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Autore: Mary P_Stark    02/11/2020    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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11.

 

 

 

Si trovavano ancora tutti nel negozio di Beth, quando i coniugi Wallace si presentarono per recuperare Liza.

Non appena Richard entrò – aprendo galantemente la porta per Rachel – strabuzzò confuso gli occhi quando vide Liza impegnata in un tira e molla con Chelsey… utilizzando un ragazzo come corda.

«E’ uno sport canadese che non conoscevo?» ironizzò dopo qualche attimo l’uomo, rendendo così nota la sua presenza.

Subito, Liza mollò la presa, lasciando così che il peso di Mark precipitasse contro Chelsey che, impreparata ma, soprattutto, memore di doversi comportare come una comune dodicenne, crollò a terra imprecando in malo modo.

Mark ce la mise tutta per non pesarle addosso ma, nel farlo, picchiò dolorosamente le ginocchia a terra, finendo comunque a cavalcioni di un’incolpevole Chelsey.

Quando ogni corpo ebbe infine arrestato la propria corsa, e i presenti ebbero avuto modo di denotare il disastro causato da una semplice domanda, le risate sorsero spontanee quanto immediate.

Affrettandosi ad aiutare Mark nel rialzarsi mentre, con lo sguardo, fulminava un incolpevole Richard, Liza borbottò: «Complimenti per l’entrata in scena, papà.»

«Non ti ho detto io di mollare la presa» precisò imperturbabile l’uomo, piegandosi poi su un ginocchio per spazzolare i jeans di Mark sotto i suoi occhi sgomenti.

«Oh, no, non ce n’è affatto bisogno, signore!» esalò il ragazzo, divenendo paonazzo in viso.

Richard ammiccò al suo indirizzo prima di rialzarsi e, scrollando le spalle, replicò: «Mia figlia è una pasticciona, e non è la prima volta che risolvo dei guai combinati da lei. Stavolta mi è anche andata bene.»

Sorpreso, Mark lanciò un’occhiata curiosa all’indirizzo di Liza che, annuendo, disse con tono lamentoso: «Al matrimonio non ho avuto modo di presentarvi, visto che qui sanno fare bisboccia alla grande, e nessuno era propriamente in sé, quel giorno… comunque, lui è mio padre Richard, mentre lei è mia madre Rachel.»

Affrettandosi ad allungare una mano verso di loro, Mark a quel punto dichiarò: «Avrei dovuto immaginarlo, visto che sedevate al tavolo degli sposi ma, lì per lì, non ho abbinato volti a ruoli. Io sono Mark Sullivan, molto piacere di conoscervi.»

Richard strinse la mano del ragazzo, lanciando poi di straforo un’occhiata alla figlia, che annuì impercettibilmente e, con tono tranquillo, asserì: «Non preoccuparti, ragazzo. Durante i matrimoni si ha sì e no il tempo di conoscere una decina di persone nuove, non di più. Il resto, sono solo nomi ammonticchiati a caso nella mente. Inolte, con il caos presente quel giorno, è stato già qualcosa non essere finiti lunghi riversi sotto i tavoli a causa di una sbronza colossale.»

Mark rise di quel commento mentre Rachel, scuotendo il capo, replicava: «Ora cosa penserà di noi, questo giovanotto, a sentirti parlare così?»

«Che siamo persone alla mano, anche se siamo di Los Angeles» ammiccò il marito, sospingendola in avanti. «Non agitarti per niente, Rachel cara.»

Arrossendo suo malgrado, la donna strinse la mano protesa di Mark e mormorò: «Scusami, caro, ma ho sempre il terrore di fare brutte figure. Dovrei aver imparato, in tanti anni, ma ancora ci casco.»

«Ne so qualcosa di momenti imbarazzanti, mi creda» replicò il giovane, indicandosi i capelli rossi. «La mia pelle è trasparente, quanto a emozioni, e divento subito del colore dei miei capelli.»

Rachel gli sorrise calorosamente prima di notare i residui di un taglio recente a terra e, curiosando all’indirizzo di Beth, domandò: «E’ opera tua, questo taglio strepitoso?»

