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Autore: Mary P_Stark    23/11/2020    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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14.

 

 

 

 

La sera, così come la gelida corrente proveniente da nord, stava scivolando veloce su Clearwater, ammantando ogni cosa e, sulle acque increspate del Dutch Lake, rade foglie galleggiavano come barchette alla deriva.

I pochi uccellini presenti nella vicina foresta si erano ormai chetati, una civetta solitaria aveva innalzato al cielo il suo dolente canto mentre, nella cittadina, le luci avevano iniziato ad accenderci, tingendo di caldi colori il paesaggio urbano.

Né il freddo né la sera imminente, però, sembravano interessare i due giovani ritti appresso alla staccionata che delimitava il sentiero che cingeva – come un caloroso abbraccio – l’ampio lago nei pressi di Clearwater.

La coppia parlava fittamente e a bassa voce e, se una persona qualunque fosse passata per caso loro appresso, probabilmente non si sarebbe accorta di nulla, tanto era persa in altri lidi la loro mente.

Liza ancora non credeva di essere stata baciata da Mark e, ogni qual volta lui arrossiva per un suo commento o un suo sorriso, lei si sentiva al settimo cielo, potente e fiera come una dea.

Era bello e appagante riuscire a far arrossire il ragazzo per cui avevi gettato tutto alle ortiche e, più ancora, potergli raccontare ogni cosa, poter essere finalmente onesta e sincera.

Da parte sua, Mark sembrava avido di risposte e prolifico di domande, solo un tantino nervoso al pensiero di aver conosciuto un licantropo – un vero licantropo – ma, tutto sommato, aperto all’idea che vi fossero creature diverse che vagavano per il mondo.

Dopotutto, in tanti anni di pellegrinaggio alla ricerca di una creatura che suo padre, da sempre, aveva ritenuto non essere umana, qualcosa doveva essere entrato anche nella sua testa.

I fumetti, non da ultimo e neanche tanto paradossalmente, avevano aiutato. Sembrava sciocco ammetterlo, ma aprivano la mente e rendevano più semplice approcciarsi a una simile realtà.

In fondo, non era impazzito di fronte a una collezione di zanne da far invidia a un puma, e aveva scoperto che la ragazza che gli piaceva parlava mentalmente con due corvi.

Questo, in particolare, lo aveva incuriosito – forse, perché riguardava direttamente Liza – così come lo aveva sorpreso scoprirne i contorni magici e misteriosi.

«Perciò, se Muninn è lontano, tu puoi ugualmente parlare con lui e vedere attraverso i suoi occhi, ma con Huginn hai bisogno di una certa vicinanza, e non hai la possibilità di sdoppiarti con lui, per così dire» mormorò alla fine Mark, carezzando distrattamente il piumaggio di quest’ultimo, che teneva pigramente il capo ripiegato in avanti.

Liza assentì, lasciando che Muninn giocherellasse con il suo dito indice.

«Con Huginn possiamo parlarci da poco di quattro, cinque metri di distanza, come avviene per qualsiasi altro Geri di cui io sia a conoscenza, mentre Muninn può parlarmi anche da diverse miglia di distanza» dichiarò Liza, sorridendogli timida. Non voleva pavoneggiarsi. Era la semplice verità, pur se le sembrava di… beh, ecco, pavoneggiarsi, per l’appunto.

I suoi corvi, solo un’ora addietro, erano impazziti di rabbia nel vederla comparire nel bosco – distrutta e infelice – e, per poco, non avevano cavato un occhio a Mark, reo di averla fatta piangere. Il suo richiamo accorato era però bastato a bloccarli e ora, dopo il chiarimento avvenuto, lasciavano che il ragazzo li toccasse e li coccolasse.

Quanto poteva dirsi grata, Liza, per questo?

Ancora non sapeva come, ma avrebbe fatto il tutto e per tutto perché la premonizione di Huginn non si tramutasse in realtà.

“Lo spero anch’io, mamma. Che non succeda, insomma…”

“Lo so, Muninn. Ho capito perché avete cercato di attaccarlo, prima, e non sono arrabbiata con voi” replicò Liza sorridendo al suo corvo, che continuava a becchettare il suo dito come un cagnolino avrebbe fatto con la mano del padrone.

“Ti senti più tranquilla, ora che non devi più mentirgli?”

“Decisamente sì.”

“E appoggerai ancora la tua bocca sulla sua, andando avanti?”

