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Autore: Mary P_Stark    15/12/2020    2 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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17.

 

 

 

A svegliarla fu il rumore delle ossa che si spezzavano e delle urla di qualcuno a cui, presumibilmente, queste ossa erano state appena spezzate.

Chanel aprì gli occhi doloranti solo per scoprire di essere stata condotta fin sulla cresta di un monte, o almeno così le parve a una prima occhiata.

Era circondata da rada vegetazione battuta da un vento gelido, e il colpo d’occhio che riusciva ad avere da quel punto di osservazione le diceva che erano molto più in alto rispetto al bosco in cui era svenuta.

Ombre lunghe e cupe si stavano allungano sull’orizzonte mentre il tramonto, ormai prossimo, tingeva il cielo e le nubi che, evidentemente, dovevano aver condotto in zona un temporale. A giudicare dai suoi abiti zuppi e dal terreno umido, doveva aver piovuto per diverse ore.

Rade stelle erano ormai visibili a est, pallide e tremolanti, dandole l’idea di quanto fossero ormai prossimi alla notte. Sulle creste delle Montagne Rocciose, i rossi e i viola del tramonto stavano scomparendo rapidamente e, grazie a questa luce residua e all’altitudine a cui si trovava, capì quanto fossero distanti le prime luci della civiltà. Erano lontanissimi da tutto!

«Ah, la principessina si è svegliata…» ghignò l’uomo che li aveva bloccati nel mezzo della foresta, puntando i suoi occhi animaleschi su di lei.

Subito, Chanel si mise seduta e arretrò in preda al panico, tastandosi poi il corpo alla ricerca di qualche segno di violenza. Non ricordava nulla di quanto successo dopo l’attacco della donna nel bosco, che aveva impedito loro di fuggire, perciò quell’uomo poteva averla anche…

Il ghigno del maschio si trasformò in un ringhio animale, quando lui le disse: «Non ti ho violentata, se è quello che temi. Non mi abbasso più ad assaggiare carne di donna a quel modo, se non da Lei.»

Quel ‘lei’ gorgogliò fuori dalla gola dell’uomo con così tanta devozione che Chanel si chiese se si stesse riferendo alla donna che l’aveva colpita. Nel guardarsi attorno alla sua ricerca, singhiozzò inorridita quando vide, a pochi passi dal suo zaino, la figura accucciata della creatura bionda che l’aveva immobilizzata.

Era splendida per bellezza e perfezione quanto terribile e glaciale nello sguardo e, in quel momento, stava curiosando tra i suoi effetti personali come se le fossero in qualche modo alieni, estranei.

«Mi aiuti… la prego…» sussurrò Chanel, tentando di far leva sull’appartenenza al medesimo sesso. Immaginava in tutta coscienza quanto fosse inutile – visto che si trovava accanto all’uomo che li aveva attaccati – ma le sembrò assurdo non tentare.

La femmina, allora, si volse a guardarla e Chanel, in quel momento, si accorse finalmente quanto poco, in lei, vi fosse di umano, o anche soltanto umanamente accettabile.

Gli occhi erano del tutto neri, privi della consueta sclera bianca e le lunghe ciglia chiare – quasi bianche – accarezzavano una pelle liscia come alabastro e del tutto priva di difetti, oltre che di peluria. Sembrava essere completamente glabra, con l’unica eccezione della folta chioma color biondo platino.

Della sua nudità – così come era stato per l’uomo – non si faceva il minimo scrupolo e, quando si alzò per raggiungerla, Chanel seppe in qualche modo che quella donna era ancor più pericolosa di colui che stava infliggendo ferite orribili a Fergus.

Indietreggiando su mani e pieni nel vano tentativo di sfuggirle, Chanel ansimò disperata quando la donna la afferrò al collo con una presa ferrea e, iniziando a piangere, balbettò: «P-perché c-ci fate q-questo?»

«Perché non dovremmo? Siete cibo, no?» replicò con candore la donna, inclinando il capo per poi usare la mano libera per strapparle la cuffia dalla testa.

Questo scatenò una violenta reazione dei recettori del dolore e, per poco, Chanel non svenne nuovamente, soffocata dal riverbero degli stimoli nervosi nel suo cervello.

Le ferite sul cuoio capelluto si riaprirono irreparabilmente e un lembo di pelle del cranio le scivolò verso il basso, esponendo all’aria gelida di quell’altura la carne lacerata.

Le lacrime fluirono ora copiose ma tutto venne dimenticato per un attimo, quando Fergus lanciò un grido così feroce e straziante da cancellare qualsiasi altra cosa.

Subito, Chanel si volse nella sua direzione e, urlando a sua volta, si portò le mani alla bocca quando vide il volto dell’uomo affondare nel ventre di Fergus, deciso a dilaniarlo. Ma, come se quell’orrore non fosse sufficiente, le carni dell’uomo mutarono sotto i suoi occhi allucinati e divennero lupo.

Mentre il sangue colava a fiotti dal corpo ormai morente di Fergus, Chanel continuò a urlare e urlare, il suo cervello sovraccaricato da immagini e input in contrasto tra loro.

Chiuse perciò gli occhi, serrò le orecchie con le mani, ma l’orrore non se ne andò e, quando sentì uno strattone al braccio che la portò a cadere a terra, seppe di essere a un passo dalla stessa straziante fine.

La donna la volse sulla schiena, le allargò le gambe con le ginocchia e, piegatasi su di lei, le sorrise a un palmo dal volto e sussurrò melliflua: «Non sei felice? Sarai il nutrimento di akhlut… diverrai energia vitale per una dea.»

