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Autore: Evali    13/11/2020    1 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Agnelli e lupi
 
- Ripetetemi per quale motivo state ospitando due stranieri nella vostra casa in assenza di vostro marito, Selen – domandò il Giudice, posando la tazza fumante sopra il tavolo.
I funerali della giovane Isa si erano tenuti giusto quella mattina e i sacerdoti non avevano neanche lasciato a Selen e alla sua famiglia il tempo di piangerla a dovere, poichè si erano immediatamente fiondati su di loro, per riempierli di domande.
Era la procedura classica da seguire, ogniqualvolta avveniva un omicidio, o presunto omicidio, violento come quello. Inoltre, l’aver scoperto che a Carbrey fossero giunti due individui stranieri e che, per di più, Selen li stesse ospitando in casa sua, di certo non aiutava.
- I loro nomi sono Blake e Selma. Sono madre e figlio, cercavano un posto dove passare la notte, per poi rimettersi in viaggio – rispose sinceramente la donna, asciugandosi ancora le lacrime che le bagnavano le guance da quella mattina, con un tovagliolo di stoffa.
- Posso vederli e parlare con loro? – domandò diretto il Giudice, nonché il sacerdote con la carica più alta di tutte nel villaggio di Carbrey, un uomo molto lontano dalle figure degli amorevoli e compassionevoli messaggeri del Signore, distaccato, razionale e giudizioso.
Proprio per tali motivi meritava la piena fiducia del villaggio che aveva sempre protetto e salvaguardato da ogni male con imperante accortezza.
La donna annuì, facendo segno a Gerda di richiamare i due ospiti, per farli giungere nell’atrio, molto affollato rispetto alla norma.
Qualche minuto dopo, il Giudice si ritrovò finalmente dinnanzi ai due stranieri, e li cominciò ad osservare e a studiare, senza far nulla per nasconderlo minimamente.
Il primo dettaglio che spiccò agli occhi di Blake, oltre al suo sguardo da determinato calcolatore, fu il crocefisso di legno che pendeva dal suo collo, molto più grosso rispetto a quello che indossavano i monaci di Bliaint.
- Sedetevi pure – li esortò con un sorriso il Giudice, facendo loro segno di sedersi sulle sedie libere che circondavano il tavolo della cucina. – Gradirei conversare con voi.
A ciò, i due obbedirono, sedendosi di fronte a lui.
- Per quale motivo avete sostato qui, a Carbrey? – domandò l’uomo, senza preamboli.
- Eravamo ad un giorno di cammino dal nostro villaggio. Avevamo bisogno di cibo per ristorarci, e di un posto al caldo per non morire di freddo, dopo una prima notte trascorsa all’esterno – rispose prontamente Selma.
Il Giudice affilò lo sguardo. – Da quale villaggio provenite?
- Non vi è possibilità che lo conosciate. Non dista molto dal bosco di Eamar, costeggia il fiume – rispose ancora la donna.
- Perdonate l’invadenza – continuò l’uomo, posando gli occhi prima su uno, poi sull’altra. – Ma, come avete avuto modo di assistere in prima persona, ieri sera è avvenuto un fatto tremendo, un lutto che ci addolora tutti quanti. Un fatto a dir poco inspiegabile. E questa orrenda morte,  non solo è avvenuta in assenza del padrone di casa, ma ha avuto luogo mentre due stranieri sostavano nel mio villaggio, senza che io ne fossi minimamente a conoscenza – le molteplici accuse e i sospetti sottesi a quell’affermazione erano ben chiari a tutti. – Per tal motivo, comprenderete che è mio dovere indagare sull’accaduto. Dio pretende da me questo.
- La recinzione dei lupi era spezzata, dilaniata dai lupi stessi, Giudice – intervenne Selen. – Gli animali di mio marito soffrivano la fame, oramai da giorni. Potrebbero esser stati colpiti da un attacco di follia causata dalla fame, aver saltato più in alto del solito, aver rotto la recinzione e aver azzannato la povera Isa che passava casualmente di lì, trascinandola con loro, poiché avevano sentito il suo odore – spiegò la donna.
- Vi è mai capitata prima d’ora una cosa simile, Selen? – domandò secco il Giudice.
- No.
- Dunque, non è strano che accada proprio ora, all’improvviso? Sbaglio o il retro dell’abitazione è parecchio frequentato dai componenti della vostra famiglia? Perché i lupi non hanno agito prima, nutrendosi delle carni di uno di voi, disgraziatamente? – proseguì l’uomo. – Deve essere accaduto qualcosa che ha provocato l’evento e che ha ucciso la povera fanciulla, la figlia del nostro Signore che stamani abbiamo seppellito – disse facendosi il segno della croce. – Ed io scoprirò cos’è accaduto, facendo giustizia alla dolce Isa, condannando il carnefice alla punizione divina che gli spetta. – Detto ciò, ritornò a guardare i due stranieri.
- Analizziamo i fatti, ora. Da quel che sono riuscito a ricavare interrogando tutti i componenti di questa famiglia ad uno ad uno, ieri mattina la ragazza è passata di qui per recuperare dei vestiti da lavare, come era sua consuetudine fare. Ella, oltre ad essere la lavandaia del villaggio, era anche la promessa di vostro figlio Austen – disse volgendo gli occhi a Selen, per poi tornare su Selma e Blake. – Quando Isa è entrata in casa, nell’atrio assieme a Selen, ha trovato anche voi – continuò, ora inquadrando solo la figura del ragazzo. - Blake, giusto?
Egli annuì con naturalezza in risposta, a ciò il Giudice continuò. – All’arrivo di Isa, voi stavate consumando la colazione che Selen vi aveva appena preparato, dunque avevate trascorso del tempo insieme, appena svegli, da soli, mentre gli altri dormivano ancora – dedusse il Giudice, facendo immediatamente comprendere al ragazzo dove volesse arrivare.
- Abbiamo parlato per un po’, mentre consumavo la colazione.
- Di cosa avete parlato?
- Delle lezioni che avrei dato a sua figlia Gerda, per ripagarla della sua ospitalità – rispose nuovamente Blake.
- Che genere di lezioni?
- Sui numeri – rispose Selen al suo posto, venendo immediatamente fulminata dallo sguardo del Giudice, ad ammonirla di fare silenzio, poiché quello era il momento dell’interrogatorio del ragazzo, non del suo.
Dopo di che, ritornò su Blake. – Sapevate che Isa fosse promessa ad Austen? Che sguardo vi ha rivolto Isa quando è entrata in casa?
- Mi ha informato a riguardo Selen, non appena ella è entrata in casa; era sorpresa di vedere un completo sconosciuto a casa del suo promesso – rispose in ordine il ragazzo, senza esitazione.
- Avete notato altro nel suo sguardo?
