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Autore: Melabanana_    05/01/2021    3 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Midorikawa lo stava ancora fissando.
Dopo aver parlato non si era più mosso; si limitava a guardare davanti a sé con un’espressione vacua e distante, come una persona che non si è ancora destata del tutto da un sogno. Hiroto lo osservava preoccupato.
Poi, di colpo, l’espressione di Midorikawa cambiò e il velo che oscurava il suo sguardo scomparve.
Midorikawa cominciò a divincolarsi con una ferocia tale che Hiroto lo lasciò andare per la sorpresa, cosa di cui si pentì subito. Midorikawa, infatti, non sapeva di essere su un ripiano e, quando si girò su un fianco, cadde sul pavimento con un tonfo. Per un momento rimase raggomitolato lì, sibilando per il dolore, ma non si perse d’animo: rotolò sulla pancia e strisciò verso la parete più vicina, contro la quale si rannicchiò tremando dalla testa ai piedi.
Hiroto, Suzuno e Kazemaru avevano assistito a tutto questo pietrificati dallo shock.
-Cosa... cosa sta facendo?- azzardò Kazemaru.
-Non lo so- disse Suzuno, dubbioso. -Forse non ci riconosce.
-Ha appena detto il mio nome- lo contraddisse Hiroto, ritrovando la voce.
Per un momento rimasero tutti fermi a guardarsi. Midorikawa sembrava estremamente diffidente nei loro confronti, e nessuno sapeva come muoversi. Non avevano previsto una cosa del genere. Suzuno si morse il labbro e guardò verso Hiroto, che si girò verso Kazemaru. Gli fece un cenno con il capo. Kazemaru si voltò verso Midorikawa con un’espressione combattuta, poi gli si avvicinò lentamente e gli tese una mano. Midorikawa non la prese: continuava a fissarli con diffidenza. Kazemaru deglutì.
-Midorikawa... Ryuuji, sono il tuo Ichirouta. Mi riconosci...?
-Sì- rispose soltanto Midorikawa. Sbirciando oltre Kazemaru, i suoi occhi caddero sulla siringa nella mano di Suzuno e la sua bocca si contrasse in una smorfia. Accorgendosi del suo sguardo, Suzuno poggiò lentamente la siringa.
-Ti ho dato qualcosa per svegliarti- disse. Midorikawa abbassò lo sguardo sul proprio braccio e fissò con sorpresa la fasciatura, come accorgendosene solo in quel momento.
Era chiaro che l’iniezione aveva spazzato via la sonnolenza delle droghe; pian piano, Midorikawa stava tornando lucido. Mentre fissava la fasciatura, però, il suo sguardo tornò distante: sembrava quasi essere in ascolto dei propri pensieri. Hiroto non poté fare a meno di chiedersi per quanto tempo fossero scomparsi dalla sua testa, e il sangue gli si raggelò nelle vene. Se non pensare significava non esistere, allora quelle persone avevano quasi annullato l’esistenza stessa di Midorikawa.
-Da quanto sono qui?- gracchiò Midorikawa.
Kazemaru esitò. -Più o meno una settimana.
Midorikawa parve sorpreso anche di quello, ma poi annuì lentamente e andò oltre.
-Cosa ci fate qui?- chiese. Kazemaru, spaesato, si girò verso Hiroto e Suzuno.
-Siamo venuti per te- rispose Hiroto.
Ma evidentemente non era la risposta giusta. Midorikawa scosse il capo e fece un sospiro di stanchezza. Hiroto sentì la bocca dello stomaco chiudersi.
-Stai bene? Senti ancora dolore?- chiese Suzuno.
Midorikawa non rispose. Quando Kazemaru azzardò un passo verso di lui, si ritrasse d’istinto e, non potendo indietreggiare di più, si schiacciò contro il muro. Sul viso di Kazemaru comparve un’espressione ferita.
-Hai paura di me? Ma io non ti farei mai del male...- S’interruppe e scrutò il suo volto -Lo sai, vero? Sai che non ti farei mai del male?- aggiunse, con una nota d’incertezza.
Midorikawa lo fissò in silenzio; poi, pian piano, si staccò dal muro e allungò le mani verso di lui. Senza esitare, Kazemaru si buttò in ginocchio e lo prese tra le braccia. Midorikawa ricambiò l’abbraccio e soffiò il suo nome con il viso premuto nella sua spalla.
-Sono qui. Ci sono qui io ora- rispose Kazemaru con voce soffocata, lottando contro le lacrime. Midorikawa lo strinse più forte, come se avesse voluto scomparire in quell’abbraccio, mentre Hiroto li osservava con una punta di gelosia e Suzuno con evidente imbarazzo.
Dopo un po’, Suzuno simulò un colpo di tosse.
-Dobbiamo andare- disse. Kazemaru prese fiato e si staccò da Midorikawa.
Suzuno prese un rotolo di garza sterile, si sedette davanti a loro a gambe incrociate e cominciò a srotolarla. Midorikawa intuì le sue intenzioni e, prima ancora che Suzuno glielo chiedesse, stese il braccio in avanti, permettendogli di sostituire la fasciatura.
-Pensi di poter camminare?- chiese Suzuno alla fine.
Midorikawa esitò un attimo, poi scosse il capo.
-Posso portarlo io- si offrì Kazemaru. -A te va bene, Ryuuji?
Midorikawa accettò di essere portato a cavallina senza fare tante storie. Quando Kazemaru si rialzò, dopo averlo fatto salire sulla propria schiena, Hiroto decise che era ora di muoversi.
-Seguitemi- disse e, con la pistola alzata, scortò gli altri all’uscita.
Nel corridoio li aspettava il resto del gruppo. Vedendoli, Endou s’illuminò.
-Siete riusciti a svegliarlo! Come sta?
-Non so, ho dovuto iniettargli dell’adrenalina- disse Suzuno.
Gouenji si accigliò. -È per questo che trema? Era davvero necessario?
Suzuno scrollò le spalle. Non sembrava che avesse intenzione di aggiungere altro: ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni più tardi. Hiroto sbirciò verso Midorikawa, preoccupato da come avrebbe potuto reagire, ma l’altro non sembrava interessato alla conversazione. Stava guardando la dottoressa che giaceva tramortita in mezzo al corridoio con un misto di curiosità e disgusto, finché, allertato da qualcosa, non alzò di colpo la testa. Il suo sguardo vagò fino a fermarsi su Fubuki.
Era uno sguardo così intenso che Fubuki non poté non accorgersene. Per un attimo parve confuso, poi irritato.
-Piantala- sbottò. -Smettila subito di... di fare quella cosa.
Midorikawa avvampò di vergogna e abbassò lo sguardo come se fosse stato beccato a fare qualcosa che non doveva. Hiroto intuì che Midorikawa doveva aver usato la sua empatia su Fubuki.
-Non è il momento di litigare- intervenne prontamente. Fubuki non si mosse, né smise di fissare Midorikawa in cagnesco, e anche gli altri si accorsero dell'improvvisa tensione. Gouenji si avvicinò subito a Fubuki e gli mise una mano sul braccio.
-Tutto bene?- domandò.
Fubuki rimase immobile ancora per un istante, poi fece schioccare la lingua contro il palato e puntò lo sguardo altrove.
-Certo, detective, tutto bene- disse. Grazie a Gouenji, la tensione calò di una nocca. Hiroto sospirò di sollievo e si rivolse a Midorikawa.
-Puoi usare i tuoi poteri adesso?
-No- mormorò Midorikawa senza guardarlo.
-Aspettate un momento- esclamò Kazemaru. -Sono sicuro non l’ha fatto apposta, vero, Ryuuji?
Midorikawa si nascose dietro di lui e mugugnò una risposta affermativa. 
-In effetti ha sempre usato l’empatia indipendentemente dal resto- osservò Suzuno.
-Di recente aveva imparato a controllarla, però- borbottò Hiroto, ma sapeva che non significava niente. Il Midorikawa che aveva davanti adesso non era la stessa persona che l’aveva tirato fuori dalla sua stanza quando stava attraversando il periodo più buio della sua vita; la persona che avevano trovato nella clinica era una versione molto più timida, cupa e spaurita dell’originale. Ma doveva pur essere rimasto qualcosa di Midorikawa; dovevano solo cercarlo e tirarlo fuori di nuovo.
-Se avete finito di dibattere, io me ne andrei- li interruppe Fubuki in tono aspro. Era chiaramente ancora stizzito, ma non sembrava avesse voglia di litigare, voleva solo andarsene.
-Secondo voi possiamo uscire da dove siamo entrati?- chiese Endou, pensieroso.
-Magari... Ma si accorgeranno presto che siamo qui, ammesso che non lo sappiano già- ribatté Nagumo, lugubre.
-E Midorikawa non è ancora in forze... Che facciamo, Hiroto? - disse Gouenji e, ancora una volta, tutti si girarono verso Hiroto, in trepidante attesa.
Hiroto cominciava a sentirsi sotto pressione. Ebbe la sensazione che anche Midorikawa lo stesse guardando, ma era difficile da dire, visto che l’altro continuava a nascondersi dietro Kazemaru.
-Proviamo a tornare indietro, per il momento. Midorikawa può riposare mentre camminiamo- disse Hiroto. -Kazemaru, per ora continua a portarlo tu. Quando sei stanco diccelo e facciamo a cambio. Intanto voglio Endou, Suzuno e Fubuki davanti con me. Gouenji e Nagumo chiuderanno la fila.
Subito tutti si misero in formazione e tornarono al ponte di ferro. Scorgendo gli uomini ancora stesi per terra, Fubuki si bloccò di colpo, come ricordandosi di qualcosa.
-Oh, a proposito!
Si piegò di scatto, infilò una mano nello stivale destro e tirò fuori un oggetto metallico, scuro e sottile. Prima ancora che Hiroto si rendesse conto di cosa stava accadendo, Fubuki gli mise tra le mani l’oggetto misterioso, che altro non era che uno smartphone.
-L’ho rubato prima a quel ricercatore. Ho pensato che potesse esserci utile- disse. -Ed è anche già sbloccato! Che fortuna, eh?
Hiroto fissò a occhi sgranati il telefono, poi Fubuki.
-Ma quando hai avuto il tempo di...?
Fubuki scrollò le spalle. -Oh, sai, tra una cosa e l’altra.