Chanel scosse il capo, non comprendendo il significato di quelle parole ma, ormai pronta all’inevitabile, chiuse gli occhi e sussurrò: «Ti voglio bene, mamma…»

La donna sorrise, spalancò la bocca – dove le fauci stavano già allungandosi per prendere forme animali – e si gettò su di lei per divorarla.

Non giunse mai, però, a colpire.

Una folata di vento scaraventò via il corpo che premeva a terra Chanel, o così almeno parve alla ragazza, quando non percepì più la presenza dalla donna malvagia che aveva desiderato ucciderla.

Quando osò riaprire gli occhi, vide a poca distanza la figura alta e imperiosa di una donna dai neri e fluenti capelli che, furente, si stava parando tra lei e la femmina che aveva tentato di divorarla.

«Non così in fretta, akhlut» esordì la donna corvina.

La creatura dai capelli biondo platino, allora, rise sorpresa e divertita, esalando subito dopo: «Non mi dire… una figlia di Dana! Neppure sapevo foste ancora in vita!»

Il lupo intento a divorare Fergus si bloccò, sconcertato da quel nuovo arrivo e akhlut, dopo averlo scrutato per un attimo, fece un cenno col capo al suo sottoposto perché si allontanasse, dopodiché si rivolse di nuovo alla sua avversaria.

L’amarok, pur controvoglia, obbedì all’ordine ricevuto e lasciò il cadavere del giovane che aveva appena predato, così da poter fuggire dall’altura dove si erano rifugiati per non essere disturbati.

Litha lo squadrò per un attimo, decidendo di lasciarlo perdere – dopotutto, la valle era piena di licantropi, e avrebbero pensato loro a fermarlo – quindi, beffarda, celiò: «Sei lontana da casa, pesciolino troppo cresciuto.»

Akhlut non si irritò affatto per quell’indubbio insulto e, anzi, replicò: «E tu mi sembri troppo giovane per poterti mettere al mio stesso livello.»

Accigliandosi leggermente, Litha si chiese fuggevolmente quanti anni potesse avere quella dea-orca, ma ella non le diede il tempo di pensare.

Trasformandosi in lupo, la attaccò e Litha, forse per la prima volta da secoli, ebbe paura.

***

Lei gli aveva ordinato di allontanarsi, e a questo si era attenuto, ma non si sentiva tranquillo nel sapere la sua Creatrice da sola con quella donna dai capelli corvini. Gli era parsa assai potente e pronta a tutto, e lui non poteva accettare che venisse fatto del male alla sua dea.

A ogni buon conto, suo compito era obbedire agli ordini, e non avrebbe deluso la sua akhlut venendo meno al patto stretto con Lei.

Discese perciò verso valle, nelle vene il potere della giovane vita che aveva appena strappato e, senza dare peso agli odori dei nemici che stava avvertendo intorno a sé, accelerò il passo e si allontanò sempre più dal campo di battaglia.

Uccidi! Uccidi quante più persone puoi! Le loro morti serviranno da monito a questa sciocca donna, e mi daranno energia per combatterla!

Questo gli aveva detto prima di farlo fuggire, e questo avrebbe fatto.

***

La sera era ormai calata e i colori sanguigni del tramonto erano scemati dietro la coltre di alberi della foresta, dove le ombre si allungarono ulteriormente e si fecero più oscure, più sinistre.

Le torce elettriche vennero accese una dopo l’altra, mentre i nomi di Chanel e Fergus venivano urlati ai quattro venti, nella sempre più vaga speranza che qualcuno rispondesse ai loro richiami.

Donovan non fu da meno. Urlò, scrutò e analizzò ogni traccia, ma ogni tentativo di trovarli sembrava essere vano.

Quei due ragazzi parevano essere svaniti nel nulla. O forse, più semplicemente, avevano rubato un’auto, o preso un autobus, e ora decine di persone li stavano cercando inutilmente in mezzo alla selva canadese.

Se così fosse stato, sarebbe stato in parte un sollievo – i volontari e la polizia sarebbero stati lieti di non trovare due cadaveri – ma anche una fonte di disagio enorme per i genitori, e l’inizio di una punizione a vita per i ragazzi.

Se invece le loro peggiori previsioni si fossero rivelate esatte, e un folle li aveva rapiti, Donovan pregò in ogni modo di trovarli… non importava come, né in che stato. Vivere senza sapere la verità era la condanna peggiore che potesse capitare, e lui non la augurava a nessuno.

Già sul punto di muoversi verso ovest per scandagliare un’altra fetta di foresta, Donovan si vide sbarrare a sorpresa la strada da uno dei soccorritori che faceva parte del suo gruppo. Charlotte Abrahams gli pose un braccio innanzi, impedendogli di fatto di avanzare ma, prima ancora di potergliene chiedere il motivo, il professore vide sbucare dal bosco la figura flessuosa e potente di un lupo.

Trovandosi – al pari dei suoi compagni – in un’ampia radura, non fu difficile scorgerlo e, per Donovan, quella vista lo raggelò sul posto per un istante. Cos’avrebbero fatto, a quel punto?!

Subito, anche Rock e Mike Perkins – il poliziotto che si era unito al loro gruppo – portarono i loro sguardi sull’animale ma, a sorpresa, non parvero per nulla spaventati dalla presenza di quell’animale… lordo di sangue?

Era mai possibile che quell’animale avesse fatto del male ai ragazzi che stavano cercando?, si chiese sconvolto Donovan.

«Si nasconda dietro di me, Charlotte» mormorò a quel punto Donovan, tentando di portarsi cavallerescamente dinanzi alla donna.

Lei, però, scosse il capo, lo spostò a forza dietro di sé – sorprendendo non poco il professore – e, sogghignando all’indirizzo di Rock, domandò: «Che facciamo, ora?»