- Cos’altro avrei dovuto notare?
- E Selen? Era irritata dal vostro incontro? Avete avuto l’impressione che Isa fosse sorpresa, turbata, imbarazzata o altro nel trovare la sua futura madre acquisita in compagnia di un bel giovane straniero, totalmente soli?
- Dove volete arrivare??
- Cosa volete insinuare…? – dissero quasi all’unisono prima Selma, poi Selen.
- Austen, invece, sapeva che la sua promessa vi avesse conosciuto? – continuò il Giudice.
- Non so se Austen lo sapesse.
- Cosa c’entra Austen? – domandò Selen sempre più spiazzata.
- Giudice, non capisco quale sia il punto – insistette Selma.
- Il punto, mie signore – si decise a rispondere voltandosi verso le due. – è che qualcuno ha sicuramente voluto far passare il suo orrendo misfatto per un incidente, e che questo giovanotto qui presente non è accusabile in alcuna delle mie ipotesi, ma è comunque la causa scatenante del tutto.
- Io sarei la causa? – intervenne Blake contrariato. – Sospettate che uno dei due, tra Selen e Austen, abbia ucciso volutamente Isa per … gelosia? Nei miei confronti?? – domandò allibito.
- Ma è pura follia! – esclamò Selen alzandosi in piedi di scatto, stringendo convulsamente la stoffa della sua pannella, nuovamente sull’orlo delle lacrime. – Non solo state accusando me di qualcosa di tanto sudicio e deprecabile come l’adulterio e l’infedeltà nei confronti di mio marito, ma state anche supponendo che mio figlio sia capace di assassinare la fanciulla che ama per qualcosa come …
- Vi esortiamo a sedervi, Selen – la interruppe uno degli altri sacerdoti presenti in stanza, con voce ferma e imponente. – Rimembrate che vi trovate sempre dinnanzi al nostro Giudice, nonché gran sacerdote, al quale spetta sommo rispetto.
A tali parole, Selen tornò in sé, riprendendosi dal suo primordiale e istintivo attacco di rabbia, risedendosi compostamente sulla sedia e abbassando lo sguardo rispettoso. – Perdonatemi, Giudice. Non accadrà più.
- Non temete, figliola – la rassicurò egli. – È normale essere sconvolti. Tuttavia, questi sono i fatti che mi si sono presentati dinnanzi agli occhi, e non intendo ignorare dei segnali così evidenti.
- Parlate di evidenza senza neanche sapere cosa sia – commentò pungente Blake, riattirando l’attenzione del Giudice su di sé.
- Mio tesoro – lo ammonì Selma posandogli una mano sul braccio. – Non è il momento di dare sfoggio di arguzia ora.
- Oh, no, vi prego, continuate. Per quale motivo credete che io non sappia cosa sia l’evidenza? – insistette il Giudice.
- State semplicemente facendo supposizioni su supposizioni infondate, basate su pregiudizi e futili sensazioni - rispose il ragazzo.
- Mi baso sugli unici indizi che ho.
- Perché vi rifiutate di vederne altri.
Quel botta e risposta a tono, stranamente, non stava alterando il Giudice tanto quanto gli altri presenti temessero.
- Voi parlate di sensazioni e vi do ragione – riprese il Giudice con calma. – Eppure, se un uomo è tanto intimorito dalla presenza di un altro uomo, deve pur esservi un motivo.
Sapete, ho chiacchierato un po’ con il giovane Austen poco fa.
Nonostante egli sia distrutto, ha comunque accettato di parlare con me.
Egli, come è giusto che sia, non ha voluto celarmi nulla, benché si professi innocente con fermezza.
Egli mi ha rivelato di aver avuto una discussione con Isa riguardo voi, Blake, ieri pomeriggio, poche ore prima che ella fosse ritrovata morta nella fossa dei lupi.
I tre rimasero tutti sconvolti da tale rivelazione.
- Austen vi ha detto questo …? Per quale motivo io non ne sapevo nulla? – sussurrò esterrefatta Selen. – È capitato altre volte che Austen e Isa avessero delle discussioni. Ma mai per gelosia – realizzò la donna.
- E, d’improvviso, una notte, giunge in questa casa uno sconosciuto giovane uomo da molto lontano, dal quale Isa rimane inevitabilmente sedotta. Tutti i pezzi sembrano andare al loro posto, non credete? Ammetto che considero molto più probabile che sia stato Austen ad assassinare la sua futura sposa, in un cieco attacco di ira e gelosia incontrollata, profondamente turbato dal pensiero che ella fosse rimasta attratta da Blake; per poi tornare in sé e rendersi tragicamente conto dell’immane errore commesso.
L’ipotesi che siate stata voi, Selen, a spingere la vostra futura figlia acquisita nella fossa dei lupi per pura gelosia e per rimanere l’unica a poter attirare l’attenzione del ragazzo, mi rimane ancora difficile da credere.
- Sono stata io! – esclamò Selen non lasciando il tempo al Giudice di finire di parlare. – Se i sospettati siamo io e mio figlio, preferisco essere io a prendermi ogni colpa!
- Proprio per tale motivo voi siete la meno sospettata dei due, Selen: fareste di tutto pur di proteggere vostro figlio. Non è vero? – replicò il Giudice.
- Ad ogni modo – riprese lo stesso dopo infiniti attimi di silenzio. – nulla è ancora detto. Dovrò continuare ad indagare sulla questione. Da ognuno di voi devo sapere dove eravate al momento in cui, presumibilmente, Isa è stata spinta nella fossa. Austen mi ha già detto che si trovava al mercato per comperare del cibo, la piccola Gerda invece mi ha detto di trovarsi nella stalla dei cavalli in compagnia di Blake, dunque non ho bisogno di chiedere nulla a quest’ultimo – disse, per poi volgere lo sguardo su Selen e su Selma. – Ora rivolgo la stessa domanda a voi, mie signore: dove vi trovavate ieri nel tardo pomeriggio, al calar del sole?
- Ero qui, in cucina, a preparare la cena – rispose Selen.
- Io ero nel mio giaciglio, a riposare – seguì Selma.
- Bene. Per ora, direi di aver concluso. Sappiate, in ogni caso, che non mi fermerò fin quando non verrà fatta giustizia alla giovane Isa. Verrete tenuti d’occhio fin quando non sarò giunto ad un verdetto – disse il Giudice alzandosi in piedi, guardandoli uno ad uno. Com’era consuetudine a Carbrey, si avvicinò ad ognuno per far loro il segno della croce e baciarli sulla fronte, prima di andarsene.