Hiroto capì che era inutile fare domande. Cominciò a curiosare nel dispositivo, ma dopo poco si rese conto che la maggior parte dei messaggi erano scritti in un linguaggio astruso, fatto di poche lettere, molte abbreviazioni e troppi numeri: forse era una sorta di codice? Inizialmente pensò che potessero riferirsi alle stanze della clinica, ma non ricordava che fossero numerate, per cui escluse subito questa possibilità. Continuando a scorrere, notò anche che alcuni numeri si ripetevano più volte e che uno, in particolare, ricorreva spesso.
-Questo numero, zero-tredici, è ovunque. Cosa significherà?- s’interrogò ad alta voce.
In quel momento Midorikawa si fece scappare un verso di sorpresa.
Hiroto alzò di scatto lo sguardo verso di lui: Midorikawa aveva il viso bianco come un lenzuolo e l’espressione di chi è stato costretto a ingoiare un boccone amaro. Midorikawa si coprì la bocca con una mano, ma ormai era tardi.
-Ehi, se sai qualcosa, sputa il rospo!- sbottò Nagumo impaziente.
-Lascialo stare, Nagumo!- lo rimbeccò Kazemaru. Nagumo gli scoccò un’occhiata torva ed era sul punto di ribattere quando Midorikawa parlò.
-No, Kazemaru, va tutto bene. Sto bene- disse con un’espressione combattuta.
Hiroto esitò un attimo, poi domandò:- Midorikawa... sai cosa significa questo numero?
Midorikawa annuì a denti stretti.
-È il mio numero di identificazione.
In un primo momento la rivelazione cadde in un silenzio sbigottito; poi il gruppo esplose in un coro di esclamazioni indignate, Nagumo si lasciò fuggire una serie di colorite imprecazioni. Gli occhi di Suzuno erano gelidi, il suo viso chiazzato di rosso acceso. Endou e Gouenji strinsero i pugni, tenendo lo sguardo basso. Kazemaru tremava di rabbia. Solo Fubuki rimase calmo, almeno in apparenza: guardava Hiroto con un’espressione indecifrabile.
-Vai avanti- disse in tono incolore.
Hiroto si riscosse dallo shock e si accorse che stava stringendo lo smartphone con tanta forza che la mano era indolenzita. Lentamente, allentò la presa. Una miriade di emozioni lo attraversavano, ma si sforzò di metterci un coperchio sopra e reprimerle; nonostante tutto, doveva mantenere la calma. Prese un respiro profondo e proseguì nella lettura. Più andava avanti, più gli pareva di sprofondare in un’oscurità senza ritorno, ma non si fermò finché non ci fu più nulla da leggere. Solo allora alzò gli occhi e incontrò quelli dei suoi compagni.
-Se i numeri sono persone, tutto è più chiaro... Ma c’è una cosa che mi preoccupa- disse, aggrottando la fronte. -Il numero di Midorikawa non è l’unico a comparire.
-Ce ne sono altri come lui- mormorò Fubuki. Non sembrava sorpreso.
-Forse sono in altre cliniche. Mandiamo un messaggio a Kudou- suggerì Suzuno.
Hiroto prese subito il cercapersone e digitò il messaggio. Sperava davvero che Kudou sapesse come rintracciare le vittime. Midorikawa, intanto, era di nuovo con la testa tra le nuvole.
In quel momento Nagumo si chinò verso Suzuno e chiese:- Ma sicuro che sta bene? Non pare manco lui-. Il suo tono di voce era basso, ma non abbastanza perché Midorikawa non potesse sentirlo.
-Sono solo stanco- sbuffò il ragazzo.
C’era chiaramente dell’altro, ma Midorikawa non sembrava intenzionato a confidarsi. Hiroto avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere a cosa stesse pensando.
Uno scalpiccio di passi li distrasse. Una dozzina di uomini arrivò di corsa e sbarrò loro la strada fermandosi proprio all’altra estremità del ponte. Bastava una sola occhiata per capire che non erano affiliati alle altre guardie. Erano tutti vestiti di nero, bardati con casco e giubbotto antiproiettile e armati di pistola, come un vero e proprio plotone.
Senza che Hiroto dovesse dare ordini, in un attimo, Suzuno, Endou e Fubuki formarono una linea di difesa. Gli uomini rimasero fermi a una distanza di sicurezza. Dovevano essere stati avvertiti della presenza di poteri paranormali e, in particolare, sembravano preoccupati di Fubuki; perciò, invece di lanciarsi in un corpo a corpo, aprirono subito il fuoco.
Prontamente Endou evocò la Mano di Luce come muro di protezione, ma così facendo non aveva la possibilità di usare il Pugno di Giustizia, con cui avrebbe potuto fare piazza pulita in un attimo. Dovevano dargli il tempo di cambiare tecnica, pochi minuti sarebbero bastati...
D’un tratto un vento gelido si alzò nella stanza. La parte esterna delle pistole si coprì di brina e, pochi secondi dopo, il fuoco cessò. Gli uomini non potevano credere ai loro occhi: alcuni fissavano scioccati le armi rese inutilizzabili, altri le scuotevano con frustrazione. Guardandosi attorno, Hiroto si accorse che anche le pareti erano state coperte da un sottile strato di ghiaccio. Quando si voltò verso Fubuki, però, vide che il ragazzo stava guardando Suzuno con un’espressione che tradiva un pizzico d’invidia.
-Non male- disse. -Hai congelato i proiettili?
Suzuno rispose con un’alzata di spalle, cercando di mantenere un’aria indifferente, ma aveva il fiato corto. Hiroto sospettava che soffrisse di una sorta di contraccolpo: il suo dono era ben più forte delle aspettative e non ne aveva ancora il pieno controllo.
-Aspettiamo a esultare, sono ancora in piedi- disse Gouenji. Hiroto gettò un’occhiata oltre il ponte: riusciva a vedere il corridoio al di sotto, ma l’altezza era troppa. Esclusa l’idea di saltare, quindi, dovevano farsi strada con la forza.
-Dobbiamo allontanarci. C’è troppo poco spazio per combattere- mormorò. Si girò verso Endou.
-Non possiamo più permetterci di restare solo in difesa- disse, con un’occhiata eloquente.
-Vuoi che li mandi allo sbaraglio?- chiese Endou, come se volesse essere sicuro di aver capito il piano. Hiroto gli sorrise.
-Cerca di non far loro troppo male. Sono pur sempre testimoni- rispose in tono tranquillo.
Endou fece un gran sorriso e si batté una mano sul petto.
-Lascia fare a me! Volevo proprio provare una cosa!
Si mise in testa al gruppo, nello spazio tra loro e le guardie; poi, con grande sorpresa di tutti, si avvitò su se stesso con una mano sul petto, all’altezza del cuore. Il suo corpo fu avvolto da una luce intensa, molto più intensa del solito; e non appena Endou sciolse la posizione, quella luce si materializzò in un immenso gigante alle sue spalle. Aveva la faccia di un demone, con lunghe zanne e una cresta rossa, e ognuno dei suoi pugni era grosso come un macigno. Quando Endou tese avanti la mano, il gigante imitò il movimento. L’enorme mano di luce scese sugli uomini dall’alto, si tuffò fra di loro e acciuffò una manciata di loro come se fossero stati burattini. Gli uomini, confusi e spaventati, cercarono di forzare le dita del gigante per costringerlo a liberare i loro compagni, ma fu tutto inutile; il gigante li lasciò andare solo quando lo decise Endou, e invece di farli scendere con delicatezza li lanciò sugli altri, mandando tutti gambe all’aria. La battaglia durò pochi minuti e gli uomini caddero a terra privi di sensi. A quel punto il gigante cominciò gradualmente a sparire, finché non ne rimase più traccia. Endou si sgranchì le braccia e si voltò verso i suoi compagni, che erano rimasti a bocca aperta.
-È stato fantastico- soffiò Hiroto. -E quella da dov’è uscita?
-Oh, è solo una cosetta a cui stavo lavorando. L’ho chiamata “Mano del colosso”, bella, vero?
-Sei stato fantastico!- esclamò Kazemaru, con gli occhi che brillavano di ammirazione. Endou arrossì, imbarazzato, ma felice di ricevere complimenti da Kazemaru. Hiroto gli diede una pacca sulla spalla.
-Ottimo lavoro, Endou. Approfittiamone e andiamo via da qui subito- disse.
Ora che il passaggio era libero, si misero in marcia. La cosa strana fu che non incontrarono più nessuno sul loro cammino e, arrivati al primo piano, trovarono ad accoglierli un silenzio innaturale. Era come se tutti avessero lasciato l’edificio, dando loro il via libera. Ma non ha alcun senso, pensò Hiroto, corrucciato. L’uomo che aveva rapito Midorikawa non avrebbe fatto tanta fatica per poi perderlo subito dopo; doveva avere in mente qualcosa, ma cosa? A quella domanda Hiroto, per quanto si lambiccasse il cervello, non riusciva a darsi risposta.
Era sicuro anche gli altri la pensassero come lui. Procedevano tutti in assoluto silenzio, come se temessero che fare rumore potesse attirare altre guardie. Ogni tanto Hiroto sbirciava verso Midorikawa, ma il ragazzo sembrava quasi essersi addormentato sulla schiena di Kazemaru, come se non avesse una sola preoccupazione. Che facesse finta o meno, Midorikawa era sicuramente il più composto del gruppo, al momento, e probabilmente il più riposato. Al contrario, Kazemaru cominciava a mostrare chiari segni di stanchezza.
Hiroto riportò lo sguardo avanti. Non riusciva a scacciare la sensazione che stesse succedendo qualcosa, ma, per quanto si sforzasse di non abbassare la guardia, era difficile e snervante combattere un nemico invisibile.
Alzando lo sguardo si rese conto che poco più avanti il corridoio ne incrociava un altro, formando un angolo. Era un punto pericoloso. Hiroto si addossò alla parete e sbirciò al di là, pronto a sparare; per fortuna dall’altro lato non c’era nessuno, soltanto qualche pianta d’appartamento dalle larghe foglie verdi. Qua e là c’erano delle porte chiuse, e una di quelle era la porta d’emergenza da cui erano sbucati poco prima. In fondo al corridoio se ne intravedeva un altro ancora; le scale per scendere dovevano essere da quelle parti.
Senza voltarsi, Hiroto fece cenno agli altri che c’era via libera, poi strisciò lungo la parete con fare circospetto, temendo che dalla fine del corridoio sbucassero guardie a frotte. Ma non successe nulla di tutto ciò. Invece, fu un fracasso improvviso alle sue spalle a farlo sobbalzare.