«State attenti. E’ lui che cerchiamo, ma sembra avere qualcosa di strano che non mi piace» ringhiò Rock, lanciando poi un’occhiata a Mike. «Chiama Curtis e digli che abbiamo stanato l’amarok. O meglio… lui ha stanato noi.»

Donovan si irrigidì al suono di quel nome ancestrale e che, tra le sue mille e più ricerche, aveva incrociato più di una volta. Perché avevano chiamato il lupo a quel modo? Cosa sapevano che non era stato detto loro durante il briefing?

«Perché lo avete chiamato così?» intervenne quindi Donovan mentre osservava turbato i movimenti sinuosi del lupo, apparentemente calmo e pronto ad attaccarli da un momento all’altro.

«Non ora, Donovan… le spiegherò dopo» sibilò Charlotte, parandoglisi sempre innanzi e seguendo attenta i movimenti del lupo, quasi donna e animale danzassero un segreto ballo ancestrale.

Mentre Mike chiamava via radio un certo Curtis – se non ricordava male, il capo della polizia – Donovan scrutò dubbioso la donna che si stava ostinando nel volerlo proteggere e domandò: «Cosa dovrebbe spiegarmi, dopo?»

Non vi fu tempo di rispondere a quella domanda. L’amarok si gettò su Mike snudando un arsenale di zanne di tutto rispetto e, solo per un soffio, non centrò il braccio del poliziotto che, nel guardarsi la camicia lacera, esclamò: «E’ velocissimo, cazzo!»

«Charlotte, l’Abbraccio della Morte!» esclamò allora Rock, già pronto a subire il secondo attacco del lupo.

La donna si mosse lesta, rispondendo a quell’apparente frase senza senso con una velocità inumana e che sorprese ulteriormente Donovan. Impreparato ai suoi movimenti, così come alla sua immane forza, il professore venne sospinto a terra, in ginocchio, e subito circondato dalle braccia di Charlotte che, alle sue spalle, divenne uno scudo umano contro qualsiasi attacco.

 «Cosa succede?!» esalò a quel punto Donovan, più che mai confuso e sconcertato dall’idea di essere stato manovrato come una bambola di pezza da una donna che pesava forse la metà dei suoi chili.

«Succede che usciamo allo scoperto perché abbiamo l’ordine di proteggerla, professore» ammiccò la donna, sguainando un arsenale di artigli e zanne che fece rabbrividire l’uomo.

«Siete… siete… siete come…» tentennò Donovan, incredulo e fuori di sé.

«Le conviene murarsi la bocca, prima di paragonarci a mostri hollywoodiani, o a quella creatura che sta cercando di affettarci come bistecche» lo mise in guardia Charlotte, minacciandolo con uno sguardo che non ammetteva repliche.

Donovan, allora, si azzittì e volse il capo per seguire la bestia che Rock aveva chiamato amarok e che, in quel momento, riuscì ad atterrare Mike prima che lo stesso Rock non la sospingesse via… con le sue mani artigliate!

Un attimo prima di mettere a parole il suo sconcerto, Charlotte mormorò al suo orecchio: «Sì, lo siamo tutti e tre e sì, ci batteremo per salvarla, se potremo. Noi non vogliamo la morte di nessuno, contrariamente a quell’affare laggiù.»

Cercando di mantenere la calma e prendere per buone le parole della donna, Donovan prese dei grandi respiri a pieni polmoni e, roco, chiese: «Cosa significavano le parole di Rock?»

«L’Abbraccio della Morte è una manovra difensiva che viene insegnata alle sentinelle di diversi branchi ma che, di solito, non usiamo noi lupi. Viene usata da un altro membro del clan di cui ora non starò a discutere, visto che abbiamo altro a cui pensare.»

Ciò detto, si alzò in piedi trascinando con sé anche Donovan e, nel sospingerlo verso il bosco, esclamò: «Coraggio, andiamo! Ci offrono copertura per allontanarci!»

Donovan preferì non chiedersi come lo sapesse e si limitò a correre al pari di Charlotte, che sembrava orientarsi benissimo nonostante, ormai, nella foresta non si vedesse a un palmo dal naso.

Limitandosi perciò a seguirla da vicino, il professore cercò di non pensare a ciò cui era stato testimone ma la sua mente – e ciò che per anni aveva soltanto ipotizzato – giocò a suo sfavore.

La paura prese il posto del raziocinio e dell’ovvietà di ciò che stava accadendo e, dopo alcune centinaia di metri passati a correre e inciampare, si fermò di colpo e iniziò a scuotere il capo, in preda alla paura più cieca e alla rabbia più rovente.

«Potete essere stati voi, a ucciderlo… non posso fidarmi… non posso…» iniziò a borbottare Donovan, scuotendo nervosamente il capo.

Charlotte bloccò di colpo la sua corsa, tornò indietro per afferrarlo a un braccio e, furiosa, lo scosse con una discreta dose di forza per poi urlargli in faccia: «Se avessimo voluto farla fuori, lo avremmo fatto una volta giunto a Clearwater, non ci pensa?! Invece, guarda caso, due miei fratelli si stanno battendo per difenderla e…»

Bloccando la sua arringa, Charlotte si guardò intorno irritata e, sospingendo Donovan contro una pianta, ringhiò: «Merda! E’ sfuggito a Rock e Mike!»

“Sta andando verso sud-est!” esclamò Rock nella mente di Charlotte.

“Voi state bene?!” chiese subito la donna.

“Sì, ma Mike ha una ferita al tendine d’Achille e non può camminare. Lo porterò da Chuck e Douglas, ma tu devi inseguire l’amarok. Da quella parte c’è il Vigrond!”

