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Autore: Emmastory    21/11/2020    3 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
Capitolo XIX 
 
Il futuro di una fata 
 
Anche la mattina se n’era andata, e Chris ed io avevamo smesso di pregare. A farci compagnia c’era il silenzio, e se noi c’eravamo allontanati per avere un momento nostro, lo stesso non era valso per Aster, Amelie e le altre ninfe, ancora lì a mani giunte, con gli occhi bassi e in preghiera. A poca distanza dalla fidanzata, anche Carlos pregava a modo suo, in spagnolo anziché nella nostra lingua comune, e guardandolo, sorrisi. Che importanza aveva? Ricordavo ancora il giorno in cui Garrus, fra uno scherzo e l’altro, aveva definito il francese lingua dell’amore. Prima di farlo aveva pronunciato qualche parola, e anche se non avevo davvero capito nulla, la risposta di Christopher a riguardo mi era rimasta impressa nella mente. Falso. Qualsiasi lingua può esserlo se parlata a dovere.” Aveva risposto, spiegando il suo punto di vista e sedando quella che altrimenti sarebbe stata una lite. E in quel momento, quel concetto aveva lo stesso valore, anche se applicato all’atto di fede davanti ai miei occhi. Troppo lontana per sentirlo chiaramente, non capivo cosa dicesse, e voltandomi, tornai dal mio Christopher. “Dici che andrà tutto bene?” non potei evitare di chiedere, ancora visibilmente preoccupata. Erano passati due giorni, era vero, e avevo anche provato a riposare e calmarmi, ma per mia sfortuna, senza successo. “Sono sicuro di sì, fatina. Sky è forte, e sa che siamo qui per lei.” Mi rispose lui, guardandomi negli occhi e cercando la mia mano. Sforzandomi di sorridere, gliela porsi, e quando finalmente la strinse, mi strinsi a lui, sentendomi più calma e al sicuro fra le sue braccia. Quel contatto fra noi non durò molto, ma quando chiusi gli occhi per godermelo al meglio, fu come sentire il tempo fermarsi. Da allora in poi, non udii più nulla. Non il cinguettio di alcuni uccelli appena fuori dalle mura della grotta, il fruscio dei rami degli alberi all’esterno, il brusio dei boccioli sempre più cresciuti e del loro modo di comunicare, e nemmeno le preghiere dei miei amici. Nulla. Soltanto il battito del mio cuore unito a quello del mio amato. “Ti amo.” Gli sussurrai a mezza voce, posando poi sulle sue labbra un bacio lieve e delicato. “Anch’io, fatina.” Fu svelto a replicare, emulando il mio tono di voce non appena ci staccammo. “Ora vieni, non allontaniamoci troppo.” Aggiunse poco dopo, calmo e tranquillo anche nel riportarmi alla realtà. Annuendo, misi fine alle nostre effusioni, e camminando al suo fianco, mi riavvicinai a quel rudimentale luogo di culto e preghiera. Una sorta di altare ricavato nella notte da una lastra di pietra, con inciso il nome di mia sorella e con sopra posati dei fiori e una piuma nera. Grazie al cielo non una lapide, nonostante la somiglianza, e a una seconda occhiata, non una piuma qualunque, bensì una di quelle di Midnight, che preoccupato quanto e forse più di noi, ci aveva raggiunti. Vicino alla sua cara padrona, se ne stava appollaiato sul ramo di uno degli alberelli, che scuotendo gli altri e ridacchiando a modo suo, lo lasciava fare, visibilmente divertito. A quella vista, anch’io trattenni a stento una risata, e notando la mia presenza alle sue spalle, Carlos si voltò. “No va a pasar nada, Kia, veràs que todo irà mejor." Disse, pronunciando parole in spagnolo che capii solo in parte. In quella frase così lunga, solo le prime mi colpirono davvero, riportandomi alla mente il ricordo di