Hiroto si girò di scatto. Per poco non premette il grilletto, ma riuscì a dominare l’istinto e si bloccò prima di sparare. Anche gli altri si erano immobilizzati, con la mano sulla pistola o erano in posizione d’attacco, pronti a usare il proprio dono. Ma non c’era nessun nemico, solo Kazemaru che fissava con espressione interdetta il vaso infranto accanto al suo piede.
Hiroto abbassò lo sguardo sul vaso. Qualcosa lo aveva letteralmente distrutto, e la terra era caduta trascinandosi dietro la pianta, che giaceva soffocata tra i pezzi di ceramica.
-S-scusate... devo averlo urtato per sbaglio- disse Kazemaru, quasi più stupito di loro. Hiroto sospirò, sollevato che non fosse successo niente di grave e, soprattutto, di non aver sparato.
-Mi hai fatto pigliare un colpo, accidenti a te!- berciò Nagumo.
Kazemaru si scusò di nuovo, imbarazzato, perciò Endou gli mise una mano sulla spalla.
-Non è colpa tua, Ichi, sei solo stanco- gli disse affettuosamente.
-Allora fai a cambio con qualcuno- sbottò invece Suzuno in tono asciutto. -Se cominci a fare errori a causa della stanchezza, ci andiamo per sotto tutti...
-Ehi, non dargli addosso- protestò Endou.
-Non gli sto dando addosso, sono solo obiettivo. Si vede lontano un miglio che non ce la fa.
-Beh, neppure tu mi sembri tanto in forma!
Suzuno aprì la bocca per ribattere, ma poi la richiuse, perché Endou aveva ragione. Anche lui mostrava chiari segni di stanchezza, anche se non l’avrebbe mai ammesso di sua spontanea volontà.
-Endou, Suzuno, piantatela entrambi- intervenne Hiroto con fermezza.
-Sono d’accordo con Suzuno. Non possiamo permetterci errori, perciò qualcuno deve dare il cambio a Kazemaru-. Si girò verso Suzuno. -Ma è vero che non sei molto in forma anche tu. Prima hai usato un bel po’ di potere, e non ci hai ancora fatto l’abitudine, vero?
Suzuno si morse il labbro e rimase ostinatamente in silenzio. Hiroto sospirò, rassegnato: fin da quando si erano conosciuti Suzuno era sempre stato piuttosto restio a mostrare le proprie debolezze, non poteva cambiare da un giorno all’altro. Hiroto decise di risolvere prima la questione di chi dovesse portare Midorikawa. Quando si voltò di nuovo, però, si rese conto subito che Kazemaru sembrava riluttante a fare come gli era stato detto.
-C’è un motivo per cui non vuoi fare a cambio?- chiese quindi.
Kazemaru annuì, ma fu Midorikawa a parlare.
-Non voglio che sia qualcun altro a portarmi.
Hiroto lo fissò per un momento, poi tirò un altro sospiro. Perché dovevano essere tutti così testardi? Perché complicare tutto? Se era stato Midorikawa a chiederglielo, non c’era da stupirsi che Kazemaru non avesse chiesto il cambio. Kazemaru aveva sempre avuto la tendenza a viziare Midorikawa, anche se Midorikawa stesso non pareva rendersene conto. D’altronde, neppure Hiroto si sentiva di aggiungere altro stress a Midorikawa. Spostò lo sguardo dall’uno all’altro: Kazemaru lo guardava carico di apprensione, mentre Midorikawa osservava la povera pianta con la fronte aggrottata.
-Va bene- disse infine Hiroto. -Continuerai a portarlo tu. Ma allora voglio che vi riposiate. Sì, anche tu, Suzuno. Ci fermeremo un attimo per recuperare le forze.
Suzuno sbuffò, ma ebbe il buon senso di non ribattere.
-Aspetta un attimo- disse invece Fubuki. -Qualcuno dovrebbe andare in ricognizione.
Hiroto dovette ammettere che era un’osservazione sensata.
Dopo aver riflettuto qualche momento, affermò:- Allora Fubuki ed io andremo avanti, mentre voi altri restate qui-. E, siccome Suzuno e Nagumo sembravano sul punto di fare obiezioni, aggiunse:- È meglio che restino più persone con Midorikawa. Per una ricognizione noi due siamo più che sufficienti.
-Senza offesa, ma il tuo potere è un tantino inutile in questa situazione- disse Nagumo.
Hiroto si irrigidì quasi istintivamente. Senza farsi vedere, Gouenji diede un colpetto sul braccio di Nagumo e gli indicò Fubuki con un cenno del capo. Questo parve zittire Nagumo, che finalmente si rese conto di aver detto una stupidaggine.
-Che idiota- mormorò Suzuno, coprendosi il volto con una mano.
Gouenji si rivolse a Hiroto per rompere il ghiaccio.
-Per me non c’è problema. Mi prenderò cura io degli altri- disse. Hiroto annuì. Doveva ammettere che era rassicurante sapere di avere uno come Gouenji a coprirti le spalle. Guardò Endou e Kazemaru per accertarsi che fossero d’accordo anche loro, poi, una volta ricevuto il loro consenso, si girò e fece cenno a Fubuki di seguirlo.
Per prima cosa bisognava ispezionare tutte le stanze, perciò Hiroto andò dritto alla prima porta. Entrarono rapidamente, pronti a difendersi se necessario, ma trovarono la stanza vuota. All’interno c’erano solo una barella, una scrivania con una sedia da ufficio e un armadio di ferro. Parte del pavimento era coperta da fogli bianchi sparpagliati e Hiroto li calpestò mentre si avvicinava all’armadio. Lo aprì: dentro c’erano dei faldoni vuoti.
-Qualcuno aveva fretta di andarsene- mormorò Fubuki, raccogliendo un foglio. -Devono aver preso tutti i documenti quando hanno capito che stavamo arrivando.
-Forse hanno paura di noi?
Fubuki sorrise appena. -Speriamo. Essere temuto non mi dispiace.
-Non avevo dubbi- mormorò Hiroto passandogli accanto per uscire.
Poco più avanti trovarono dei bagni dall’aspetto immacolato. Non c’era niente fuoriposto, nemmeno un rotolo di carta igienica mancante o una strisciata di sapone liquido sui lavandini. Hiroto e Fubuki controllarono tutti i cubicoli per accertarsi che nessuno si fosse nascosto lì dentro, poi tornarono in corridoio. A pochi metri da loro c’era la porta di emergenza da cui si erano introdotti nell’edificio. Hiroto si fermò a sbirciare fuori. L’oscurità si era fatta più densa ed era difficile distinguere i bordi delle cose; il cortile, tre rampe più sotto, era come un mare di acqua scura, senza nemmeno un’increspatura di luce. Hiroto chiuse la porta e proseguì oltre.
Ogni tanto sbirciava dietro di sé per controllare che Fubuki ci fosse ancora. Fubuki, infatti, aveva il passo felpato di un gatto, e per di più non spiccicava quasi parola. Hiroto non poteva fare a meno di chiedersi cosa Fubuki pensasse di quello che aveva detto Nagumo. Una volta Hiroto era stato costretto a usare il suo dono contro di lui, e non era stato piacevole. Ma Fubuki non gli fece nessuna domanda. Hiroto non sapeva decidere se fosse un sollievo o meno.
Si fermarono di nuovo una volta trovate le scale. Alla loro destra c’era una porta chiusa, a sinistra un’infermeria con un’apertura ad arco. Hiroto si affacciò e gettò un’occhiata in giro. L’unica barella presente era libera e in bella vista sui banconi c’erano vari strumenti chirurgici e un paio di forbici grosse quanto una cesoia.
Hiroto si ritrasse. Sulla porta chiusa c’era una targa ramata con incise le lettere K e R. Provò a ruotare la maniglia, ma la serratura non scattò. Era chiusa a chiave. Almeno faceva sperare che dentro ci fosse qualcosa da nascondere.
-Dovresti starci molto attento.
Hiroto si girò a guardare Fubuki, interdetto. Immaginava che non parlasse della porta.
-Di cosa stai parlando?
-Lo sai di chi sto parlando- tagliò corto Fubuki. -Non conosco tutti i dettagli, ma è come avere tra le mani una bomba a orologeria.
Hiroto serrò la mascella.
-Riusciremo a salvarlo. Non lascerò che gli succeda più nulla- disse.
Un lampo di emozione attraversò gli occhi di Fubuki; poi il suo volto tornò calmo e serio, ma il suo sguardo trattenne una punta di malinconia, come se non riuscisse a nascondere del tutto ciò che provava. In quel momento Hiroto avrebbe tanto voluto avere il dono dell’empatia.
-Perché ti preoccupi per Midorikawa?- chiese, cauto.
Fubuki ci mise qualche secondo a rispondere. Hiroto ebbe l’impressione che stesse scegliendo accuratamente cosa dire, e soprattutto cosa non dire, e questo lo rese ancora più curioso e inquieto. Era dall’inizio che Fubuki stava nascondendo qualcosa. Lo aveva lasciato venire con loro nonostante tutto, ma era stata una buona idea? 
-Perché Midorikawa mi somiglia- disse Fubuki. Non era la risposta che Hiroto si aspettava, e lo lasciò spiazzato.
-Che vuoi dire?- chiese, ma Fubuki si limitò a scrollare le spalle.
-Una volta pensavo di sapere cosa voleva Atsuya. Avrei voluto proteggerlo da qualunque cosa. La sua felicità era l’unica cosa che contava per me. Ma quando l’ho quasi perso, ho capito che sbagliavo- disse. -Quando ti sacrifichi sempre per qualcuno, finisci per perdere te stesso. Dimentichi persino la cosa più banale: qualcuno soffrirà quando non ci sarai più. Se fossi morto, quella notte, forse Atsuya avrebbe ancora il suo dono, ma non sarebbe stato felice.
Fubuki abbassò la mano e inchiodò Hiroto con uno sguardo serio.
-Penso che tu abbia capito perché te lo sto dicendo. Te ne sei già accorto, no? Se non capisci neppure questo, non riuscirai a proteggerlo.
Hiroto non gli rispose. Fubuki lo guardò ancora per un momento, come per assicurarsi che il messaggio fosse passato; poi si avvicinò e accostò un orecchio alla porta.
-Non sento rumori provenire dall’interno- osservò con voce tranquilla.
Hiroto si lasciò sfuggire un verso di frustrazione.
-Il modo in cui cambi atteggiamento da un momento all’altro fa paura- borbottò.