Charlotte impallidì visibilmente, a quella notizia e, preoccupata, mormorò: «Oddio, Chelsey… Liza…»

Donovan si riscosse immediatamente, nell’udire quei nomi e, afferrato che ebbe un braccio della donna, esclamò: «Cosa c’entrano, loro? Cosa succede?!»

Charlotte lo fissò ombrosa, ma replicò con tono pratico: «Succede che quella bestiaccia si sta dirigendo verso la casa di due ragazze a cui noi tutti teniamo molto. Ecco cosa sta succedendo

A quella notizia, Donovan si lasciò crollare a terra, del tutto deprivato di ogni forza, ed esalò sconvolto: «No… non Mark e Diana…»

Accigliandosi immediatamente, la donna domandò lesta: «Cosa c’è che non va?»

«La mia famiglia… loro si trovano a casa Saint Clair» gracchiò Donovan, gli occhi spalancati per il panico.

«Merda! Merda! Merda!» esclamò a quel punto Charlotte, picchiando un pugno contro il vicino abete che stava sorreggendo Donovan.

La pianta vibrò in risposta al trattamento maldestro della donna che, nel risollevare di peso Donovan, lo riscosse con forza e disse: «Se vuole aiutarmi a salvarli, deve piantarla di credermi un mostro e collaborare. Se la sente?!»

Lui assentì un paio di volte, ancora stordito dal mare di informazioni che lo aveva investito come uno tsunami e Charlotte, senza perdere tempo ulteriore, si piegò su un ginocchio e ordinò: «Salga. E non si faccia venire degli scrupoli di coscienza. Potrei annodarla come uno spaghetto cotto attorno alla pianta, perciò non si preoccupi di pesarmi sulle spalle.»

Pur trovando tutto assurdo, Donovan obbedì e, contro ogni legge della fisica a lui conosciuta, la donna non soltanto riuscì a sollevarlo, ma si mise a correre con facilità, incurante del peso che le gravava addosso.

A quel punto, Donovan non ebbe più dubbi. Charlotte avrebbe potuto davvero annodarlo come uno spaghetto cotto ma, in primo luogo, non lo aveva ancora fatto e, secondariamente, stava correndo all’impazzata per salvare la sua famiglia.

Forse, dopotutto, non erano loro i nemici che lui aveva cercato negli ultimi dieci anni. L’ombra che aveva annientato la famiglia di suo fratello, spingendolo in quella Crociata senza speranza, non avrebbe mai messo a repentaglio la propria vita per salvarlo.

Forse, alla fine, era quell’amarok, la causa di tutto.

***

Odori più morbidi, più dolci e succosi. Odori umani… o non del tutto, ma che comunque sapevano di carne saporita e delicata.

Sì, avrebbe mantenuto quella strada e avrebbe fatto strage di tutti coloro che avrebbe incontrato lungo il cammino.

***

«Che cosa?!» esclamò Devereux, cercando istintivamente il braccio di Iris non appena Rock ebbe terminato di metterlo al corrente sulla situazione.

La radio gracchiò altre parole, ma lui non le ascoltò. Lasciata la ricetrasmittente a Lucas – che annuì al suo indirizzo – strinse la mano poggiata sul braccio di Iris e ringhiò: «Quel bastardo si sta dirigendo verso casa nostra. Dobbiamo tornare indietro per fermarlo.»

«Raggiungerò io Litha. Voi pensate alla vostra famiglia. Correte» disse loro Lucas, sospingendoli via.

Iris non se lo fece ripetere. Pur se erano ormai nelle vicinanze del Grizzly Mountain, dove avevano percepito l’odore di Litha – e perciò assai lontani da casa –, non avrebbero perso un solo attimo e sarebbero corsi a casa alla massima velocità possibile.

Gli altri lupi erano troppo sparpagliati nel bosco, per poter giungere in loro soccorso – le squadre si erano spinte così in là da rendere necessario l’uso delle radio, invece del contatto mentale, e solo Charlotte si trovava già in zona – perciò toccava a loro quella corsa contro il tempo.

Lucas, invece, avrebbe pensato a supportare Litha, nel caso in cui lei ne avesse avuto bisogno.

Iris e Dev sperarono davvero che Charlotte potesse giungere in tempo per poter dare una mano a Chelsey e Liza, e che loro riuscissero nell’intento di raggiungere casa in tempo per essere a loro volta d’aiuto. Diversamente, nessuno dei due sapeva cosa avrebbe potuto succedere in seguito.

***

Chelsey si ridestò dal falso sonno che l’aveva presa dopo aver tanto parlato delle proprie paure a Diana e, balzando ritta sul divano, scrutò ombrosa le porte finestre, come in attesa di qualcosa.

Impegnata a discorrere con Liza in merito alla sua scelta per l’università, Diana sorrise nel vedere la bambina nuovamente desta ma, quando scorse l’ansia sul suo viso, le domandò turbata: «Tesoro, hai avuto un incubo?»

Nello stesso momento, Liza ricevetta da Muninn un segnale di allerta e, a sua volta, scrutò ansiosa Chelsey. Era chiaro quanto, il suo sviluppato olfatto di licantropo, stesse percependo qualcosa provenire dal bosco.

“Stiamo tornando il prima possibile, mamma!” le urlò Muninn nel frattempo.

Liza registrò quell’informazione – aveva mandato entrambi i corvi in perlustrazione perché dessero una mano a Litha, perciò anche loro si trovavano molto distanti da casa, al momento – e, tra sé, si chiese come agire.

Era forse giunto il momento di gettare la maschera?

Mentre Chelsey scuoteva il capo turbata in risposta alla domanda di Diana, la ragazzina lanciò un’occhiata significativa a Liza dopodiché, con uno sbuffo, mormorò: «Che facciamo, adesso?»

