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Autore: Evali    23/11/2020    1 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Rivolta
 
La donna, la pelle bruna, ancor più scurita di quanto già non fosse a causa del semibuio della stanza, gli occhi color carbone e un lungo cespuglio di capelli neri che le scendeva lungo il corpo magro e la schiena, era seduta in mezzo alla stanza, intenta a guardare Beitris in piedi dinnanzi alla teca contenente il bambino straniero morto, lo sguardo vuoto e fisso, e le mani strette al bordo.
- Sono diventati una fissazione non da poco – commentò la donna in penombra, poggiando il mento sulla mano. – I due tanto amati topolini. Eppure, quando erano qui, non hai mai dimostrato loro tutto l’affetto e l’amore per cui ora ti struggi, a causa della loro mancanza – commentò, senza alcun tono di rimprovero.
Beitris restò con lo sguardo fisso dinnanzi a sé. – Non vogliono farmeli vedere. Non vogliono farli vedere a nessuno – disse solamente. – Solo loro possono vederli. Quei dannati monaci  … e quella serpe velenosa, che sembra la reincarnazione di Lilith … al solo pensiero che loro hanno il potere di vederli quanto e quando vogliono, mi ribolle il sangue come lava – sussurrò tra i denti, stringendo con forza il bordo di vetro della teca.
- Ci sono tanti orfani per strada – commentò l’altra donna con apparente non curanza. – Possiamo prendercene altri …
A tali parole, Beitris alzò le sue gemme verdi infuocate, puntandole su di lei. – Io non voglio altri orfani – le rispose tagliente, scandendo bene ogni parola. – Io voglio loro! Voglio loro! Non voglio nessun altro se non loro!! Rivoglio udire le loro risate scanzonate, rivoglio i loro sguardi pestiferi, rivoglio i loro litigi continui, le loro lamentele, rivoglio le loro urla acute, di gioia e tristezza, rivoglio i loro occhi, più belli dei raggi del sole …
Nessun altro potrebbe colmare ciò che loro erano in grado di darmi – le disse avvicinandosele e ponendosi di fronte a lei, ad un palmo dal suo viso, con le mani strette ai lati della sedia su cui l’altra era seduta.
A ciò, la donna sorrise, scoprendo i suoi denti bianchi, portandole una mano sulla guancia. – Allora, se è davvero così che stanno le cose, non potrò mai perdonarti se non ti muoverai immediatamente per fare tutto il necessario per riprenderteli – le sussurrò avvicinando le labbra alle sue, lasciando un intimo e delicato bacio su di esse. – Saresti disposta a disobbedire ad Ephram per riaverli? – le domandò poi.
- Sono arrivata ad un punto in cui sarei disposta ad uccidere Ephram e a dare in pasto le sue carni alle bestie pur di evitare che nessuno di quei monaci torca un capello a Maroine e a Maringlen.
- Bene. Ti servirà un po’ di aiuto. Sarò disposta a darti tutto ciò che ti serve, dato che ti sei tanto adoperata ad aiutarmi nella mia impresa, in questi anni, sorella. Hai invocato le Madri? Ti servirà anche il loro sostegno oltre che quello del nostro Signore.
A ciò, Beitris sorrise con fermezza e decisione, prendendo il ciondolo di un crocefisso appeso al contrario e baciandolo, mentre, con le labbra ancora attaccate alla croce capovolta, compì la sua invocazione:
- Mater Suspiriorum, Mater Lacrimarum, Mater Tenebrarum
Invoco il vostro eccelso potere.  
Lilith, Diana e Iside, le prime tre, le prime seguaci, le prescelte dal Signore
Invoco la vostra inestimabile saggezza.
Mio Signore, re dei re, Padrone onnipotente
Invoco il tuo sostegno e la tua protezione – disse, per poi allontanare il crocefisso e guardare fissa negli occhi la donna. – Sei con me, Myriam?
- Sempre.
 
Il ragazzino divaricò le gambe gradualmente, facendo strisciare le nuove scarpe sul pavimento umido e scivoloso della cella, allargò le braccia e tese il busto, la schiena aderita alla parete e la testa alzata.