«Ovviamente, cara e, se vorrai, darò una spuntatina anche ai tuoi» ammiccò la donna, sforbiciando l’aria con indice e medio della mano sinistra.

Rachel si tastò la lunga chioma bruna ridendo nervosamente e, scuotendo il capo, esalò: «Ah,.. no, Beth. Ti ringrazio, ma ci tengo molto a questa lunghezza, dopo tutta la fatica che ho fatto per raggiungerla.»

«Come vuoi tu» scrollò le spalle la donna prima di guardare l’orologio da parete e aggiungere dubbiosa: «A che ora dovresti essere a casa, di solito, ragazzo?»

Mark lanciò velocemente un’occhiata all’orologio e, storcendo il naso, borbottò: «Ah… direi, venti minuti fa.»

Spiacente, Liza lo fissò piena di contrizione – lei e Chelsey si erano divertite a usarlo da corda per il tiro alla fune, facendogli così perdere tempo – prima di rivolgersi al padre e domandare: «Papà, possiamo dargli uno strappo a casa? Non dista molto da qui.»

«Nessun problema» assentì l’uomo, ignorando subito dopo le proteste di Mark. «Fa parte del mio dovere di padre, risolvere problemini del genere. Non temere, ragazzo.»

«D’accordo» accettò alla fine Mark, ringraziando infine Beth per il taglio gratuito e salutando il resto delle presenti prima di uscire con la famiglia Wallace. Chelsey sarebbe rimasta a dormire da Jennifer e Graham, quella sera, perciò non sarebbe andata con loro e, a portarla dai nonni materni avrebbe pensato Beth.

In breve, quindi, i Wallace condussere Mark a casa. Fu proprio di fronte al villino dove abitava con la sua famiglia, che il cellulare prese a squillare.

Da bordo strada, quindi, il giovane fece segno a qualcuno affacciato alla finestra del bow window che si affacciava sul giardino e, dopo alcuni istanti, sulla porta d’entrata fece la sua apparizione Diana.

Sinceramente sollevata, la donna spense il cordless e, dopo aver lanciato un’occhiata curiosa agli accompagnatori del figlio, si fissò su Mark e domandò: «Liza ti ha dato una spuntatina ai capelli, caro? Perché, se è così brava, le chiederò lo stesso trattamento.»

La giovane, che era scesa a sua volta dall’auto per perorare un’eventuale difesa in favore dell’amico, rise divertita alla battuta della donna e replicò: «Ci siamo attardati nel salone della nonna di Chelsey, dimenticandoci completamente dell’orario. Scusaci.»

Diana assentì con un sorriso e scrollò negligente una mano, prima di salutare simpaticamente i coniugi Wallace, che si presentarono alla donna per poi scusarsi a loro volta con lei.

«Oh, ma non c’è problema, davvero. Di solito gli concedo una mezz’ora di abbuono, quando non lo trovo in casa, dopodiché parto con le telefonate» si limitò a dire Diana con un caldo sorriso. «Saperlo con voi mi ha di sicuro rasserenata, comunque.»

«In ogni caso, se dovesse ricapitare, mi assicurerò che suo figlio la avverta per tempo» si premurò di dire Richard prima di accomiatarsi assieme al resto della sua famiglia.

Nel rientrare quindi in auto, salutati dalla porta d’ingresso sia da Mark che da Diana, l’uomo domandò: «Sono loro, coloro che devi tenere d’occhio?»

«Io devo badare a Mark, per così dire, Iris a suo padre Donovan, mentre Dev e Rock si premurano di controllare Diana» gli spiegò sinteticamente Liza.

Lui assentì torvo, ammettendo subito dopo: «Sembrano davvero delle persone perbene. Ora capisco meglio i tuoi sensi di colpa e i tuoi dubbi. Dev’essere complicato agire alle loro spalle, visto quanto sanno essere cordiali.»

Liza non poté che annuire con aria grave. «Personalmente, non li reputo colpevoli di nulla e, stando alle ultime informazioni in nostro possesso, sono sempre più propensa a crederlo ma, finché Lucas non deciderà diversamente, mi dovrò attenere al compito assegnatomi.»