Mark si adombrò in volto, a quelle parole e, al pari di Chelsey, anch’egli cercò con lo sguardo Liza che, passatasi le mani sul viso percorso dall’ansia, asserì: «Okay, piantiamola di fingere. Non mi sembra davvero il caso, ora come ora. Spiegherò tutto io a Lucas.»

Diana li guardò alternativamente con aria interrogativa e Mark, spiacente, disse: «Dobbiamo dirti una cosa che, forse, faticherai ad accettare, ma si tratta della pura verità, e non possiamo più nascondertela.»

«Cosa intendi dire, Mark?» mormorò ansiosa la donna. «Non avrai per caso messo incinta Liza? Per questo siamo qui?!»

Sia il giovane che la ragazza avvamparono in volto, simili a due cerini accesi e Chelsey, nonostante l’ansia provata a causa del rapido avvicinamento del nemico, scoppiò a ridere ed esalò: «Magari fosse così! Sarebbe tutto più semplice!»

«Chelsey!» esclamarono in coro i due giovani, fissandola rabbiosi e imbarazzati.

Lei, per contro, scrollò le spalle nel tornare seria e replicò serafica: «Pensate che fare accettare a Diana il fatto che io sia un licantropo, sia più semplice che parlare di un’eventuale gravidanza di Liza?»

Diana, a quel punto, fissò Chelsey con espressione sconvolta e Mark, sospirando esasperato, borbottò: «Liza non ci è andata per il sottile, con me, ma anche tu non scherzi, Chelsey. Ve lo insegnano a un corso, a sconvolgere la gente?»

«Ma che succede?!» esclamò a quel punto Diana, scuotendo le braccia con aria sbigottita.

Prima ancora di poter dire qualcosa – qualsiasi cosa – per chetare la madre, Mark si bloccò nel momento stesso in cui vide Chelsey arcuarsi in avanti e sibilare impaurita: «Liza… è qui.»

Mandando all’aria qualsiasi copertura, Liza portò la mano destra dietro la schiena e, sollevata la felpa, estrasse una pistola nichelata e borbottò: «Guai a te se esci, Chelsey. Mi incazzerò di brutto, se lo farai.»

Ciò detto, si avventurò verso la cucina sotto gli occhi straniti e confusi di Diana ed estrasse la spada che, fino a quel momento, era rimasta nascosta tra gli stipiti di un mobile.  Lapidaria, quindi, ordinò roca: «Rimanete in casa e non vi muovete da qui per nessun motivo.Avrò già il mio bel daffare a tenerlo a bada, senza dover pensare anche a voi.»

Mark afferrò lesto le spalle della madre per convincerla a sedersi nuovamente sul divano e Liza, spiacente, guardò la donna con occhi colmi di contrizione e ammise: «Si sta avvicinando colui che la ferì alla gamba, Diana, ma non permetterò che entri in casa. La proteggerò a qualunque costo.»

«Mark… ma cosa…» tentennò Diana, rabbrividendo suo malgrado di fronte alle parole proferite da Liza.

«Sanno chi ha ucciso lo zio, mamma… ed è lo stesso che ferì te. Ma ora dobbiamo fare quanto ci dice Liza e, se possibile, ti chiedo di non spaventarti, se vedrai far fare cose strane a Chelsey» la abbracciò strettamente Mark prima di lanciare uno sguardo preoccupato in direzione di Liza.

Lei scosse il capo, estrasse un paio di pugnali dalla sua cintura e li consegnò a Mark dicendo: «Sono addestrata a combattere, e farò quanto mi è possibile per proteggervi. Ma sai cosa può ucciderlo e, se io non riuscirò, chiedo a te e Chelsey di provare a fermarlo.»

Mark annuì e, lasciato temporaneamente il fianco della madre, la abbracciò con forza e mormorò tra i suoi capelli: «Fai di tutto per non morire. Ti prego

«Cercherò» assentì lei, tentando di apparire più forte di quanto non si sentisse in realtà.

Chelsey la guardò turbata, rabbrividì per un istante ma infine disse: «Percepisco Charlotte nelle vicinanze, ma impiegherà almeno un paio di minuti, prima di arrivare. Sembra rallentata da qualcosa, e correre schivando le piante non è mai facile.»

«Riesci a parlarle mentalmente?» le chiese Liza.

La ragazzina scosse spiacente il capo – non era ancora riuscita a governare quella parte dei suoi poteri, e Chuck ipotizzava fosse a causa dei traumi psicologici legati al rapimento – e mormorò: «Proverò ancora, ma dubito di riuscirci.»

Liza allora annuì, strinse forte pistola e spada e borbottò: «Due minuti. Okay. Vedrò di resistere. Diversamente, tu e Mark sapete cosa fare.»

Ciò detto, uscì di casa sotto gli sguardi terrorizzati di tutti e Diana, scioccata, si aggrappò al figlio ed esalò: «Cosa vuole fare? E perché ha quella spada?»

Mark non riuscì a risponderre, quando vide un lupo uscire dal fitto della boscaglia e Diana, impallidendo visibilmente, gracchiò terrorizzata: «E’ lui! Com’è possibile che si trovi qui?!»

Il giovane guardò per un istante la madre ma, ancora, non riuscì a proferire parola, la mente interamente concentrata su Liza, sola contro il nemico e armata unicamente di una pistola e una spada.

***

“Ti aiuteremo anche noi, mamma!” esclamò Muninn, sorvolando la casa assieme a Huginn, finalmente giunti a destinazione.

“State lontani dalle sue zanne, per carità!” replicò Liza, turbata al pensiero che i suoi corvi venissero falciati da quei denti spaventosi.

“Ti aiuteremo. Senza se e senza ma” protestò Huginn, atterrando al fianco di Liza al pari di Muninn.