- Vuoi stare dritto?? – lo riprese Maroine innervosita, mentre l’altro rideva sotto i baffi, con l’unico scopo di stuzzicarla. – Non riesco a misurarti l’altezza se allarghi le gambe! – si lamentò ancora ella, mentre lo vedeva finalmente accontentarla, e porsi con le gambe unite, attendendo che ella tracciasse un segno sul muro appena sopra la sua testa, con il metallo scuro della catena.
- Ora tocca a te – le disse Maringlen, lasciandole il posto e ponendosi di fronte a lei, tracciando il segno appena poco più sotto del proprio, in  cima ai capelli di sua sorella.
Quest’ultima si scostò dal muro e osservò i due segni. – Sei alto un centimetro più di me – disse.
- È solo perché ho il cervello più grande – rispose scherzosamente egli, beccandosi una gomitata che ricambiò prontamente.
- O forse perché mangi di più.
- Sei tu quello che non si contiene e che si ingozza ogni volta – ribatté Maringlen. – Forse resteremo chiusi qui dentro abbastanza tempo da crescere in altezza.
In seguito a quel commento, Maroine sembrò rabbuiarsi.
- Ehi? – la richiamò suo fratello, riavvicinandosele. – Non dicevo sul serio. Magari riusciremo a fuggire prima. Forse, Ephram e Beitris torneranno a prenderci come ci hanno promesso – cercò di rassicurarla.
- Non è per quello – rispose Maroine, fissando il proprio corpo, coperto dai vestiti larghi e puliti. – Tu mi vedi come un maschio o una femmina? – domandò improvvisamente, alzando gli occhi sul fratello, il quale non nascose la sua sorpresa dinnanzi a tale domanda.
- Che importa come ti vedo io? Come ti senti tu è l’unica cosa che conta.
- Rispondi alla domanda, Ira – lo spronò.
A ciò, il ragazzino si arrese. – Ti vedo in entrambi i modi. Sia come ragazzo, che come ragazza. Non ci faccio caso – disse sinceramente. – A volte ti vedo più ragazzo, altre più ragazza. Ad ogni modo, perché me lo hai chiesto?
Maroine rifletté tra sé, ancora incerta. – Non so se riuscirò a continuare ancora per molto, Maringlen.
- A far cosa?
- A far credere a tutti di essere un ragazzo. Non so se ci riuscirò. Il mio petto … si sta gonfiando, come aveva detto Beitris. Sento che mi preme troppo sotto la fasciatura per comprimerlo.
- Maroine – la richiamò suo fratello riavvicinandosele mentre le poneva le mani sulle spalle, ed ella lo guardava con gli occhi pregni di fiducia e di aspettativa. – Va bene – le disse sorridendole caloroso. – Va bene, se vuoi smettere. Nessuno ti condannerà per essere una ragazza.
- Se smetterò, non saremo più perfettamente identici agli occhi degli altri.
- E che importa?? Sarebbe strano rispetto a quello a cui siamo abituati ma andrebbe bene – le disse sorridendo di nuovo incoraggiante, fin quando il suo dolce sorriso non si trasformò in un ghigno furbo e divertito insieme, creando delle piccole rientranze sulle guance lisce, un'altra caratteristica solo e solamente sua. – E poi, se proprio vorrai che tutti ci trovino identici in tutto e per tutto, potrò sempre essere io a fingere di essere una ragazza.
Risero entrambi di gusto a quell’ultima frase, sguainati e rilassati.
Quando Maroine si riprese dal ridere, prese ad osservare suo fratello. – Lo faresti davvero?
- Intendi fingermi una ragazza come tu ti fingi ragazzo?
- Sì. Insomma a me non pesa farlo perché mi piace essere un ragazzo, molto più che essere una ragazza.
Ma tu saresti in grado di fare quello che faccio io, solo se io te lo chiedessi?
- Non lo so – rispose sinceramente Maringlen, riflettendovi su. – Per me sarebbe più difficile.
- Perché?
- Perché la voce mi tradirebbe. La mia è più rauca della tua e non riesco a camuffarla.
Tra qualche tempo, per me sarebbe impossibile spacciarmi per ragazza. Ma ora …
- Ma ora …?