Quella domanda la colse così di sorpresa che Liza ritirò la mano di scatto dal becco di Muninn, avvampò in viso ed esalò contrariata: «Ma sono domande da fare?!»

I due corvi scoppiarono in qualcosa di molto simile a una risata e Liza, per tutta risposta, scosse le mani davanti a sé per scacciarli, borbottando indispettita: «Sciò, brutti corvacci!»

Huginn e Muninn si involarono leggeri e aggraziati, continuando a gracchiare in risposta all’imbarazzo della padrona e Mark, nell’osservare la scena, dichiarò divertito: «Non so cosa vi siate detti, ma immagino che Muninn abbia fatto il ficcanaso.»

Liza annuì recisamente, preferendo non scendere nei particolari e il ragazzo, facendosi serio, le domandò: «Ora che io so, cosa dovrei fare con i miei genitori?»

«Per il momento, cerca di tenere tuo padre il più lontano possibile dal centro della foresta. Inventati quel che vuoi, ma non farlo allontanare da Clearwater» sospirò lei, stringendogli una mano con forza. «Non siamo così in tanti da potervi garantire una protezione continua e, pur se Huginn ha visto solo te, non posso assicurarti che anche il resto della tua famiglia non sarà in pericolo.»

«Quanto a questo…» mormorò lui, piegandosi per poggiare la fronte contro quella di lei. «…voglio che la smetti di non dormire a causa mia. E’ chiaro? Ti fa male perdere così tante ore di sonno.»

A Liza sfuggì un risolino e replicò: «Come se fosse facile!»

«Sognami in un altro modo, allora» celiò lui, lasciandosi andare a un ghigno malizioso.

«Mark Sullivan, ti stai offrendo di diventare il mio oggetto sessuale notturno?» esalò Liza, scostandosi all’improvviso da lui per guardarlo con aria falsamente sbigottita.

Mark allora arrossì abbondantemente, e ancora Liza apprezzò quel particolare di lui. Adorava quando rendeva così evidente il suo imbarazzo, anche se probabilmente lui odiava la cosa tanto quanto lei la apprezzava.

«M-Ma… cosa ti viene in mente?! Io pensavo a qualcosa di più tranquillo! Tipo, quando abbiamo fatto la gita intorno al lago o qualcosa del genere!» gracchiò lui, ora divenendo paonazzo.

Lei, però, non demorse e dichiarò maliziosa: «Non me la bevo. Fai tanto il timido, ma in realtà sei un esperto di tattiche di seduzione, altrimenti non mi avresti baciato così bene.»

«Che diavolo dici?!» esclamò a quel punto Mark, impantanato nel proprio imbarazzo per alcuni istanti prima di bloccarsi, fissarla con un sopracciglio sollevato e borbottare: «Ti è piaciuto?»

«Tanto che mi piacerebbe ripetere l’esperienza, ma penso che sia il caso di tornare a casa, o stavolta i tuoi genitori non saranno così clementi con te. Due sere dietro fila fuori di casa, e dopo il tramonto?» celiò lei indicando il cielo, dove le prime stelle iniziavano a punteggiare la volta celeste.

Mark ne seguì la direzione con lo sguardo, scrutò ammirato l’ammicante luce diafana degli altri e infine, resosi conto del loro recondito significato, esplose in un’imprecazione talmente sentita da far scoppiare a ridere Liza.

Lui, per contro, la afferrò per tornare in fretta al campeggio e, piccato, borbottò: «Com’è che tu non hai il coprifuoco?»

«Fino a un paio d’ore fa, ero seguita a vista da Sasha che, come ora immaginerai, è una licantropa. Lei aveva il compito di farmi da spalla, a scuola, nel caso in cui tu e tuo padre vi foste dimostrati dei Cacciatori e, a mia non tanto insaputa, mi seguiva anche fuori dalla scuola, al fine di proteggermi» gli spiegò lei, seguendolo lungo il sentiero mentre lui spalancava la bocca, più che mai sorpreso.

«Oh… wow! Una guardia del corpo, in pratica» esalò Mark.

«Più o meno. Quindi, come capirai, non ho mai avuto bisogno di tornare a casa per reconditi motivi legati alla sicurezza, visto che ero più che protetta. Inoltre, grazie all’addestramento che ho iniziato a seguire per diventare una brava Geri, sono piuttosto brava a difendermi anche da sola.»

Non appena raggiunsero il confine del campeggio lui si fermò, si volse verso di lei e le domandò: «Non ti senti strana, all’idea di dover essere una sorta di poliziotto con licenza di uccidere?»