Lei li scrutò ansiosa, serrando maggiormente la spada tra le mani dopodiché, livida, puntò l’arma contro l’amarok – in tutto e per tutto simile a un lupo naturale – e ringhiò: «Questa abitazione ti è preclusa. Sei su luogo sacro senza esserne degno, perciò ti ordino di retrocedere e allontanarti.»

Per tutta risposta, il lupo mutò in uomo sotto gli occhi di Liza, chiarendo una volta per tutte la sua natura di mutaforma. Mentre in casa Diana strillava per il panico e la sorpresa, la giovane Geri rimase imperturbabile e aggiunse: «Se pensi di spaventarmi, caschi male. Sono Geri del branco di questa cittadina, e so come combattere creature come te.»

«Nessuno può vincermi. Né tu, né i tuoi amici licantropi» rise l’uomo, sfiorandosi con un dito il petto villoso e ricoperto di sangue umido, prima di portarselo alla bocca e leccarlo bramoso. «Divorerò anche te, così come ho divorato quel ragazzino nel bosco.»

Liza accusò il colpo, accigliandosi ma, sempre tenendo l’arma sollevata, ringhiò: «Hai ucciso Fergus?!»

«I nomi non contano, umana. Contano solo il sapore della carne e la dolcezza del sangue, che io ora sento scorrere dentro di me come nuova linfa vitale» replicò l’uomo, avanzando di un passo prima di annusare l’aria, sorridere ghignante ed esclamare: «Una mia vecchia preda! Finalmente posso terminare il lavoro che fui costretto a lasciare a metà… non l’avrei mai creduto possibile.»

«Fermati!» strillò Liza, sparandogli un colpo, che centrò il polmone destro dell’uomo.

Lui reclinò lo sguardo, ringhiò infastidito nel notare la ferita aperta sul torace e lo strano liquido grigiastro che ne fuoriusciva e, con un sibilo, ringhiò roco: «Non puoi fermarmi …neanche con questi strani proiettili.»

«L’avvelenamento da argento non fa bene a nessuno, questo è poco ma sicuro, e poi io non sono qui per fermarti, ma solo per rallentarti» replicò lei prima di scaricargli addosso tutto il caricatore della sua Beretta nichelata.

I colpi andarono tutti a segno, disegnando un discutibile dedalo di fori e strisce di ioduro d’argento sul corpo enorme dell’amarok che, disturbato da quel contaminante, iniziò ad aggrottare la fronte per il fastidio.

Non contenta, Liza espulse il caricatore vuoto e ne inserì uno nuovo – che si trovava allacciato alla sua cintura – e, nuovamente, esplose tutti i colpi contro il mutaforma.

Questi la fissò rabbioso, ma non demorse nella sua avanzata verso la casa. Sì, sembrava dolorante, ma niente affatto preoccupato dall’avvelenamento del sangue che, entro breve, avrebbe dovuto iniziare a fare il suo decorso.

Ansimando per l’ansia, Liza elevò quindi la spada e si lanciò contro di lui al pari dei suoi due corvi mentre l’uomo, intorbidito dall’argento liquido che si stava mescolando con il suo sangue, ringhiò un’imprecazione e tornò a mutare in lupo.

Ottantotto secondi, pensò tra sé Liza mentre si abbatteva sul lupo.

Questi schivò il colpo di Liza con facilità, falciò l’aria con una zampa e gettò a terra uno dei corvi prima di dedicare la propria attenzione all’umana che aveva osato ferirlo.

Liza si lanciò in un paio di affondi di spada prima di schivare le zanne del lupo che, seppur ferito, sembrava non risentire granché del veleno che aveva in corpo.

Muovendosi come Rock le aveva insegnato, riuscì a evitare diverse volte sia le zanne che gli artigli dell’amarok ma, quando quest’ultimo affondò una zampa nel suo polpaccio, non poté esimersi dall’urlare per il dolore.

Deprivata temporaneamente del controllo sul proprio corpo, crollò a terra, la mano sinistra premuta sulla ferita sanguinante mentre la destra, pur se tremante, ancora tratteneva la spada.

Fu in quel momento che il caos si scatenò in casa. Chelsey urlò per la paura e la rabbia, Diana si levò in piedi fino a raggiungere le vetrate, dove gridò il nome di Liza più volte, ma fu Mark a creare il panico generale.

Quando il giovane vide Liza cadere a terra, la gamba squarciata dal colpo di zampa del lupo, lanciò alle ortiche qualsiasi promessa fatta alla ragazza e si lanciò fuori prima che Chelsey potesse intercettarlo.

Incurante di avere solo un paio di coltelli in argento come armi di difesa, si scagliò contro il lupo con un grido rabbioso ma questi, per nulla impaurito dal suo intervento, lo colpì con una zampata, mandandolo lungo riverso al suolo.

Troppo stordita dal dolore causato dalla ferita, Liza si accorse solo in quel momento della presenza di Mark. Nel vederlo a terra e sanguinante, sgranò sgomenta gli occhi e gridò terrorizzata, rammentando la Visione di Huginn e comprendendo, finalmente, dove si fosse trovato Mark, nel suo incubo.

Proprio lì, in quella stessa posizione, con il buio della notte a calare su di loro e le lunghe ombre del bosco a circondarli.

«No, NO, NO!» strillò a quel punto Liza, ora del tutto incurante del dolore alla gamba, che sanguinava copiosamente macchiandole i pantaloni.

Cieca di fronte al pericolo, strinse con forza la spada per gettarsi sull’amarok proprio mentre Charlotte – e il professor Sullivan con lei – sbucavano dal fitto del bosco.

