14.
La
sera, così come la gelida corrente proveniente da nord,
stava scivolando veloce
su Clearwater, ammantando ogni cosa e, sulle acque increspate del Dutch
Lake,
rade foglie galleggiavano come barchette alla deriva.
I
pochi uccellini presenti nella vicina foresta si erano ormai chetati,
una
civetta solitaria aveva innalzato al cielo il suo dolente canto mentre,
nella
cittadina, le luci avevano iniziato ad accenderci, tingendo di caldi colori
il
paesaggio urbano.
Né
il freddo né la sera imminente, però, sembravano
interessare i due giovani ritti
appresso alla staccionata che delimitava il sentiero che cingeva
– come un
caloroso abbraccio – l’ampio lago nei pressi di
Clearwater.
La
coppia parlava fittamente e a bassa voce e, se una persona qualunque
fosse
passata per caso loro appresso, probabilmente non si sarebbe accorta di
nulla,
tanto era persa in altri lidi la loro mente.
Liza
ancora non credeva di essere stata baciata da Mark e, ogni qual volta
lui arrossiva
per un suo commento o un suo sorriso, lei si sentiva al settimo cielo,
potente
e fiera come una dea.
Era
bello e appagante riuscire a far arrossire il ragazzo per cui avevi
gettato
tutto alle ortiche e, più ancora, potergli raccontare ogni
cosa, poter essere finalmente
onesta e sincera.
Da
parte sua, Mark sembrava avido di risposte e prolifico di domande, solo
un
tantino nervoso al pensiero di aver conosciuto un licantropo – un vero licantropo – ma,
tutto
sommato, aperto all’idea che vi fossero creature diverse che
vagavano per il
mondo.
Dopotutto,
in tanti anni di pellegrinaggio alla ricerca di una creatura che suo
padre, da
sempre, aveva ritenuto non essere umana,
qualcosa doveva essere entrato anche nella sua testa.
I
fumetti, non da ultimo e neanche tanto paradossalmente, avevano
aiutato.
Sembrava sciocco ammetterlo, ma aprivano la mente e rendevano
più semplice
approcciarsi a una simile realtà.
In
fondo, non era impazzito di fronte a una collezione di zanne da far
invidia a
un puma, e aveva scoperto che la ragazza che gli piaceva parlava
mentalmente
con due corvi.
Questo,
in particolare, lo aveva incuriosito – forse,
perché riguardava direttamente
Liza – così come lo aveva sorpreso scoprirne i
contorni magici e misteriosi.
«Perciò,
se Muninn è lontano, tu puoi ugualmente parlare con lui e
vedere attraverso i
suoi occhi, ma con Huginn hai bisogno di una certa vicinanza, e non hai
la
possibilità di sdoppiarti con
lui,
per così dire» mormorò alla fine Mark,
carezzando distrattamente il piumaggio
di quest’ultimo, che teneva pigramente il capo ripiegato in
avanti.
Liza
assentì, lasciando che Muninn giocherellasse con il suo dito
indice.
«Con
Huginn possiamo parlarci da poco di quattro, cinque metri di distanza,
come
avviene per qualsiasi altro Geri di cui io sia a conoscenza, mentre
Muninn può
parlarmi anche da diverse miglia di distanza»
dichiarò Liza, sorridendogli
timida. Non voleva pavoneggiarsi. Era la semplice verità,
pur se le sembrava
di… beh, ecco, pavoneggiarsi,
per
l’appunto.
I
suoi corvi, solo un’ora addietro, erano impazziti di rabbia
nel vederla
comparire nel bosco – distrutta e infelice – e, per
poco, non avevano cavato un
occhio a Mark, reo di averla fatta piangere. Il suo richiamo accorato
era però
bastato a bloccarli e ora, dopo il chiarimento avvenuto, lasciavano che
il
ragazzo li toccasse e li coccolasse.
Quanto
poteva dirsi grata, Liza, per questo?
Ancora
non sapeva come, ma avrebbe fatto il tutto e per tutto
perché la premonizione
di Huginn non si tramutasse in realtà.
“Lo
spero
anch’io, mamma. Che non succeda,
insomma…”
“Lo
so, Muninn.
Ho capito perché avete cercato di attaccarlo, prima, e non
sono arrabbiata con
voi”
replicò Liza sorridendo al suo corvo, che continuava a
becchettare il suo dito
come un cagnolino avrebbe fatto con la mano del padrone.
“Ti
senti più
tranquilla, ora che non devi più mentirgli?”
“Decisamente
sì.”
“E
appoggerai
ancora la tua bocca sulla sua, andando avanti?”
Quella
domanda la colse così di sorpresa che Liza ritirò
la mano di scatto dal becco
di Muninn, avvampò in viso ed esalò contrariata:
«Ma sono domande da fare?!»