uno dei miei eccessi di magia. Un momento orribile, dovevo ammetterlo, durante il quale mi ero sentita vicina a perdere prima i sensi e poi il gioco della vita, ma che poi, a minaccia debellata, era diventato bellissimo. Era stato allora che Amelie aveva deciso di visitarmi per la prima volta, e sempre quello il momento in cui avevo ricevuto la migliore delle notizie. In altri termini, la consapevolezza di custodire sotto al cuore non uno mai due bambini, che ora, dopo aver contribuito a un momento solenne come quello con preghiere tutte loro, dormivano beati nelle loro lanterne, entrambe appese a un albero lontano dagli altri ma vicino a Blaze, la mamma drago impegnata a scaldare con il corpo le sue uova e con brevi sospiri di fuoco i miei piccoli. Un folletto e una pixie, ormai lo sapevo bene, vicinissimi alla loro prima trasformazione. Dormire era stato difficile, ma quando poi, esausta, ero riuscita ad addormentarmi, li avevo finalmente visti, o meglio, immaginati. Erano lì, silenziosi e sorridenti, felici di vederci entrambi, mentre, sopraffatta dalle mie stesse emozioni, piangevo. Accucciato in un angolo tutto suo, invece, Cosmo usava la folta coda come cuscino, e avvicinandosi in silenzio, altri pelosi ospiti non tardarono a fare la loro comparsa sulla scena. Confusa, abbassai lo sguardo, e fu allora che li vidi. Red, Anya e i loro quattro cuccioli, ormai non più tali, a un passo dall’età adulta, e nonostante potesse sembrare strano, sciocco o addirittura folle, tutti con un nome e un’identità. Valiant, primogenito coraggioso come ogni esploratore, Riot, incline al gioco della lotta e ad altre buffonate simili a quelle di Cosmo, Maple, prima delle sorelle, e Ginger, ultima della cucciolata. Notandoci, i sei si avvicinarono, e calmo ma felice, Red fu il primo a farmi le feste, seguito poi dalla compagna e dai figlioletti. “Ciao, bello. È passato molto, vero?” gli dissi mentre l’accarezzavo, contenta di rivederlo. Limitandosi a guardarmi, il mio amico dal pelo rosso non rispose, ma poco dopo, lo stesso non valse per quella che, scherzando, Christopher considerava sua moglie. Sempre allerta, sedeva al nostro fianco ma ci dava le spalle, lo sguardo color nocciola perso nel verde, anzi, puntato su qualcosa che non riuscivamo a vedere. Pur aguzzando la vista, neanch’io notai nulla, e in quel momento, avvertii un brivido. Che stava succedendo? C’era da preoccuparsi? Non lo sapevo, e rigida come un’asse di legno, scrutai l’orizzonte. Con il passare dei minuti, nessun cambiamento, e da parte mia, un sospiro di sollievo. “Rilassati, amore, rilassati. Forse ha soltanto visto qualche preda.” Commentò Christopher, affatto sorpreso da quel comportamento. “Tu credi, protettore?” gli chiese una voce alle sue spalle, seria ma inconfondibile, che subito riconobbi essere di Amelie. Colpito, lui non seppe cosa dire, e dopo pochi istanti, al calar del sole, un nuovo dettaglio. Non una preda come credevamo, ma una figura umana. Sorpresa, fui vicina a strofinarmi gli occhi per l’incredulità, ma non ebbi modo né tempo di farlo, poiché Cosmo, sveglio dal suo riposo e attento a sua volta, mi si avvicinò, sfiorandomi una gamba con il muso. “Vai, ti sta aspettando.” Sembrò voler dire, serio come non mai. Colta alla sprovvista, barcollai leggermente, e ritrovato l’equilibrio, mossi qualche incerto passo in avanti, osservando quella figura farsi sempre più vicina. “Dolce Dea, mamma!” Quasi urlai, incredula. “Kia, tesoro! Ho fatto più in fretta possibile, come sta Sky?” rispose lei, l’attenzione subito rivolta a mia sorella