Fu così che, durante la loro cena assieme a Helen, la ragazza li mise al corrente degli ultimi sviluppi legati ai simboli inuit scoperti da Dev e Iris, oltre a ciò che Rock era venuto a sapere per bocca di Diana.

La famiglia ascoltò accorta l’intera disamina della situazione, lasciando per un secondo momento le domande e, quando Liza ebbe terminato il suo lungo soliloquio, si lasciò andare contro lo schienale della panca dov’era accomodata e chiese: «Questo è tutto. Idee? Pareri?»

Richard fece per parlare ma Helen, impallidendo visibilmente, chiese il silenzio al padre per poi puntare il dito verso la televisione a schermo piatto, in quel momento collegata con la CBS.

Mentre la anchor woman sottolineava con tono grave l’improvviso quanto tragico epilogo delle ricerche del campeggiatore scomparso in Alaska, immagini di repertorio mostravano le vette innevate del Denali.

Nessuno osò aprire bocca, gli occhi incollati al televisore mentre scenari da favola di distese infinite di pinete innevate si intervallavano a nuove notizie sul macabro ritrovamento, oltre alle possibili spiegazioni di un simile evento.

Non molto lontano da loro, in un’altra casa di Clearwater, lo stesso servizio della CBS veniva seguito con eguale ansia, ma per motivi assai diversi.

Donovan poggiò lentamente la forchetta sul piatto di spaghetti al ragù di cervo, fissò ombroso il volto della giornalista che stava riportando con dolente dovizia di particolari l’accaduto e, a mezza voce, borbottò: «L’ha rifatto.»

Mark si massaggiò nervosamente la nuca – ora libera dalla massa fulva di capelli che, per anni, aveva lasciato crescere senza curarsene molto – e, reclinando il viso, replicò: «Non può essere stato attaccato semplicemente da un orso? Quella zona ne è piena.»

Il padre, però, scosse il capo e ribatté: «Quante prove vuoi ancora, prima di capire? Quanti cadaveri dovrà lasciarsi alle spalle, prima che tu veda lo schema che sta dietro a queste morti apparentemente casuali?»

Diana poggiò una mano sul braccio del marito, ammonendolo con lo sguardo a non esagerare coi toni e Donovan, sospirando, prese un gran respiro e ritentò, moderando parole e modo di parlare.

«Ricordi lo schema che ti mostrai prima di venire qui?»

Mark annuì cauto, volgendo la sedia verso il padre per non dare l’idea che rifiutasse di ascoltarlo.

In realtà, avrebbe voluto davvero farlo. Avrebbe desiderato con tutto se stesso tornare a quel pomeriggio nel negozio di Bethany Saint Clair, quando si era divertito, aveva riso spensieratamente, non aveva pensato per un solo istante a morti e assassini.

Certo, a scuola sarebbe stato la vittima delle domande incrociate dei suoi compagni che, pur in buona fede, lo avrebbero messo nella condizione di esporsi, di parlare di sé – cosa che lo terrorizzava – ma, in fondo, sarebbe stato contento lo stesso.

Passare quel pomeriggio insieme a Liza e Chelsey, alle nonne di quest’ultima, alle sue dipendenti, alle clienti del negozio, era stato per lui un’autentica novità. Era stato un cambiamento di routine che lo aveva aiutato a capire ancor di più cosa si fosse perso, in quegli anni di ricerche mai volute ma sempre imposte.

Dopo quei momenti così belli, così divertenti e, paradossalmente, così semplici, non voleva tornare ad affrontare le tesi complottistiche del padre, il mondo complesso e oscuro in cui lui l’aveva costretto a vivere in tutti quegli anni.

Eppure, doveva. Perché, per quanto lui odiasse parlarne, sapeva che il padre ne era ossessionato, e lasciare che gliene spiegasse gli intrinsechi misteri sembrava essere l’unico modo per chetarlo un poco. Per riavere in parte quel padre che sentiva di stare perdendo.

L’idea di non avere più al suo fianco anche il padre dopo che, come un pacco postale, era stato scaricato dalla madre, lo atterriva. Sapeva che suo padre non lo avrebbe mai abbandonato ma, di fatto, non si stava accorgendo di ciò che nella sua vita stava cambiando, di come lui stesso stesse cambiando.