- Ma ora non lo so. E poi …
- E poi nulla. Ora ne saresti perfettamente in grado, proprio come me, faccino d’angelo! – lo stuzzicò Maroine, venendo bonariamente fulminata da suo fratello, che le saltò addosso, lottando giocosamente con lei, come due gatti imbizzarriti.
- Ripetilo di nuovo se hai il coraggio! – la sfidò Maringlen bloccandola a terra, seduto a cavalcioni su di lei, mentre ella rideva a squarciagola e lo spingeva.
- Faccino d’angelo! Erano Myriam e Lilibeth a chiamarci così! – esclamò ella ridendo ancora. – O preferisci il modo in cui ci chiamava Selma, quella pazza di Selma?? Aspetta, com’era? Ah, sì: faccia da bambola!
I due lottarono per un altro po’, invertendosi le posizioni più volte, fin quando non si stancarono e non finirono entrambi con la schiena a terra e con il fiatone.
- Perché volevi saperlo? – chiese dopo un po’ Maringlen. – Se io fossi disposto a fare quello che fai tu, perché volevi saperlo?
- Curiosità – rispose Maroine voltandosi a guardarlo a sua volta. – Io ti proteggerei. Ti proteggerei sempre, proprio come ora e come tu hai fatto con me.
I due si sorrisero, facendo intrecciare le dita delle loro mani.
Maringlen si accorse che il braccio che sua sorella aveva sporto verso di lui per stringergli la mano fosse quello infortunato. In quel momento, gli tornarono in mente le sue parole di quel giorno, una delle volte in cui si erano addormentati insieme nel letto di padre Cliamon. – Mi taglierei un braccio anche io, per starti più vicino – sussurrò, facendola sorridere tristemente.
Improvvisamente, i due vennero richiamati da un monaco e prelevati dalla cella.
 
Padre Craig salì le scalinate che lo avrebbero portato alla biblioteca chiusa al pubblico della cattedrale dei servi del Creatore, condotto da un monaco che non aveva ancora avuto modo di conoscere.
- Grazie per avermi accompagnato – gli disse.
- Teoricamente, non potreste stare qui – lo ammonì il monaco, con il viso colpevole. – Questo sarà l’unico strappo alla regola e ve lo concedo solo perché Judith è la custode della biblioteca, ed ella mi ha parlato molto bene di voi, e mi ha detto che sareste passato questa mattina – gli disse l’uomo, per voltare le spalle e andarsene.
A ciò, padre Craig bussò alla porta della biblioteca, attendendo che Judith gli desse il permesso di entrare.
Quando udì la voce della ragazza accondiscendente dall’interno, entrò, guardandosi intorno, meravigliato dall’immensità e dalla bellezza di quella porzione di cattedrale, ingiustamente nascosta agli occhi dei più.
Aguzzando lo sguardo anche verso i presenti, padre Craig si accorse che la biblioteca fosse inaspettatamente affollata: un ragazzino biondo, con dei vestiti impeccabili, i capelli spettinati e delle larghe catene legate ai polsi che gli permettevano ampi movimenti, camminava per il maestoso salone, facendosi strada tra i vari scaffali di tomi, con sguardo tranquillo. Lo studiò per un po’, poi volse lo sguardo al centro del salone, sull’imponente tavolo che ospitava tre persone: Judith era seduta comodamente, con gli occhi grandi e scuri concentrati sulle pagine di un tomo in particolare, le gambe accavallate e un abito nero e lungo che le calzava alla perfezione, tra i più eleganti che era solita indossare del suo ampio guardaroba; padre Cliamon era seduto all’altro lato del tavolo, intento a scrivere qualcosa su alcune carte; mentre, alla destra di Judith, era seduto un ragazzino, esattamente identico a quello precedente, impegnato e concentrato a ricalcare le parole di un tomo su una pergamena.
Judith alzò il volto rilassato su padre Craig e gli sorrise. – Prego, padre, avvicinatevi. Non vi aspettavo così presto. Avevate detto che volevate parlarmi? – gli domandò gentilmente.
Il giovane prete si riprese dalla sorpresa e dallo spaesamento e si avvicinò al tavolo, venendo osservato sia dallo sguardo neutro di padre Cliamon, che dalle iridi color miele e curiose del ragazzino accanto a Judith, il quale non sembrava far caso all’impedimento delle catene ai polsi, proprio come il suo gemello.
