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Autore: hirondelle_    15/11/2020    2 recensioni
[hiromido][masahika][past!gazemido]
What if in cui Midorikawa è il padre biologico di Kariya, che torna a vivere con lui dopo moltissimi anni a causa della morte prematura di sua madre. L'inizio della sua nuova vita non è dei più facili. Per comprendere suo padre e soprattutto se stesso, Kariya dovrà venire a patti con il suo passato.
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Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
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[50k words]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Jordan/Ryuuji, Kariya Masaki, Xavier/Hiroto
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ombrelli sotto la pioggia
Kariya poteva avvertire già dallo sguardo colpevole che Hikaru gli stava rivolgendo che qualcosa non andava, perciò le parole che gli rivolse quella sera non furono una sorpresa. Tuttavia, quasi per ripicca verso il suo stesso intuito, la sua reazione fu un urlo di indignazione.
Hai vuotato il sacco?!
“Ti prego non ti arrabbiare,” pigolò Hikaru mettendo le mani avanti, come se si fosse trovato davanti a una tigre e non al suo migliore amico. “Ti giuro che ci ho provato, ma Suzuno-senpai mi fa davvero paura, non posso farci niente!!”
“E piuttosto che lavorarci su hai preferito vendermi!” sibilò l’altro, abbracciando il cuscino come se avesse potuto strozzarlo. “Questa è roba seria, Kageyama!”
“Lo so!” gridò Hikaru con occhi lucidi, “E mi dispiace! Ti prego Kariya! Sei il mio unico amico! Non essere arrabbiato con me!”
Kariya aggrottò le sopracciglia, deluso. “Mi spieghi come farò a fidarmi di te dopo un tiro del genere?”
Hikaru scosse i suoi riccioli ribelli, mortificato, ma aveva un’espressione troppo ridicola per tenergli davvero il muso, quindi Kariya si limitò a sospirare. Un tempo avrebbe agito d’impulso e gli avrebbe tirato un pugno, ma in effetti il danno era già stato fatto e non aveva senso discutere perché con ogni probabilità suo padre si era già mosso per raggiungerlo.
“Quando arrivano?” borbottò soltanto, laconico.
Hikaru si morse il labbro, sentendosi ancora colpevole. “Fra un’ora”.
Kariya rimase in silenzio e rifletté un po’, perdendosi nei suoi pensieri. Strinse il cuscino di Hikaru al petto, tastandolo e affondandoci le dita come a cercare un po’ di sollievo dal suo cuore impazzito. Tenne lo sguardo fisso sul pavimento, mentre le gambe iniziavano a indolenzirsi a forza di stare incrociate in quella posizione scomoda, perciò le stese e si lasciò andare anche con la schiena, finendo bello disteso sul duro legno.
“Mi dispiace, senpai…” tornò a ripetere Hikaru, stavolta però in un tono più calmo. “Ma penso che tu debba davvero risolvere tutta questa faccenda”.
Kariya buttò fuori un rantolio incomprensibile, ma non disse nulla per due minuti buoni, gli occhi rivolti al soffitto, incapace di elaborare quello che stava provando. Non poteva essere davvero arrabbiato con Hikaru, non dopo quello che aveva fatto; di sicuro gli avrebbe dato una lezione, a tempo debito, ma una parte di lui sapeva che il suo amico aveva ragione e incontrare suo padre sarebbe stato inevitabile. Ma era pronto? Non ne era sicuro.
Nella sua testa balenava ancora vivida l’immagine stampata in quel biglietto d’ingresso. Ancora non era del tutto certo se ciò che aveva visto fosse reale, ma tornandoci su aveva capito che non si era trattato di un reale trauma come invece voleva dare a vedere. Sarebbe morto prima di ammetterlo ad alta voce, ma non era stato scoprire che suo padre si esibiva in un gay bar ciò che lo aveva spinto ad agire in modo così assurdo.
“Sei… triste?”
Kariya si voltò verso Hikaru, aggrottando le sopracciglia. Non capì il senso di quella domanda finché non realizzò che era rimasto su quel pavimento a fissare il soffitto per più tempo di quanto fosse realmente accettabile. Ci pensò su. “No, non sono triste,” rispose infine. “Sono ancora arrabbiato, sappilo,” si affrettò a mentire, per mettergli paura. “Però… no, triste non è la parola giusta”.
Hikaru sobbalzò alle sue parole, ma forse aveva già intuito da un pezzo che Kariya era il tipo da abbaiare per un nonnulla… ma non mordere. Perciò rimase lì con lui e anzi si sedette diligentemente al suo fianco. “A cosa stai pensando, allora?” chiese piano.
Kariya tornò a guardare il soffitto. “Mia madre,” rispose semplicemente.
Hikaru sembrò sorpreso. “Non mi hai parlato molto di lei,” osservò.
“Però penso sia la ragione reale per cui sto facendo tutto questo, quindi ti conviene sapere una cosa o due,” gli rispose.
Kageyama, a quel punto, sorrise. “Ti ascolto,” gli disse in tono dolce.
“Stravedi per mio padre, quindi lei ti piacerà un sacco,” borbottò l’altro con sarcasmo, ma non poté impedire che dal suo volto trasparisse un po’ di inquietudine. “Lei era… una escort”.