e al suo precario stato di salute. Da allora in poi, la gioia che provai nel rivederla svanì come nebbia nel vento, sostituita invece da un inspiegabile senso di tristezza, dolore e vuoto. Ero felice, certo, la madre che non vedevo da tempo, nonché l’unica donna che considerassi tale era di nuovo al mio fianco, e solo grazie a una lettera che avevo affidato al vento durante una notte insonne, che per mia fortuna, sembrava aver funzionato. Scrivendo, l’avevo pregata di raggiungermi qui alla grotta il prima possibile, spiegandole la situazione senza omettere alcun dettaglio, e ora, grazie anche a qualcuno di molto più in alto di me, le mie preghiere erano state ascoltate. Così, con una nuova speranza a spuntarmi in petto, l’abbracciai, e stringendomi a lei, avvertii tutto il suo calore di mamma. “Mi sei mancata così tanto...” dissi in un sussurro, sforzandomi di non piangere e sentendo la voce tremare e rischiare di spezzarsi con ogni parola. “Mi sei mancata anche tu, pixie. Per fortuna ho ricevuto la tua lettera, e adesso sono qui.” Replicò lei, sinceramente felice, anzi, perfino grata della mia presenza in quel luogo. In quanto umana, non sapeva molto della magia, né del nostro mondo, ma ciò non significava che non avesse fatto le sue ricerche. Forse era anche per quello che era così felice, proprio perché in cuor suo sapeva che la grotta delle ninfe era sinonimo di sicurezza. Limitandomi a guardarla, non seppi risponderle né dissi nulla, e quando, sostenendo il mio sguardo, provò a chiedere ancora, Christopher fu lì per aiutarmi. “Mi spiace dirlo, Eliza, davvero, ma al momento non lo sappiamo. L’unica cosa che possiamo fare è pregare, e se può farti stare meglio, ho avvertito anche la mia famiglia.” Le spiegò, mantenendo la calma per darle un buon esempio da seguire mentre il suo corpo tremava. “C-Cosa? Come? Chris, è la mia bambina!” piagnucolò lei in risposta, disperata. “Lo so, Eliza, ma sta tranquilla. Le ninfe hanno detto che...” provò a dirle allora, non avendo tempo né modo di terminare quella frase. In quel preciso istante, infatti, quest’ultima gli morì in gola, e un grido di dolore echeggiò nella caverna. “Non m’importa! Non m’importa cosa dicono le ninfe, voglio...” era mia madre, che distrutta da un dolore molto più grande della gioia che aveva provato nel vedermi sana e salva, non riusciva più a smettere di piangere, trovando in quell’urlo l’unica possibile valvola di sfogo. Colpiti, Aster e Carlos si fermarono a guardarla, e così il resto dei presenti, inclusi Cosmo e la famiglia di Red, che notandola, cercò di rassicurarla. Lenti e incerti nei loro passi dettati da un misto di istinto e timore, Cosmo e Valiant furono i primi a camminare verso di lei, mentre Riot e le sorelle inscenarono una breve lotta. Uno spettacolo comico e tenero, c’era da dirlo, che per qualche momento sembrò avere su mia madre l’effetto da loro sperato. Un modo come un altro di dirle che tutto sarebbe andato bene, e che con le ninfe ad aiutarci non c’era nulla di cui preoccuparsi. Tesa nonostante tutto, però, mia madre trovò ben poco conforto nel loro modo di giocare, e piangendo, per poco non cadde in ginocchio. Veloce, usai la magia per supportarla prima che cadesse, mentre Christopher, a sua volta agile e galante, si assicurò di sorreggerla cingendole un braccio attorno alle spalle. Fu allora che riuscii a vederla bene in viso per la prima volta dal nostro fuggevole abbraccio. Aveva l’aria stanca, di chi aveva camminato per chilometri, cosa che a pensarci non era poi così lontana dalla verità, data la