I
due corvi scoppiarono in qualcosa di molto simile a una risata e Liza,
per
tutta risposta, scosse le mani davanti a sé per scacciarli,
borbottando
indispettita: «Sciò, brutti corvacci!»
Huginn
e Muninn si involarono leggeri e aggraziati, continuando a gracchiare
in
risposta all’imbarazzo della padrona e Mark,
nell’osservare la scena, dichiarò
divertito: «Non so cosa vi siate detti, ma immagino che
Muninn abbia fatto il
ficcanaso.»
Liza
annuì recisamente, preferendo non scendere nei particolari e
il ragazzo,
facendosi serio, le domandò: «Ora che io so, cosa
dovrei fare con i miei
genitori?»
«Per
il momento, cerca di tenere tuo padre il più lontano
possibile dal centro della
foresta. Inventati quel che vuoi, ma non farlo allontanare da
Clearwater»
sospirò lei, stringendogli una mano con forza.
«Non siamo così in tanti da
potervi garantire una protezione continua e, pur se Huginn ha visto
solo te,
non posso assicurarti che anche il resto della tua famiglia non
sarà in
pericolo.»
«Quanto
a questo…» mormorò lui, piegandosi per
poggiare la fronte contro quella di lei.
«…voglio che la smetti di non dormire a causa mia.
E’ chiaro? Ti fa male
perdere così tante ore di sonno.»
A
Liza sfuggì un risolino e replicò:
«Come se fosse facile!»
«Sognami
in un altro modo, allora» celiò lui, lasciandosi
andare a un ghigno malizioso.
«Mark
Sullivan, ti stai offrendo di diventare il mio oggetto sessuale
notturno?»
esalò Liza, scostandosi all’improvviso da lui per
guardarlo con aria falsamente
sbigottita.
Mark
allora arrossì abbondantemente, e ancora Liza
apprezzò quel particolare di lui.
Adorava quando rendeva così evidente il suo imbarazzo, anche
se probabilmente
lui odiava la cosa tanto quanto lei la apprezzava.
«M-Ma…
cosa ti viene in mente?! Io pensavo a qualcosa di più
tranquillo! Tipo, quando
abbiamo fatto la gita intorno al lago o qualcosa del genere!»
gracchiò lui, ora
divenendo paonazzo.
Lei,
però, non demorse e dichiarò maliziosa:
«Non me la bevo. Fai tanto il timido,
ma in realtà sei un esperto di tattiche di seduzione,
altrimenti non mi avresti
baciato così bene.»
«Che
diavolo dici?!» esclamò a quel punto Mark,
impantanato nel proprio imbarazzo per
alcuni istanti prima di bloccarsi, fissarla con un sopracciglio
sollevato e
borbottare: «Ti è piaciuto?»
«Tanto
che mi piacerebbe ripetere l’esperienza, ma penso che sia il
caso di tornare a
casa, o stavolta i tuoi genitori non saranno così clementi
con te. Due sere
dietro fila fuori di casa, e dopo il tramonto?»
celiò lei indicando il cielo,
dove le prime stelle iniziavano a punteggiare la volta celeste.
Mark
ne seguì la direzione con lo sguardo, scrutò
ammirato l’ammicante luce diafana
degli altri e infine, resosi conto del loro recondito significato,
esplose in
un’imprecazione talmente sentita da far scoppiare a ridere
Liza.
Lui,
per contro, la afferrò per tornare in fretta al campeggio e,
piccato, borbottò:
«Com’è che tu non hai il
coprifuoco?»
«Fino
a un paio d’ore fa, ero seguita a vista da Sasha che, come
ora immaginerai, è
una licantropa. Lei aveva il compito di farmi da spalla, a scuola, nel
caso in
cui tu e tuo padre vi foste dimostrati dei Cacciatori e, a mia non tanto insaputa, mi seguiva anche
fuori dalla scuola, al fine di proteggermi» gli
spiegò lei, seguendolo lungo il
sentiero mentre lui spalancava la bocca, più che mai
sorpreso.
«Oh…
wow! Una guardia del corpo, in pratica» esalò Mark.
«Più
o meno. Quindi, come capirai, non ho mai avuto bisogno di tornare a
casa per
reconditi motivi legati alla sicurezza, visto che ero più
che protetta.
Inoltre, grazie all’addestramento che ho iniziato a seguire
per diventare una
brava Geri, sono piuttosto brava a difendermi anche da sola.»
Non
appena raggiunsero il confine del campeggio lui si fermò, si
volse verso di lei
e le domandò: «Non ti senti strana,
all’idea di dover essere una sorta di
poliziotto con licenza di uccidere?»