Era solo la ricerca, a contare, e ormai quella verità cominciava a venirgli stretta. Molto stretta.

«Me lo ricordo, papà. Ma ammetterai che non hai prove certe» disse infine Mark, lasciando perdere pensieri e ipotesi per concentrarsi sulla loro conversazione.

«Certo. Sono solo supposizioni, visto che non posso avere accesso ai documenti dei coroner né alle indagini dei detective ma, da quello che ho scoperto, le coincidenze sono molte» ammise il padre, pur continuando a credere nel proprio dire.

«Coincidenze che hanno visto soltanto dei blogger di siti astrusi, che credono nell’esistenza degli omini verdi e di cospirazioni governative atte a impiantarci DNA alieno nel corpo» sottolineò scettico Mark.

«Lascia perdere quelle idiozie… so anch’io che la maggior parte delle scemenze che scrivono sono solo panzane» ribatté Donovan, accigliandosi leggermente.

«Ma quello che interessa a te non lo è» sbuffò Mark, scrollando una mano con fare spazientito.

Ben deciso a non darsi per vinto, Donovan prese carta e penna e, grossolanamente, disegnò la pianta del nord America prima di iniziare a punteggiarla in vari punti.

«Seguimi nel ragionamento, e dimmi che non noti qualcosa di strano anche tu» lo pregò con una certa fermezza il padre, puntando la penna sulla zona dove avrebbe dovuto trovarsi New York City.

«Gli zii sono stati i primi che abbiamo controllato. Poi abbiamo avuto quella soffiata che ci ha portato a Toronto, ma che si è rivelata infondata. Nel frattempo, abbiamo avuto quell’omicidio a Minneapolis, dove hanno trovato un barbone sventrato nell’hinterland cittadino.»

«Come se ne trovano a migliaia, papà» sottolineò Mark con tono fiacco.

«Persino i media rimasero colpiti dall’efferatezza dell’omicidio, e non trovarono mai il colpevole» sottolineò imperterrito Donovan, deciso a non farsi trascinare a fondo dall’irritazione del figlio.

Sapeva di averlo messo in una situazione insostenibile, in tutti quegli anni, e comprendeva quanto fosse giusta anche la sua indignazione ma, per nulla al mondo, avrebbe lasciato libero l’assassino di suo fratello. Doveva trovarlo a ogni costo.

Mark annuì con uno sbuffo, così l’uomo proseguì nel suo soliloquio, indicando le città di Saskatoon, nella regione del Saskatchewan, di Mackenzie, in Columbia Britannica, e infine nella zona della Chugach National Forest, in Alaska.

Da lì, tornò a sud, dirigendosi verso Seattle e, per ogni omicidio considerato sospetto o misterioso, Donovan segnò date e tipologie di morte. Di nuovo si spostò verso il centro degli Stati Uniti, e lì sorrise spiacente a Diana, rammentando il suo incidente prima di puntare più a sud, verso il confine con il Messico.

A ogni nuovo punto, Mark aggrottava la fronte e si passava una mano tra i corti capelli, suo malgrado sconvolto da quelle morti sempre più numerose e dal fatto che il padre le ricordasse tutte, senza eccezione. Ne era rimasto così coinvolto da rammentare non solo luoghi e date, ma anche i nomi di coloro che erano stati feriti gravemente, o erano morti in seguito alle ferite riportate.

A parte Diana, solo altre tre persone erano sopravvissute agli attacchi, e due avevano dichiarato di aver visto un lupo. L’altra era finita in un ospedale psichiatrico, completamente devastata dall’incidente, mentre Diana li aveva seguiti in quell’avventura senza capo né coda e, alla fine, si era sposata con Donovan.

«Vedi, ora, lo schema?» domandò il padre, dopo aver segnato l’ultimo punto su quella cartina improvvisata.

Suo malgrado, Mark dovette ammettere di sì. Effettivamente, per quanto assurdo, esisteva davvero uno schema, e portava sempre in Alaska.

Gli altri Stati in cui avvenivano gli omicidi – o gli incidenti – erano sempre diversi, ma l’Alaska era una costante. E con tempistiche fin troppo chiare.

Gli omicidi alaskiani avvenivano sempre con l’approssimarsi dell’inverno. Tra ottobre e dicembre.