Liza assentì cupa, reclinando il capo di fronte a quella domanda che, per lunghi mesi, l’aveva attanagliata e spaventa ma, ben decisa a non negargli più nulla, ripeté ciò che Branson le aveva detto a suo tempo.

«Durante il primo periodo dopo la nomina, sognavo spesso di uccidere dei licantropi per il solo gusto di farlo, e mi risvegliavo piena di disgusto verso me stessa. Le armi che posseggo possono essere davvero mortali, non sono dei semplici gingilli» dichiarò Liza con tono roco e suo malgrado calmo. «Uno dei miei maestri, un Geri come me, mi disse che dimostravo soltanto di essere umana, e che proprio il disgusto che provavo al risveglio era la riprova del mio buon cuore. Quando si ha un grande potere, bisogna anche esserne responsabili, e questa mia paura di fare del male a degli innocenti mi dà la sicurezza di non essere malvagia.»

Mark la guardò piena di orgoglio e lei, nonostante tutto, si sentì sciogliere dentro. Non aveva aperto bocca, eppure era come se avesse steso per lei un tappeto rosso e avesse fatto scoppiare fuochi d’artificio in suo onore.

“Ricomponiti, mamma, o Sasha morirà dal ridere, quando la incrocerete all’entrata del campeggio.”

La voce di Muninn risuonò come una campana nella mente di Liza e quest’ultima, ricomponendosi all’istante, borbottò un insulto all’indirizzo dei ficcanaso in generale prima di brontolare: «Sasha ci aspetta all’imbocco del campeggio.»

«Oh» esalò lui sorpreso prima di lanciare uno sguardo verso l’alto, dove i due corvi stavano volteggiando in cerchio. «Notizie dal satellite.»

«Quasi» ammise lei prima di domandargli: «Senti, Mark… in merito a questa… cosa… che facciamo, domani?»

«Dipende da come Chanel avrà sfruttato l’appuntamento con Fergus» dichiarò a sorpresa Mark, facendole spalancare gli occhi per lo sgomento.

«In che senso?» gracchiò lei, del tutto sconcertata da quell’uscita. E i loro amici, adesso, che c’entravano?

Sorridendo divertito, lui allora si spiegò meglio. «Sai, stamattina… quando Chanel mi carezzava i capelli, facendomi i complimenti per il taglio e straparlando in merito al corso di orienteering?»

«Non me lo ricordare. Per poco non ho affettato Fergus per avermi fatto morire di paura e, al tempo stesso, non ho preso per i capelli Chanel per averti toccato» sbuffò lei, facendolo ridere sommessamente.

«Chanel ha rischiato, allora… comunque, mi ha chiesto se poteva fare un po’ la carina con me per vedere la reazione di Fergus. Credeva che lui fosse interessato a te, ed era un po’ gelosa» le spiegò a quel punto Mark, dandole un colpetto contro la spalla.

Sinceramente sorpresa, Liza cercò di comprendere quando, nei suoi incontri con i due amici, Fergus avesse mai dato l’idea di farle il filo. Nulla trovando, però, mugugnò: «Secondo me, Chanel si sogna le cose. Comunque, mi dici che era solo per far ingelosire lui?»

«Assolutamente. E vorrei reggerle il gioco finché lei non mi dirà che è tutto a posto, se per te va bene» dichiarò a quel punto Mark, guardandola speranzoso.

Liza allora gli sorrise, lo prese sottobraccio e mormorò: «Ti mancava avere degli amici, vero?»

Lui assentì, tornando serio e, nel vedere Sasha all’ingresso del campeggio, levò un braccio per salutarla e disse sommessamente: «Non so descrivere quanto… anche per questo, sono terrorizzato all’idea che mio padre decida di andarsene.»

«Faremo in modo che tu non debba perderli» gli promise lei prima di aggiungere per se stessa: e che io non debba perdere te.

Quando infine raggiunsero Sasha, questa ghignò all’indirizzo di entrambi e disse: «Fenrir mi ha messo al corrente. Benvenuto nel branco, Mark. D’ora in poi, io sarò deputata a essere la tua guardia del corpo, assieme a Liza, ma cercherò di farmi gli affari miei il più possibile. Voi, impegnatevi almeno quanto me e non fatevi beccare a sbaciucchiarvi senza ritegno. Sopporto quasi tutto ma, visto che sono in crisi d’astinenza, mi piacerebbe un po’ di supporto morale.»

