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Autore: Red Owl    27/11/2020    0 recensioni
Quando un terremoto distrugge la sua città natale, Annabel lascia Epona e si trasferisce su Nantos-A, un pianeta scarsamente abitato. Lei e Seth, il suo fidanzato, intendono sposarsi e dare vita a una nuova famiglia, ma le leggi e le superstizioni del luogo li costringono a separarsi. Annabel si ritrova così legata a un uomo silenzioso e dal passato oscuro. Piena di rabbia e di rancore, la ragazza è determinata a non piegarsi a quell'ingiustizia, ma presto le diventa chiaro che la realtà è ben più complicata di quanto non sembri al primo sguardo. Ricongiungersi a Seth adesso non è più il suo unico obiettivo: deve anche restare in vita.
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I tre giorni che li separano dalla data del matrimonio sono frenetici. Appena arrivata a Huim la ragazza aveva temuto che le ore sarebbero scorse lente, quasi interminabili nell’attesa che il giorno delle nozze arrivasse, permettendo a lei e a Seth di iniziare una nuova vita lontano dalla casa comune.

La realtà si rivela ben diversa. La mattina del primo giorno, Nisha viene a bussare di buon’ora, chiamandola a gran voce. Quando Annabel rotola giù dal letto e apre la porta, quasi si scontra con la donna, che l’attende con il pugno alzato, in procinto di bussare di nuovo, e l’aria combattiva. Alle sue spalle Kalika si sta strofinando gli occhi, i capelli neri raccolti in una treccia approssimativa e un’espressione decisamente assonnata. 

Forza!” sbotta Nisha, senza nemmeno prendersi il disturbo di salutarla. “Basta dormire, che dobbiamo iniziare con i preparativi per il matrimonio!”

Annabel boccheggia, indecisa se mandarla al diavolo o se ubbidire come un bambino che riceve un ordine dalla maestra. Basta uno sguardo degli occhi infuocati della vecchietta per farla però desistere da ogni intento bellicoso, e Annabel incontra sconsolata lo sguardo di Kalika, che scuote appena il capo.

Non è il caso di protestare, dunque. La giovane azzarda soltanto un’occhiata in direzione di Seth, che la sta osservando con aria confusa da sotto le coperte. “Il mio fidanzato…”

Nisha la zittisce con un cenno imperioso della mano. “Ai giovanotti ci penserà Mada. Voi due venite con me.”

Pettinandosi come può i capelli con le dita, Annabel segue la donna al piano inferiore, con Kalika che le sta silenziosamente alle calcagna. Mentre scendono le scale di legno registra distrattamente che la giovane mora si muove senza fare il minimo rumore, quasi i suoi piedi non si posassero sui gradini di legno, ma li sfiorassero appena. 

Nisha le guida attraverso la stanza nella quale si sono radunati il giorno prima e le conduce in un locale piccolo, quasi interamente occupato da un tavolino quadrato. “Sedute” ordina loro, indicando con un dito gli sgabelli posti attorno a esso.

Le due ragazze obbediscono e la donna le lascia sole, uscendo con passi frettolosi dalla stanza. Appena la porta si richiude alle sue spalle, Kalika si sporge verso l’altra giovane. “Secondo te cos’è questa storia?” le chiede in un sussurro. È la prima volta che le rivolge la parola e Annabel nota che ha una voce sottile e un accento che ammorbidisce le consonanti.

Ad Annabel non piace parlare con gli estranei, quindi si limita a scrollare le spalle e a mormorare un non so volto a scoraggiare ogni altro approccio. Non che Kalika le sia antipatica: è solo che preferisce starsene sulle sue e non perdersi in discorsi inutili che non servono a nulla se non a far passare un po’ il tempo. Nisha tornerà presto e loro scopriranno perché sono state portate in quella stanzetta. A che serve fare congetture?

E, in effetti, la vecchietta ritorna una manciata di minuti più tardi, reggendo tra le mani un vassoio di legno su cui sono posate due tazze piene di un liquido denso e ambrato, due fette di torta e alcune zollette di zucchero. “La colazione” annuncia posando il vassoio sul tavolo.