Liza
assentì cupa, reclinando il capo di fronte a quella domanda
che, per lunghi
mesi, l’aveva attanagliata e spaventa ma, ben decisa a non
negargli più nulla,
ripeté ciò che Branson le aveva detto a suo tempo.
«Durante
il primo periodo dopo la nomina, sognavo spesso di uccidere dei
licantropi per
il solo gusto di farlo, e mi risvegliavo piena di disgusto verso me
stessa. Le
armi che posseggo possono essere davvero
mortali, non sono dei semplici gingilli»
dichiarò Liza con tono roco e suo
malgrado calmo. «Uno dei miei maestri, un Geri come me, mi
disse che dimostravo
soltanto di essere umana, e che proprio il disgusto che provavo al
risveglio
era la riprova del mio buon cuore. Quando si ha un grande potere,
bisogna anche
esserne responsabili, e questa mia paura di fare del male a degli
innocenti mi
dà la sicurezza di non essere malvagia.»
Mark
la guardò piena di orgoglio e lei, nonostante tutto, si
sentì sciogliere
dentro. Non aveva aperto bocca, eppure era come se avesse steso per lei
un
tappeto rosso e avesse fatto scoppiare fuochi d’artificio in
suo onore.
“Ricomponiti,
mamma, o Sasha morirà dal ridere, quando la incrocerete
all’entrata del
campeggio.”
La
voce di Muninn risuonò come una campana nella mente di Liza
e quest’ultima,
ricomponendosi all’istante, borbottò un insulto
all’indirizzo dei ficcanaso in
generale prima di brontolare: «Sasha ci aspetta
all’imbocco del campeggio.»
«Oh»
esalò lui sorpreso prima di lanciare uno sguardo verso
l’alto, dove i due corvi
stavano volteggiando in cerchio. «Notizie dal
satellite.»
«Quasi»
ammise lei prima di domandargli: «Senti, Mark… in
merito a questa… cosa…
che facciamo, domani?»
«Dipende
da come Chanel avrà sfruttato l’appuntamento con
Fergus» dichiarò a sorpresa
Mark, facendole spalancare gli occhi per lo sgomento.
«In
che senso?» gracchiò lei, del tutto sconcertata da
quell’uscita. E i loro
amici, adesso, che c’entravano?
Sorridendo
divertito, lui allora si spiegò meglio. «Sai,
stamattina… quando Chanel mi
carezzava i capelli, facendomi i complimenti per il taglio e
straparlando in
merito al corso di orienteering?»
«Non
me lo ricordare. Per poco non ho affettato Fergus per avermi fatto
morire di
paura e, al tempo stesso, non ho preso per i capelli Chanel per averti
toccato»
sbuffò lei, facendolo ridere sommessamente.
«Chanel
ha rischiato, allora… comunque, mi ha chiesto se poteva fare
un po’ la carina
con me per vedere la reazione di Fergus. Credeva che lui fosse
interessato a
te, ed era un po’ gelosa» le spiegò a
quel punto Mark, dandole un colpetto
contro la spalla.
Sinceramente
sorpresa, Liza cercò di comprendere quando, nei suoi
incontri con i due amici,
Fergus avesse mai dato l’idea di farle il filo. Nulla
trovando, però, mugugnò:
«Secondo me, Chanel si sogna le cose. Comunque, mi dici che
era solo per far ingelosire
lui?»
«Assolutamente.
E vorrei reggerle il gioco finché lei non mi dirà
che è tutto a posto, se per
te va bene» dichiarò a quel punto Mark,
guardandola speranzoso.
Liza
allora gli sorrise, lo prese sottobraccio e mormorò:
«Ti mancava avere degli
amici, vero?»
Lui
assentì, tornando serio e, nel vedere Sasha
all’ingresso del campeggio, levò un
braccio per salutarla e disse sommessamente: «Non so
descrivere quanto… anche
per questo, sono terrorizzato all’idea che mio padre decida
di andarsene.»
«Faremo
in modo che tu non debba perderli» gli promise lei prima di
aggiungere per se
stessa: e che io non debba perdere te.
Quando
infine raggiunsero Sasha, questa ghignò
all’indirizzo di entrambi e disse:
«Fenrir mi ha messo al corrente. Benvenuto nel branco, Mark.
D’ora in poi, io
sarò deputata a essere la tua guardia del corpo, assieme a
Liza, ma cercherò di
farmi gli affari miei il più possibile. Voi, impegnatevi
almeno quanto me e non
fatevi beccare a sbaciucchiarvi senza ritegno. Sopporto quasi tutto ma,
visto
che sono in crisi d’astinenza, mi piacerebbe un po’
di supporto morale.»