“U-una cosa?” sobbalzò Hikaru, arrossendo visibilmente.
“Una escort. Una prostituta. Una signorina della buonasera, come vuoi chiamarla,” si agitò Kariya, per poi riprendere il discorso da dove lo aveva interrotto. “Dicevo… era una escort e si portava un uomo sempre diverso a casa, una sera sì e una no, e nella sera no beveva come una spugna per compensare il fatto che le era andata male”.
Hikaru lo stava fissando con uno sguardo che non gli aveva mai visto fare, ma decise di ignorarlo. Avrebbe buttato tutto fuori quella sera stessa e aveva solo un’ora di tempo per raccogliere le idee sulle cose che avrebbe detto a suo padre, quindi voleva sfruttare tutto il tempo a sua disposizione.
“Le volevo bene, perché era mia madre. Ma aveva un serio problema di gestione della rabbia. E aveva un sacco di fissazioni stupide, tipo il fatto che non potevo cucinare ma dovevo farlo comunque perché da ubriaca non era in grado di farsi nemmeno un uovo al tegamino,” disse. “Quando le girava davvero male mi massacrava di botte, ma non è che fosse davvero in sé quindi non ho mai pensato che lo facesse di proposito”.
Sotto le palpebre di Hikaru stavano iniziando a formarsi pericolosi lacrimoni, “K-Kariya-kun…”
“E non so perché io ci sia rimasto così male quando è morta, visto che erano anni che comunicava con me per insulti e spintoni, però pensavo di volerle bene,” mormorò Kariya, a quel punto riflettendo ad alta voce perché non poteva più soffrire la visione di Hikaru in quello stato. Portò lo sguardo verso l’altro e anche lui si ritrovò con la vista annebbiata dalle lacrime. “Però, sapere che Midorikawa-kun fa davvero un lavoro simile… simile a quello che faceva mia madre, suppongo… non mi sta bene”.
Hikaru era già partito a singhiozzare come un disperato, e Kariya dovette girare la testa nella sua direzione per osservarlo nel tentativo patetico e impraticabile di soffocare le lacrime nella stoffa del suo maglioncino.
“Ce l’ho con lui perché è gay? Ma che ne so,” esclamò, “cosa me ne frega a me, in effetti? In un certo senso io… lo, lo ammiro per… per essere quello che è”.
Tastò la tasca posteriore dei suoi jeans perché a quel punto aveva bisogno di un paio di fazzoletti per lui e Hikaru. Non trovandoli, si sporse verso lo zaino che aveva lasciato accanto al futon, ma non smise di parlare a raffica, a quel punto inarrestabile, preda del suo flusso di pensieri. “Ma la verità è che… sono terrorizzato da mia madre al punto che quando… quando l’ho rivista in lui, per un solo secondo… e sapendo che mi aveva nascosto tutto quanto per così tanto tempo… io…”
Sfilò il pacchetto di fazzoletti dalla tasca anteriore e tirò su con il naso, in tempo per portarsene uno al naso e soffiare forte. Con l’altra mano passò un altro fazzoletto a Hikaru, che a quel punto sembrava sul punto di affogare nelle sue stesse lacrime, ma trovò comunque il modo di sorridergli per ringraziarlo.
Kariya piegò il fazzoletto su se stesso fino ad accartocciarlo e poi se lo mise in tasca. Più tardi avrebbe fatto i conti con il senso di vergogna e ripudio che avrebbe provato ricordando quello che stava accadendo, ma una parte di lui ormai poteva dire che si fidava di Hikaru a sufficienza per affidargli qualsiasi cosa, pure l’immagine residua della sua dignità.
“Ma… non è vero che mio padre è simile a mia madre. Lavora sodo per pagare tutto quello di cui ho bisogno. Mi cucina un sacco di cose buone, anche quando è appena rientrato da lavoro ed è stanco. Non ha mai portato a casa nessuno dopo una serata. E… e quella volta che io…”
Non riusciva a dirlo, ma non poté ignorare la stretta al cuore che gli provocò il ricordo del suo abbraccio, nel momento in cui la notte si era fatta più buia e per un secondo aveva pensato che sarebbe morto di asfissia.
“Io lo so… lo so… lo s-so che mi vuole bene… però mi manca il coraggio di lasciare che si prenda cura di me, perché… perché mi fa strano, capisci?” concluse piano, tirando su con il naso per l’ennesima volta.
“Kariya-kun…” si limitò a piagnucolare Hikaru, prima di saltargli addosso e abbracciarlo stretto. Kariya sussultò, ma lo lasciò fare, sentendosi goffo quando gli accarezzò i capelli morbidi con la sua mano appiccicosa.
“Mi stai riempiendo la maglietta di muco,” si lamentò, ma per tutta risposta Hikaru premette più forte il naso contro la sua spalla e Kariya sospirò.
“I-io… io ci sarò sempre per te, Kariya-kun…” balbettò Hikaru. “S-sempre e per sempre!”
Kariya arrossì per l’imbarazzo, anche se non smise di accarezzargli i capelli e dargli pacche leggere sulla schiena. Si chiese chi stesse confortando chi, ma se avesse potuto scegliere, non avrebbe voluto che le cose andassero in nessun’altra maniera che quella.
Kariya strinse Hikaru a sé e si sentì amato.
 
   
 
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