Annabel prende una delle due tazze e se la porta al naso, annusandone il contenuto. “Cos’è?” chiede, rivolta a Nisha.

Latte con estratto di cicoria” replica la vecchia, e la ragazza posa immediatamente la tazza sul tavolo, trattenendo a stento una smorfia di disgusto.

Nisha nota però il suo gesto e spinge nuovamente la tazza verso di lei. “Bevi!” le ordina. “Qui non si spreca il cibo.”

Annabel la fulmina con lo sguardo. Non è abituata a sprecare il cibo, lei: sa che è prezioso, sa che anche il più misero filone di pane ha un costo e sa che il denaro è difficile da guadagnare. A Yuba, un’ora in fabbrica le fruttava quindici denari, un filone di pane abbastanza grande per sfamare lei e Seth per un paio di giorni ne costava otto: più di mezz’ora passata ad avvitare viti talmente piccole che a fine giornata gli occhi le bruciavano. Questo non significa però che sia disposta a mangiare qualsiasi cosa le venga messa sotto il naso.

Sta per replicare quando Kalika lascia cadere una zolletta di zucchero nell’altra tazza e poi ne sorseggia prudentemente il contenuto. “Non è male” dice poi, cercando i suoi occhi.

Annabel esala lentamente dal naso, poi prende tre zollette di zucchero - le piacciono i dolci - e le fa scivolare nel latte, sollevando dei piccoli schizzi di liquido ambrato. Malgrado l’idea di bere quella roba le dia il voltastomaco, riconosce che è troppo presto per intraprendere una battaglia sulle piccolezze.

Tutto sommato, la bevanda è meno terribile di quanto si aspettasse. Dolce - ma è colpa dello zucchero - e con un retrogusto amaro che ricorda vagamente quello del caffè. Ha bevuto di peggio.

Mentre le due ragazze sbocconcellano la torta che è stata loro offerta, Nisha spiega quale siano i preparativi per il matrimonio su cui si devono concentrare: è tradizione che durante la cerimonia nuziale gli sposi si scambino dei piccoli gioielli fatti a mano. Un ciondolo, un bracciale, degli orecchini.

La vecchia porta loro tutto il necessario - corda, spago, perline e ganci metallici - e le due giovani si mettono al lavoro. Kalika si affanna per creare un ciondolo appena dignitoso, ma Annabel trova che l’impegno non sia gravoso. Ha una buona manualità e il compito la diverte. Con dita abili, la ragazza assembla un braccialetto di cuoio e perline rosso corallo. Forse è una cosa sentimentale, ma il colore le ricorda i boccioli di giglio che Seth le ha regalato il giorno del loro primo appuntamento e le sembra giusto restituirgli il dono il giorno del loro matrimonio.

Annabel non si ferma spesso a riflettere sui sentimenti, ma le sembra che ci sia una strana poesia in quel gesto e quella notte permette a Seth di fare l’amore con lei, anche se la stanza di Kabir e Kalika è separata dalla loro da una parete sottile e lei non può fare a meno di pensare che, se non stanno attenti, gli altri due ragazzi potrebbero sentirli. Ma non è importante, alla fine dei conti: lei vuole bene al suo fidanzato e non ha ragione di vergognarsi di nessun aspetto dell’amore che li lega.

Il secondo giorno le due giovani lo passano in compagnia di Shiera. I suoi modi sono più delicati di quelli di Nisha, la sua voce è più sottile e meno rauca, eppure ad Annabel quella donna non piace. 

Si scopre a guardarla con sospetto, incapace di concentrarsi su ciò che la vecchietta sta cercando di insegnarle. Poiché in quel posto si vive di pesce e Annabel non sa come si faccia a pulire una trota o a cucinare un’anguilla, Shiera le mostra come incidere il ventre del pesce utilizzando un grosso paio di forbici dalla punta acuminata. La ragazza è però distratta: ha notato che i sorrisi incoraggianti che la vecchia le rivolge non raggiungono mai i suoi occhi, e la cosa la turba. La punta della forbice sfugge al suo controllo e Annabel si punge un dito: una ferita piccola, ma profonda, dalla quale zampilla un fiotto di sangue scarlatto. La giovane lo guarda scivolare sul ventre pallido e immobile del pesce, allargandosi su di esso fino a scivolare all’interno dello squarcio che lei stessa ha inciso nella sua carne. Quella commistione di vita e morte, di sangue umano e sangue animale tocca qualcosa nelle profondità del suo animo e Annabel sente che un presagio le serra la gola.