Mark
sbatté le palpebre con aria confusa, arrossì fino
alle orecchie e, in un
borbottio sconnesso, la ringraziò, promettendole la massima
collaborazione.
Liza,
invece, scoppiò a ridere, strizzò
l’occhio a Sasha e domandò:
«E’ prevista una
riunione al Vigrond per la sua presentazione ufficiale, o Lucas pensa
di
lasciar perdere?»
«Visto
che lo hai presentato direttamente a Fenrir, non sarà
necessaria fino al
ritorno degli altri Gerarchi, poi decideremo un giorno per formalizzare
la
cosa. Nel frattempo, ci terremo in allerta nell’attesa che
quelle due bestiacce
si facciano vedere» la mise al corrente Sasha, tornando seria.
Mark
assentì, non avendo mai realmente dimenticato quella parte
scomoda e pericolosa
di tutta quella stramba giornata. Più semplicemente, aveva
deciso di relegarla
in un angolo della mente per non averla sempre sott’occhio.
Il
solo pensiero di essere nel mirino di una belva feroce, e che sembrava
intimorire anche creature che – a quanto pareva –
potevano vantare una forza e
una possanza maggiore di un uomo, non lo rallegrava per nulla.
Stando
a quello che gli aveva spiegato Lucas, la creatura primaria - o
l’alfa di quel
piccolo branco - aveva cercato di recuperare delle ossa che erano state
portate
via dall’Alaska, e che il caso aveva voluto essere le stesse
che stava
restaurando suo zio.
Quali
che fossero le sue motivazioni, quella creatura aveva infine trovato le
ossa
ma, per qualche motivo a loro sconosciuto, non le aveva semplicemente
portate
via, ma si era data a un festino in stile Arancia
Meccanica con un altro suo simile.
A
questa scoperta erano giunti studiando attentamente le carte del caso
– su cui Mark
aveva preferito non chiedere lumi. Nell’analisi della scena
del crimine,
infatti, avevano notato un cambiamento nel modus
operandi della creatura che, nella sua ricerca delle ossa,
non si era mai
spinta a simili scempi.
Questo,
aveva fatto dedurre la presenza di due lupi, un alfa e un beta,
probabilmente
un umano trasformato dall’alfa in un mutaforma.
Il
perché lui fosse comparso nella visione di Huginn, restava
un mistero – vittima
designata o semplice caso? – ma, da quel che Sasha aveva
detto, Lucas era ben
deciso a non lasciarlo in balia del destino.
«Fenrir
ha avvisato tuo padre che avresti tardato, visto che eravamo qui a giocare ai videogiochi…»
continuò col
dire Sasha, strizzando l’occhio a Mark, che
assentì grato. «… perciò sei
coperto. Quanto al resto, Freki si occuperà della sicurezza
di tua madre come
ha fatto finora, e io terrò d’occhio anche tuo
padre, quando saremo a scuola,
finché non tornerà Iris.»
«Freki?»
ripeté Mark, ripensando a ciò che gli aveva detto
Lucas. Cosa c’entrava, ora,
il sicario mannaro del branco?
«Dovresti
conoscerlo. E’ Rock, il compagno di Lucas»
scrollò le spalle Sasha,
sorprendendo però Mark che strabuzzò gli occhi,
pieno di meraviglia.
Lo
aveva effettivamente incontrato un paio di volte, di cui una al
matrimonio
della cugina di Liza, ma mai… mai
si
sarebbe aspettato di trovare in lui un licantropo. Certo, era alto e
robusto,
ma gli era parsa una persona del tutto normale anche se, a ben
vedere…
Scrutando
dubbioso Sasha mentre attraversavano la strada per rientrare a casa,
Mark
domandò: «Scusa… forse ti
sembrerò maleducato ma… sembri così umana!»
Sasha
ghignò per tutta risposta e chiosò: «In
parte dipende dal fatto che il nostro
sangue non ha discendenza pura, neppure lontanamente, ed è
mescolato troppe
volte con quello umano. Questo ci rende impossibile diventare dei bestioni come certi mannari di nostra
conoscenza. In parte perché, nel caso delle donne, non
appariamo più grosse
rispetto al normale, neppure
quelle che hanno sangue più puro del mio.»
Mark
prese per buona quella spiegazione e Liza, stringendogli comprensiva
una mano,
disse: «Ti spiegherò con calma, promesso. Ora,
digerisci quello che hai saputo.
Per esperienza, ci vuole sempre un po’, dopo lo shock
iniziale e l’afflusso di
adrenalina nel cervello.»
«Oookay»
acconsentì Mark, trovando la cosa più che
ragionevole.
Avrebbe
avuto tutto il tempo per dare di matto, e farlo in mezzo a una strada
trafficata non era davvero il caso.