Quando arrivò a Blake, il ragazzo vide le dita del Giudice posarsi sulla sua fronte, poi sul suo petto, sulla spalla destra e sulla sinistra, seguendo una traiettoria che non era affatto abituato a vedere tracciata sul proprio petto. Quando l’uomo gli posò le labbra sulla fronte gli sussurrò qualcosa:
- Non credete di averla scampata così, figliolo. Non appena scoprirò tutto ciò che debbo scoprire su voi e su vostra madre potrò dirmi soddisfatto, ma, fino ad allora, tenete la guardia alta.
Qualcuno in grado di mettere zizzania in tal modo all’interno di una famiglia con la sua sola presenza, di certo non sarà mai, mai del tutto innocente – sibilò, per poi allontanarsi da lui e guardarlo negli occhi.
 
Judith raggiunse il comitato di monaci servi del Creatore e del Diavolo riunitisi per decidere il destino dei due ragazzini prigionieri.
In un’altra circostanza, non avrebbe dovuto incontrare anche i monaci del suo stesso credo, poiché raramente veniva coinvolta in prima persona nelle decisioni di quel tipo.
Tuttavia, quello era un caso eccezionale; poiché lei era l’unica che aveva avuto modo di parlare con i due condannati.
- Dunque? – le domandò subito uno dei monaci del Diavolo. – Qual è il vostro giudizio su di loro?
- Non ho un giudizio su di loro – rispose prontamente Judith. – Tutto ciò che so è che nessuno di voi ha avuto anche solo la minima intenzione di rivolgere la parola ai due fanciullini – aggiunse, lasciando trasparire il suo tono di rimprovero. – Avete voluto lasciare la patata bollente a me per lavarvene le mani?
A tali parole, qualcuno dei monaci abbassò lo sguardo colpevole, mentre altri la fulminarono.
- Posso comprendere il peso di dover giudicare due ragazzini così giovani – riprese la ragazza. – Tuttavia, posso garantirvi che non mordono e che, se presi nel modo giusto, sono svegli e collaborativi.
- Svegli e collaborativi?? – ripeté uno dei monaci del Creatore. – Non vi burlate di noi, Judith! Sono orfani che hanno sempre vissuto in strada, elemosinando qualsiasi cosa. È già tanto se siano in grado di parlare!
- Come credete che siano divenuti così? Per quale motivo queste giovani vite vengono puntualmente stroncate prima del tempo, e i loro corpi acerbi giacciono lungo la strada, morti di fame, di freddo o di malattia, oppure finiscono alla Taverna?
- Prendiamo con noi tutti gli orfani che desiderano dedicare la vita al proprio Signore.
- E quelli che non desiderano prendere l’abito monacale, invece? Devono necessariamente vedersi costretti a farlo? – replicò pungente Judith mantenendo la calma.
- Che cosa stareste insinuando, Judith?
- Vi sto solo facendo presente quanto questi particolari soggetti siano a rischio nel nostro villaggio. A rischio di imboccare una strada sbagliata, a rischio di finire assassinati per pochissimo, a rischio di non venire nemmeno considerati. Si svegliano ogni mattina sapendo che potrebbero morire il giorno stesso, perciò non se ne curano. Non si stanno adoperando per evitarsi il rogo poiché sanno di essere già spacciati.
A mio giudizio, dovremmo considerare tutti questi fattori e pazientare, provare a parlare ancora con loro, per poi decidere il da farsi – suggerì senza remore la ragazza.
I presenti rifletterono per diversi minuti sulla proposta di Judith.
- D’accordo. Vi concederemo altro tempo da trascorrere con loro, allo scopo di trovare anche solo un buon motivo per evitare loro la condanna alla pena capitale – rispose finalmente uno dei monaci.
- Vi ringrazio, padre Hacberth.
Uscita dalla sala in cui si era tenuto l’incontro, Judith si diresse verso un’altra saletta, nella quale aveva fatto condurre uno dei gemellini che stavano tanto facendo discutere.
Furtiva e silenziosa, la fanciulla entrò nella stanza, chiudendosi la porta dietro di sé.
Il giovanissimo prigioniero condotto lì, era in piedi, di schiena, intento ad esplorare curiosamente l’arredamento della stanza, a sfiorare con le dita sporche un imponente candelabro spento.
Judith ebbe modo di osservare anche lui, come aveva fatto il giorno prima con sua sorella.
Era impossibile non notare i segni occulti tracciati violentemente sulla sua schiena nuda e chiara, lasciata scoperta a causa della cenciosa casacca volutamente strappata solo nella parte posteriore.
Aveva piccole ferite sparse un po’ ovunque, i capelli chiari anneriti dalla polvere e da residui neri, provenienti dai mattoni sporchi e umidi della cella nella quale era tenuto rinchiuso.
Le catene delle manette che gli stringevano i polsi tintinnarono mentre la mano ricadeva giù e il viso si voltava, accorgendosi di non essere più solo, indurendosi.
- Buongiorno, Maringlen – non si lasciò demoralizzare la ragazza, facendogli segno di sedersi su una delle sedie del tavolino posto in mezzo alla stanza, facendolo lei per prima. – Ti ho fatto condurre qui questa mattina perché ho già avuto modo di parlare da sola con tuo fratello ieri.
Vorrei avere un piccolo confronto faccia a faccia anche con te, se me lo permetti.
Il ragazzino non rispose, rimanendo in piedi in fondo alla stanza.
- Vi è piaciuto il cibo che vi abbiamo fatto portare ieri? – domandò, comprendendo quanto più arduo fosse avvicinarsi a lui, in confronto a sua sorella.
- Perché ci state trattando così bene? – si decise a parlare Maringlen, con voce dura e scontrosa.
A ciò, la ragazza fece vagare nuovamente gli occhi sul suo abbigliamento in stato pietoso, sugli ematomi che macchiavano la sua pelle e infine sulle catene che gli tenevano prigionieri mani e piedi. – A ben vedere, io non direi che vi stiamo trattando proprio bene.
- Hai capito cosa intendo – replicò lui. – Ci date il cibo. Ora ci fate anche uscire dalla cella per qualche ora al giorno, per parlare con noi. Non sono stato prelevato solo io oggi, ma anche mio fratello. Dov’è lui?
- In questo momento è con padre Cliamon, il quale gli sta cambiando la fasciatura, mentre tu sei qui con me. Ho fatto prelevare anche lui per non lasciarlo solo in tua assenza, so quanto sia importante per voi. Posso garantirti che è in buone mani.
Non vuoi accontentare nemmeno la mia richiesta di sederti qui con me?
Il ragazzino non si mosse, scrutandola ancora, diffidente. – Perché mi hai fatto venire qui?
- Innanzitutto, per farti cambiare vestiti e permetterti di farti un bagno, per disinfettare qualche ferita e toglierti di dosso quel pessimo odore della cella che immagino ti starà facendo venire il voltastomaco.
- Non ho bisogno di questo.