Mark sbatté le palpebre con aria confusa, arrossì fino alle orecchie e, in un borbottio sconnesso, la ringraziò, promettendole la massima collaborazione.

Liza, invece, scoppiò a ridere, strizzò l’occhio a Sasha e domandò: «E’ prevista una riunione al Vigrond per la sua presentazione ufficiale, o Lucas pensa di lasciar perdere?»

«Visto che lo hai presentato direttamente a Fenrir, non sarà necessaria fino al ritorno degli altri Gerarchi, poi decideremo un giorno per formalizzare la cosa. Nel frattempo, ci terremo in allerta nell’attesa che quelle due bestiacce si facciano vedere» la mise al corrente Sasha, tornando seria.

Mark assentì, non avendo mai realmente dimenticato quella parte scomoda e pericolosa di tutta quella stramba giornata. Più semplicemente, aveva deciso di relegarla in un angolo della mente per non averla sempre sott’occhio.

Il solo pensiero di essere nel mirino di una belva feroce, e che sembrava intimorire anche creature che – a quanto pareva – potevano vantare una forza e una possanza maggiore di un uomo, non lo rallegrava per nulla.

Stando a quello che gli aveva spiegato Lucas, la creatura primaria - o l’alfa di quel piccolo branco - aveva cercato di recuperare delle ossa che erano state portate via dall’Alaska, e che il caso aveva voluto essere le stesse che stava restaurando suo zio.

Quali che fossero le sue motivazioni, quella creatura aveva infine trovato le ossa ma, per qualche motivo a loro sconosciuto, non le aveva semplicemente portate via, ma si era data a un festino in stile Arancia Meccanica con un altro suo simile.

A questa scoperta erano giunti studiando attentamente le carte del caso – su cui Mark aveva preferito non chiedere lumi. Nell’analisi della scena del crimine, infatti, avevano notato un cambiamento nel modus operandi della creatura che, nella sua ricerca delle ossa, non si era mai spinta a simili scempi.

Questo, aveva fatto dedurre la presenza di due lupi, un alfa e un beta, probabilmente un umano trasformato dall’alfa in un mutaforma.

Il perché lui fosse comparso nella visione di Huginn, restava un mistero – vittima designata o semplice caso? – ma, da quel che Sasha aveva detto, Lucas era ben deciso a non lasciarlo in balia del destino.

«Fenrir ha avvisato tuo padre che avresti tardato, visto che eravamo qui a giocare ai videogiochi…» continuò col dire Sasha, strizzando l’occhio a Mark, che assentì grato. «… perciò sei coperto. Quanto al resto, Freki si occuperà della sicurezza di tua madre come ha fatto finora, e io terrò d’occhio anche tuo padre, quando saremo a scuola, finché non tornerà Iris.»

«Freki?» ripeté Mark, ripensando a ciò che gli aveva detto Lucas. Cosa c’entrava, ora, il sicario mannaro del branco?

«Dovresti conoscerlo. E’ Rock, il compagno di Lucas» scrollò le spalle Sasha, sorprendendo però Mark che strabuzzò gli occhi, pieno di meraviglia.

Lo aveva effettivamente incontrato un paio di volte, di cui una al matrimonio della cugina di Liza, ma mai… mai si sarebbe aspettato di trovare in lui un licantropo. Certo, era alto e robusto, ma gli era parsa una persona del tutto normale anche se, a ben vedere…

Scrutando dubbioso Sasha mentre attraversavano la strada per rientrare a casa, Mark domandò: «Scusa… forse ti sembrerò maleducato ma… sembri così umana

Sasha ghignò per tutta risposta e chiosò: «In parte dipende dal fatto che il nostro sangue non ha discendenza pura, neppure lontanamente, ed è mescolato troppe volte con quello umano. Questo ci rende impossibile diventare dei bestioni come certi mannari di nostra conoscenza. In parte perché, nel caso delle donne, non appariamo più grosse rispetto al normale, neppure quelle che hanno sangue più puro del mio.»

Mark prese per buona quella spiegazione e Liza, stringendogli comprensiva una mano, disse: «Ti spiegherò con calma, promesso. Ora, digerisci quello che hai saputo. Per esperienza, ci vuole sempre un po’, dopo lo shock iniziale e l’afflusso di adrenalina nel cervello.»

«Oookay» acconsentì Mark, trovando la cosa più che ragionevole.

Avrebbe avuto tutto il tempo per dare di matto, e farlo in mezzo a una strada trafficata non era davvero il caso.