- Dunque, questi sono i due ragazzini prigionieri e in attesa della condanna? – dedusse con ovvietà padre Craig. – Non credevo li teneste qui con voi. Non credevo neanche li avreste mai fatti entrare in un luogo chiuso al pubblico come la biblioteca – commentò senza alcun tono d’accusa, sedendosi di fronte a Judith, continuando ad osservare il ragazzino, che lo studiava a sua volta.
- Lui è Maroine, padre. Gli sto facendo ricalcare delle parti che mi interessano di questo tomo, nonostante ai suoi occhi queste parole appaiono solo come segni incomprensibili. Ci sta riuscendo bene – spiegò Judith sorridendo in direzione del ragazzino. – Lui, invece, è Maringlen – continuò ella, voltandosi ad osservare l’altro gemello, intento a riporre con attenzione alcuni tomi in degli scaffali specifici. – Gli sto facendo catalogare dei manuali, di cui stavo procrastinando la sistemazione. Dato che è trascorsa poco più di una settimana dalla loro incarcerazione, e che il braccio di Maroine è ancora in brutte condizioni, ho deciso di incaricare del compito più pratico e manuale Maringlen.
Padre Craig fece molta fatica a credere che quei due placidi ragazzini, dall’aspetto tanto luminoso, immacolato e curato, fossero gli stessi orfani stregoni di cui si parlava tanto, cresciuti in strada e aggressivi come belve.
- Loro possono stare qui perché sto facendo far loro dei lavoretti utili per me – continuò la ragazza.
- Voi, invece, non dovreste essere qui – osservò padre Cliamon.
- Gli ho chiesto io di venire qui, padre. Ieri sera padre Craig mi ha comunicato di volermi parlare – gli comunicò Judith. – Difatti, ve ne sarei grata se poteste lasciarci soli per un attimo – gli chiese sorridendo candida.
A ciò, padre Cliamon si alzò in piedi e, dando un’ultima occhiata apparentemente casuale a padre Craig, si avviò verso l’uscita della biblioteca.
Dopo ciò, padre Craig posò nuovamente lo sguardo sul ragazzino seduto, il quale aveva ripreso a ricalcare le parole del tomo sulla pergamena. – Loro due resteranno qui ad ascoltare ciò che vi dirò? – domandò lievemente incerto.
- Non preoccupatevi di loro, padre. Sono dei prigionieri e dubito siano interessati a ciò che mi direte – lo rassicurò Judith, guardandolo lievemente allarmata. – Va tutto bene, padre? Non avete una bella cera. Non ci vediamo da un po’.
- Da poco più di una settimana, sì – confermò sorridendo tristemente il giovane prete, cercando di sembrarle maggiormente in forma, fallendo. – Vi ringrazio di aver accettato di incontrarmi.
- Non ditelo neanche, padre – gli disse ella allungando la mano e poggiandola sopra la sua. – Siete uno dei pochi veri amici che ho – gli sorrise sincera. – Ditemi, cosa vi affligge? Avete avuto modo di parlare con Naren e di acquietare un minimo la vostra curiosità?
Padre Craig annuì. – Ho scoperto in quale corpo ho abitato quella notte. E quale corpo ha abitato il mio …
- Dunque?
- Conoscete la fanciulla dai capelli corvini e gli occhi verdi, l’amica di Blake? Ha parlato con lui sia la sera delle celebrazioni, sia qualche giorno fa, alla Taverna, prima che egli partisse.
- Sì, credo di aver capito chi sia. Si tratta di lei, dunque?
Il giovane prete annuì, preoccupato e amareggiato. – Il suo nome è Beitris. Ella, quella notte, si è risvegliata accanto a Blake, coperta di sangue non suo … ho assoluto bisogno di parlare con Blake.
 - Lo capisco, padre. Ma non fustigatevi ora, prima di aver scoperto qualcosa di concreto.
Io, quando mi sono svegliata, quella notte, era sola, isolata dagli altri. Eppure, è evidente che qualcuno si sia servito del mio corpo.
- E non siete turbata da ciò? Mi sono chiesto innumerevoli volte come facciate a vivere questa situazione con tranquillità, tutti voi servitori del Diavolo.