Liza non si avvide del loro arrivo, troppo furiosa anche solo per pensare con coerenza e, piena di una furia vendicativa mai provata prima, levò la spada per conficcarla nella spalla del lupo.

Il movimento, però, non fu abbastanza veloce per impedire all’amarok di colpire nuovamente Mark, che venne ferito all’addome dagli artigli del lupo.

La ferita procurata da Liza, comunque, impedì al lupo di affondare il colpo e uccidere il giovane. Questo, però, non rese meno pericoloso il nemico.

Tutt’altro.

Furioso, il lupo volse il muso per azzannare Liza, ancora accanto a lui a causa della spada conficcata nelle sue carni, e che la giovane non era ancora riuscita a estrarre.

Il morso perciò andò a segno, procurandole una ferita al braccio, ma Liza non demorse, nonostante i recettori del dolore stessero quasi esplodendole nel cervello.

Mentre Charlotte caricava il lupo per distoglierne l’attenzione da Geri, la giovane riuscì finalmente a estrarre la spada e ad afferrarla saldamente con la mano del braccio sano.

«Ce la fai a reggerti, Geri?!» gridò Charlotte, parandosi tra il lupo e Mark e guardandola di straforo da sopra una spalla.

Lei assentì, ansimante e ferita pur se ancora lucida e, trattenendo la spada con la mano sinistra, replicò: «Atterralo! So come ucciderlo!»

«Tutto quello che vuoi, Geri!» acconsentì allora la donna, snudando i denti e caricando nuovamente il lupo.

Lupo e donna, quindi, caddero a terra in un groviglio di corpi umani e animali e, mentre Donovan arrancava in direzione del figlio senza minimamente curarsi del resto, Liza seguì l’azione per capire quando agire.

Braccio e gamba destra le dolevano da impazzire, rendendole difficoltoso mettere bene a fuoco i movimenti dei due contendenti. Inoltre, non aveva idea se i denti del lupo avessero reciso arterie importanti o meno. Sapeva soltanto che, se voleva essere curata alla svelta, doveva tagliare la testa a quel maledetto lupo.

Reggendosi perciò alla spada, si mosse soltanto quando vide Charlotte bloccare le zampe del lupo a terra, il suo peso a trattenerlo sull’erba inzuppata di sangue e argento.

Liza sperò con tutto il cuore che la licantropa non si ustionasse, con tutto quel contaminante a macchiarle gli abiti ma, in quel momento, non poteva fare nulla per lei. Doveva soltato agire e portare a termine la missione.

«Spostati!» gridò a quel punto Liza, levando alta la spada.

Charlotte obbedì lesta e la giovane, con un colpo secco, recise la colonna vertebrale del lupo, annullando di fatto l’afflusso di sangue e midollo spinale al cervello dell’essere.

Non contenta, piegò su un lato la spada per recidere anche giugulare e trachea dopodiché, distrutta dalla fatica e dal dolore, lasciò cadere a terra la spada e crollò in ginocchio, stremata.

«Liza! Geri!» esclamò turbata Charlotte, raggiungendola in fretta.

Lei gli sorrise stanca, scivolò lentamente a terra, sul terreno umido e freddo e, prima di perdere i sensi, allungò una mano in direzione di Mark e gorgogliò: «Mark, io…»

Subito dopo fu il buio, e non sentì più nulla.

***

Raggiunto che ebbe il figlio, mentre la lotta ancora infuriava attorno a lui, Donovan lo sollevò quel tanto che bastò per prendergli il capo tra le braccia. Inorridito, quindi, osservò Liza decapitare totalmente il lupo prima di crollare a terra priva di forze.

Non riuscì a comprendere il perché della spada, né perché Charlotte continuasse a chiamarla Geri, fu unicamente consapevole dell’immobilità del lupo e del sangue che ricopriva l’addome del figlio.

Fu in quell’istante che Diana uscì caracollando, le lacrime a rigarle gli occhi, mentre Chelsey la seguiva dappresso, in lacrime a sua volta ma con preoccupanti zanne che nulla avevano a che vedere con la normale dentatura di una dodicenne.

Lei ricambiò lo sguardo dell’insegnante solo per un attimo prima di precipitarsi dalla cugina mentre Diana, accosciandosi accanto al figlio, si toglieva la giacca per premerla sull’addome di Mark.

«Stai bene?» domandarono in coro i coniugi prima di abbracciarsi in lacrime.

Diana poi assentì nervosamente, guardò ancora una volta il corpo morto del lupo e balbettò: «E’… è l-lui, D-Don… l’ho riconosciuto…»

L’uomo annuì più volte, ben sapendo di cosa stesse parlando, prima di volgere lo sguardo verso il trio di donne a poca distanza da loro e domandare a mezza voce, schiacciato da una stanchezza mai provata prima: «Come… come sta?»

«Ha bisogno di un dottore, e alla svelta. Queste ferite hanno bisogno di essere suturate» dichiarò recisamente Charlotte, afferrando il cellulare per poi dire cupa: «Chuck… bene, ci sei. Muovi il culo e vieni al Vigrond. Sì, lo so che ti hanno portato Mike. Lascia che di lui se ne occupi Doug. Liza è stata ferita in modo piuttosto importante. Inoltre, tolta Liza, abbiamo anche un altro ferito da artigli da mettere sotto osservazione.»

Detto ciò, chiuse la comunicazione e, scrutando cupa Donovan, aggiunse: «Non sappiamo cosa possano fare gli artigli di quel lupo, perciò dovremo tenere sotto stretta osservazione suo figlio fino alla prossima luna piena… ammesso e non concesso che, con gli amarok, funzioni come per i licantropi.»