Quando, perciò, raggiunsero casa sua, Mark le salutò cordialmente e scappò all’interno senza attendere oltre e, non appena si ritrovò suo padre davanti, gli venne spontaneo dire: «Scusa.»

Lui, seduto su una poltrona del salotto e intento a leggere un quotidiano, levò il capo per scrutarlo curioso e replicò tranquillo: «Sapevo che saresti tornato tardi. Il gestore del campeggio mi ha chiamato. Non c’è bisogno che tu ti scusi.»

Mark si limitò ad annuire, non potendo spiegargli i vari perché di quella richiesta di perdono e, dentro di sé, iniziò a capire cosa avesse provato Liza in quei mesi di silenzi forzati.

Doveva essersi sentita dilaniare, strappata a pezzettini e poi gettata come un oggetto inutile. Lui, per lo meno, si sentiva così.

Avvicinatosi perciò al padre, si sedette sul divano e domandò: «Mamma è ancora al cantiere?»

«Mi ha telefonato per dirmi che stasera resterà a cena con il gruppo di scalpellini, e che farà tardi perché – testuali parole – bisbocceranno fino a mezzanotte» chiosò Donovan, poggiando il giornale sul bracciolo della poltrona per poter guardare in volto il figlio. «Avevi bisogno di lei?»

Mark avrebbe voluto gridare di sì, perché voleva parlarle di Liza, di come si fosse sentito nel baciarla, di quello che aveva provato nel sentirla tra le sue braccia, ma si trattenne e preferì dire soltanto: «No, era per curiosità. Quindi, siamo soli, stasera?»

«Eh, già. Ma prometto di non tediarti. Niente planimetrie o altro, lo prometto» dichiarò il padre, fissandolo spiacente. «So che questi anni sono stati pesanti, per te, e che hai dovuto sacrificare molto della tua vita, per seguire le mie ricerche.»

Ciò detto, si levò dalla poltrona per raggiungere il bow window che dava sul giardino e, pensieroso, osservò l’oscurità che celava le aiole di Diana, pronte per il riposo invernale.

Stanco, strinse le mani dietro la schiena in posa rassegnata e proseguì quindi dicendo: «So bene che non credi a quello che sto facendo, ma non hai mai tentato di mettermi i bastoni tra le ruote, e di questo ti ringrazio.»

«Papà, io…» tentennò lui, sentendosi straziare dal senso di colpa al pensiero di non poter raccontargli ogni cosa.

Donovan si volse a mezzo, gli sorrise triste e terminò di dire: «Sei felice, ora, e credo dipenda dagli amici che ti sei fatto qui. Anche Diana è soddisfatta del nuovo lavoro, e dice che il signor Saint Clair è un ottimo imprenditore, con cui non si fa fatica a fare affari. Perciò, ecco, pensavo che dopotutto potremmo anche fermarci. Dopo più di dieci anni di ricerche infruttuose, penso sia arrivato il momento di dire basta. Tanto, è chiaro che non troverò mai chi ha ucciso gli zii e Lacey.»

Con quell’ultima frase, reclinò capo e spalle, sconfitto e sopraffatto dal dolore per non essere riuscito a vendicare il fratello.

Ma come dirgli che, proprio in concomitanza con la sua rinuncia, forse sarebbe venuto in contatto proprio con la creatura che tanto a lungo aveva cercato?

Ancora, Mark rimase in silenzio su quell’argomento così spinoso e, desideroso di risollevargli il morale in qualche modo, mormorò roco: «Oggi ho baciato Liza.»

Donovan si volse nuovamente verso il figlio, totalmente spiazzato da quella notizia, ed esalò: «Beh… è fantastico. Ma spero che lei fosse consenziente.»

«Papà…» brontolò Mark, accigliandosi immediatamente a quell’accenno.

«D’accordo, d’accordo, so che mio figlio non è un maniaco» lo rabbonì subito l’uomo, ben deciso a non perdere quell’occasione più unica che rara di parlare con Mark.

Da quanto tempo, discussioni come quelle, erano state retaggio unico di Diana? Da troppo, a suo dire e, anche se era grato al cielo che Mark si fosse affezionato subito, e così profondamente, alla sua nuova mamma, lui si era anche sentito un po’ messo da parte.

Ne conosceva ovviamente i motivi, ma gli aveva ugualmente fatto male.