- Invece sì. So che muori dalla voglia di lavarti e di cambiarti i vestiti, sostituendoli con alcuni più pesanti, magari – azzardò, facendogli nuovamente segno di sedersi di fronte a lei. – Ti va di fare una partita a tris? – gli propose, vedendolo lievemente animarsi.
In seguito a quella richiesta, Maringlen si avvicinò finalmente a lei e prese posto sulla sedia rimasta vuota, dinnanzi al tavolino. – Facciamo un patto. Ogni volta che io vincerò una partita, tu dovrai rispondere ad una mia domanda. Che ne dici? – propose.
Senza risponderle, il ragazzino posò lo sguardo sulla tavola da tris dinnanzi a loro e fece la prima mossa, ponendo una delle pedine rosse su una casella, per poi attendere che Judith facesse la sua.
Accontentandosi di ciò, la ragazza spostò una pedina a sua volta, iniziando a giocare.
Le prime sei partite le vinse Maringlen, il quale accennò persino un sorriso furbo, nelle sue ultime vittorie.
Judith sorrise a sua volta. – Sei bravo. Sai cosa si credeva in alcuni villaggi, qualche anno fa?
Maringlen la guardò, in attesa che continuasse.
- Gli inquisitori erano convinti che, se qualcuno avesse vinto a tris per più di tre volte di fila, fosse una strega o uno stregone.
Alcuni usavano questo metodo in alternativa a quello della vasca e della pietra legata al collo, per riconoscere e condannare coloro sospettati di essere stregoni.
- Sarei stato due volte condannato per stregoneria.
 - Esatto – confermò Judith ponendo una pedina che le permise di fare tris e di vincere per la prima volta. – Credo sia il momento di tener fede al nostro patto: per quale motivo ti stai prendendo la colpa per ciò che hanno fatto al braccio di tuo fratello?
- Infatti non mi sto prendendo la colpa, perché la colpa è mia.
- Maringlen … così non risolverai le cose. Noi siamo davvero disposti ad aiutarvi. Ma, in cambio, voi dovete dirci la verità riguardo ciò che vi è successo.
- Voi ci state offrendo tutte queste cose perché volete delle informazioni da noi.
- No, affatto, ve le offrirei in ogni caso, poiché sono convinta che qualcuno vi abbia incastrati e costretti ad essere qui. Dimmi, Maringlen, chi vi ha costretti?
- Devi prima vincere, poi ti risponderò – rispose a tono il ragazzino.
Dopo altre due partite, Judith vinse ancora. – Dunque, chi è stato a costringerti a farci credere che avete fatto uso improprio della magia nera e che hai fatto del male a tuo fratello?
- Nessuno. Sono stato io e io soltanto.
- Ti riconosco una cosa: sei molto furbo – disse ella ponendo le braccia conserte, osservandolo. – Cosa posso fare per farti parlare con sincerità?
Maringlen scostò lo sguardo.
- Tuo fratello dice che tu sei innocente e io gli credo. Tuttavia, nessuno dei due vuole tradire le persone che vi hanno cresciuti e questo posso comprenderlo.
- Non ho paura del rogo – annunciò il ragazzino.
- Lo so.
- Ne ho visti tanti, bruciare lì sopra. Urlano per poco, massimo per cinque minuti, non di più. Ci sono dolori molto più lunghi.
La ragazza lo guardò, in silenzio. – Hai ragione. Tuttavia, quei cinque minuti di agonia, valgono una vita intera. Sappi che non vi lascerò ritornare nelle loro mani una volta usciti di qui.
Maringlen sgranò gli occhi, ritornando a guardarla.
- Sì, mi hai sentito bene. Troverò una famiglia che possa accogliervi e crescervi.
- Noi ormai non cresciamo più.
- Sono riuscita a prendere tempo con i monaci. Attenderanno il mio verdetto prima di decidere se condannarvi o no.
- Non servirà a niente.
- Ma è ciò che il vostro complice voleva da me, giusto? Che io prendessi tempo e convincessi i monaci a pazientare, grazie alla mia influenza. Voi siete le sue esche e lui … lui è uno sfacciato approfittatore senza scrupoli.
- E tu? Tu che cosa sei? – le domandò il ragazzino trafiggendola con i suoi occhi.
Ella rimase in silenzio.
- Vuoi salvare tuo fratello, Maringlen? – gli domandò dopo un po’.
- Sì.
- Ti informo che, se non collaborerai con me, farò in modo che siate condannati tutti e due.
Ho il potere per farlo.
A quel punto, non saranno valsi a nulla tutti i tuoi sforzi di prenderti tutte le colpe.
Non lascerò che tu salga da solo su quel soppalco.
- Perché non ti arrendi?? Perché non lasci che ci facciano quello che vogliono?? – cominciò ad agitarsi il ragazzino.
- Perché non è nella mia indole, lasciare che le cose fluiscano dinnanzi a me, senza che io faccia nulla per intervenire.
- Non hai mai fatto nulla finora.
- Ho sempre fatto qualcosa, ma, prima, non avevo gli strumenti per realizzare i miei propositi.
Ora, invece, li posseggo.
- Non sono una brava persona. Non lo sono adesso e non lo sarò tra qualche anno – la avvertì il ragazzino.
- Ciò dovrebbe dissuadermi?
- Divento un animale quando c’è bisogno che io lo sia. Non importa chi ho davanti.
- Anche io, Maringlen. C’è chi lo palesa di più e chi di meno, ma in ognuno di noi alberga una belva repressa, incatenata.
Sei mai entrato nella cattedrale del nostro Signore?
A tale domanda, il ragazzino annuì. – Per rubare vestiti per l’inverno.
Judith avrebbe dovuto aspettarselo, che quei due non avessero mai avuto modo di assistere ad una funzione. - Beh, suppongo lo avrai pregato, almeno.
Maringlen annuì di nuovo.
- Conosci i sette peccati capitali? – gli domandò poi.
- Sì.
- Sai dirmi quali sono?
- Accidia, avarizia, invidia, lussuria, superbia, gola e ira.
- Dunque, saprai anche che il nostro Signore, che abita gli abissi più profondi di questa Terra, li possiede tutti e sette, in egual modo.
Egli non è mai stato un dio buono e giusto, come lo è il loro.
Lo veneriamo, pur sapendo quanto egli sia carnale e terreno, più di quanto lo saremo mai noi.
I servi del Creatore lo sanno e ci ritengono fortunati, per questo.
Quando credi di meritare il rogo, pensa al nostro Signore, che si è meritato di venire cacciato dal cielo e di precipitare, di sprofondare sottoterra, senza alcuna possibilità di risalire.
 
 - Lasciate, faccio io – si propose Blake alzandosi dal tavolo dopo che ebbero consumato la cena.
Solamente Austen era assente.
Il silenzio tombale che aveva regnato quella sera aveva macchiato gli animi di paura, frustrazione, amarezza e rabbia.