D’istinto, la ragazza lascia cadere il pesce sul tavolo, resistendo a stento alla tentazione di scagliarlo lontano da sé. 

Non è niente” le dice Shiera, avvicinandosi a lei con un rotolo di garza. “Basterà fasciarlo, poi potrai tornare a lavorare.”

Annabel lascia che la donna le medichi la ferita, ma si rifiuta di riprendere in mano la trota. “Mi fa schifo” dichiara, scegliendo di non parlare della strana sensazione che l’ha assalita quando ha visto il suo sangue scivolare nel corpo morto del pesce. Sa che è solo suggestione, un’ombra nata dallo stress e dai molti cambiamenti che stanno avendo luogo nella sua vita: non vale la pena spenderci troppi pensieri, ma, decide Annabel, il pesce lo può preparare Seth. A lei nemmeno piace cucinare.

Shiera non è della stessa idea. “Devi imparare” le dice con una ruga profonda che si disegna tra i suoi occhi sbiaditi e già pesantemente segnati dall’età. “Come farai a dare da mangiare a tuo marito, se non sei capace di pulire il pesce?”

Lei scrolla le spalle con noncuranza. “A Seth non dispiace cucinare. Può pensarci lui: io mi occuperò del resto.”

La vecchia la osserva per una manciata di secondi e poi scuote il capo, ma non insiste, concentrandosi invece su Kalika, che sta giudiziosamente seguendo le sue istruzioni.

Il resto della mattinata va meglio: le due ragazze sono già in grado di cucire e rammendare, anche se Kalika, che a Yuba era una sarta, è ancora una volta più abile di Annabel. Annabel ha un buon occhio sulle erbe e una buona memoria che le consente di imparare i nomi delle piante officinali, entrambe sanno fare di conto e non sono inclini a sprecare la moneta e nessuna delle due è dotata di una vanità eccessiva, anche se Kalika tiene molto ai suoi lunghi capelli neri. 

Shiera pare soddisfatta, ma l’umore di Annabel è rovinato e quando, nel pomeriggio, Mada le prende in carico e mostra loro quelli che saranno i loro abiti da sposa, la ragazza non riesce a emozionarsi alla vista della veste azzurra che la donna le posa tra le mani. È graziosa, confezionata con più cura di quanto si sarebbe aspettata e impreziosita da dei ricami floreali, ma ogni volta che chiude gli occhi Annabel rivede la pelle del pesce e il sangue che la ricopre.

Quella sera ne parla con Seth, sperando che la presenza del ragazzo la aiuti a placare la sua mente agitata. E un po’ funziona, perché Seth la rincuora, dicendole che deve solo riposarsi un pochino. “Quella vecchia non piace nemmeno a me” le confessa avvolgendola nel lenzuolo e poi stringendosela al petto. “Sembra tutta carina e gentile, ma scommetto che sotto sotto è una strega.”

Con le labbra del ragazzo sulla fronte e le sue mani sulla schiena, Annabel sente che la tensione le abbandona le membra, ma una piccola parte di essa rimane aggrappata alla sua mente. C’è un pericolo, lì da qualche parte: non è ancora in grado di identificarlo, ma sa che c’è. Il che forse non è un male: almeno adesso sa che deve tenere alta la guardia. 

Il terzo giorno Annabel teme di incontrare di nuovo Shiera e i suoi occhi pallidi, ma Nisha - è sempre lei che viene a bussare alla sua porta di mattina - scuote la testa davanti alla sua domanda diretta. “No”, le dice, “oggi non tedierete me e le mie sorelle: tu e l’altra signorina passerete del tempo in compagnia di Romed, che vi educherà sulle regole del villaggio. Vedete di impararle bene e di non diventare degli animali notturni.”