distanza che separava Eltaria da Primedia. Esigua se si viaggiava in volo o a cavallo come me e Christopher, ma molto più lunga se si camminava o non si avevano altri mezzi. Provando pena per lei, l’abbracciai ancora, e all’arrivo del tramonto, l’accompagnai all’altare eretto per Sky, così che avesse almeno la possibilità di vederla. Preoccupata, Aster le offrì dell’acqua e qualche mora come pasto, e pur accettando, lei non mangiò subito. Silenziosa, scelse di farlo lentamente, così da dare a ogni morso un vero valore. “Voglio solo che mia figlia si riprenda. Voglio crederci, ragazzi, mi capite?” disse poco dopo, portando a termine il discorso lasciato a metà in precedenza. “Certo, e lo vogliamo anche noi, Eliza. Ci basta pregare, e avere fiducia. Tutti quelli che credono in Sky devono farlo.” Quelle le ultime parole del mio Christopher, soppiantate poi da un silenzio rispettoso ma tale da renderci sordi. Senza proferire parola, mi unii in preghiera restando accanto a mia madre, e a sera, altri visi amici si presentarono in quella che da grotta era passata ad essere una sorta di chiesa. C’erano tutti. Lucy e Lune con i loro genitori, Mahel e Harmony con i propri che conobbi proprio allora, e poi, esattamente come aveva detto Chris, anche la sua famiglia. Andrea, Edgar e Leara, seguita come al solito dal caro fidanzato Danny. A quella vista, li salutai con la mano, e distratta da uno strano oggetto che stringeva nelle proprie, lei sembrò non vedermi, e solo ricomponendosi, salutò a sua volta. Tutt’altro che sorpreso, ma non per questo contento di lei, Christopher le lanciò un’occhiata di disappunto, e mettendolo finalmente via, rimase lì ferma, con le braccia lungo i fianchi. “Scusa, Chris, lei non prega?” chiese Lucy, parlando a bassa voce per non disturbare troppo quella religiosa quiete. “No, pixie. Mia sorella Lea è atea, sai?” le spiegò semplicemente lui, buono e paziente. “Sì, lo so che è alta, ma perché non fa come noi?” replicò la bambina, con la solita ingenuità dei suoi quasi otto anni. “Non alta, Lucy, atea.” Le ripeté allora, scompigliandole piano i capelli. “Significa che non crede in Dio o nella Dea, ecco.” Finì di dirle, per poi regalarle un sorriso e scivolare ancora nel silenzio. Annuendo, la piccola non chiese altro, e stringendo a sé il suo elefantino di pezza, rimase muta a rispettare la solennità del momento, avendo cura che come le sue stesse manine, anche le zampine anteriori del pupazzo fossero giunte. Quella notte fu per tutti lunga e stancante, scandita soltanto da un muto coro di preghiere e da altrettante speranze, che più tardi, con la luna e le stelle in cielo, vidi concretizzarsi in centinaia o forse migliaia di lanterne verdi. Dopo l’azzurro dei miei stessi occhi, uno dei miei colori preferiti, che associavo alla natura, al mio elemento e alla sicurezza che ogni volta ritrovavo nello sguardo del mio amato, anche lui chiuso nel silenzio mentre tutti aspettavamo di scoprire il destino e il futuro di una fata.  


Buonasera a tutti voi, miei lettori. Questo capitolo avrebbe dovuto essere stato pubblicato ieri, ma non ho assolutamente avuto tempo di scrivere, perciò spero che mi perdoniate un ormai solito ritardo, anche se si sa, l'ispirazione non ha mai calendario. Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto nella sua interezza, incluso l'impatto emotivo che ho cercato di dare. Che succederà ora? Sky ce la farà? Staremo a vedere, al prossimo capitolo, e grazie del vostro continuo supporto,


Emmastory :)
   
 
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