Quando,
perciò, raggiunsero casa sua, Mark le salutò
cordialmente e scappò all’interno
senza attendere oltre e, non appena si ritrovò suo padre
davanti, gli venne
spontaneo dire: «Scusa.»
Lui,
seduto su una poltrona del salotto e intento a leggere un quotidiano,
levò il
capo per scrutarlo curioso e replicò tranquillo:
«Sapevo che saresti tornato
tardi. Il gestore del campeggio mi ha chiamato. Non
c’è bisogno che tu ti scusi.»
Mark
si limitò ad annuire, non potendo spiegargli i vari perché di quella richiesta di
perdono e, dentro di sé, iniziò a
capire cosa avesse provato Liza in quei mesi di silenzi forzati.
Doveva
essersi sentita dilaniare, strappata a pezzettini e poi gettata come un
oggetto
inutile. Lui, per lo meno, si sentiva così.
Avvicinatosi
perciò al padre, si sedette sul divano e domandò:
«Mamma è ancora al cantiere?»
«Mi
ha telefonato per dirmi che stasera resterà a cena con il
gruppo di
scalpellini, e che farà tardi perché –
testuali parole – bisbocceranno
fino a mezzanotte» chiosò Donovan,
poggiando il
giornale sul bracciolo della poltrona per poter guardare in volto il
figlio.
«Avevi bisogno di lei?»
Mark
avrebbe voluto gridare di sì, perché voleva
parlarle di Liza, di come si fosse
sentito nel baciarla, di quello che aveva provato nel sentirla tra le
sue
braccia, ma si trattenne e preferì dire soltanto:
«No, era per curiosità.
Quindi, siamo soli, stasera?»
«Eh,
già. Ma prometto di non tediarti. Niente planimetrie o
altro, lo prometto»
dichiarò il padre, fissandolo spiacente. «So che
questi anni sono stati
pesanti, per te, e che hai dovuto sacrificare molto della tua vita, per
seguire
le mie ricerche.»
Ciò
detto, si levò dalla poltrona per raggiungere il bow window che dava sul giardino e,
pensieroso, osservò l’oscurità
che celava le aiole di Diana, pronte per il riposo invernale.
Stanco,
strinse le mani dietro la schiena in posa rassegnata e
proseguì quindi dicendo:
«So bene che non credi a quello che sto facendo, ma non hai
mai tentato di
mettermi i bastoni tra le ruote, e di questo ti ringrazio.»
«Papà,
io…» tentennò lui, sentendosi straziare
dal senso di colpa al pensiero di non
poter raccontargli ogni cosa.
Donovan
si volse a mezzo, gli sorrise triste e terminò di dire:
«Sei felice, ora, e
credo dipenda dagli amici che ti sei fatto qui. Anche Diana
è soddisfatta del
nuovo lavoro, e dice che il signor Saint Clair è un ottimo
imprenditore, con
cui non si fa fatica a fare affari. Perciò, ecco, pensavo
che dopotutto
potremmo anche fermarci. Dopo più di dieci anni di ricerche
infruttuose, penso
sia arrivato il momento di dire basta. Tanto, è chiaro che
non troverò mai chi
ha ucciso gli zii e Lacey.»
Con
quell’ultima frase, reclinò capo e spalle,
sconfitto e sopraffatto dal dolore
per non essere riuscito a vendicare il fratello.
Ma
come dirgli che, proprio in concomitanza con la sua rinuncia, forse
sarebbe
venuto in contatto proprio con la
creatura che tanto a lungo aveva cercato?
Ancora,
Mark rimase in silenzio su quell’argomento così
spinoso e, desideroso di
risollevargli il morale in qualche modo, mormorò roco:
«Oggi ho baciato Liza.»
Donovan
si volse nuovamente verso il figlio, totalmente spiazzato da quella
notizia, ed
esalò: «Beh… è fantastico.
Ma spero che lei fosse consenziente.»
«Papà…»
brontolò Mark, accigliandosi immediatamente a
quell’accenno.
«D’accordo,
d’accordo, so che mio figlio non è un
maniaco» lo rabbonì subito l’uomo, ben
deciso a non perdere quell’occasione più unica che
rara di parlare con Mark.
Da
quanto tempo, discussioni come quelle, erano state retaggio unico di
Diana? Da
troppo, a suo dire e, anche se era grato al cielo che Mark si fosse
affezionato
subito, e così profondamente, alla sua nuova mamma, lui si
era anche sentito un
po’ messo da parte.
Ne
conosceva ovviamente i motivi, ma gli aveva ugualmente fatto male.
Sentirlo
parlare a quel modo – forse spinto dalla tristezza che aveva
udito nella sua
voce – lo aveva subito messo in allarme e, tra sé,
lo aveva anche reso felice.