Sentirlo parlare a quel modo – forse spinto dalla tristezza che aveva udito nella sua voce – lo aveva subito messo in allarme e, tra sé, lo aveva anche reso felice.

Cercando di non interromperlo, quindi, lo lasciò parlare di ciò che desiderava e, poco alla volta, il dolore causato dalla rinuncia alla sua personale caccia venne surclassato dalla gioia per aver ritrovato il figlio.

Forse, non poteva ottenere entrambe le cose. Giustizia e gioia, probabilmente, non erano contemplate in un pacchetto unico.

***

«Oh, e così Liza ha spifferato tutto?» esalò Iris, spazzolandosi distrattamente i capelli mentre parlava in videochiamata con Lucas.

Lui assentì comprensivo, replicando: «La poverina era a pezzi. Abbiamo davvero chiesto troppo, a tua cugina.»

«E’ stata la congiuntura cuore/dovere a fare i danni, non l’età di Liza» sottolineò Iris. «Guarda cos’ho combinato io al Vigrond londinese, quando pensavo che Dev volesse darsi la morte piuttosto che farsi vedere da me a spendere un po’ di dolore?»

Lucas annuì divertito, rammentando più che bene cosa avesse voluto dire vedere, per la prima volta, il potere del lændvettir svilupparsi dal corpo di Iris. Persino lupi più navigati di loro erano rimasti strabiliati.

«Oppure, voi ragazze losangeline vi lasciate prendere un tantino la mano, quando c’è di mezzo un uomo» ironizzò Lucas prima di curiosare alle spalle di Iris e domandare: «A proposito di uomo… dov’è finito il tuo?»

Sorridendo esasperata, Iris scosse il capo e borbottò: «Ha scoperto che Rey, il padrone di casa, ha una Harley Davidson, e così sono di sotto da ore a parlare di cromature, pneumatici, bielle e quant’altro. Alla fine, io e Litha, la moglie di Rey, ce ne siamo andate disgustate.»

«Almeno vi state divertendo?» scoppiò a ridere Lucas.

Addolcendo lo sguardo, Iris assentì e disse: «Sì. Anche se la situazione è strana e siamo tutti un po’ tesi, le rassicurazioni di Litha mi permettono di godermi questa vacanza come, diversamente, non sarei riuscita a fare. Dev, inoltre, è fantastico. Cerca sempre di non farmici pensare, ed escogita sempre qualcosa per distrarmi.»

Lucas sorrise compiaciuto, asserendo: «Credimi, si vede che con lui ti trovi bene, ma è anche vero il contrario. Non ho mai visto Dev così felice in vista sua, perciò sono contento per voi.»

«Tu e Rock non pensate mai di convolare a nozze?»

«Ci abbiamo pensato un sacco di volte ma, a dire la verità, non ne sentiamo la necessità. Stiamo bene così» scrollò le spalle lui. «Inoltre, da quando è diventato un licantropo, il nostro rapporto si è fatto così profondo che, delle regole umane, non sentiamo davvero più il bisogno. Non avevo mai capito davvero fino in fondo quanto fosse difficile – e limitante – avere un rapporto a metà, e ora che posso viverlo pienamente, ne sono appagato.»

«Bene» sorrise compiaciuta Iris. «Alla fine di questa situazione, però, potreste venire qui anche voi per un viaggio. E’ un posto che merita, e sarebbe come un viaggio di non-nozze.»

«Ne sono convinto, e credimi… sono davvero curioso di vedere di persona questa fantomatica Litha. Da quel che dice Dev, è una persona coi controfiocchi» ridacchiò Lucas.

Iris rise sommessamente – aveva idea che anche Lucas si sarebbe convertito al suo culto, una volta conosciuta la verità su di lei – e asserì: «La conoscerai di sicuro. Ha detto che ci accompagnerà a casa lei, quando finiremo la nostra vacanza… o se avrete bisogno di noi prima del tempo.»

«Possiede un jet privato come te?» ironizzò Lucas.

«Non sono io a possederlo, ma la ditta» sottolineò Iris. Era chiaro che neppure Dev si era lasciato scappare quel piccolo particolare su Litha, durante le sue chiacchierate con Lucas. Sarebbe stato uno spasso, vedere la sua faccia una volta messolo di fronte alla verità. «Comunque, ci ha promesso un ritorno celere in patria, e sono propensa a crederle.»

«Essendo amica di Brianna, sono sicura che è più che affidabile» assentì Lucas. «Comunque, per ora tutto tace. Continuate a godervi Guinness e quant’altro anche per noi.»