-Anni di pratica-. Fubuki fece spallucce. Poi, prima che Hiroto potesse reagire, afferrò la maniglia, la congelò e la spaccò in due. La porta si aprì con un rumore sinistro. Fubuki entrò senza troppi preamboli. Hiroto scosse il capo, esasperato, e scivolò anche lui nella stanza.
Una volta dentro si guardò attorno con fare guardingo, ma anche lì non c’era nessuno. A giudicare dalla mobilia, doveva trattarsi dell’ufficio di qualcuno che ci trascorreva parecchio tempo. Al centro dello spazio, infatti, campeggiava una scrivania, sulla quale c’erano un computer fisso e una tazza scolorita. Prendendola in mano, Hiroto si accorse che dentro c’era un fondo di liquido nerastro. Lo annusò: caffè. Contro la parete, accanto ad una serie di stampe di DNA incorniciate, c’era una libreria di metallo, con volumi che spaziavano da botanica e biologia ad anatomia umana e genetica. Dirimpetto alla libreria, poggiati su un tavolino di legno, c’era una caffettiera elettrica. Fubuki la sfiorò con una mano.
-È ancora calda. Qualcuno era qui fino a poco fa- osservò, spostandosi per esaminare la libreria. Intanto Hiroto aveva posato la tazza e stava fissando il computer come se quello potesse morderlo. Dopo molti tentennamenti, si decise a premere il tasto di accensione, e rimase deluso quando l’apparecchio restò ostinatamente spento. Incrociò le braccia al petto e fissò lo schermo nero con ostilità. Per la prima volta si pentiva di non aver imparato a usare un computer e si ripromise di farselo insegnare non appena fossero riusciti a tornare a casa.
-Che strano...- D’un tratto Hiroto sentì Fubuki mormorare. Si girò e vide che l’altro stava ancora curiosando tra gli scaffali della libreria.
-Cosa c’è?
-C’è molta polvere, come se nessuno toccasse mai questi libri... Ma è evidente che è stato portato via qualcosa. Guarda qui-. Fubuki picchiettò con un dito sul dorso di un librone color porpora. Hiroto lo guardò, perplesso. Sembrava un comunissimo libro di genetica, eppure rispetto agli altri era spostato più avanti e non era impolverato. Fubuki lo prese e se lo rigirò tra le mani con aria pensierosa.
-Mmh... Ah-ha, scommetto che...- s’interruppe e aprì il libro, rivelandone così la vera natura: dove avrebbero dovuto esserci le pagine, infatti, c’era invece una cavità rettangolare, ora vuota. Hiroto sgranò gli occhi e finalmente capì dove Fubuki voleva arrivare.
-C’era qualcosa nascosto nel libro!- esclamò. Fubuki annuì.
-Qualcosa di prezioso, direi, per averlo nascosto qui. E l’ha portato via in fretta e furia.
Chiuse il libro e lo mise a posto sullo scaffale.
-Beh, ora qui non c’è più niente. Avrà sicuramente cancellato tutto dal computer.
-In realtà non si accende proprio- brontolò Hiroto, senza riuscire a nascondere la propria amarezza. Fubuki si avvicinò alla scrivania, diede uno sguardo al computer e rise.
-Per forza. Non c’è la spina- disse. Hiroto arrossì per la gaffe e si affrettò a cambiare discorso.
-Comunque è inutile restare ancora qui, torniamo dagli altri.
Fubuki rise di nuovo e, una volta usciti dall’ufficio, disse:- Consolati, non possono essere andati lontano. Troveremo tutte le prove che servono.
-Da come parli, sembra quasi che siamo noi a dover acchiappare loro.
-E non è così?- ribatté Fubuki con un sorriso sardonico.
Hiroto alzò gli occhi al cielo, ma non fece commenti. Voleva solo affrettarsi a tornare indietro. Si voltò e attaccò a camminare, ma, quando si girò per accertarsi che Fubuki fosse con lui, si accorse che stava procedendo da solo.
Fubuki era ancora fermo davanti all’ufficio, con una postura da segugio. Aveva lo sguardo fisso sulle scale. Tendendo l’orecchio, Hiroto realizzò che stava salendo qualcuno.
L’aria nel corridoio si fece improvvisamente più fredda, ma non sembrava fosse opera di Fubuki. Non c’era tempo per nascondersi: un secondo dopo, lo sconosciuto si mostrò.
Era l’ultima persona che Hiroto si sarebbe aspettato di incontrare in quel posto, eppure lui era lì, avvolto nel familiare mantello marrone che ondeggiava a ogni suo movimento. La lama che scintillava nella sua mano destra rievocava ricordi orribili.
Coyote salì gli ultimi gradini e si fermò davanti a loro.
Non appena i suoi occhi neri si posarono su di lui, Hiroto fu percorso da un brivido freddo. Era lui il suo bersaglio, ne era certo; e, a conferma delle sue paure, Coyote si lanciò in corsa verso di lui. Era anche più rapido di come Hiroto lo ricordava. In un attimo gli fu davanti, la lama pronta ad affondare e gli occhi fissi sull’obiettivo. Hiroto indietreggiò d’istinto, ma, nell’istante stesso in cui la spada calò, Fubuki si frappose fra loro.
Spinse via Hiroto con una mano e con l’altra creò una sottile barriera di ghiaccio, contro cui si abbatté la spada di Coyote. La lama rimase incagliata per qualche secondo, poi il ghiaccio cominciò a incrinarsi.
-Scappa!- gridò Fubuki.
Hiroto non se lo fece ripetere. Sapeva di non avere speranze di battere Coyote; la sua unica chance sarebbe stata avvicinarsi tanto da toccarlo, ma c’erano più probabilità di essere fatto a fette prima. Si nascose dietro l’angolo del corridoio e, da lì, si mise a osservare la battaglia.
Dopo essere riuscito a spezzare la barriera di ghiaccio, Coyote abbassò la lama, la fece roteare in aria e subito ripartì all’attacco. Menò un fendente da destra a sinistra, che Fubuki evitò a malapena: la lama non arrivò al suo braccio, ma strappò la manica del camice e la maglia sotto. Fubuki arretrò il più possibile per mettere distanza tra loro. Scambiando la sua prudenza per paura, Coyote si fermò. 
-Fatti da parte. È lui che voglio- gli intimò.
-Beh, dovrai accontentarti- rispose Fubuki.
Coyote digrignò i denti.
-Avrei dovuto ammazzarti quella notte- soffiò con astio. -Avrei dovuto finire quell’idiota di tuo fratello, e poi ammazzare anche te. Ma non è troppo tardi per rimediare.
Fubuki si irrigidì per un attimo, ma non si spostò di un millimetro. Nonostante tutto, non tradiva la minima paura, la sua espressione rimase concentrata e priva di emozioni. Per un po’ i due sfidanti continuarono semplicemente a squadrarsi. La tensione era così fitta da essere soffocante, e Hiroto si trovò senza fiato a chiedersi chi avrebbe attaccato per primo.
Poi Fubuki sferrò la propria offensiva.
Hiroto rimase subito colpito dal suo modo di combattere. Lo aveva già notato, ovviamente, ma mai come in quel momento si rese conto di quanto Fubuki fosse abile anche senza ricorrere al dono. Sapeva come, quando e dove colpire, e lo faceva con destrezza, perché non era soltanto intelligente: possedeva la furbizia e l’intuito di chi è cresciuto per strada con i propri mezzi. Mentre Coyote contava soprattutto sulla forza bruta, con l’obiettivo di sottomettere l’avversario, Fubuki mirava a indebolirlo con attacchi veloci che, pur non andando a segno, costringevano in realtà l’avversario a una costante attenzione, non gli lasciavano tempo per pensare. Quando Coyote affondava la spada in avanti, Fubuki scivolava di lato o indietreggiava, affidandosi al proprio istinto; e, se Coyote ruotava la spada e tentava un fendente orizzontale, Fubuki lo evitava saltando. Sul piano fisico era una lotta alla pari; tuttavia, osservando i loro movimenti, Hiroto intuì che presto la battaglia avrebbe preso una svolta decisiva.
Infatti, dopo un altro affondo a vuoto, Coyote si fece avanti con una raffica di fendenti che avrebbe voluto essere decisiva, ma che in realtà tradiva una pericolosa mancanza di lucidità. E Fubuki non aspettava altro che vederlo perdere la calma.
Sfuggì facilmente alla raffica con un salto e, per un attimo, parve quasi librarsi in aria; poi atterrò alle spalle di Coyote e, prima che lui potesse reagire, strinse una mano attorno all’elsa della sua spada. Nonostante la stanchezza, Coyote ebbe l’istinto di tirarla via. Era davvero il più forte del gruppo. Ma il suo corpo non poteva reggere quel ritmo a lungo, e al minimo segno di cedimento Fubuki si approfittò di quella debolezza senza farsi scrupoli. Dalle sue dita si sprigionò subito il ghiaccio, che avvolse la spada dall’elsa fino alla punta; avrebbe congelato anche la mano di Coyote, se lui non avesse lasciato andare l’arma. Non appena la spada toccò terra, si frantumò in due parti come fosse stata di cristallo. Hiroto era sicuro che fosse finita.
Invece, con un guizzo inaspettato, Coyote si voltò, saltò su Fubuki e lo buttò a terra.
Era chiaro che non aveva uno straccio di piano: voleva solo uccidere, in qualsiasi modo. A dargli la forza di continuare a lottare era soltanto l’odio che provava. Il suo sguardo era quello di una belva affamata, e le sue mani si tinsero di azzurro mentre evocava il dono che ora gli scorreva nel sangue per dare all’avversario il colpo di grazia.
La mano di Fubuki parve saltare fuori dal nulla.
Coyote urlò di dolore quando una delle due metà della spada gli venne conficcata con forza nella gamba. Si trascinò all’indietro d’istinto, ma quasi subito perse l’equilibrio e rotolò a terra con le mani strette sul polpaccio sanguinante. Il dolore doveva essere terribile.
Rapidissimo, Fubuki si rimise in piedi con un colpo di reni. Si avvicinò a Coyote e, dopo averlo studiato per un momento, gli strappò la lama dalla gamba. L’altro lanciò uno grido straziante, che si trasformò in rantolo quando Fubuki lo pugnalò nuovamente. Uno spruzzo di sangue macchiò il camice di Fubuki, stagliandosi rosso su bianco. Fubuki non parve impressionato. Un altro schizzo gli toccò l’orlo dei pantaloni.
Hiroto osservava la scena pietrificato dall’orrore. Aveva sempre saputo che Fubuki non era una brava persona, certo, ma non lo aveva mai creduto capace di tanta efferatezza. Guardandolo in quel momento, si accorse che i suoi occhi tradivano una rabbia soffocata a stento.