La giovane aggrotta la fronte, senza riuscire a trattenersi. “Animali notturni? Cosa vorrebbe dire?”

Nisha sbuffa, apparentemente irritata dalla sua ignoranza. “È solo un modo di dire” spiega comunque. “Vuol dire… vivere come animali notturni’ vuol dire essere dei criminali, della gente che è incapace di vivere all’interno della società e che deve quindi essere allontanata da essa.”

Ah…” Annabel annuisce, ricordando ciò che Seth le aveva spiegato qualche giorno prima. “Il mio fidanzato mi ha accennato qualcosa a proposito del fatto che chi fa qualcosa di sbagliato viene praticamente cacciato dal villaggio.”

La vecchietta le pizzica un braccio con le dita ossute, facendola trasalire. “Non basta fare qualcosa di sbagliato per venire mandati via dal villaggio” le dice con sdegno. “Occorre fare qualcosa di molto, molto sbagliato, tipo ammazzare qualcuno.”

Annabel si strofina con vigore il braccio per disperdere il dolore e fulmina la donna con gli occhi. “Io non ho nessuna intenzione di ammazzare qualcuno” sibila, prima di aggiungere: “Credo.”

Non fare la spiritosa, ragazza” la rimbecca Nisha. “Non è davvero il caso.”

E comunque è un modo di dire stupido” continua la giovane, incapace di tenere a bada la propria irritazione. “Non ce li avete i ratti o i pipistrelli? Gli animali notturni vivono nel villaggio, quindi il paragone è idiota.”

Gli occhi neri di Nisha si puntano nei suoi. “Vengono nel villaggio, sì, ma non sono i benvenuti. Di loro non sappiamo nulla, le loro vite sono segrete, ignorate, e dimenticate quando sorge il sole.”

Oh, pensa Annabel. Damnatio memoriae, ricorda, riportando ancora alla mente la conversazione avuta con Seth. L’arrivo provvidenziale di Kalika la risparmia dal dover rispondere e la ragazza lascia cadere la conversazione. Per diversi minuti, però, sente su di sé gli occhi di Nisha, che la osservano e giudicano.

Diversamente da quanto si sarebbe aspettata, il colloquio con Romed è individuale ed è Kalika a entrare per prima. Per un tempo che le pare interminabile, Annabel siede nella stanza in cui Nisha l’ha lasciata in compagnia di una brocca d’acqua e fissa le gocce di pioggia che scivolano lungo la finestra. Non l’è mai piaciuta, la pioggia. Odia l’umidità che le gela la pelle e le si insinua nelle ossa, ma ancor più odia la luce grigiastra che le preme sugli occhi e sulla mente, la cappa funerea delle nuvole che le pesa sull’animo, come per sprofondarlo nel fango.

Quando finalmente la porta si apre, Annabel è talmente assorta nei propri pensieri che si accorge della presenza di Kalika solo quando la ragazza le sfiora la spalla con i polpastrelli. “Puoi andare” le dice con voce gentile.

Per una frazione di secondo è tentata di chiederle cosa deve aspettarsi dall’incontro con Romed, ma poi decide che è inutile crearsi dei preconcetti e si allontana da lei con un cenno del capo.

La stanza in cui l’uomo l’attende è in tutto e per tutto simile a quella in cui ha passato i due giorni precedenti. Solo l’arredamento è diverso: il tavolo qui è piccolo e basso e non ci sono sedie, ma due divani in legno massiccio ricoperti da cuscini foderati da una stoffa ruvida.

Romed è seduto su uno di essi e ad Annabel non serve che si alzi in piedi per notare che è eccezionalmente alto: le sue gambe sono talmente lunghe che, per non urtare il tavolino posto di fronte a lui, l’uomo deve tenerle piegate di lato.