«Lo faremo di sicuro» assentì lei, salutandolo prima di chiudere la chiamata.

Scostandosi dal muro, Litha sorrise sorniona a Iris, che ammiccò complice, e dichiarò: «Avete davvero intenzione di fare un bello scherzo al vostro Fenrir, a quanto pare.»

«Ha bisogno di una ventata di novità, ogni tanto» chiosò lei, scoppiando a ridere assieme alla padrona di casa. «Ha la tendenza a prendersi troppo sul serio, a volte, e cose del genere possono aiutarlo a scrollarsi di dosso un po’ di polvere.»

Una cosa era certa. Il loro sarebbe stato un rientro col botto.

***

Qiugyat sembrava essere particolarmente desiderosa di compagnia, questa volta. Almeno, stando alle parole della sua creatrice.

Eppure, erano stati corretti. Erano giunti per tempo e non avevano lesinato nel concedere energia al suo sommo Fulcro. Era mai possibile che, ancora, non potessero allontanarsi e tornare a combattere contro il misterioso nemico che viveva al sud?

“Pazienta, mio amore, e sarai ricompensato con la più grande caccia a cui tu abbia mai partecipato.”

“Tu conosci i nemici che ci aspettano al sud?” domandò lui, pieno di aspettativa.

“Ne avevo sentito parlare nel corso dei secoli, ma non mi era mai capitato di incontrarne uno, perciò sono assai curiosa di incrociarne il cammino. Sarà bello confrontarsi con un nemico così forte.”

“Avevano un buon odore. Un odore potente” convenne lui, leccandosi le labbra con aria soddisfatta, pregustandone le carni tra le fauci.

Lei gli si avvicinò, carezzò il suo torace ampio e nudo, scese fino a sfiorare i suoi fianchi sottili, le cosce toniche e il membro già eretto per darle piacere dopodiché, sorridendogli, disse: “Faremo fiero pasto di tutti loro, e quell’energia ci sfamerà per anni e anni. Forse, riusciremo a donare a Qiugyat così tanto potere da non dover venire qui per molto tempo.”

“Potremmo viaggiare fino al sud del mondo, fino alle terre dei miei avi… ti mostrerei le bellezze del Brasile” ipotizzò a quel punto lui, afferrandola alla vita per schiacciarla contro di sé e farle percepire la pronta risposta al suo tocco malizioso.

“Sì, forse riusciremo a spingerci così lontano. Ma ora dobbiamo donare noi stessi a Qiugyat. Vieni, scendiamo fino al fiordo e immergiamoci in mare, così che Lei possa cibarsi di noi. Le dobbiamo così tanto!”

Lui assentì coraggiosamente, pur non apprezzando affatto quella parte dei loro rituali. La sua forza, però, derivava anche da quello scambio con la loro dea sanguinaria, e non poteva scontentare colei che aveva generato la sua stirpe.

La sua creatrice era stata lapidaria, su questo. Qiugyat andava onorata sempre, e a Lei andava donata parte della loro energia.

Ricordava ancora quando, più di dieci anni addietro, la sua creatrice lo aveva trovato ferito e in fin di vita in un vicolo, dopo che una banda rivale gli aveva teso un agguato, sparandogli alle spalle.

Lei gli si era avvicinata, lo aveva annusato, aveva sfiorato il suo sangue con un dito prima di portarlo alle labbra carnose e bellissime e, con un sorriso gelido, gli aveva chiesto: “Se ti salvo la vita adesso, tu sarai mio per sempre?”

Lui aveva assentito – avrebbe accettato qualsiasi cosa, pur di vivere, e cedere se stesso a una donna così bella, gli era parso un buon compromesso – e lei, senza alcun preavviso, lo aveva morso al collo procurandogli un dolore terribile.

Aveva sentito chiaramente mentre lei suggeva il suo sangue, alla stregua di un vampiro e, al tempo stesso, la sua creatrice gli aveva ghermito il membro e lo aveva tenuto nella mano per tutta la durata di quello strano salvataggio.

Alla fine, lo aveva sollevato da terra con straordinaria facilità, nonostante la sua altezza invidiabile e il suo fisico muscolare e, dopo averlo nascosto in un capannone in disuso, si era preso cura di lui.

Per giorni, aveva vagato tra la vita e la morte, febbricitante, mentre lei alternava abluzioni al suo corpo a sessioni di sesso sfrenato – cosa che ricordava bene, nonostante la febbre – fin quando, una notte, semplicemente si sera alzato, sano e vigoroso, non più lui.