Stringendo i pugni sulle cosce, Mark borbottò un’imprecazione tra i denti prima di domandare: «Quindi, ci troviamo qui perché pensi che possa colpire in zona?»

Annuendo, Donovan mormorò: «Ora che ha ucciso in Alaska, quando si muoverà per rientrare in Canada e negli Stati Uniti, non passerà più per lo Stato di Washington, ma taglierà quasi sicuramente per l’Alberta e il Montana, dove non ha ancora colpito. Stando ovviamente ai miei calcoli.»

«Tra… tra quanto?» balbettò Mark, cominciando a sentire freddo nelle ossa. Erano davvero lì con la speranza che quell’assassino uccidesse qualcuno?!

«Se segue lo schema che ha percorso finora, colpirà intorno agli albori dell’anno prossimo, forse a febbraio o marzo» scrollò le spalle Donovan.

Mark annuì una sola volta dopodiché, senza dire una parola, si allontanò da tavola per raggiungere la propria stanza e il padre, con un sospiro, non lo fermò. Immaginava senza troppi problemi quanto, quelle notizie, potessero essere disturbanti.

Lui stava aspettando la morte – o il ferimento – di qualcuno per poter prendere l’assassino di suo fratello e, da un punto di vista etico, tutto ciò era davvero terribile da affrontare.

D’altro canto, rivolgersi all’autorità costituita era impossibile. Aveva già provato anni addietro a tentare quell’approccio, ma tutto era risultato vano. Nessuno ascoltava un professore di Storia, fissato con dei lupi che attaccavano la gente per il solo gusto di ammazzare e dilaniare.

Chi mai avrebbe potuto credergli? Eppure, ciò che lui aveva trovato, i punti di giunzione in quell’intricata serie di omicidi apparentemente disgiunti tra loro, doveva avere senso.

Non poteva pensare che Derek avesse barbaramente ucciso moglie e figlia per dei debiti di gioco. Per quanto gli spiacesse conoscere quel torbido segreto del fratello, non avrebbe mai creduto che fosse stato la causa di tutto.

«Non pressarlo troppo, Don. E’ una battaglia già molto difficile per noi, figurarsi per lui che è ancora così giovane» mormorò a quel punto Diana, sfiorandogli una spalla con la mano.

L’uomo assentì affranto, reclinando il capo verso il basso e, sconfortato, replicò: «Forse… forse dovrei sentire sua madre. Chiederle se può tenerlo per un po’. Così potrebbe conoscere meglio i suoi fratellastri, vivere in un ambiente diverso, senza di me che lo assillo con le mie ricerche.»

Diana sorrise comprensiva e, dopo averlo baciato su una guancia, replicò: «Mark non si troverebbe mai bene a El Paso, con Adele e i suoi figlioletti, o con quel bovaro maleducato di suo marito. Lui è un ragazzo troppo sensibile ed educato, per trovarsi bene in mezzo a un branco di bambini urlanti e diseducati.»

Donovan sorrise a mezzo, ammettendo con la moglie quanto fosse reale quel problema. Diana non lo diceva per gelosia nei confronti di Adele quanto perché, in effetti, la nuova famiglia della sua ex moglie era quanto di più caotico e nevrotico vi potesse essere.

Adele era iperprotettiva con i suoi pargoletti, di quattro e sei anni. Per quel che riguardava il marito, non poteva certo dire che fosse cattivo; era semplicemente limitato. Per lui esistevano solo le sue vacche da carne, il raccolto di granturco e poco altro.

Mark era rimasto traumatizzato, dopo che Adele lo aveva invitato per una vacanza – all’epoca, ancora si parlavano regolarmente – e, da quel momento, non aveva più voluto avere a che fare con la madre naturale.

In tutta onestà, però, a Donovan era parso di essere stato egoista a non aver neppure tentato di convincere il figlio a mantenere i rapporti con lei. Dopotutto, Adele era sua madre, e gli sembrava ingiusto che non si vedessero mai.

Come percependo dove i pensieri del marito stessero girovagando, Diana mormorò: «Non starà mai bene, con Adele, e lo sai anche tu. Sono troppo diversi.»