Cercando
di non interromperlo, quindi, lo lasciò parlare di
ciò che desiderava e, poco
alla volta, il dolore causato dalla rinuncia alla sua personale caccia
venne
surclassato dalla gioia per aver ritrovato il figlio.
Forse,
non poteva ottenere entrambe le cose. Giustizia e gioia, probabilmente,
non
erano contemplate in un pacchetto unico.
***
«Oh,
e così Liza ha spifferato tutto?» esalò
Iris, spazzolandosi distrattamente i
capelli mentre parlava in videochiamata con Lucas.
Lui
assentì comprensivo, replicando: «La poverina era
a pezzi. Abbiamo davvero
chiesto troppo, a tua cugina.»
«E’
stata la congiuntura cuore/dovere a fare i danni, non
l’età di Liza» sottolineò
Iris. «Guarda cos’ho combinato io al Vigrond
londinese, quando pensavo che Dev
volesse darsi la morte piuttosto che farsi vedere da me a spendere un
po’ di
dolore?»
Lucas
annuì divertito, rammentando più che bene cosa
avesse voluto dire vedere, per
la prima volta, il potere del lændvettir
svilupparsi
dal corpo di Iris. Persino lupi più navigati di loro erano
rimasti strabiliati.
«Oppure,
voi ragazze losangeline vi lasciate prendere un tantino la mano, quando
c’è di
mezzo un uomo» ironizzò Lucas prima di curiosare
alle spalle di Iris e
domandare: «A proposito di uomo…
dov’è finito il tuo?»
Sorridendo
esasperata, Iris scosse il capo e borbottò: «Ha
scoperto che Rey, il padrone di
casa, ha una Harley Davidson, e così sono di sotto da ore a parlare di cromature,
pneumatici, bielle e quant’altro.
Alla fine, io e Litha, la moglie di Rey, ce ne siamo andate
disgustate.»
«Almeno
vi state divertendo?» scoppiò a ridere Lucas.
Addolcendo
lo sguardo, Iris assentì e disse: «Sì.
Anche se la situazione è strana e siamo
tutti un po’ tesi, le rassicurazioni di Litha mi permettono
di godermi questa
vacanza come, diversamente, non sarei riuscita a fare. Dev, inoltre,
è fantastico.
Cerca sempre di non farmici pensare, ed escogita sempre qualcosa per
distrarmi.»
Lucas
sorrise compiaciuto, asserendo: «Credimi, si vede che con lui
ti trovi bene, ma
è anche vero il contrario. Non ho mai visto Dev
così felice in vista sua,
perciò sono contento per voi.»
«Tu
e Rock non pensate mai di convolare a nozze?»
«Ci
abbiamo pensato un sacco di volte ma, a dire la verità, non
ne sentiamo la
necessità. Stiamo bene così»
scrollò le spalle lui. «Inoltre, da quando
è
diventato un licantropo, il nostro rapporto si è fatto
così profondo che, delle
regole umane, non sentiamo davvero più il bisogno. Non avevo
mai capito davvero
fino in fondo quanto fosse difficile – e limitante
– avere un rapporto a
metà, e ora che posso viverlo
pienamente, ne sono appagato.»
«Bene»
sorrise compiaciuta Iris. «Alla fine di questa situazione,
però, potreste
venire qui anche voi per un viaggio. E’ un posto che merita,
e sarebbe come un
viaggio di non-nozze.»
«Ne
sono convinto, e credimi… sono davvero curioso di vedere di persona questa fantomatica Litha. Da
quel che dice Dev, è una
persona coi controfiocchi» ridacchiò Lucas.
Iris
rise sommessamente – aveva idea che anche Lucas si sarebbe
convertito al suo
culto, una volta conosciuta la verità su di lei –
e asserì: «La conoscerai di
sicuro. Ha detto che ci accompagnerà a casa lei, quando
finiremo la nostra
vacanza… o se avrete bisogno di noi prima del
tempo.»
«Possiede
un jet privato come te?» ironizzò Lucas.
«Non
sono io a possederlo, ma la ditta» sottolineò
Iris. Era chiaro che neppure Dev
si era lasciato scappare quel piccolo particolare
su Litha, durante le sue chiacchierate con Lucas. Sarebbe stato uno
spasso,
vedere la sua faccia una volta messolo di fronte alla
verità. «Comunque, ci ha
promesso un ritorno celere in patria, e sono propensa a
crederle.»
«Essendo
amica di Brianna, sono sicura che è più che
affidabile» assentì Lucas.
«Comunque, per ora tutto tace. Continuate a godervi Guinness
e quant’altro
anche per noi.»