Se durante tali riti possono accadere cose come queste, perché li praticate? Perché lasciate che vi soggioghino?
Judith accennò un malinconico sorriso in risposta. – Non sempre ciò che è male è il male peggiore, padre.
- Cosa intendete dire?
- Talvolta, serve procurarci del dolore per comprendere cosa sia il piacere.
Talvolta serve uscire da noi, dal nostro corpo, per comprendere davvero il mondo che ci circonda.
Il rito dello scambio di corpi è molto pericoloso, lo riconosco, ed è quasi impossibile rimanere lucidi e coscienti mentre vi si sottopone.
Ma, pensate, per un attimo, a come dovrebbe essere vivere nel corpo di qualcun altro. Vedere, sentire e provare tutto ciò che vede, sente e prova l’altra persona, riuscendo ad avere una prospettiva totalmente diversa del mondo.
Non sarebbe l’atto di umanità più puro e rigenerante?
- Significherebbe anche privare l’altra persona del corpo … privare se stessi del proprio corpo.
- Perché riuscite a vedere tutto solo in termini di privazione?
L’arricchimento che ne deriverebbe ripagherebbe tutto.
- Ma non è ciò che è successo quella notte. Quella notte, il rito al quale ci siamo sottoposti ha generato solamente degrado, dolore e dissolutezza.
- Le nostre usanze, seppur alcune di loro siano estreme ai vostri occhi, servono a farci sentire più vivi e vicini al nostro Signore. Servono per farci dimenticare, solo per poco tempo, della vita che siamo costretti a vivere qui, della sofferenza e della morte alle quali siamo costretti ad assistere ogni giorno.
Per alcuni, questa è l’unica valvola di sfogo.
- Vi riferite alla magia nera?
- Io ho finito – li interruppe Maroine, porgendo la pergamena a Judith.
- Grazie, Maroine. Ora puoi andare ad aiutare tuo fratello con i manuali. Mi raccomando, però, non sforzare troppo il braccio – le disse carezzandole una spalla, per poi vederla alzarsi dalla sedia e raggiungere il gemello.
- Sembrano due ragazzini molto obbedienti – commentò padre Craig.
- Non lasciatevi ingannare, padre. So che ora vi sembrano due nobili principini ritagliati da un dipinto, ma tenete a mente che hanno vissuto in strada, e sanno fingere. Sanno fingere molto bene.
Sapete, sto imparando a conoscerli, passando tutto questo tempo a contatto con loro. E quello che sto conoscendo mi sta stringendo il cuore, animandolo.
- Vi siete affezionata a loro – prese coscienza egli.
- Sto cercando di trovare loro un rifugio sicuro, sicuro dai monaci e dagli stregoni, con l’aiuto di padre Cliamon.
- Dite sul serio …? Un rifugio fuori da Bliaint?
Judith annuì.
- E come?? Insomma, i due fanciullini sono stati cresciuti da stregoni. Mi è stato persino detto che presentano dei segni sul corpo, marchi occulti che caratterizzano gli stregoni, tracciati con un tipo di inchiostro indelebile. Ovunque vadano, fuori da Bliaint, verrebbero etichettati e riconosciuti come seguaci del Diavolo, dunque condannati a morte.
- Padre Cliamon è riuscito a mettersi in contatto con un uomo, un mercante, una sua vecchia conoscenza.
Egli proviene dalle terre dell’Est. Ne avete sentito parlare? – domandò la ragazza.
- Vagamente. So che le terre dell’Est sono molto più libertine e meno puritane rispetto al Nord, e che in alcune zone servono addirittura degli déi differenti dal Creatore e dal Diavolo. Dèi pagani.
- Esatto.
- Volete farli andare ad Est?
- Le terre dell’Est sono le uniche in cui non verrebbero giudicati, maltrattati, né tanto meno condannati per il loro credo – rispose la ragazza, tornando poi con gli occhi sulle pagine del tomo che aveva abbandonato sulle ginocchia accavallate, facendo comprendere al giovane prete che preferisse troncare l’argomento.
Padre Craig fece vagare lo sguardo a sua volta su quelle pagine, trovandovi tracciato sopra un particolare progetto architettonico. – Che cos’è? – domandò curioso.