Lui le sorrise addolorato, si poggiò a lei in cerca di conforto e replicò: «Se non ci fossi tu, Mark avrebbe una ben misera scelta su cui ricadere.»

Diana gli carezzò una guancia con calore, scosse il capo e asserì: «Lui ti vuole bene ma è in un’età difficile e, io credo, ora ha finalmente trovato un posto in cui si trova bene, perciò ha il terrore che le cose possano cambiare.»

Donovan la fissò pieno di curiosità e domandò: «Pensi che… sì, insomma, il taglio di capelli significhi qualcosa?»

Sorridendo, Diana gli raccontò del ritorno di Mark assieme alla famiglia Wallace e a come gli fosse parso felice e Donovan, nell’annuire più volte, mormorò: «Se le cose stanno così, capisco perché abbia paura.»

«Dicendogli che sospetti un prossimo attacco così a breve, lo hai messo di fronte alla possibilità che, entro la fine del prossimo anno scolastico, noi potremmo anche trasferirci di nuovo, e temo che la cosa lo atterrisca, stavolta.»

Il marito annuì, si coprì il viso con le mani e, straziato, mormorò: «So che devo farlo, Diana, per Derek e per te… ma sto perdendo Mark, così facendo.»

«Non lo perderai, te lo prometto. Insieme, ce la faremo. Inoltre, se questa sarà la volta buona, forse non morirà più nessuno e noi potremo rimanere» gli promise lei, stringendoselo al petto. «Dopotutto, anch’io mi trovo bene, qui, e anche tu mi sembri contento della nuova scuola.»

Pur vedendolo annuire, Diana era però consapevole di non potergli dare certezza alcuna in merito a un loro futuro a Clearwater. Nessuno di loro sapeva se le ipotesi di Donovan si sarebbero dimostrate vere, o se il loro assassino seriale avrebbe mosso diversamente le sue carte.

Non c’era nulla di sicuro, in quel disegno, a parte una cosa. Mark rischiava davvero di allontanarsi da loro e, stavolta, per sempre.

***

Ah, la caccia era stata davvero magnifica!

L’umano si era comportato in maniera egregia, e aveva lottato fino all’ultimo per sopravvivere. Si era prodigato in ogni sorta di contrattacco, di fuga disciplinata, di difesa piena di coraggio e, al suo fianco, aveva avuto dei valorosi cani che lo avevano protetto strenuamente.

Ma, fin da quando lui lo aveva inquadrato nel bosco, solo e con il suo coraggio a fargli da spalla, aveva saputo che la fine sarebbe comunque giunta per mano delle sue fauci.

Avrebbe ricordato per un po’ quell’ultima predazione e, forse, nelle notti buie e solitarie, lo avrebbe anche celebrato con un ululato alla luna. Chissà.

Ti stai trastullando, ma noi dobbiamo raggiungere il nostro tempio al più presto. Qiugyat non ama attendere, e noi non possiamo deluderla.

Lei, naturalmente, aveva sempre ragione. Era la sua guida, la sua creatrice, la sua amante e la futura madre dei loro cuccioli. Lui doveva soltanto ascoltarla, seguirla ed esserle devoto, e tutto sarebbe sempre andato per il meglio.

Da quando aveva conosciuto Lei, la sua vita era diventata splendida. Le pulsioni omicide che, da uomo, lo avevano spesso cacciato nei guai, grazie a Lei avevano preso un nuovo indirizzo ed erano diventare necessità. Erano diventate la sua vita, il suo nutrimento, il suo godimento più puro.

Certo, doveva sempre farlo nei modi e nei tempi giusti. Già troppe volte aveva sbagliato, e Lei si era infuriata a morte, minacciando di ucciderlo e di trovarsi un nuovo compagno, ma lui aveva sempre fatto in modo di redimersi.

Ora che avevano scoperto un nuovo nemico contro cui lottare, però, anche Lei era divenuta nervosa, sovraeccitata e speranzosa di poter tornare al sud quanto prima.

Una volta raggiunto il fiordo, avrebbero pregato per Qiugyat, avrebbero ripreso le forze nelle acque gelide dell’oceano e nell’abbraccio sicuro delle Luci del Nord, e infine sarebbero tornati per combattere.