«Lo
faremo di sicuro» assentì lei, salutandolo prima
di chiudere la chiamata.
Scostandosi
dal muro, Litha sorrise sorniona a Iris, che ammiccò
complice, e dichiarò:
«Avete davvero intenzione di fare un bello scherzo al vostro
Fenrir, a quanto
pare.»
«Ha
bisogno di una ventata di novità, ogni tanto»
chiosò lei, scoppiando a ridere
assieme alla padrona di casa. «Ha la tendenza a prendersi
troppo sul serio, a
volte, e cose del genere possono aiutarlo a scrollarsi di dosso un
po’ di
polvere.»
Una
cosa era certa. Il loro sarebbe stato un rientro col
botto.
***
Qiugyat sembrava essere
particolarmente desiderosa di compagnia, questa volta. Almeno, stando
alle
parole della sua creatrice.
Eppure,
erano stati corretti. Erano giunti per tempo e non avevano lesinato nel
concedere energia al suo sommo Fulcro. Era mai possibile che, ancora,
non
potessero allontanarsi e tornare a combattere contro il misterioso
nemico che
viveva al sud?
“Pazienta,
mio
amore, e sarai ricompensato con la più grande caccia a cui
tu abbia mai
partecipato.”
“Tu
conosci i
nemici che ci aspettano al sud?” domandò lui, pieno di
aspettativa.
“Ne
avevo
sentito parlare nel corso dei secoli, ma non mi era mai capitato di
incontrarne
uno, perciò sono assai curiosa di incrociarne il cammino.
Sarà bello
confrontarsi con un nemico così forte.”
“Avevano
un buon
odore. Un odore potente” convenne lui, leccandosi le labbra
con aria
soddisfatta, pregustandone le carni tra le fauci.
Lei
gli si avvicinò, carezzò il suo torace ampio e
nudo, scese fino a sfiorare i
suoi fianchi sottili, le cosce toniche e il membro già
eretto per darle piacere
dopodiché, sorridendogli, disse: “Faremo
fiero pasto di tutti loro, e quell’energia ci
sfamerà per anni e anni. Forse,
riusciremo a donare a Qiugyat
così
tanto potere da non dover venire qui per molto tempo.”
“Potremmo
viaggiare fino al sud del mondo, fino alle terre dei miei
avi… ti mostrerei le
bellezze del Brasile” ipotizzò a quel punto
lui, afferrandola alla vita
per schiacciarla contro di sé e farle percepire la pronta
risposta al suo tocco
malizioso.
“Sì,
forse
riusciremo a spingerci così lontano. Ma ora dobbiamo donare
noi stessi a Qiugyat. Vieni, scendiamo fino al fiordo e
immergiamoci in mare, così che Lei possa cibarsi di noi. Le
dobbiamo così
tanto!”
Lui
assentì coraggiosamente, pur non apprezzando affatto quella
parte dei loro
rituali. La sua forza, però, derivava anche da quello
scambio con la loro dea
sanguinaria, e non poteva scontentare colei che aveva generato la sua
stirpe.
La
sua creatrice era stata lapidaria, su questo. Qiugyat
andava onorata sempre, e a Lei andava donata parte della
loro energia.
Ricordava
ancora quando, più di dieci anni addietro, la sua creatrice
lo aveva trovato
ferito e in fin di vita in un vicolo, dopo che una banda rivale gli
aveva teso
un agguato, sparandogli alle spalle.
Lei
gli si era avvicinata, lo aveva annusato, aveva sfiorato il suo sangue
con un
dito prima di portarlo alle labbra carnose e bellissime e, con un
sorriso
gelido, gli aveva chiesto: “Se ti
salvo
la vita adesso, tu sarai mio per sempre?”
Lui
aveva assentito – avrebbe accettato qualsiasi cosa, pur di
vivere, e cedere se
stesso a una donna così bella, gli era parso un buon
compromesso – e lei, senza
alcun preavviso, lo aveva morso al collo procurandogli un dolore
terribile.
Aveva
sentito chiaramente mentre lei suggeva il suo sangue, alla stregua di
un
vampiro e, al tempo stesso, la sua creatrice gli aveva ghermito il
membro e lo
aveva tenuto nella mano per tutta la durata di quello strano
salvataggio.
Alla
fine, lo aveva sollevato da terra con straordinaria
facilità, nonostante la sua
altezza invidiabile e il suo fisico muscolare e, dopo averlo nascosto
in un
capannone in disuso, si era preso cura di lui.
Per
giorni, aveva vagato tra la vita e la morte, febbricitante, mentre lei
alternava abluzioni al suo corpo a sessioni di sesso sfrenato
– cosa che
ricordava bene, nonostante la febbre – fin quando, una notte,
semplicemente si
sera alzato, sano e vigoroso, non più lui.