Selen lo guardò e acconsentì a lasciarlo sparecchiare e riporre i piatti nella teca per lavarli, nonostante il suo animo da padrona di casa stesse scalpitando ancora dentro di lei.
Era troppo stanca, scossa, devastata, tuttavia.
I suoi occhi erano fissi in un punto nel vuoto, quelli di Gerda erano delle tonde ed espressive biglie tristi, le quali, ogni tanto, si spostavano dalla fiamma che scoppiettava nel camino a Blake, nonché unica fonte di movimento nella stanza.
Selma non aveva emesso un solo fiato per tutta la cena, restando sulle sue, consumando il suo pasto in silenzio come tutti. Dopo che Blake si fu alzato, si alzò anche lei, dirigendosi verso il camino e restando in piedi davanti al fuoco, a scaldarsi, di spalle.
Gerda posò gli occhi sullo sguardo perso di sua madre, poi decise di darsi da fare a sua volta, togliendo i bicchieri vuoti dal tavolo e la caraffa d’acqua.
Quando la piccola si avvicinò al piano cucina, nel quale Blake era in piedi a lavare le bacinelle e i piatti con acqua e sapone, questo si voltò a guardarla.
- Posso aiutarvi? – gli domandò atona la bambina.
- No, tranquilla, faccio io – la rassicurò, rivolgendole un debole sorriso.
- Ma voglio fare qualcosa – insistette. – Io posso asciugarli dopo che voi li avete lavati.
- D’accordo – le rispose il ragazzo cominciando a passarle i piatti appena lavati, mentre il silenzio tombale predominava ancora nell’abitazione.
Il recinto per tenere rinchiusi i lupi era stato ricostruito da alcuni volontari del villaggio, mentre il Giudice interrogava coloro che vivevano in casa, nonché sospettati.
Dopo qualche minuto, un po’ di schiuma provocata dal sapone precipitò sul mento di Blake, facendo nascere un risolino spontaneo della bambina, il primo di quella funesta giornata.
A ciò, il ragazzo la raccolse con un dito e la spalmò sul viso di Gerda, facendo aumentare le sue risate, le quali, con il loro dolce sottofondo, allietarono leggermente l’animo di Selen, ancora seduta.
Con le mani ancora immerse nella teca colma di acqua e sapone, Blake tirò fuori una mano, strofinò il pollice e l’indice tra loro per qualche secondo, poi alzò adagio l’indice tenendo la punta unita a quella del pollice, fino a formare una circonferenza con le due dita, in mezzo alla quale vi era un sottile strato di acqua saponosa. Blake vi soffiò dentro con delicatezza, fin quando, dallo strato, uscì fuori una bolla di sapone, la quale si avvicinò al viso estasiato di Gerda, per poi scoppiare non appena entrò in contatto con la sua guancia.
- Come avete fatto??
- Non è difficile, puoi provarci anche tu.
Dopo qualche minuto, Gerda era già alla sua quarta bolla di sapone, all’ennesimo tentativo di farla restare integra per più di qualche secondo.
Selen li guardava incantata, sollevata.
- Credo sia ora di andare a letto – le disse dopo qualche minuto, vedendola imbronciarsi teneramente. Dopo un’intera giornata trascorsa a pensare a cosa fosse accaduto la sera prima, e a temere che il Giudice fosse venuto a prelevare qualcuno di loro per portarlo alla gogna, la piccola aveva bisogno di riposare, come tutti.
Quando la bambina si diresse nella propria camera, Blake si voltò casualmente verso la figura di Selma ancora in piedi dinnanzi al camino.
- Perché sei così silenziosa? – le domandò a distanza, vedendola sussultare lievemente.
- Sono solo stanca, Blake. Credo che andrò a letto anche io – rispose semplicemente, dirigendosi verso la stanza da letto a sua volta, lasciando Selen e Blake soli.
Terminato di lavare e asciugare i piatti in silenzio, Blake li ripose al loro posto.
- Voi credete me o mio figlio capaci di commettere un’atrocità del genere…? – chiese la voce della donna improvvisamente, tanto bassa da sembrare quasi un lamento.
Il ragazzo si voltò a guardarla.
Il vento che preannunciava la notte si stava alzando e ululava violentemente, fuori dall’abitazione.
- Non ho mai sospettato di nessuno di voi – le rispose sinceramente.
Selen accennò un sorriso amaro e tremolante. – Lo dite solo perché non potreste dire altrimenti, trovandovi davanti una donna distrutta. Siete una persona buona, Blake.
A ciò, il giovane prese nuovamente posto sulla sedia, accanto a lei. – Nessuno di noi è immacolato, Selen. Non lo sono io e non lo siete voi, così come non lo è Austen o mia madre. Gerda è ancora governata da una dolce innocenza che la esime dall’essere presa in considerazione.
Ad ogni modo, sono sincero quando vi dico che non crederei mai che voi o Austen possiate commettere un assassinio a sangue freddo. Tanto meno se si trattasse di commetterlo contro una persona che nel vostro cuore occupa un posto importante.
- E per un movente tanto insulso come la gelosia … - aggiunse Selen tristemente, sforzandosi di alzare lo sguardo su di lui. – Credete a ciò che ha detto il Giudice, riguardo i motivi che, secondo lui, avrebbero spinto me o mio figlio a massacrare quella povera ragazza …?
- No, Selen. La sua teoria ha dell’assurdo, e chiunque possiede un po’ di buon senso lo capirebbe.
- Ad occhi esterni, non risulterebbe così assurda – ammise la donna, esternando un pizzico di colpevolezza nella voce. – Una donna sola in casa, che accoglie con tanta facilità due sconosciuti … che cosa mi è passato per la mente?
- Volevate solo essere gentile. Colpevolizzarvi per questo non vi porterà a nulla.
Selen lo guardò negli occhi, sforzandosi di non farli divenire lucidi.
- Vi prego. Non credete che io voglia ricevere la vostra pietà. Si tratta solo di un momento di debolezza.
- Piangete quanto volete, mia signora, non temete. Sono altri i motivi che mi spingono a provare pena per qualcuno, non certo le lacrime che è in grado di far fuoriuscire dinnanzi a me.
Piangere non è un segno di debolezza.
- Mio marito crede di sì – rispose ella asciugandosi le guance con un tovagliolo.
- Isa è rimasta colpita dalla vostra bellezza, questo è vero – ammise dopo un po’ la donna. – L’ho visto dai suoi occhi e dal suo sguardo quando vi ha guardato.
Blake rimase in silenzio, in seguito a quell’informazione, attendendo che ella continuasse.