Questa volta, il viaggio verso sud sarebbe stato estremamente dolce. E pieno di prospettive.

***

Quando la anchor woman chiuse il servizio e si lanciò su una nuova notizia riguardante i reali inglesi e le voci su una spaccatura tra i giovani Sussex e la regina, Helen spense il televisore e guardò turbata Liza.

I corvi, presenti nel salone e appollaiati sui loro trespoli, non avevano emesso fiato, e così neppure la loro padrona che, a occhi sgranati e con labbra tremanti, aveva seguito l’intera vicenda senza muoversi.

«Cara, ti senti bene?» mormorò Rachel sfiorando il braccio della figlia.

Lei, però, rabbrividì al suo tocco, strillò piena di paura e crollò a terra, arrancando all’indietro fino a sbattere contro una credenza. Lì, come preda di un incubo, sollevò le mani e se le guardò piena di orrore, esalando: «Il sangue… tutto questo sangue…»

Muninn e Huginn, a quel punto, gracchiarono rabbiosi, sbatterono le ali fino a raggiungere una finestra e, sempre più nervosi e irritati, fecero comprendere agli sconvolti proprietari di casa di voler uscire.

Helen fu lesta ad accontentarli e, mentre Muninn si involava via veloce, Huginn venne richiamato all’ordine da Liza che, di fatto, gli impedì di fuggire dalla casa. In uno scoppio di pianto, quindi, lo invitò a raggiungerlo e, dopo averlo stretto tra le braccia, mormorò: «Oddio, Huginn… non è possibile…»

Il corvo gracchiò spiacente, becchettandole gentile una guancia mentre Richard e Rachel, accucciati accanto alla figlia ma ben attenti a non toccarla, la scrutavano ansiosi e preoccupati.

Helen li raggiunse dopo aver chiuso le imposte e, turbata, domandò alla sorella: «Muninn se n’è andato per spezzare il vostro legame?»

Liza assentì tra le lacrime, balbettando: «S-se siamo a-abbastanza distanti, non lo s-sento ma, più che altro, ha voluto evitare un… un effetto doppler …»

Helen assentì turbata, mormorando: «Due corvi così vicini a te erano troppi, vero?»

Liza mormorò un assenso tremante quanto spaventato. «Il mio collegamento con Huginn non è così forte come con Muninn, e riesco a sentirlo solo fino a qualche metro di distanza ma, quando è arrivata la Visione, averli entrambi così vicini mi ha… sbalestrato

«Quando Huginn ha Visto, hai ricevuto una doppia bordata» chiosò percettiva Helen, arrischiandosi a carezzarle il capo.

La giovane assentì ancora, sempre stringendo a sé Huginn e, turbata, mormorò: «Mark… Mark era coperto di sangue… era suo il sangue che ho visto ieri notte…»

La famiglia si guardò vicendevolmente senza parole, comprendendo finalmente fino a che punto fosse stato terribile l’incubo che, la notte precedente, aveva così devastato il sonno di Liza.

Non resistendo, Rachel si lasciò andare alle lacrime e strinse delicatamente a sé la figlia, avvolgendo nel suo abbraccio anche il corvo che, silente, si lasciò cullare assieme a Liza in quel tentativo goffo di portare conforto.

«Dai, mamma, smetti di piangere… ti v-verrà il mal di t-testa» biascicò Liza, cercando di calmarsi per non far crollare la madre.

La forza di quella Visione era stata così devastante e improvvisa da non consentirle alcuna difesa mentale, e ciò aveva spaventato non solo i suoi corvi, ma anche la sua famiglia. Davvero non aveva voluto tutto ciò, ma non era riuscita in nessun modo a fermare la paura, né tantomeno quel balbettio così irritante.

«Ho tutto il diritto di piangere, se vedo mia figlia stare male!» sbottò per contro Rachel, facendo sorgere un sorriso spontaneo sui volti delle persone presenti.

Carezzando la schiena della moglie, Richard sorrise comprensivo a Rachel e mormorò: «Puoi piangere, cara, ma così farai stare in ansia le tue figlie e me, e credo anche Huginn.»