- Fa parte di un progetto che ho in mente. Sto raccogliendo informazioni.
- Vi riferite al progetto che state portando avanti con Blake?
Judith alzò gli occhi su di lui, sorridendo premurosa e divertita insieme. – Non sarete geloso del rapporto che si è creato tra me e lui, e per non essere stato coinvolto da nessuno dei due, padre? – gli domandò genuinamente provocatoria, scrutando il suo sguardo.
- Niente affatto – si affrettò a smentire padre Craig, lievemente imbarazzato. – Sono davvero felice che tra voi due scorra buon sangue, Judith, ve lo garantisco – disse sincero, spostando distrattamente lo sguardo verso la pila di libri aperti che aveva raggruppato la ragazza, colmi di pagine contrassegnate e sottolineate da lei stessa. Riuscì a scorgere solo due parole scritte su una di quelle pagine, messe in risalto molteplicemente: “polvere nera”.
- Come sta il vostro bambino? – le domandò cambiando nuovamente discorso.
- Bene. Suppongo stia crescendo.
- Signorina Judith! Signorina Judith!! – esclamò un monaco piombando improvvisamente nella biblioteca, facendo spaventare i quattro presenti.
- Che succede?? – gli domandò la ragazza scattando in piedi.
L’uomo aveva il volto sbiancato e un fiatone tanto forte da farlo respirare a malapena. – Gli stregoni … gli stregoni hanno attaccato la cattedrale dei servi del Diavolo!!
 
Heloisa si inginocchiò dinnanzi all’altare sul quale svettava il crocefisso al contrario, pregando il suo Signore.
Quella mattina la cattedrale dei servi del Diavolo era particolarmente piena di fedeli.
Le parole di quel monaco del credo opposto l’avevano scossa profondamente.
Sapeva quanto Blake potesse essere incosciente e impulsivo talvolta, ma egli era anche attento e intelligente.
Non si sarebbe mai aspettata che potesse compiere un gesto tanto sconsiderato, per di più, senza dire nulla alla sua famiglia.
Quali erano le sue intenzioni? Nascondere che quel bambino fosse suo, continuando a vivere come voleva, come se niente fosse? Ingravidare giovani donne per poi lasciarle abbandonate a se stesse?
Heloisa sospirò, chiedendo la forza necessaria al suo Signore, per crescere suo nipote.
A dir la verità, sotto sotto, era felice di poter crescere un nipote.
Sperava potesse essere una bambina, in modo da sopperire alla mancanza della figlia che non aveva mai avuto.
Era certa che avrebbe saputo come crescerla, sicuramente meglio di Blake e della ragazza dai capelli rossi che portava in grembo il sangue del suo sangue.
Se sua nipote fosse stata testarda e ostinata come suo padre, sarebbe stato un vero danno.
Improvvisamente, dei rumori attirarono l’attenzione di tutti i fedeli verso la porta d’ingresso.
Delle figure incappucciate fecero il loro ingresso nella cattedrale, a decine, pietrificando anche i monaci che si trovavano nei dintorni.
Quando i nuovi arrivati si tolsero i cappucci, rivelarono degli sguardi che fecero raggelare il sangue di Heloisa.
Colei che era a capo del gruppo, una ragazza dai lunghi capelli corvini e gli occhi smeraldo, affilò un sorriso colmo di infida rabbia, perfidia e, forse, anche di una punta di disperazione, agli occhi di Heloisa.  
Ella alzò un pugnale verso l’altare del crocefisso al contrario e si perforò il palmo della mano con un lungo taglio, urlando: - Nel nome del nostro Signore, uccideteli tutti!!!
Heloisa non ebbe neanche il tempo di realizzare, poiché, in pochi secondi, si ritrovò immersa in un bagno di sangue.
Quelli che si rivelarono essere gli stregoni eremiti, al segnale della loro guida, si scagliarono violentemente su ogni monaco presente nella sala, sterminandone a decine.
I pochi monaci che non erano presenti nella sala, vennero raggiunti tramite le scalinate e accoltellati a loro volta.