- Non mi sorprende così tanto che ciò possa aver costituito motivo di litigio tra lei e mio figlio … ma arrivare addirittura ad accusarlo di assassinio …
- Non sono del tutto sicuro che sia stato un incidente ciò che è accaduto alla giovane Isa. Tuttavia, chiunque l’abbia spinta o abbia fatto in modo che precipitasse nella fossa, non è vostro figlio. Ne sono certo.
- E allora chi può aver fatto una cosa simile?
- Non lo so ancora. Tuttavia, quel Giudice è una persona molto influente nel vostro villaggio, vero?
- La più influente.
- Prima scopriamo qualcosa in più sull’accaduto e su come dimostrare la vostra innocenza e quella di Austen, meglio sarà.
- Ma il Giudice ha messo gli occhi anche su di voi e su vostra madre.
Vi prego, Blake, non sottovalutatelo, poiché è un uomo molto determinato.
Ottiene sempre ciò che vuole.
Se, dunque, vorrà scoprire da dove venite e altre informazioni su di voi e sulle vostre origini, state certo che riuscirà nell’intento – lo mise in guardia la donna.
- Farò attenzione, non preoccupatevi.
- Spero con tutto il cuore che voi e vostra madre potrete andarvene via di qui indisturbati, il prima possibile, e senza correre rischi.
Calarono altri attimi di silenzio tra i due.
- Talvolta mi chiedo perché Dio abbia deciso di punirmi.
Forse, me lo domando sin troppe volte – disse improvvisamente la donna, la voce rotta e lo sguardo fisso. - Nonostante io abbia tutto ciò che una donna della mia condizione possa desiderare … sento sempre una mancanza in me.
Nonostante io preghi, Dio sembra non ascoltarmi.
Ritengo di sembrare un’ingrata ai suoi occhi.
Voi avete mai questa sensazione?
A Blake parve quasi di ricordare un altro momento incastonato nella sua memoria, in cui qualcuno gli aveva posto la stessa domanda.
Un’improvvisa empatia nei confronti della donna lo colse, spingendolo a far immediatamente virare le iridi luminose su di lei.
- C’è mai stato un momento della vostra vita in cui non avete creduto all’esistenza di Dio? – le domandò spiazzante, facendo pietrificare Selen, la quale si riscosse quasi brutalmente dalla trance nella quale sembrava caduta mentre lo guardava e attendeva la sua risposta.
- Blake … - sussurrò, quasi dimentica della facoltà di utilizzare la voce, sentendo tremare le membra, e non per l’assurdità delle parole pronunciate dal ragazzo, bensì dalla terribile verità che queste veicolavano con sé. - Voi … credete che Dio non esista…?
- Dimenticate le mie parole.
- Vi prego – si impose ella poggiando con urgenza una mano sul tavolo, per riattirare la sua attenzione. - Apritevi con me. Io l’ho fatto con voi – insistette.
A ciò, il ragazzo l’accontentò. – Non credo in nulla. Ma credo che credere nell’esistenza di Dio ci serva. Per questo ci serve Dio – le rispose.
- E a cosa ci serve credere in Dio?
- A poggiare i piedi a terra. A non traballare ad ogni passo che facciamo.
Quando Selen cominciò a tremare maggiormente, il ragazzo agì d’istinto, poggiando una mano sulla sua, stringendogliela.
Le dita gelide come il ghiaccio, piene di calli, morbide della donna, trovarono conforto racchiuse in quelle spigolose, affusolate e calde del ragazzo.
Quel momento venne brutalmente interrotto da un improvviso bussare violento alla porta.
Quando Selen andò ad aprire, si ritrovò davanti l’austera figura del Giudice, circondata da quella di altri tre sacerdoti, immersi nella tempesta di vento. – Siamo qui per arrestare e imprigionare vostro figlio Austen, con l’accusa di assassinio nei confronti della sua futura moglie.
Siete pregata di consegnarcelo.
 
Padre Craig terminò di bere il suo boccale di vino, fissando senza interesse ogni persona che entrava nella taverna.  
Era seduto su un tavolo da solo, completamente succube dei suoi vorticosi pensieri e del vino.
L’ultima conversazione che aveva tenuto con Naren, l’amante proibito di Judith, non aveva portato assolutamente a nulla. Come se non bastasse, la succitata era gravida di un bambino che poteva essere di qualsiasi servitore del Diavolo presente nel villaggio; Blake era fuori da Bliaint, chissà dove e in cerca di chissà cosa; Ioan era improvvisamente e sospettosamente guarito dal suo male; la mandragora sradicata da Blake era come scomparsa da ogni angolo dell’abitazione; Heloisa era caduta in uno stato di esaurimento dopo aver appreso la falsa notizia che suo figlio stesse per divenire padre; le ricerche di rame e d’argento nella galleria andavano sempre peggio; due ragazzini stavano per essere condannati al rogo e Beitris non si vedeva al villaggio da sin troppi giorni, facendogli perdere totalmente i contatti con le dannose trame che la compagnia di stregoni eremiti stava portando avanti.
Tutto sembrava sgretolarsi in pezzi dinnanzi ai suoi occhi.
I sogni su ciò che aveva con tutta probabilità vissuto e commesso quella maledetta notte continuavano a tormentarlo, e il desiderio che portavano con sé era sempre più ingestibile.
Gli serviva Blake, per aiutarlo a restare calmo, a non farsi sopraffare dalle emozioni, a ragionare con razionalità e freddezza.
Gli serviva Blake per risolvere almeno la metà dei problemi che vedeva dinnanzi a sé.
Ma avrebbe dovuto sbrigarsela da solo questa volta, fare a meno di lui per dimostrare a se stesso e a Dio di essere in grado di farlo, senza perdere il senno.
Improvvisamente, il giovane prete venne attirato da una figura incappucciata che entrò nella Taverna, con il volto nascosto e delle lunghe e fluenti ciocche corvine che sbucavano fuori e tradivano la sua identità per chiunque la conoscesse.
D’impeto, si alzò in piedi e si avvicinò velocemente a lei, afferrandola per il braccio, facendola sussultare, attirando un bel po’ di occhi indiscreti in tal modo. – Dove eravate finita …? – le domandò un po’ troppo rudemente.
In risposta, Beitris strattonò il polso per liberarsi dalla sua presa, senza successo, sgranando le sue gemme verdi. – Padre, siete ubriaco …?
- Non ho più avuto tempo e modo di mettermi in contatto con voi, ma neanche voi mi avete più cercato per ricevere informazioni sui nuovi ritrovamenti della galleria …
- Ho avuto altro a cui pensare – rispose ella serafica.
Un profondo brivido invase il corpo del giovane prete non appena strinse più forte le dita sul polso sottile della ragazza. Attribuì ciò all’effetto del vino.
- I ragazzini che sono stati catturati … facevano parte della vostra compagnia?
- Non sono affari vostri – gli intimò minacciosa la strega.