«Cosa intende dire?» sibilò turbato l’uomo, lanciando una rapida occhiata a Mark prima di tornare con lo sguardo alla figura di Charlotte.

«Che c’è la possibilità che i suoi artigli siano infettivi come i nostri, perciò suo figlio – e anche la stessa Liza – potrebbero mutare in lupi» gli spiegò la donna con aria preoccupata e per nulla tranquilla.

Nell’udire quella notizia del tutto inaspettata, Donovan si irrigidì, il volto divenne di ghiaccio e, lentamente, si levò in piedi, lasciando che il peso del figlio gravasse solo su una scioccata Diana.

«Lei mente, vero?» ringhiò Donovan all’indirizzo di Charlotte.

«Affatto. Sappiamo ben poco, di questa maledetta belva, perciò tutte le ferite dei due ragazzi andranno monitorate almeno per le prossime tre settimane.»

Donovan scosse il capo per l’incredulità e la rabbia e, facendo un passo indietro, sibilò contrariato: «Non può! Non può diventare come …come quell’essere

«Dovrà accettarlo alla svelta, invece, se vuole sopravvivere a stanotte» gli ritorse contro la licantropa, carezzando con delicatezza il viso e i capelli di una esanime Liza. «Se non sarà in grado di mantenere il silenzio su ciò che ha visto, saremo costretti a prendere seri provvedimenti, e non credo che le piacererebbero.»

«Don… Don, calmati» mormorò nel contempo Diana, guardandolo con espressione turbata e sì, spaventata.

Se dalle parole di Charlotte, o dal suo comportamento gelido, Donovan non seppe dirlo. Sapeva soltanto che non poteva in nessun modo accettare le parole che la licantropa aveva appena proferito.

Dopo alcuni momenti di incredulità scosse il capo, si allontanò ancora e replicò con le lacrime agli occhi: «Non ce la faccio. Non posso accettarlo. Rispetterò il silenzio, ma non chiedetemi di più.»

Ciò detto, si allontanò caracollante sotto gli occhi in lacrime della moglie e quelli torvi di Charlotte che, levatasi in piedi dopo aver lasciato Liza a Chelsey, afferrò nuovamente la sua ricetrasmittente per parlare con i suoi superiori.

Una volta inseritasi sul canale dei licantropi, disse: «Confermo uccisione dell’amarok e il ferimento di Geri e di un civile. Medico già in strada. Chiedo invio di una sentinella presso l’abitazione dei Sullivan. C’è il rischio di una fuga di notizie. Allertate Freki e Fenrir.»

«Affermativo, Charlotte. Giro la notizia agli altri» rispose Dev con tono fiacco e roco. «Noi stiamo arrivando. Mi confermi che Liza non è in pericolo di vita?»

«Confermo, Sköll, ma non so che dirti in merito a quanto accadrà dopo» sospirò Charlotte, lanciando un’occhiata densa di preoccupazione all’indirizzo della giovane Geri.

«Già, lo immagino» sospirò cupo Dev, chiudendo con lei per avvertire il resto del gruppo.

Charlotte sospirò nel chiudere la comunicazione e, mentre l’auto dei Sullivan si allontanava dal vialetto d’ingresso della proprietà dei Saint Clair, la licantropa si accucciò accanto a Mark. Sorridendo poi spiacente a Diana che, silenziosa, stava piangendo lacrime amare mentre cullava il figlio contro di sé, mormorò con calore: «Sarai accudito al meglio, ragazzo. Abbiamo due bravissimi dottori, non temere.»

«Liza?» riuscì a domandare lui, nonostante il dolore all’addome gli strappasse il fiato dai polmoni.

«E’ svenuta, ma respira autonomamente. Il dolore doveva essere davvero troppo, da sopportare. Quanto a te, hai fatto una cosa coraggiosa, ma assolutamente stupida. Lei è addestrata a combattere contro di noi, ma tu no» gli spiegò la donna, carezzandogli i capelli inumiditi dal sudore per poi sorridergli piena di ammirazione.

«Non ce l’ho fatta a resistere» ammise lui, lanciando uno sguardo in direzione della figura di Liza. «Il pensiero che fosse qui fuori, e soltanto con i suoi corvi ad aiutarla, mi ha fatto uscire di testa.»

Charlotte  guardò a quel punto Muninn e Huginn, ferito il primo e sano e salvo il secondo, sorrise a mezzo e disse: «Sono legati alla loro Geri, e si sarebbero battuti fino alla morte, per lei.»

«Li capisco» sospirò Mark prima di cedere alla stanchezza e lasciarsi andare contro la spalla di Diana, che scrutò ansiosa Charlotte.

La licantropa, allora, le diede una leggera pacca sulla spalla e disse: «Mi spiace che abbia dovuto scoprire cose simili in questo modo. Non è mai facile a prescindere, ma così… Dio! Non oso neanche immaginare la sua confusione e la sua paura.»

Diana allora deglutì a fatica, scosse il capo e replicò: «N-non importa. L-Liza si salverà, vero?»

«E’ l’unica cosa di cui posso essere certa. Il cuore batte con forza e il respiro è regolare. Quanto al resto…»

Nel dirlo, reclinò il capo a scrutare la mano di Diana, che premeva la propria giacca sul ventre del figlio e, con un sospiro, scosse impotente il capo.

In quel momento, potevano solo attendere. Non v’era altro che potessero fare.

 


 

N.d.A.:  Altro capitolo piuttosto lungo, ma anche in questo caso, non potevo proprio fermarmi. C'era troppa carne al fuoco e, almeno nel caso dell'amarok, dovevo arrivare in fondo alla sua storyline. Ciò che avverrà con akhlut, invece, sarà ben diverso e non si concluderà ora. Dovremo sopportarla ancora per un po'.

 


 

  
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