Quando gli stregoni furono certi che ogni singolo monaco del Diavolo giacesse a terra senza vita, immerso nel suo stesso sangue e con le cornee rivoltate indietro, presero in ostaggio i fedeli presenti nella cattedrale, puntando le armi contro di loro.
Chiunque osava ribellarsi ai loro ordini o urlare, veniva pugnalato senza pietà.
Heloisa tremò enormemente, mentre stringeva convulsamente tra le dita il suo ciondolo con il crocefisso al contrario, rannicchiata a terra tra le navate, schiacciata agli altri fedeli tremanti e in lacrime.
Improvvisamente, qualcun altro osò entrare nella cattedrale, attirando l’attenzione di ostaggi e stregoni.
La figura della futura madre di suo nipote si palesò agli occhi di Heloisa, facendole salire il cuore in gola. Un improvviso moto di preoccupazione e di protezione per il nascituro la invase, facendola alzare in piedi; ma, non appena una delle streghe la notò, le intimò ferocemente di restare a terra, puntandole il pugnale contro.
Heloisa la accontentò immediatamente, guardando la scena a distanza.
Judith alzò le braccia al cielo, avvicinandosi cautamente alla ragazza con i capelli corvini.
- Guarda chi si vede … - commentò Beitris sorridendo tagliente e compiaciuta, mentre la vedeva avvicinarsi a sé e non riuscire a fare a meno di osservare le strisce di sangue ancora fresco che macchiavano la sua pelle e i suoi vestiti. – Cos’è, volete sacrificarvi per il bene comune? Non vi hanno avvertita di cosa stesse avvenendo qui?? – le domandò puntandole il pugnale contro.
- Sono venuta solo per contrattare – disse Judith mantenendo un tono di voce fermo e stabile, mentre la punta della lama si poggiò al suo ventre stretto al corpetto.
- Eccovi qui. Fiera e meravigliosa nel vostro dilagante lusso di una vita da sottomessa, ma piena di agi, di lusinghe, e di finta realizzazione spacciata per libertà! – sbottò acida la strega. – Svenduta per un po’ di gioielli, la pancia piena e qualche libro. Il disgusto che provo per voi mi fa rabbrividire – continuò velenosa, premendo ancora la punta del pugnale sul ventre della ragazza, la quale rimase immobile, con gli occhi fissi sui suoi, senza esternare alcuna reazione. – Devo ammettere, tuttavia … che avete coraggio – concluse Beitris facendo segno a Yarin di catturarla.
A ciò, il giovane stregone sorrise e si avventò su Judith, afferrandola da dietro e avvicinandola a sé, puntandole la lama del suo pugnale sulla gola mentre la teneva stretta per il busto.
Adeguandosi a quella nuova e scomoda posizione senza fiatare, Judith si guardò intorno, osservando i volti di tutte le streghe e gli stregoni che riuscì ad individuare.
- State cercando qualcuno? – le domandò Beitris.
- Dov’è Ephram?
A ciò, la strega scoppiò in una fragorosa risata. – Mi spiace deludervi, ma purtroppo non è presente. Speravate fosse lui a capo della rivolta?! Speravate di vederlo per contrattare con lui, perché è l’unico membro della nostra compagnia con cui avete già avuto modo di parlare?!
- Non l’unico – precisò Judith, vedendo gli occhi della strega animarsi di fuoco vivo, mentre si riavvicinava a lei e le si poneva ad un centimetro dal suo volto.
- Ascoltami bene, schifosa puttana: non vi permetterò mai più di fare ciò che vi pare e piace con Maringlen e Maroine.
Sono qui per riprenderli con me e per farvela pagare per averci massacrato in tutti questi anni.
Ora, siamo pari davvero. Possiamo conversare da pari, ora che abbiamo conquistato la cattedrale del nostro Signore e l’abbiamo resa la nostra roccaforte, ripulendola da tutti i vermi che la popolavano.
E, sappiate, che se non farete tutto ciò che vi chiederemo, sgozzeremo senza troppe cerimonie anche tutti i monaci dell’altra cattedrale, voi compresa – le sussurrò a fior di labbra, per poi allontanarsi.
- D’accordo. Vi ascolteremo e collaboreremo con voi – acconsentì Judith, ancora stretta dalla presa artigliante del ragazzo dietro di lei. – Ma, in cambio, lasciate andare tutti i fedeli.