Rachel lo frizzò con lo sguardo e borbottò in risposta: «Questo è un colpo basso, Rich.»

«Lo so, scusami» la rabbonì il marito, dandole un bacetto.

Con un sospiro tremulo, quindi, Rachel si scostò a fatica dalla figlia e, nel carezzare il dorso del corvo, disse: «Sei preoccupato anche tu per la tua padroncina, eh, Huginn?»

Il corvo gracchiò in risposta, balzellando sul pavimento per poi guardare Liza con i suoi profondi occhi grigi e la giovane, scrutandolo con aria preoccupata, domandò: “Ti ha colto di sorpresa?”

“Sì, scusa. Abbiamo guardato il televisore e, di colpo, è comparsa la visione. Muninn non ha fatto in tempo a chiuderti fuori così, quando ho Visto, il contraccolpo psichico è stato doppio, e ora si sente in colpa per questo.”

“Fallo tornare… non ha potuto farci niente, esattamente come te.”

“Scusa, mamma. I nostri poteri sembrano esserti più d’intralcio, che di aiuto.”

“Non è vero, e lo sai. Ora che sappiamo che Mark è in pericolo, ne parlerò con Lucas e vedremo il da farsi. Hai avuto la sensazione che fosse stato ferito a causa nostra?”

“Nella visione non c’erano licantropi… o tu che brandivi un’arma, mamma. Erano gli altri, secondo me.”

“Quindi… verranno qui” chiosò atona Liza, non sapendo se sentirsi terrorizzata o se agognare, finalmente, lo scontro. Quell’attesa, quella continua ricerca di indizi la stava logorando e, se fossero giunti lì, ogni risposta sarebbe giunta.

Ma, di contro, sarebbero stati in grado di batterli?

Huginn si limitò ad annuire col musetto e la giovane, con un sospiro, guardò suo padre, si deterse il viso dalle lacrime e disse: «Chiama Lucas, per favore. Ho bisogno che venga qui. Io, nel frattempo, cercherò di rendermi presentabile per il mio Fenrir.»

Richard si limitò ad assentire, le diede un buffetto sulla guancia e, con un sorriso pieno di preoccupazione e orgoglio insieme, si avviò lesto verso il telefono per fare quanto chiestogli.

Rachel e Helen, nel frattempo, aiutarono Liza ad alzarsi e la condussero in bagno per una breve abluzione mentre Huginn, ancora dispiaciuto, tornò sul suo trespolo in attesa del ritorno di Muninn.

«Lucas, buonasera. Scusi per il disturbo. Sono Richard, il padre di Liza. La mia bambina vorrebbe venisse qui, se è possibile. Da quel che ho capito, Huginn ha avuto una visione e lei ne è stata testimone diretta» spiegò Richard non appena udì la voce del capoclan.

«Buonasera, Richard. No, non disturba affatto. Ora come sta, Liza?» domandò preoccupato il giovane.

«Un po’ scossa, ma desidera riferirle ciò che ha visto.»

«Arriverò in cinque minuti» promise Lucas, chiudendo la comunicazione per raggiungere in fretta il suo pick-up.

Richard allora poggiò le mani sui fianchi, si guardò intorno e borbottò: «Credo che toccherà a me, sparecchiare. Tu che dici, Huginn?»

Il corvo gracchiò e, dopo essersi involato fino al tavolo, cominciò a passare forchette e coltelli al padrone di casa, utilizzando al meglio il becco affilato.

All’uomo non restò altro che accettare quell’insolito aiuto mentre, tra sé, si chiese come sarebbe andato il resto della serata. Se quelle erano le premesse, sarebbe stato davvero un inferno.

 

 

 

N.d.A.: Le cose cominciano a muoversi, Donovan cerca di convincere il figlio - stavolta, forse, riuscendovi - delle sue buone intenzioni e, soprattutto, dell'apparente solidità delle sue supposizioni e, infine, Liza riesce finalmente a comprendere la Visione avuta da Huginn. Il sangue da lei visto non è il suo, bensì quello di Mark. A questo punto, però, cosa farà il branco? Lascerà che le cose si evolvano, o si produrrà per difendere il ragazzo? E Liza? Quale sarà la sua scelta?

  
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