Distrattamente Annabel pensa che da giovane deve essere stato piuttosto attraente. Ancora adesso le sue spalle sono larghe e dritte, il suo viso ha dei tratti decisi, ma non sgradevoli, che le rughe dell’età rendono ancora più incisivi. Dei baffi curati, neri e sottili, incorniciano le sue labbra asciutte donandogli un’aria da condottiero di altri tempi. Ha degli strani occhi scuri, allungati e sprofondati nelle orbite, e i capelli, pettinati all’indietro e fissati sul cranio con qualche tipo di olio, devono essere stati neri, un tempo: ora sono di un grigio scuro sulle punte e argentei alla radice.

Quando la vede comparire sulla soglia, l’uomo le sorride - Annabel nota i canini appuntiti - e le fa cenno di accomodarsi sul divano ancora libero. “Annabel, giusto?” le dice a mo’ di saluto.

Lei annuisce. “Annabel Jensen.” Ci tiene a specificare il proprio cognome, anche se non è collegato a nessuna famiglia reale: è solo un nome assegnatole in maniera casuale dall’addetto della Previdenza Sociale che per primo ha preso in mano la sua pratica, ma la ragazza ci è affezionata. È parte di lei e della sua storia, così come quel nome, Annabel, con il quale è stata battezzata in onore della vecchietta che l’ha trovata accanto a un cassonetto della spazzatura, mezza morta di freddo e con ancora il cordone ombelicale attaccato, e l’ha portata in ospedale. La sua salvatrice è una donna senza identità e senza volto, ma non c’è giorno che la ragazza non le rivolga un pensiero grato - anche se è probabile che sia ormai morta da tempo.

Jensen” ripete Romed, annuendo come se quel cognome avesse un qualche significato particolare. “Dovrei spiegarti come funzionano le cose qui al villaggio, ma sospetto che il tuo fidanzato ti abbia già detto tutto. Non è così?”

La giovane annuisce. “Sì: Seth mi ha riferito quello che gli è stato spiegato il giorno in cui siamo arrivati qui.”

L’uomo pare approvare. “Benissimo: non amo ripetermi o perdere tempo.” 

Il suo volto mantiene un’espressione gentile, ma le sue parole sono secche e Annabel aggrotta la fronte, incerta su come interpretare lo stato d’animo del suo interlocutore.

Romed pare accorgersi della sua confusione e i suoi occhi studiano i lineamenti di lei. Dopo qualche secondo, l’uomo si sporge leggermente verso la ragazza. “Quindi dimmi solo una cosa, Annabel: hai intenzione di causare problemi?”

La giovane si sente avvampare. “Io… no, signore” sbotta dopo qualche istante, offesa da quell’insinuazione. “Perché dovrei causare problemi?”

Non lo so” replica l’uomo. “Però sei giovane e vieni da un posto molto diverso da questo. Ci si aspetta che tu segua delle regole e delle convenzioni sociali che ti sono estranee e personalmente non mi stupirei se dovessi sentire un certo desiderio di ribellione.”

La ragazza affonda gli incisivi nel labbro inferiore, incerta su come replicare a quell’osservazione. Romed non ha modo di saperlo, ma in passato lei ha effettivamente avuto qualche problema a sottostare alle regole che le venivano imposte. Ma era giovane e idealista: adesso le cose sono cambiate. Adesso è cresciuta e ha la testa sulle spalle: sa di non avere un carattere facile, ma ha imparato a controllarlo e a tenere a bada i propri scatti d’ira e insofferenza. 

Il mio unico desiderio è quello di vivere in pace” dice allora. “So che è probabile che ci saranno delle cose che non mi piaceranno, ma so anche che sarò capace di accettarle e di conviverci. Ho imparato da tempo a scendere a compromessi con la realtà, signore.”

Romed la osserva in silenzio per qualche istante, poi annuisce. “Mi fa piacere sentirtelo dire” dice in quello che ad Annabel pare un tono sincero. “Non sei una che accetta passivamente le cose, non è così?”

Annabel è presa in contropiede da quella osservazione. “Non saprei, signore” replica incerta. In tutta sincerità non è certa di conoscere la risposta a quella domanda.

Mh.” L’uomo inclina la testa di lato e per qualche istante i suoi occhi indugiano sull’angioma sul volto della ragazza. “Una volta anch’io mi sono ritrovato in una situazione simile alla tua, sai?”