-Come osi- sibilò Fubuki, -usare il potere di mio fratello contro di me?
Piegò il polso con un colpo secco, facendo affondare la lama di un altro centimetro buono. Coyote emise un singulto, e i suoi occhi e la sua bocca si spalancarono in un muto terrore. Sbiancò, rendendosi conto solo in quell’istante di aver commesso un errore di valutazione: sebbene agisse a mente più fredda, Fubuki non era meno assetato di vendetta di lui.
In un disperato tentativo di farlo cadere, Coyote cercò di afferrargli la caviglia, ma Fubuki allontanò la sua mano con un calcio. Coyote si morse il labbro per non lasciarsi sfuggire nessun verso di dolore, come se non volesse dargli quella soddisfazione. Ma sbagliava anche in questo, intuì Hiroto. Perché Fubuki, al contrario di lui, non provava nessun piacere nella vendetta; a muoverlo era soltanto una furia cieca, gelida, che si estendeva tanto quanto era grande la sua lealtà al fratello. In quel momento, Hiroto capì che Fubuki non aveva mai avuto intenzione di lasciarlo andare. Fin dall’inizio, quella era stata una battaglia all’ultimo sangue.
-Come osi parlarmi di quella notte? Come osi parlarmi di mio fratello?- disse Fubuki tra i denti, estrasse ancora una volta la lama e la sollevò in aria.
A quel punto Hiroto si sforzò di muoversi.
-Non farlo!- gridò, balzando fuori dal nascondiglio. In un attimo si avvicinò a Fubuki e gli afferrò il polso, bloccandolo prima che potesse virare il colpo. Fubuki gli scoccò un’occhiata infastidita. Tutto il braccio gli tremava per lo sforzo mentre cercava di spingerlo verso il basso nonostante la stretta di Hiroto.
-Lasciami andare- soffiò Fubuki. Il suo sguardo era vacuo, ma non del tutto privo di espressione, e Hiroto pensò che poteva ancora tentare di farlo ragionare.
-Capisco come ti senti, ma non posso lasciartelo fare- disse, serio.
Fubuki rise. Era una risata arida, vuota.
-No, non puoi capire come mi sento.
-Ha ucciso mio padre.
Fubuki si girò di scattò verso di lui. Per un istante la rabbia cedette il posto alla sorpresa, e Hiroto capì di dover approfittare di quel frangente.
-Ha ucciso mio padre- ripeté, contenendo a stento l’emozione, -e stava per uccidere Midorikawa. Certo che so come ti senti. Ma non posso fartelo fare. Non posso lasciare che tu lo uccida-. Deglutì e strinse la presa.
-Pensaci bene, Fubuki. Se lo riportiamo indietro, forse potremo scoprire qualcosa in più. Forse potremo riportare indietro il dono di tuo fratello. Non posso promettertelo, ma farò tutto quello che posso perché venga fatto un tentativo- disse. -Ma anche se non dovessimo riuscirci... almeno tuo fratello avrà te. Se invece diventi un assassino, porterai via ad Atsuya la cosa più preziosa che gli rimane. Ricordi cosa mi hai detto poco fa?
Fubuki sussultò, ma non mollò la presa. Girò lo sguardo torvo verso Coyote che, ancora rannicchiato a terra, stava cercando di strisciare via, lasciandosi dietro una scia di sangue.
-Voglio che paghi per quello che ha fatto- disse Fubuki con una smorfia di disgusto.
Hiroto scosse il capo.
-Pagherà comunque. In carcere. Questa volta niente sconti- ribatté. Fubuki non si mosse; i suoi occhi erano ancora incollati a Coyote.
Poi tirò un lungo sospiro e smise di cercare di liberarsi. Quando si voltò di nuovo verso Hiroto, i suoi occhi erano limpidi.
-Va bene, ma devi promettermi due cose. Primo, che farai tutto quello che è in tuo potere perché non la passi liscia. E se c’è un modo per far riavere il dono ad Atsuya, voglio che sia fatto. Promettimi che non ci tradirai.
-Lo prometto. Giuro sul mio onore che manterrò entrambe le promesse- rispose Hiroto, senza battere ciglio. Fubuki lo studiò per un momento, poi lentamente aprì la mano e fece cadere la lama, che atterrò ai loro piedi e si spaccò in pezzi ancora più piccoli. Hiroto gli lasciò andare il braccio e Fubuki lo lasciò ricadere inerme contro il proprio fianco, come se la rabbia l’avesse svuotato di ogni energia. Si rivolse a Hiroto con voce stanca.
-Allora, che ne facciamo di lui?- chiese, accennando con il capo a Coyote.
Hiroto seguì con gli occhi la striscia di sangue sul pavimento e, all’altro capo, vide Coyote sdraiato a terra a pancia sotto, immobile mentre una pozza rossa si allargava sotto le sue gambe. A quanto pareva, aveva perso i sensi prima di riuscire ad andare più avanti.
-Prima di tutto dobbiamo bloccare l’emorragia, o morirà dissanguato- disse Hiroto.
Fubuki fece una faccia annoiata, ma aiutò Hiroto senza protestare. Per prima cosa lo girarono sulla schiena, assicurandosi così che fosse svenuto; poi strapparono il suo stesso mantello per fare una fasciatura rudimentale, ma sufficiente a bendare momentaneamente la ferita. Hiroto strinse la bendatura improvvisata finché non fu certo di aver bloccato ulteriori flussi di sangue, poi si pulì le mani su quello che restava del mantello sbrindellato.
Mentre si chiedeva come avrebbero fatto a trascinarlo senza lordarsi tutti i vestiti, sentì delle voci chiamarli e un concitato rumore di passi. Poco dopo, Suzuno e Nagumo sbucarono da dietro l’angolo del corridoio e, vedendoli, corsero loro incontro.
-Hiroto! Cos’è successo? Abbiamo sentito delle grida e...!- Suzuno si bloccò di colpo e afferrò il braccio di Nagumo, tirandolo indietro proprio un secondo prima che il compagno calpestasse Coyote per sbaglio.
-Oh merda...!- esclamò Nagumo. Quando guardò a terra e vide la pozza di sangue, i suoi occhi schizzarono quasi fuori dalle orbite. -Cosa diavolo è successo qui?!
Fubuki scrollò le spalle e guardò Hiroto, come incoraggiandolo a dare una spiegazione convincente. Ma era più facile a dirsi che a farsi. Hiroto sapeva di non poter raccontare cos’era successo senza accennare a ciò che Fubuki aveva fatto; perciò, memore delle promesse fatte, preferì restare in silenzio. Intanto, Suzuno osservava la fasciatura di Coyote con sospetto. Seguì con lo sguardo la strisciata di sangue, vide le parti spezzate della spada sparse in giro, poi guardò di nuovo Hiroto e Fubuki. Il suo sguardo si soffermò in particolare sugli schizzi di sangue sul camice bianco di Fubuki, ma l’altro non tradiva il minimo cenno di nervosismo.
-Ci ha attaccati e ci siamo difesi- tagliò corto Hiroto, poi gettò un’occhiata di rimprovero a Suzuno. -Non ti avevo detto di stare fermo e riposare?
-Mi sono riposato abbastanza! Non sono mica così debole!- protestò Suzuno.
Hiroto scosse il capo, esasperato, e diede un rapido sguardo all’orologio del cercapersone.
-È passata circa mezz’ora. Kudou si sarà già messo in contatto con mia sorella. Quando avremo dei rinforzi penseremo a spostarlo, per il momento lasciamolo qui-. E speriamo che ci resti, pensò, ma preferì non dirlo ad alta voce.
Fubuki non parve contento della soluzione, ma anche lui dovette rendersi conto di quanto complicati sarebbero diventati gli spostamenti con quel peso morto dietro. Esitò, guardò a lungo Coyote con espressione combattuta, ma poi raggiunse la stessa conclusione di Hiroto.
Lasciando Coyote indietro, quindi, tornarono dagli altri.
Endou, che si era messo di vedetta, li vide per primo e si girò rapido per dirlo agli altri; poco dopo, anche Gouenji e Kazemaru fecero capolino da dietro al muro. Midorikawa era seduto a terra, con la schiena contro la parete e le gambe piegate contro il petto. Quando sentirono che Hiroto e Fubuki si erano imbattuti in Coyote, tutti rimasero scioccati.
-Dov’è adesso?- chiese Gouenji.
-È svenuto, ma era difficile portarcelo dietro. Lo abbiamo lasciato lì- spiegò Hiroto.
Kazemaru scosse il capo, come se non volesse crederci.
-Ma da dove diavolo è venuto?- esclamò.
-Dal piano di sotto. Ha preso le scale- rispose Fubuki in tono apatico.
Kazemaru aggrottò la fronte. Si girò verso di lui e lo squadrò da capo a piedi.
-Perché sei coperto di sangue?
Fubuki gli fece un sorriso zuccherino.
-Non vuoi saperlo davvero- disse. Kazemaru chiuse subito la bocca, inorridito.
Hiroto lanciò un’occhiata a Midorikawa, che sembrava aver preso la notizia piuttosto male. A giudicare dalla sua espressione sbigottita, era chiaro che neanche lui si aspettava di rivedere Coyote lì. Eppure, Hiroto era convinto che non fosse affatto una coincidenza, che Midorikawa e Coyote si trovassero di nuovo nello stesso posto, allo stesso momento. Stava cominciando a mettere insieme i pezzi, anche se c’erano ancora dei tasselli mancanti. C’era un piano più grande in atto. E tutto faceva capo a quell’uomo, Kenzaki.
-Hiroto? Hiroto!- Endou gli stava schioccando le dita davanti al volto per attirare la sua attenzione. Hiroto mise da parte le teorie e tornò alla situazione presente.
-Scusami, dicevi?
-Mentre eravate via, abbiamo sentito dei rumori. Dal soffitto- lo informò Endou, puntando con un dito verso l’alto.
-Pensavamo che stesse arrivando qualcuno- aggiunse Gouenji. -Ma non sembravano rumori di passi. Accidenti, non sembrava nemmeno qualcosa di umano.
-Non è una gran bella notizia- osservò Suzuno in tono lugubre. -Questi qui si muovono sempre in branco, ricordate? Quindi, se Coyote è qui...- Lasciò la frase in sospeso, ma tutti capirono. Calò un silenzio cupo e preoccupato. Hiroto scoccò un’altra occhiata al cercapersone. Tre quarti d’ora da quando erano entrati.