- Se è così, mi dispiace.
- Lasciatemi!
Padre Craig, contrariamente, rafforzò la presa. – Voi sapete per quale motivo Blake è improvvisamente partito, non è vero …? – le domandò affilando lo sguardo sospettoso. – Voi c’entrate qualcosa?
- Vi ho detto di lasciarmi. Non ve lo ripeterò una terza volta – lo minacciò la ragazza avvicinandosi a lui, sussurrando tra i denti e strattonando nuovamente il polso, senza risultati.
Padre Craig restò a fissarla senza allentare la presa, non accorgendosi che nella Taverna fosse appena entrato Naren, il quale, avendolo riconosciuto a distanza, intervenne nella discussione.
- Padre? Padre?! Che state facendo?? – lo richiamò notando il modo violento in cui stava stringendo il polso di quella ragazza.
- Voi non intromettetevi – si limitò a rispondergli il giovane prete.
- Ora mi state davvero facendo perdere la pazienza! – esclamò Beitris lanciando uno schiaffo all’uomo con la mano libera, riuscendo finalmente a liberarsi dalla sua stretta. Nel far ciò, il suo cappuccio calò giù, lasciando scoperto il suo bel volto.
Non appena Naren posò lo sguardo su di lei, sbiancò, paralizzandosi.
Padre Craig, ripresosi dallo schiaffo, se ne accorse.
Fortunatamente, la Taverna aveva cominciato a diventare troppo affollata e movimentata, dunque nessuno era più concentrato sul trio.
- Naren? Naren, che vi prende?? Avete già visto prima questa fanciulla? Naren! – lo richiamò il giovane prete cogliendo la palla al balzo. – Naren! Sto parlando con voi!! Naren! – esclamò nuovamente riscuotendolo con impeto.
- Ci tenete così tanto a sapere cosa è accaduto quella notte …? – sussurrò improvvisamente il servo del Creatore, sorprendendo gli altri due, Beitris in particolare, la quale non aveva idea di quale fosse il motivo per cui si stesse ritrovando coinvolta in quella situazione.
- Voi eravate nel suo corpo! – esclamò finalmente Naren a padre Craig, indicando Beitris. – Eravate nel corpo di questa donna quella notte! Eravate in lei mentre commettevate tutte le atrocità che avete commesso! - esclamò esasperato.
Gli altri due si immobilizzarono, incapaci di proferir parola in seguito a quella confessione.
 
Quella mattina, a causa del clima infernale che regnava nella casa, Selma si prodigò per preparare la colazione.
Quando Blake, Selen e Gerda raggiunsero la cucina, le ultime due letteralmente trascinandosi fuori dal letto, devastate dal dolore, vennero tutti invasi da un penetrante e dolce odore di frutti rossi.
Austen era stato preso in custodia e imprigionato, in attesa della conferma della sua colpevolezza, prima della quale non sarebbe potuto essere condannato a morte.
Blake si sedette al tavolo osservando sorpreso il proprio piatto ricolmo, identico a quello delle altre due: due caldi e profumati tortini ripieni di quella che sembrava una marmellata di frutti rossi ornavano invitanti la ciotola, accompagnati da altra frutta fresca di fianco.
- Li hai preparati tu? – domandò con ovvietà il ragazzo.
- Mi sono alzata presto – rispose soddisfatta la donna. – Io ho già fatto colazione mentre attendevo che vi alzaste. Avanti, provateli.
- Grazie, Selma, non avresti dovuto – la ringraziò atona Selen.
- Con cosa li hai farciti? – chiese Blake.
- Con una salsa a base di ciliegie e amarene che ho raccolto all’alba – rispose la strega.
Nell’osservare nuovamente il proprio piatto e quello delle altre due, Blake affilò lo sguardo, notando un dettaglio che attirò la sua attenzione: i tortini nel proprio piatto sembravano molto meno farciti rispetto a quelli presenti nei piatti di Gerda e Selen.
Improvvisamente, un tremendo dubbio, che divenne presto una constatazione, lo invase.
Bloccò immediatamente la donna e la bambina, prima che addentassero i tortini. - Ferme! Non mangiate! Andatevene via, lasciateci soli – le esortò.
- Che sta succedendo, Blake …? – sussurrò allibita Selen.
- Fidatevi di me, ve ne prego – insistette, vedendole alzarsi entrambe e raggiungere le loro camere.
A ciò, il ragazzo si alzò in piedi e si avvicinò lentamente alla figura eretta di Selma, la quale non si scompose.
- Sei stata tu …? – sibilò egli. – Sei stata tu ad ucciderla, non è vero …? Rispondimi – le intimò, giungendo ad un palmo dal suo viso, torreggiando su di lei mentre la fulminava con gli occhi.
- Non so di cosa parli – rispose ella reggendo il suo sguardo.
A ciò, Blake accennò un sorriso disgustato. – Non ti credevo capace di arrivare a tanto.
- Continuo a non capire.
Cercando di contenere la rabbia, Blake indicò i tortini ancora intatti che svettavano sui piatti. – Mi stavo chiedendo dove avessi già sentito quel dolce odore. Poi, ho fatto qualche calcolo dentro di me e ho compreso.
Non sapevi che, due giorni fa, io fossi andato nella foresta con Gerda?
Ho avuto modo di imparare molto da lei, in poco più di un’ora.
Hai farcito i tortini con la Belladonna, non è vero?
Selma distolse lo sguardo, rimanendo pur ferma ed eretta nel suo portamento.
Improvvisamente, le dita di Blake si strinsero intorno al collo della donna come artigli. – Per quale motivo volevi ucciderci tutti…? Temevi che avremmo presto scoperto ciò che hai fatto e che ti avremmo consegnata alle autorità, Selma? Avanti, parla.
- Non volevo uccidervi tutti … - sussurrò con voce gracchiante la donna, faticando a farla uscire. – Puoi controllare i tuoi tortini … sono meno ripieni degli altri …
- Per quale motivo?!?
- Volevo renderti incosciente per poche ore … ti avrei caricato su un cavallo e saremmo fuggiti di qui indisturbati …
- Rendermi incosciente …?
- Non saresti mai stato d’accordo nell’uccidere la donna e la ragazzina …
Per darle modo di continuare a parlare, Blake liberò il collo di Selma, la quale tossì violentemente, massaggiandosi la gola, prima di proseguire. – Loro sarebbero morte, sì. Meglio loro che noi.
- In tal modo, quando le avrebbero trovate, il tutto avrebbe lasciato presagire che si fossero tolte la vita per il dolore, in seguito all’arresto di Austen … – dedusse il ragazzo.
- E che noi due, avendole trovate morte, abbiamo colto l’occasione per andarcene via da questo maledetto villaggio – concluse la donna, continuando a massaggiarsi la gola, senza alcun rimorso nella voce.