Aveva
gettato le mani avanti per prenderla tra le braccia, ma aveva scorto
zampe di
lupo al posto delle dita. Un attimo dopo, ogni parte del suo corpo era
mutata,
facendolo diventare l’animale che lui si era tatuato sul
torace quando era uscito
per la prima volta dalla galera.
Lei
gli aveva sorriso soddisfatta, aveva mutato aspetto a sua volta e,
parlandogli
nella mente per la prima volta, aveva detto: “D’ora
innanzi sarai il mio compagno, poiché il mio mi è
stato
strappato dalla vecchiaia. Grazie a me sarai forte, potente e
invincibile, e
potrai fare cose che il tuo debole corpo umano non avrebbe mai neppure
potuto
immaginare.”
Lui
aveva annuito, e la donna che lo aveva salvato gli aveva spiegato i
motivi
della sua presenza a New York, e perché fosse ben decisa a
farla pagare a
coloro che le avevano rubato i resti del compagno morto.
Gli
aveva spiegato da chi derivassero i loro straordinari poteri e
perché fosse
necessario, a ogni approssimarsi dell’inverno, recare doni
– cioè, energia –
alla loro dea, la potente Qiugyat,
l’Aurora Sanguinaria del Nord.
Lui
aveva accettato ogni sua parola come vera – non era appena
sopravvissuto a
quattro colpi di pistola alla schiena, e solo grazie a un morso?
– e le aveva
promesso appoggio nella sua vendetta, oltre che fedeltà
assoluta e imperitura.
Così,
lei gli aveva spiegato dove fossero i resti del suo compagno e gli
aveva
lasciato carta bianca sul modo di agire.
Era
stato un bagno di sangue, il tutto però magistralmente
orchestrato perché, a
prenderne le colpe, fosse il padrone di casa, colui che aveva osato
toccare le
ossa del compagno della sua salvatrice.
Lei,
in ogni caso, lo aveva rassicurato in merito all’aspetto
più tecnico della loro
aggressione; il DNA sulla scena del crimine. Nessuno di loro poteva
essere
riconosciuto dalla tecnologia umana, poiché i loro magici
corpi non erano di
quel mondo. Le macchine dell’uomo nulla potevano, contro di
loro.
Una
volta compiuta la mattanza, però, la sua creatrice non aveva
più voluto
recuperare le ossa dell’antico amante, ritenute ormai troppo
insozzate da mani
umane perché potessero tornare al loro luogo di riposo
eterno.
A
quel punto si erano dileguati e, da quel momento, avevano iniziato a
peregrinare in lungo e in largo, senza mai tornare due volte nello
stesso luogo
per non destare sospetti, e senza mai uccidere allo stesso modo le loro
vittime.
Pur
se le tecnologie umane non potevano riconoscere il loro DNA, era
inutile
correre il rischio di lasciare – per così dire
– una firma,
perciò ogni nuova ricerca di energia per Qiugyat
si era dovuta svolgere con modus operandi diversi.
La
sete di sangue, però, era difficile da gestire e, in tre
occasioni, aveva
fallito nell’intento, venendo prontamente richiamato
all’ordine e punito per
aver trasgredito.
Una
volta, invece, aveva tentato volontariamente di prendersi una giusta
vendetta,
di terminare un lavoro lasciato a metà ma, anche in quel
caso, la sua creatrice
lo aveva aspramente richiamato all’ordine.
Se
non era Lei a volere una preda, lui non poteva mai
permettersi di cacciare.
Era
anche vero però che, a ogni nuova punizione, lui aveva
saputo redimersi, portandole
prede giuste e donandole il proprio corpo quando lo aveva desiderato.
Da
parte sua, non aveva mai goduto così pienamente della vita
se non da quando
aveva conosciuto Lei, la sua salvatrice, colei che gli aveva fatto
scoprire un
nuovo modo di vedere il mondo, e di come approfittare della forza
acquisita.
Inoltre,
poter godere di una donna così bella da far girare la testa,
era stato un bonus non previsto ma
molto ben accetto.
Lei sapeva fargli cose che neppure nei suoi sogni più
sfrenati aveva mai
immaginato di fare con qualcuno, e questo era stato un buon modo per
fargli
accettare anche le parti più scomode della sua nuova vita.
Come,
per l’appunto, affondare nelle acque ghiacciate del fiordo
per poter dare il
proprio contributo alla sopravvivenza di Qiugyat.
Immergersi
nel corpo di Lei, però, era sufficiente a tenerlo al caldo e
a sopportare per
giorni quel detestabile supplizio. Pensare alla prossima caccia, poi,
era
l’afrodisiaco migliore di tutti.