All’improvviso, Endou batté le mani.
-Okay, ragazzi, ascoltatemi tutti! So che questo è un imprevisto bello grosso, ma non c’è mica bisogno di cambiare i nostri piani. Noi dobbiamo solo arrivare vicini all’uscita, così quando arriveranno i rinforzi sarà tutto più semplice! Vero, Hiroto?- Quando Endou si girò verso di lui con aria incoraggiante, Hiroto capì subito le sue intenzioni e annuì. Il viso di Endou s’illuminò con un gran sorriso, con tanto di fossette agli angoli della bocca.
-Visto? So come vi sentite, ma non dobbiamo perderci d’animo!- esclamò e, alle sue parole, un’ombra di sollievo passò sul viso di tutti, persino quello di Midorikawa. Hiroto non poté trattenere un sorriso. Nessuno sapeva infondere positività nelle persone come Endou.
Hiroto si schiarì la gola. -Endou ha ragione. Procediamo con il piano originale- disse.
-Abbiamo trovato le scale più avanti. Vediamo com’è la situazione, in caso possiamo sempre ripiegare su quelle di emergenza.
E così, una volta che Kazemaru aveva preso di nuovo Midorikawa in spalla, si misero in marcia verso le scale. Dopo quello che era successo, Hiroto si curò di tenere d’occhio Fubuki, il cui passo veloce tradiva una leggera impazienza. Forse Fubuki voleva accertarsi che Coyote fosse ancora lì, o forse già pregustava il momento in cui lo avrebbero sbattuto dietro le sbarre. O forse voleva semplicemente andarsene da lì, cosa altrettanto comprensibile. Quel posto metteva i brividi.
Camminavano tutti in silenzio, guardandosi attorno con circospezione, visto che non sapevano se i nemici sarebbero sbucati fuori dal pavimento o dal soffitto. Hiroto temeva persino che avrebbero visto il fantasma di Coyote. Non è che sperasse che fosse morto, ma di certo non gli sarebbe dispiaciuto. Quando arrivarono più o meno all’altezza delle scale d’emergenza, però, ebbe una sorpresa che non si aspettava.
Purtroppo per loro, infatti, non solo Coyote non era morto; ma, a giudicare dall’assenza del corpo e dalle impronte insanguinate, era più vivo che mai. Le orme portavano all’infermeria. Fubuki fu il primo a reagire e lasciò indietro gli altri per gettarsi con impeto nella stanza. Hiroto fece cenno agli altri di stare fermi, poi lo inseguì. Trovarono l’infermeria vuota, ma Coyote aveva lasciato diversi segni del proprio passaggio, tra cui raccapriccianti ditate di sangue sui banconi immacolati e sulla carta che copriva la barella. Inoltre, Hiroto notò che gli strumenti chirurgici erano stati toccati; erano tutti in disordine rispetto a come li ricordava. Voltandosi, l’occhio gli cadde in particolare su un ferretto a forma di elle, che era appoggiato sulla barella e che, stranamente, non presentava macchie di sangue. Colpito da un’illuminazione, Hiroto guardò di nuovo gli strumenti e realizzò che erano tutti puliti. Provò allora a prendere il ferretto per osservarlo più da vicino, ma dovette subito ritrarre le dita: era bollente. Ne restò impressionato. Aveva la netta sensazione di aver già visto quell’oggetto prima, aveva il nome sulla punta della lingua, ma non gli veniva...
Mancavano dieci minuti allo scoccare delle undici e mezza quando un’improvvisa scossa di terremoto fece tremare il pavimento sotto i loro piedi.
Hiroto perse l’equilibrio e si aggrappò alla barella per non cadere. Il ferretto e tutti gli altri strumenti caddero a terra con un sonoro tintinnio. Quando tutto si fermò, Hiroto si girò e scambiò un’occhiata confusa e preoccupata con Fubuki, che era riuscito a restare in piedi solo mantenendosi a un bancone. Poi qualcuno li chiamò, e loro si precipitarono in corridoio.
Tutti erano tesi e fissavano in alto. Dal soffitto provenivano rumori di smantellamento.
-Sono qui- sussurrò Midorikawa.
Hiroto seguì il suo sguardo e capì cosa sarebbe successo prima che accadesse.
-Tutti giù!- urlò. E poi:- Endou!
Il soffitto venne giù in un fracasso di cartongesso, cemento e fili elettrici.
Hiroto vide la cascata di scintille esplodere sulle loro teste attraverso la mano di luce che Endou era riuscito a evocare all’ultimo secondo. Le schegge si riversarono dappertutto e il corridoio fu inondato da una grossa nuvola di polvere, così densa che per un po’ non fu possibile vedere dall’altro lato. Hiroto si guardò attorno per verificare i danni. I suoi compagni erano tutti intorno a lui, e per fortuna nessuno era ferito. Hiroto si sentì subito più leggero, ma non c’era tempo per il sollievo.
Dall’apertura nel soffitto saltarono giù due figure.
All’inizio riuscirono a distinguere solo le loro silhouette, una alta e smilza, l’altra tozza e grossa; poi, non appena la polvere cominciò a diradarsi, Hiroto riconobbe il ragazzo che aveva la stazza di un bisonte. Lo aveva visto quella notte nell’edificio di Garshield. Se lo ricordava a terra, con una ferita profonda e orrenda alla spalla, ferita di cui ora non c’era traccia. Il ragazzo aveva occhi infossati, con la sclera nera e le pupille rosse, le braccia enormi che gli penzolavano davanti al busto e la schiena incurvata in avanti come un gorilla inferocito.
L’altro ragazzo Hiroto non lo aveva mai visto in azione. Aveva il naso aquilino, occhi vispi dal taglio sottile e un sorrisetto odioso sulla faccia. Portava il familiare mantello marrone e, cosa molto più preoccupante, aveva due sciabole, una per mano.
Kazemaru si chinò verso Hiroto.
-Quelli sono Buffalo e Jackal. Buffalo ha una forza sovrumana, mentre Jackal può creare terremoti- lo informò rapidamente, pallido come un cencio.
Hiroto strinse le labbra mentre osservava i danni fatti da Jackal.
-Non so bene quale sia la situazione, ma mi pare evidente che siano qui per fermarci- disse a bassa voce. Guardò Jackal di sbieco e con il mento fece un cenno impercettibile verso di lui. -Quel potere è una bella rogna, ma dovrà andarci piano. Sono pronto a scommettere che sia stato Kenzaki Ryuuichirou a portarli qui, per qualche motivo, e non credo sarebbe contento se distruggessero questo posto.
Era più una scommessa che altro, ma se Kenzaki davvero poneva la propria ricerca sopra ogni cosa, non avrebbe mai permesso una cosa simile. Loro sapevano cosa Kenzaki voleva, e dovevano sfruttare quel vantaggio. Finalmente Hiroto espose agli altri le proprie teorie.
-Non hanno avuto tempo di portare via tutto. Di sicuro le prove che cerchiamo sono ancora dentro questo edificio, e Kenzaki di sicuro vorrà evitare che tutto venga distrutto, o, peggio, che Midorikawa muoia.
-Quindi l’obiettivo è liberarsi di noi comparse senza fare troppo casino- sintetizzò Nagumo con inaspettata precisione. Fubuki fece scrocchiare le dita delle mani.
-Devono solo provarci- disse in tono minaccioso. Hiroto sospettava che avesse preso molto male la faccenda di Coyote.
Gouenji si voltò leggermente a guardarsi indietro.
-Le scale sono qui dietro. Possiamo correre- disse.
-Non ci lasceranno andare tanto facilmente, e poi come facciamo con Midorikawa? Lui non può correre- obiettò Suzuno, corrucciato.
Hiroto si girò verso Buffalo e Jackal. Bastava incrociare il loro sguardo assetato di sangue per sapere con certezza che li avrebbero inseguiti come un leone con la preda. L’idea di ingaggiare un combattimento con loro non lo entusiasmava affatto, ma che altra scelta avevano? Non potevano lasciare Endou in difesa per sempre. Anche se l’altro non dava segni di cedimento, era ovvio che fosse stanco. Lo erano tutti.
-Siamo più vicini alle scale d’emergenza. Proviamo a farci strada con la forza- disse Hiroto. -Endou, conterò fino a tre. Al tre, ritira la Mano di Luce.
-Quando vuoi!- gridò Endou, senza voltarsi. Hiroto si guardò attorno per assicurarsi che tutti fossero pronti; poi prese la pistola e iniziò a contare. Al suo due, come se sapesse cosa avevano in mente, Buffalo s’incurvò ancora di più e, con un grugnito animalesco, cominciò a strisciare un piede per terra. Il sorriso di Jackal si allargò, scoprendo denti bianchissimi. Hiroto strinse la pistola tra le dita e si preparò mentalmente allo scontro.
Non appena gridò il tre, la Mano di Luce di Endou scomparve in un fascio di luce; nello stesso momento, Fubuki congelò il pavimento. Ma Jackal e Buffalo non si fecero rallentare. Jackal affondò subito le sciabole nel pavimento e disintegrò il sottile strato di ghiaccio. Indisturbato, Buffalo partì alla carica. Si lanciò su Endou, che era il più vicino. 
Endou aspettò fino all’ultimo per scansarsi, poi si girò e gli tirò un calcio nel fianco. Il colpo non parve sortire alcun effetto. Buffalo emise un verso divertito, come se Endou gli avesse fatto il solletico, poi gli afferrò la gamba e lo gettò a terra. Endou rotolò qualche metro più indietro e per poco non travolse Gouenji e Fubuki.
Senza lasciargli il tempo di rialzarsi, Buffalo tornò alla carica: sembrava che avesse intenzione di lanciarsi su Endou a peso morto, per schiacciarlo come un lottatore di wrestling. Ma, prima che potesse farlo, Gouenji gli bloccò il polso con dita infuocate e glielo girò con forza, mentre Fubuki lo colpì in faccia con il palmo della mano aperta, così da stordirlo. Con un grido di rabbia, Buffalo cominciò ad agitarsi con violenza: si girava di qua e di là come una trottola impazzita. Menava pugni ovunque capitasse, tanto da costringere Gouenji e Fubuki ad arretrare per evitare di essere colpiti. Endou estrasse la pistola e sparò due colpi alle sue gambe, con la speranza di riuscire a rallentarlo; tuttavia i proiettili lo sfiorarono appena e Buffalo continuò a muoversi come se nemmeno se ne fosse accorto. Quasi alla cieca caricò Fubuki e Gouenji come una furia e crollò loro addosso con tutto il suo peso.