- Mi vergogno di aver intrapreso questo viaggio con te. Sei una persona disgustosa – disse egli, velenoso.
- Sono incidenti di percorso con i quali dovrai abituarti a convivere.
- Come è accaduto?
- Non importa.
- Cos’è accaduto quella sera, Selma?!
I due vennero interrotti dal bussare impetuoso di quattro nocche sul legno della porta, come era stato la sera prima.
Si guardarono per un attimo, prima che Blake si dirigesse ad aprire, trovandosi nuovamente davanti al Giudice, il quale lo ispezionò con il suo sguardo da falco, indagatore. – Dovete venire con me, giovanotto.
- Per quale motivo?
- Per essere interrogato.
- Riguardo l’assassinio di Isa?
- No, riguardo qualcosa di ben peggiore, che potrebbe farvi rischiare una morte ben più dolorosa di quella che verrà riservata al giovane Austen.
In quel momento, la mente di Selma, ritornò a due sere prima:
Stava facendo il bagno dentro la teca colma d’acqua, con solo la testa fuori dal velo trasparente, rilassandosi nell’acqua calda, isolandosi dal freddo esterno.
Aveva davvero bisogno di un bagno.
Scaldare l’acqua poi, era stato un bisogno che aveva velocemente soddisfatto con qualche trucchetto da nulla, appreso dalla sua grande dimestichezza con il dominio dei quattro elementi.
Chiuse gli occhi e si godette il caldo che le accarezzava la pelle, mentre percepiva il sapone lavarle via lo sporco accumulato dal viaggio.
L’unico elemento di disturbo per la sua pace mentale, erano gli ululi e i ringhi di quei dannati lupi affamati che si dimenavano in quella fossa chiusa.
Improvvisamente, uno strano rumore di zoccoli la riscosse, facendole immediatamente spalancare gli occhi.
Non era sola.
Le dita della strega si aggrapparono inevitabilmente ai bordi della teca di legno, non appena individuò la figura della giovane lavandaia seduta sulla groppa di un cavallo, sicuramente al termine di una passeggiata in galoppo all’animale.
Ella aveva fatto fermare il cavallo non appena aveva visto la donna intenta a farsi un bagno.
Non era una cosa strana, farsi un bagno.
Selma la salutò con un cenno della mano. – Che splendido animale – commentò, vedendo Isa ricambiare il suo sorriso a distanza, intenta ad accarezzare la criniera del destriero.
- Grazie. Ne avete anche voi uno tutto vostro, nella vostra terra?
- Oh, no, cara. Nel villaggio da cui veniamo io e Blake non si vedono mai cavalli. Difatti non ne ho mai cavalcato uno e non credo lo abbia mai fatto neanche lui – affermò riprendendo a rilassarsi.
Isa sgranò gli occhi sorpresa e intristita. – Non immaginavo. Mi dispiace. I cavalli sono una mia grande passione – commentò. – Stavo cavalcando nella foresta – spiegò poi. – Avevo bisogno di distrarmi.
- Distrarvi da cosa?
- Da una brutta discussione.
A ciò, Selma accennò un sorriso complice. – Problemi di cuore, deduco dalla vostra espressione. Non temete: l’amore, quando ha radici salde, fiorisce e trionfa sempre.
- Lo spero davvero.
- Non rabbuiatevi, piccola cara. Avrete una vita prospera e duratura – le augurò sorridendole, vedendola ricambiare.
A ciò, Isa scese da cavallo, avvicinandosi a lei. – Si sta facendo freddo. Volete che vi porti un telo per quando uscirete? Gelerete prima di raggiungere l’entrata di casa se non vi asciugherete un po’ prima.
- Avete ragione. Mi sono spogliata dei miei vestiti una volta riempita la teca, senza minimamente pensare al telo. Vi ringrazio.
Ma prima che la ragazza si dirigesse verso l’entrata, notò un particolare sulla pelle nuda della spalla della donna, che attirò la sua attenzione. Isa aguzzò lo sguardo per osservare meglio quegli strani segni occulti e quelle scritte che sembravano tracciate in una lingua sconosciuta.
- Che cosa avete sulla pelle? – le domandò, facendo irrigidire la donna. – Che lingua è quella? – insistette.
- Qualcosa che non potete conoscere, cara.
Isa si avvicinò ancora. – Da dove venite…? Perché avete quei segni sul corpo? – cominciò a domandare sospettosa e impaurita insieme.
- Ciò non vi riguarda – la ammonì Selma affrettandosi ad uscire dalla teca e a rivestirsi velocemente con gli abiti abbandonati a terra, non accorgendosi quasi del gelo che penetrò nel suo corpo bagnato, tanta era l’adrenalina che la stava invadendo.
La fanciulla la fissò e indietreggiò. La fissò con lo sguardo di qualcuno che, alla prima occasione, sarebbe corso da chi di dovere, e avrebbe rivelato che il suo futuro sposo stesse ospitando in casa sua due stregoni.
Selma non si rese conto di starsi avvicinando a lei, fin quando la ragazza non si guardò intorno spaesata, alla disperata ricerca del suo destriero oramai lontano da lei, in cerca di qualsiasi via di fuga per sfuggirle.
Quando Isa raggiunse il bordo della fossa del lupi, non seppe più dove indietreggiare e cominciò a supplicarla, mentre Selma continuava ad avvicinarsi. – Vi prego … vi scongiuro … non dirò niente, niente! Chiunque voi siate, chiunque sia vostro figlio, qualsiasi cosa facciate, io non dirò niente a nessuno! Né ad Austen, né a Gerda, né a Selen, né ai miei genitori, né a nessuno! Vi supplico … - le disse iniziando a piangere, sentendo i lupi appena dietro di lei scalpitare dentro la fossa, più feroci che mai, aizzati dall’odore della sua carne così vicina.
Selma continuò ad avvicinarsi, fin quando non arrivò ad un palmo dalla ragazza.
Attese, attese semplicemente.
I lupi cominciarono a divenire sempre più feroci e animati. Le bestie saltarono in alto, fino alla recinzione, strattonandola e mordendola con le zanne, fin quando non si ruppe, sfondandosi, lasciando loro libero accesso.
Selma saltò indietro di scatto non appena uno dei lupi azzuffò il busto di Isa e la trascinò nella fossa con sé, cibandosene insieme agli altri.
La ragazza non ebbe neanche il tempo di urlare, poiché i lupi le staccarono il collo prima che avesse modo di farlo.
Selma non si affacciò alla fossa, né si mosse dalla sua posizione, ancorata alla parete del retro dell’abitazione.
Quando iniziò a sentire il freddo corroderle la pelle, si mosse, avviandosi verso l’entrata della casa, il respiro calmo e l’espressione neutra.  
 
 
   
 
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