la figlia, avvolgendo nel suo abbraccio anche il corvo che, silente, si
lasciò cullare
assieme a Liza in quel tentativo goffo di portare conforto.
«Dai,
mamma, smetti di piangere… ti v-verrà il mal di
t-testa» biascicò Liza,
cercando di calmarsi per non far crollare la madre.
La
forza di quella Visione era stata così devastante e
improvvisa da non
consentirle alcuna difesa mentale, e ciò aveva spaventato
non solo i suoi
corvi, ma anche la sua famiglia. Davvero non aveva voluto tutto
ciò, ma non era
riuscita in nessun modo a fermare la paura, né tantomeno
quel balbettio così
irritante.
«Ho
tutto il diritto di piangere, se vedo mia figlia stare male!»
sbottò per contro
Rachel, facendo sorgere un sorriso spontaneo sui volti delle persone
presenti.
Carezzando
la schiena della moglie, Richard sorrise comprensivo a Rachel e
mormorò: «Puoi
piangere, cara, ma così farai stare in ansia le tue figlie e
me, e credo anche
Huginn.»
Rachel
lo frizzò con lo sguardo e borbottò in risposta:
«Questo è un colpo basso,
Rich.»
«Lo
so, scusami» la rabbonì il marito, dandole un
bacetto.
Con
un sospiro tremulo, quindi, Rachel si scostò a fatica dalla
figlia e, nel carezzare
il dorso del corvo, disse: «Sei preoccupato anche tu per la
tua padroncina, eh,
Huginn?»
Il
corvo gracchiò in risposta, balzellando sul pavimento per
poi guardare Liza con
i suoi profondi occhi grigi e la giovane, scrutandolo con aria
preoccupata, domandò:
“Ti ha colto di sorpresa?”
“Sì,
scusa.
Abbiamo guardato il televisore e, di colpo, è comparsa la
visione. Muninn non
ha fatto in tempo a chiuderti fuori così, quando ho Visto,
il contraccolpo
psichico è stato doppio, e ora si sente in colpa per
questo.”
“Fallo
tornare…
non ha potuto farci niente, esattamente come te.”
“Scusa,
mamma. I
nostri poteri sembrano esserti più d’intralcio,
che di aiuto.”
“Non
è vero, e
lo sai. Ora che sappiamo che Mark è in pericolo, ne
parlerò con Lucas e vedremo
il da farsi. Hai avuto la sensazione che fosse stato ferito a causa
nostra?”
“Nella
visione
non c’erano licantropi… o tu che brandivi
un’arma, mamma. Erano gli altri,
secondo me.”
“Quindi…
verranno qui”
chiosò atona Liza, non sapendo se sentirsi terrorizzata o se
agognare,
finalmente, lo scontro. Quell’attesa, quella continua ricerca
di indizi la
stava logorando e, se fossero giunti lì, ogni risposta
sarebbe giunta.
Ma,
di contro, sarebbero stati in grado di batterli?
Huginn
si limitò ad annuire col musetto e la giovane, con un
sospiro, guardò suo
padre, si deterse il viso dalle lacrime e disse: «Chiama
Lucas, per favore. Ho
bisogno che venga qui. Io, nel frattempo, cercherò di
rendermi presentabile per
il mio Fenrir.»
Richard
si limitò ad assentire, le diede un buffetto sulla guancia
e, con un sorriso
pieno di preoccupazione e orgoglio insieme, si avviò lesto
verso il telefono
per fare quanto chiestogli.
Rachel
e Helen, nel frattempo, aiutarono Liza ad alzarsi e la condussero in
bagno per
una breve abluzione mentre Huginn, ancora dispiaciuto, tornò
sul suo trespolo
in attesa del ritorno di Muninn.
«Lucas,
buonasera. Scusi per il disturbo. Sono Richard, il padre di Liza. La
mia
bambina vorrebbe venisse qui, se è possibile. Da quel che ho
capito, Huginn ha
avuto una visione e lei ne è stata testimone
diretta» spiegò Richard non appena
udì la voce del capoclan.
«Buonasera,
Richard. No, non disturba affatto. Ora come sta, Liza?»
domandò preoccupato il
giovane.
«Un
po’ scossa, ma desidera riferirle ciò che ha
visto.»
«Arriverò
in cinque minuti» promise Lucas, chiudendo la comunicazione
per raggiungere in
fretta il suo pick-up.
Richard
allora poggiò le mani sui fianchi, si guardò
intorno e borbottò: «Credo che
toccherà a me, sparecchiare. Tu che dici, Huginn?»
Il
corvo gracchiò e, dopo essersi involato fino al tavolo,
cominciò a passare
forchette e coltelli al padrone di casa, utilizzando al meglio il becco
affilato.
All’uomo non restò altro che accettare quell’insolito aiuto mentre, tra sé, si chiese come sarebbe andato il resto della serata. Se quelle erano le premesse, sarebbe stato davvero un inferno.
N.d.A.:
Le cose cominciano a muoversi, Donovan cerca di convincere il figlio -
stavolta, forse, riuscendovi - delle sue buone intenzioni e,
soprattutto, dell'apparente solidità delle sue supposizioni
e, infine, Liza riesce finalmente a comprendere la Visione avuta da
Huginn. Il sangue da lei visto non è il suo,
bensì quello di Mark. A questo punto, però, cosa
farà il branco? Lascerà che le cose si evolvano,
o si produrrà per difendere il ragazzo? E Liza? Quale
sarà la sua scelta?