Fino a quel momento Jackal si era limitato a osservare il combattimento da lontano. Sembrava che stesse aspettando il momento migliore per buttarsi nella mischia; e quel momento arrivò quando vide Buffalo atterrare i suoi avversari. A quel punto Jackal estrasse le sciabole dal pavimento, con tutta calma; poi come un fulmine guizzò in avanti. Usando la schiena del compagno come trampolino di lancio, saltò a sciabole incrociate sugli altri.
Suzuno si parò subito davanti a Kazemaru e Midorikawa. Stese la mano avanti, e davanti a lui si erse una barriera di ghiaccio che si estendeva da un muro all’altro, ma lo sforzo lo fece cadere in ginocchio. Come Hiroto temeva, non si era ancora ripreso del tutto. Senza pensarci troppo, Hiroto corse subito da lui, gli prese un braccio all’altezza del gomito e cominciò a trascinarlo con sé mentre indietreggiava rapidamente. Suzuno fece un verso contrariato, ma Hiroto non aveva tempo di essere delicato. Jackal aveva già inferto alla barriera due colpi; con il primo era riuscito a stento a scalfirlo, ma al secondo il ghiaccio cominciò a creparsi.
Hiroto lasciò andare Suzuno e gettò un’occhiata alle spalle di Jackal, giusto in tempo per vedere Fubuki assestare un colpo alla gola di Buffalo che gli mozzò il fiato. Quando Buffalo si tirò indietro d’istinto, con le mani al collo, Gouenji ne approfittò per sparargli una fiammata in petto. Il gigante venne letteralmente sbalzato in aria e sbatté contro il muro opposto. A quanto pareva, non era un mostro di strategia.
Con un terzo colpo, Jackal sfondò la barriera di ghiaccio in un turbinio di schegge. Nello stesso momento, Nagumo corse verso di lui con un pugno alzato, mentre Hiroto gli sparò con una mano sola; ma Jackal sviò il proiettile all’ultimo secondo con il lato piatto della sciabola, mandandolo a conficcarsi in un muro. Schivò Nagumo con un passo laterale, corse addosso a Hiroto e in un attimo gli fu sopra, fendendo l’aria con la sciabola.
Seguendo solo l’istinto, Hiroto si buttò a terra, rotolando a destra. Non poteva spostarsi più di tanto, o avrebbe lasciato Suzuno scoperto e vulnerabile. Sollevò la pistola per sparare, ma Jackal fu più veloce e cercò di colpirgli il fianco. Hiroto riuscì a bloccarlo a stento con il lato della pistola, ma la violenza dell’impatto gliela fece volare di mano. Sentì il rumore dell’arma che cadeva a terra poco lontano. Non aveva il tempo per girarsi e vedere dove fosse. Jackal stava per attaccare di nuovo e lui era disarmato. Per fortuna, però, non era solo.
Nagumo saltò sulle spalle di Jackal senza preavviso.
Subito Jackal cominciò a dibattersi per scrollarselo di dosso, ma l’altro teneva duro. Poi, con un bagliore, le braccia di Nagumo si ricoprirono di fuoco dal gomito fino alla punta delle dita. Il mantello di Jackal prese fuoco in un istante; e il ragazzo, infastidito e preoccupato che le fiamme potessero estendersi, fu costretto a far cadere una sciabola per acchiappare Nagumo. Prima lo colpì in faccia per sbaglio, con un cazzotto dato alla cieca; poi, quando riuscì ad afferrarlo per la maglietta, tirò con tutta la forza che aveva e se lo lanciò oltre la spalla. Ma Nagumo reagì con grande agilità: si girò in aria, atterrò sulle mani e, dandosi lo slancio, si rimise in piedi. Si passò il braccio sul viso, sputò a terra il sangue che aveva in bocca e digrignò i denti. I suoi occhi caddero sulla sciabola che Jackal aveva fatto cadere. A causa della colluttazione, Jackal doveva averle dato un calcio, spostandola di qualche metro, e ora l’arma si trovava esattamente al centro tra loro due. Approfittando del fatto che Jackal fosse ancora stordito, Nagumo corse verso la sciabola e la allontanò da Jackal con un calcio, mandandola fuori dalla sua portata, verso Hiroto. Poi accelerò e si gettò dritto contro Jackal. Nell’impeto finì per dargli una testata nello stomaco che lo fece cadere a terra, e poi andò giù con lui. Jackal lasciò anche l’altra sciabola, ma non si perse d’animo e si difese con le mani. Mentre loro due rotolavano a terra, menando pugni e calci alla rinfusa, nel corridoio si sollevò un’improvvisa raffica di vento gelido.
Hiroto si rese conto in un attimo che non era opera di Fubuki, né di Suzuno. Restava solo una terza possibilità. Il sangue gli si raggelò nelle vene. Si guardò alle spalle e vide altre due persone che venivano verso di loro.
Uno era Coyote, disarmato e zoppicante, ma non per questo meno minaccioso; e l’altro un ragazzino poco più basso, che aveva invece una spada. Quando Midorikawa lo vide, il suo sguardo si rabbuiò.
-Fox- soffiò tra i denti. Il ragazzo ricambiò la sua ostilità con un’occhiata truce. D’impulso levò la spada e gliela puntò contro, ma Coyote alzò una mano per fermarlo.
-Ci serve vivo. E non solo lui- disse con voce perentoria. Si guardò attorno con una smorfia. -Mi sfugge il perché, ma Kenzaki vuole che glieli portiamo tutti.
-Va bene, ma non farà differenza se prima gli taglio un braccio o una gamba, no?- insistette Fox, ancora riluttante. Coyote gli gettò un’occhiata annoiata e Fox abbassò la spada con un’espressione tutt’altro che entusiasta, senza che i suoi occhi lasciassero mai Midorikawa.
-Buffalo, Jackal, il tempo di giocare è finito. Metteteli al tappeto- disse Coyote.
A quelle parole Jackal e Buffalo si riscossero e, con un improvviso slancio di forza, riuscirono ad avere la meglio sui propri avversari. Buffalo afferrò Gouenji e Fubuki per le maglie e li scagliò con forza su Endou, mettendoli al tappeto in un colpo solo; mentre Jackal atterrò Nagumo a terra e gli premette un gomito tra le scapole per tenerlo giù. Con un brivido di orrore, Hiroto realizzò che fino a quel momento non avevano combattuto sul serio. Stavano solo prendendo tempo. Giocando con loro come il gatto con il topo.
Mentre guardava gli sconfitti, Coyote accennò un sorrisino.
-Bene. Ora catturiamoli e portiamoli da Kenzaki. Avanti, perdenti, in piedi!- berciò.
Jackal e Buffalo costrinsero Gouenji, Endou, Nagumo e Fubuki ad alzarsi con la forza, strattonandoli e spingendoli e pungolandoli da dietro. Hiroto aiutò Suzuno a rialzarsi prima che lo facessero loro. Coyote gettò un’occhiata ostile a Kazemaru.
-Fallo scendere- gli ordinò, accennando con il mento a Midorikawa. -Voglio vedere questo bastardo camminare con le sue gambe, se gli riesce. E se non ce la fa, può anche strisciare.
I suoi compagni parvero trovarlo molto divertente e scoppiarono a ridere, come un branco di iene. Midorikawa, ignorandoli, sussurrò qualcosa a Kazemaru, che si accovacciò per farlo scendere. Coyote lo fissava divertito, evidentemente convinto che Midorikawa sarebbe caduto appena avesse toccato terra; invece, con sua meraviglia e delusione, Midorikawa non diede segni di cedimento e rimase in piedi dritto come un fuso. Coyote fece una smorfia e gli diede uno spintone per farlo camminare.
-Muoviti- abbaiò, nervoso. -Muovetevi tutti!
Li raggrupparono come dei carcerati e li costrinsero a camminare, mandando Midorikawa avanti da solo. Hiroto si posizionò vicino a Kazemaru, pensando di tranquillizzarlo, ma invero finirono entrambi a fissare con apprensione la schiena ritta di Midorikawa, il suo profilo fiero. Sembrava che avesse deciso fermamente di non mostrare né paura, né nervosismo. Hiroto ammirava e invidiava il suo coraggio, mentre Fox e Coyote continuavano a lanciargli sguardi omicidi. Malgrado la palese irritazione, però, non lo toccarono neanche con un dito. Hiroto era sicuro che si sarebbero accaniti su di lui; quando non accadde, non poté fare a meno di chiedersi cosa ci fosse davvero in gioco. Che razza di accordo avevano fatto con Kenzaki? Come mai erano passati dalla sua parte? Portargli Midorikawa era il prezzo della loro libertà? Non tutto quadrava; doveva esserci dell’altro dietro.
E c’era anche un’altra cosa che lo preoccupava. Solo poco prima, Coyote aveva cercato di ucciderlo, ora invece lo voleva vivo. O forse catturarlo era sempre stato il suo unico obiettivo? In ogni caso, Hiroto dubitava che fosse stata un’idea sua. Era piuttosto chiaro che, se fosse dipeso da lui, sarebbe finito tutto in un bagno di sangue. Ma Kenzaki gli aveva chiesto specificamente di portargli tutti loro, vivi. Perché?
All’imboccatura delle scale, si fermò e deglutì. Era più che sicuro che laggiù avrebbe avuto tutte le risposte ai suoi dubbi; ma voleva davvero sentirle?
Coyote lo fece quasi ruzzolare per le scale con uno spintone.
-Scendi- gli sibilò, pungolandolo da dietro. Hiroto era molto grato del fatto che non avesse più una spada. Si morse il labbro. Doveva farsi venire in mente uno straccio di piano prima che tutti arrivassero al proprio limite; ma a ogni passo gli pareva di avvicinarsi un po’ di più alla bocca dell’inferno.
Dopo essere scesi al piano inferiore, i ragazzi attraversarono un corridoio e, costretti a tirare dritto senza distrazioni, sbucarono nella hall della clinica. Era un’ampia stanza ottagonale con pareti bianche lisce, un pavimento piastrellato e luci al neon che pendevano dal soffitto. Su un lato si estendeva un largo bancone da reception bianco, dietro cui c’era una larga finestra rettangolare con infissi chiari e tapparelle color crema. Esattamente al lato opposto rispetto al corridoio, c’era una grande porta con pannelli a vetro così lucidi da potersi specchiare.
In mezzo a quell’ambiente così pulito e asettico, c’era Kenzaki.