- Non siete nella posizione di avanzare richieste – rispose Beitris facendo segno ad alcune streghe di andare ad occupare anche l’altra cattedrale.
Osservando il gruppetto di donne armate uscire dalla cattedrale per dirigersi nell’altra, Judith si ribellò istintivamente allo stregone, il quale rinforzò la sua forte presa su di lei, ridendo divertito mentre faceva scorrere la lama del pugnale sotto il mento della ragazza. – Non così in fretta – le sussurrò tra i capelli, oramai semi sciolti.
- Liberate i fedeli – insistette Judith, non demordendo. – Il vostro obiettivo sono i monaci. I cittadini comuni non vi hanno fatto alcun male. Lasciateli andare.
- Non riesco più a sentirla blaterare – si lamentò Beitris accontentandola, facendo segno ai rimanenti membri della compagnia di lasciar andare i fedeli, i quali si fiondarono verso l’uscita della cattedrale in massa.
Dopo qualche secondo in cui uno spettrale silenzio calò nel luogo, una voce familiare alla ragazza e che le fece gelare il sangue, giunse alle sue orecchie, rimbombando per tutto l’immenso salone oramai semivuoto.
Gli stregoni e le streghe rimasti si voltarono verso l’entrata della cattedrale.
- Judith … - sibilò con gli occhi colmi di disperata preoccupazione il giovane servo del Creatore che aveva avuto l’ardire di entrare nel luogo del massacro.
- Naren … - sussurrò Judith, guardandolo implorante, comunicandogli tramite i suoi occhi espressivi di voltarsi e uscire immediatamente di lì.
Ma egli non lo fece e, al contrario, avanzò verso di lei cautamente. – Che succede qui…? Che cosa ti stanno facendo…? – sibilò Naren, incurante di tutto il resto, concentrato solo sulla mano che circondava dolorosamente il busto della donna che amava, e sulla lama premuta sulla sua gola morbida.
- Guarda, guarda … a quanto pare siamo venuti a conoscenza di una relazione proibita dalle sacre leggi di Bliaint, ahimè – commentò sprezzante e divertita Beitris.
- Naren, vattene subito – gli intimò Judith.
- Oh, e perché dovrebbe?? – intervenne nuovamente Beitris. - Che scortesia, Judith! Il ragazzo è appena entrato. Accogliamolo come si deve.
 
- Presto, andiamocene via di qui e in fretta! – esclamò padre Cliamon ripiombando in fretta e in furia nella biblioteca che aveva lasciato poco prima sotto richiesta di Judith.
Vi trovò ancora dentro padre Craig, avvicinatosi spontaneamente ai gemelli.
- Che è successo all’altra cattedrale …? – domandò il giovane prete impaurito e sconcertato. – Perché Judith se ne è andata via correndo non appena l’ha saputo?? – chiese ancora, come se padre Cliamon avesse la risposta a tutte le sue domande. – Hanno preso prigioniera anche lei??
- Non lo so! – esclamò Cliamon innervosito, afferrando strettamente la mano ad entrambi i ragazzini. - Judith è andata a contrattare, nonostante io abbia cercato di fermarla! Non ci rimane che pregare per lei ora, pregare che quei flagelli divini posseggano ancora un po’ di buon senso da ascoltarla! Ora dobbiamo pensare a metterci in salvo e a portare via i gemelli, prima che vengano anche qui!
Maroine e Maringlen stavano venendo maneggiati come marionette, mentre ascoltavano passivamente i due, spaesati e confusi dall’intera situazione.
Improvvisamente, una donna spaventosamente somigliante alla prima strega che Cliamon aveva condannato al rogo da ragazzo, la splendida dea dalla pelle scura e dagli occhi penetranti, si palesò davanti ai suoi occhi, con i vestiti quasi totalmente zuppi di sangue, facendolo sbiancare.
Myriam avanzò adagio e con tutta la calma del mondo, verso i due ragazzini ancora con le mani strette a Cliamon, sorridendo.
Quando fu dinnanzi a loro, li osservò e il suo sorriso mellifluo si allargò. – Buongiorno, faccini d’angelo. Siete felici di rivedermi?  
 
 
   
 
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