La giovane incontra i suoi occhi. “Sì?”

Lui annuisce. “Anch’io vengo da un altro pianeta. Sono stato costretto a lasciarlo quasi vent’anni fa e non è stato facile ricominciare una nuova vita in questo posto; anche perché io non avevo il conforto di una moglie con cui condividere le difficoltà.”

Oh.” Come d’abitudine, Annabel limita al minimo le proprie risposte. Sarebbe quasi tentata di chiedergli se non ha mai preso moglie, ma la cosa non le interessa davvero. 

A differenza tua, io sono venuto qui di mia spontanea volontà e non perché non avevo altre alternative”, continua l’uomo, “ma ho dovuto affrontare comunque molte difficoltà. Le cose non sono sempre andate come avrei voluto che andassero, ma con il tempo ho imparato che dagli imprevisti non vengono per forza solo cose brutte. Se sei abbastanza intelligente, puoi imparare a sfruttarli a tuo favore. Tu sei intelligente, Annabel?”

È uno strano discorso e la ragazza desidera sottrarvisi, ma non può certo infilare la porta e scappare nella camera che divide con Seth. “Non lo so, signore. Non particolarmente, credo.”

La risposta sembra divertire il suo interlocutore. “Io invece credo di sì” la contraddice. “Sono certo che saprai ottenere il massimo dalle cose che troverai qui. Magari sulle prime non ti piaceranno, ma poi capirai come trarne vantaggio.”

Annabel contrae nervosamente le mani. Romed la sta lodando, in un certo senso, eppure ha l’impressione che l’uomo stia cercando di metterla in guardia nei confronti di qualcosa. Ci saranno difficoltà lungo la sua strada? È probabile, si risponde, ma c’è da aspettarselo, tutto considerato. E allora da dove nasce quel senso di disagio che le striscia nel petto? Di nuovo, la sua mente le ripropone l’immagine del sangue che si espande sul ventre della trota. Basta! Si impone, scuotendo leggermente la testa per allontanare quei pensieri.

Va tutto bene?” le chiede Romed, forse confuso da suo silenzio.

Annabel incontra i suoi occhi. “Sì, signore. Non sono certa di capire cosa intende, ma immagino che dovrò prendere le cose come vengono e affrontare una difficoltà alla volta, non è così?”

Esattamente” conferma lui. Quando la giovane non aggiunge altro, si reclina nuovamente sullo schienale del divano. “Hai domande? Qualcosa in particolare che desideri chiedermi?”

La ragazza ci riflette per qualche istante, poi scuote il capo. “No, signore.” Forse sarebbe meglio approfittare di quell’occasione per chiarire ogni possibile dubbio o perplessità, ma la sua mente è stranamente vuota. Grazie a quello che ha appreso negli ultimi giorni, Annabel sa cosa aspettarsi dalla sua vita futura, almeno a grandi linee: affronterà i punti poco chiari man mano che emergeranno, come è sua abitudine fare.

Un angolo della bocca di Romed si solleva in un sorriso storto. “La tua amica aveva un sacco di domande” commenta.

Annabel si stringe nelle spalle. “Io invece no.” E Kalika non è mia amica, aggiunge silenziosamente.

L’uomo annuisce e poi si alza in piedi. “Meglio così, allora. Suppongo che puoi andare: ci vedremo domani, in occasione del tuo matrimonio.”

Anche Annabel si alza dal divano, sollevata dal fatto che quell’incontro sia giunto al termine. “A domani, signore.”

La ragazza fa per girarsi, quando l’uomo socchiude la bocca come per aggiungere altro. Annabel si interrompe a metà movimento e corruga la fronte, invitandolo a continuare. Lui però richiude la bocca e scrolla il capo: qualsiasi cosa stesse per dire, ha rinunciato a pronunciarla.

Romed le passa accanto ed esce dalla stanza prima di lei. Quando la porta gli si richiude alle spalle, Annabel la fissa per qualche istante, incapace di scacciare il sospetto che quelle parole soffocate fossero importanti..

   
 
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