Aveva gettato le mani avanti per prenderla tra le braccia, ma aveva scorto zampe di lupo al posto delle dita. Un attimo dopo, ogni parte del suo corpo era mutata, facendolo diventare l’animale che lui si era tatuato sul torace quando era uscito per la prima volta dalla galera.

Lei gli aveva sorriso soddisfatta, aveva mutato aspetto a sua volta e, parlandogli nella mente per la prima volta, aveva detto: “D’ora innanzi sarai il mio compagno, poiché il mio mi è stato strappato dalla vecchiaia. Grazie a me sarai forte, potente e invincibile, e potrai fare cose che il tuo debole corpo umano non avrebbe mai neppure potuto immaginare.”

Lui aveva annuito, e la donna che lo aveva salvato gli aveva spiegato i motivi della sua presenza a New York, e perché fosse ben decisa a farla pagare a coloro che le avevano rubato i resti del compagno morto.

Gli aveva spiegato da chi derivassero i loro straordinari poteri e perché fosse necessario, a ogni approssimarsi dell’inverno, recare doni – cioè, energia – alla loro dea, la potente Qiugyat, l’Aurora Sanguinaria del Nord.

Lui aveva accettato ogni sua parola come vera – non era appena sopravvissuto a quattro colpi di pistola alla schiena, e solo grazie a un morso? – e le aveva promesso appoggio nella sua vendetta, oltre che fedeltà assoluta e imperitura.

Così, lei gli aveva spiegato dove fossero i resti del suo compagno e gli aveva lasciato carta bianca sul modo di agire.

Era stato un bagno di sangue, il tutto però magistralmente orchestrato perché, a prenderne le colpe, fosse il padrone di casa, colui che aveva osato toccare le ossa del compagno della sua salvatrice.

Lei, in ogni caso, lo aveva rassicurato in merito all’aspetto più tecnico della loro aggressione; il DNA sulla scena del crimine. Nessuno di loro poteva essere riconosciuto dalla tecnologia umana, poiché i loro magici corpi non erano di quel mondo. Le macchine dell’uomo nulla potevano, contro di loro.

Una volta compiuta la mattanza, però, la sua creatrice non aveva più voluto recuperare le ossa dell’antico amante, ritenute ormai troppo insozzate da mani umane perché potessero tornare al loro luogo di riposo eterno.

A quel punto si erano dileguati e, da quel momento, avevano iniziato a peregrinare in lungo e in largo, senza mai tornare due volte nello stesso luogo per non destare sospetti, e senza mai uccidere allo stesso modo le loro vittime.

Pur se le tecnologie umane non potevano riconoscere il loro DNA, era inutile correre il rischio di lasciare – per così dire – una firma, perciò ogni nuova ricerca di energia per Qiugyat si era dovuta svolgere con modus operandi diversi.

La sete di sangue, però, era difficile da gestire e, in tre occasioni, aveva fallito nell’intento, venendo prontamente richiamato all’ordine e punito per aver trasgredito.

Una volta, invece, aveva tentato volontariamente di prendersi una giusta vendetta, di terminare un lavoro lasciato a metà ma, anche in quel caso, la sua creatrice lo aveva aspramente richiamato all’ordine.

Se non era Lei a volere una preda, lui non poteva mai permettersi di cacciare.

Era anche vero però che, a ogni nuova punizione, lui aveva saputo redimersi, portandole prede giuste e donandole il proprio corpo quando lo aveva desiderato.

Da parte sua, non aveva mai goduto così pienamente della vita se non da quando aveva conosciuto Lei, la sua salvatrice, colei che gli aveva fatto scoprire un nuovo modo di vedere il mondo, e di come approfittare della forza acquisita.

Inoltre, poter godere di una donna così bella da far girare la testa, era stato un bonus non previsto ma molto ben accetto. Lei sapeva fargli cose che neppure nei suoi sogni più sfrenati aveva mai immaginato di fare con qualcuno, e questo era stato un buon modo per fargli accettare anche le parti più scomode della sua nuova vita.

Come, per l’appunto, affondare nelle acque ghiacciate del fiordo per poter dare il proprio contributo alla sopravvivenza di Qiugyat.

Immergersi nel corpo di Lei, però, era sufficiente a tenerlo al caldo e a sopportare per giorni quel detestabile supplizio. Pensare alla prossima caccia, poi, era l’afrodisiaco migliore di tutti.

  
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