La prima sensazione che Hiroto provò, a pelle, fu disgusto. Kenzaki Ryuuichi era così pallido da sembrare quasi grigio e, guardandolo negli occhi, si aveva l’impressione di fissare un serpente. Quando li vide arrivare, gli angoli della bocca sottile si piegarono in un sorriso compiaciuto.
Alle sue spalle, intimoriti e curiosi al tempo stesso, fecero capolino gli altri ricercatori rimasti nella struttura, due donne e due uomini; a difenderli c’erano una trentina di guardie e almeno una quindicina di uomini con equipaggiamento più pesante, perché Kenzaki non aveva badato a spese. Coyote zoppicò fino a Kenzaki e si fermò davanti a lui.
-Te li abbiamo portati, come volevi- disse in tono incolore. -Ora dacci la nostra ricompensa.
Sembrava piuttosto impaziente, ma purtroppo per lui Kenzaki era di un altro avviso e gli passò accanto facendogli soltanto un cenno con la mano, come per dirgli di aspettare. Coyote digrignò i denti, irritato, e Hiroto capì che Kenzaki non gli piaceva molto più di quanto piacesse a loro: fino a quel momento si era sforzato di assecondarlo per ottenere quello che voleva, ma la sua pazienza era agli sgoccioli. Un rapido sguardo ai volti di Buffalo, Fox e Jackal bastò a capire che erano d’accordo con Coyote.
Ma Kenzaki parve non accorgersi nemmeno di tutto quel malanimo nei suoi confronti. A lui interessava solo Midorikawa; vedeva solo Midorikawa. Gli si avvicinò con tutta calma e si fermò a meno di un metro da lui. Midorikawa si era irrigidito e lo fissava con astio, ma Kenzaki sembrava affascinato persino dal suo odio.
-Sono felice di vederti in buona salute, Ryuuji. Non è da tutti riprendersi tanto velocemente, nonostante l’alto numero di medicinali di cui è stato fatto uso, sai? Come ho sempre pensato, sei diverso da tutti gli altri. Sei davvero materiale di altissima qualità- disse con voce melliflua, mentre lo squadrava da capo a piedi con occhi che brillavano.
Hiroto tratteneva a stento la rabbia. Avrebbe voluto mettersi in mezzo, tirare via Midorikawa e tenerlo al sicuro, ma sapeva che così non avrebbe risolto nulla. I numeri non erano dalla loro parte. Si impose di mantenere la calma e, quando vide Kazemaru sul punto di sbottare, lo trattenne stringendogli un braccio. L’altro lo guardò torvo, ma Hiroto scosse il capo. Non era il momento di reagire, era il momento di stringere i denti e resistere.
Midorikawa sembrava essere dello stesso avviso. Invece di rispondere, si limitò a fissare Kenzaki con disgusto; era chiaro che lo considerava alla stregua di un insetto ripugnante.
-Sei arrabbiato con me? Oh, ma non esserlo. Infatti, voglio che tu sappia che so essere molto generoso... E per questo ho deciso che lascerò che qualcuno dei tuoi amici resti per farti compagnia- disse Kenzaki.
A quelle parole Midorikawa sbiancò e vacillò leggermente. Si morse il labbro per non parlare. Kenzaki accolse la sua reazione con un sorriso compiaciuto, poi guardò oltre le sue spalle, prestando attenzione a qualcun altro per la prima volta. Hiroto si spostò istintivamente davanti a Suzuno, e gli occhi di Kenzaki caddero proprio su di lui. Il suo sorriso si allargò.
-Hiroto Kira... Ops, perdonami, Kiyama. Un vero peccato che tu non sia un Kira, no?- disse. Fece una risatina greve, coprendosi le labbra con una mano. -Seijirou Kira era un vero idiota. Aveva tra le mani un... dono straordinario come il tuo, e non ti ha saputo valorizzare come meritavi. Il massimo che è riuscito a farti fare è stato uccidere qualcuno che era già morto.
Tese la mano verso di lui. -Ma io, per tua fortuna, so riconoscere il talento quando lo vedo. E tu hai un talento preziosissimo! Sarai la mia ricerca migliore, dopo Midorikawa- disse. I suoi occhi si ridussero a fessura. -A meno che Suzuno Fuusuke non mi farà il piacere di venire con me, questa volta? Non ti farò più scappare.
Suzuno trasalì sentendo il proprio nome e cominciò a tremare.
-No grazie- rispose Hiroto in tono gelido, -per entrambi.
Kenzaki lo ignorò. Allargò le braccia in modo teatrale, con una luce folle negli occhi.
-Non posso credere che siate venuti tutti qui, per me! Tutti i talenti migliori, in un unico posto! Mi avete fatto un regalo immenso, ed io saprò ricompensarvi giustamente, non temete!- esclamò. -Ryuuji, Kiyama, Suzuno e...- Si fermò mentre contava sulle dita e la sua attenzione si fissò su Fubuki.
-E naturalmente, Fubuki Shirou... L’adorato cocco di Fuyumi! Deve essere stato devastante, perderla di punto in bianco. Doveva portarvi entrambi, lo sapevi? Ma poi si affezionò talmente tanto a te, che decise di portarci solo tuo fratello-. Kenzaki sospirò in modo esagerato. -Beh, alla fine non ha fatto tanta differenza, no?
Fubuki gli rivolse un'occhiata di puro odio; se avesse potuto pugnalare Kenzaki al cuore in quel momento stesso, lo avrebbe fatto. Hiroto, intanto, li guardava con una certa apprensione. "Fuyumi", anche Kudou aveva fatto quel nome... Almeno adesso Hiroto riusciva a comprendere un po' di più le motivazioni di Fubuki. Sperava solo che non facesse gesti avventati.
-Ti proporrei di portare qui anche tuo fratello- continuò Kenzaki con un sorrisetto, -ma, visto che non ha più il suo dono, sarebbe inutile, no?
Hiroto rivolse a Fubuki un’occhiata supplice, ma Fubuki non lo vide nemmeno.
-Lascia stare mio fratello- sibilò, furioso. Kenzaki lo guardò con sussiego. Intanto Coyote, alle sue spalle, scalpitava irrequieto.
-Ehi, Kenzaki, smettila di ignorarci- si lamentò.
-Non è il momento, Coyote.
Coyote digrignò i denti e puntò il dito verso Fubuki.
-Posso almeno spaccargli la faccia? Non ti dispiace, no?- chiese.
Tutti si irrigidirono. Gouenji guardava preoccupato Fubuki, che però non batté ciglio. Kenzaki lo studiò per un momento, poi si girò verso Coyote.
-Ma sì, basta che siano vivi. Fa’ pure- disse freddamente, e Coyote non aspettava altro.
Vedendolo farsi largo tra gli altri come una furia, Gouenji cercò di mettersi davanti a Fubuki, ma Buffalo lo afferrò per la maglia e lo strattonò all’indietro con prepotenza. Coyote raggiunse Fubuki e lo colpì al volto con un pugno. La testa di Fubuki scattò di lato con uno schiocco nauseante. Hiroto strinse istintivamente gli occhi, pensando a quanto male dovesse aver fatto, ma Fubuki non si perse d’animo. Soffocò il dolore e sputò a terra il sangue che aveva in bocca. Sulle scarpe di Coyote.
Coyote gli diede un altro pugno, con una violenza tale da buttarlo a terra; poi affondò le dita nei suoi capelli e glieli tirò con forza per costringerlo ad alzare la testa. Quando fu certo che Fubuki potesse guardare, tese la gamba ferita e gliela mostrò. La ferita c’era ancora, ma, sebbene il dolore non fosse certamente scomparso, non era più aperta e sanguinante. La pelle aveva un orribile colore scuro, come se fosse marcita, anzi, come se fosse stata bruciata...
Suzuno trattenne bruscamente il fiato. Hiroto lo vide mimare la parola cauterio a fiori di labbra e, d’un tratto, ricollegò il ferretto che aveva visto alla ferita di Coyote. Il suo sguardo scattò su Fox, che aveva il dono del fuoco di Bonitona. Pur di richiuderla, avevano cauterizzato la ferita. Doveva essere stata un’agonia. Se si fosse trattato di altri Hiroto non l’avrebbe creduto possibile, ma loro erano abbastanza folli da farlo. Abbastanza assetati di potere da non fermarsi davanti a nulla.
Fubuki non riusciva a muoversi. Coyote lo canzonò.
-Hai visto, perdente? I tuoi sforzi non sono serviti a niente.
Ma, con suo grande disappunto, Fubuki si rifiutava di guardare. Coyote lo tirò con più forza, ma Fubuki si morse il labbro per non farsi sfuggire versi di dolore e continuò a fissare ostinatamente il pavimento. A quel punto Coyote si stancò e lo lasciò andare.
-Io sono ancora in piedi e tu no- disse in tono asciutto. -Io sono forte e tu debole. E appena sarà possibile ti farò pagare l’umiliazione che mi hai dato. E dopo essermi occupato di te, cercherò tuo fratello e finirò il lavoro, puoi starne certo.
Sentendo nominare il fratello, Fubuki alzò di scatto lo sguardo con rabbia. Coyote ghignò, perché la sua provocazione aveva avuto effetto.
-Bravo. Questo è lo sguardo che voglio vedere- disse, gli diede un calcio in pieno petto. Fubuki cadde all’indietro e si rannicchiò su se stesso tossendo.
-Può bastare- intervenne Kenzaki. Coyote sbuffò, chiaramente insoddisfatto, ma obbedì e si ritirò. Kenzaki si portò una mano al mento con fare pensieroso.
-Uhm, dov’eravamo? Oh, sì. Stavo decidendo chi di voi portare con me- riprese come se nulla fosse successo. -Vi propongo un semplice scambio. Se verrete con me, vi svelerò i segreti della mia ricerca. Eccitante, vero? Potreste ottenere un potere illimitato... e persino sconfiggere la morte!- Si fermò con un sospiro e li guardò uno a uno con uno sguardo di compassione.
-Sicuramente non vi piaccio molto, ma i partner in affari non devono per forza piacersi, no? Funziona così nel mondo degli adulti. Non crediate che Garshield Bahyan ed io fossimo grandi amici. Ma eravamo grandi partner d’affari. Grandi- continuò, si strinse nelle spalle. -Seijirou Kira, invece, non ha mai voluto sporcarsi le mani. Gli proposi di vendergli i miei segreti quando era capitano di polizia, ma rifiutò. Bah. Se avesse accettato, magari suo figlio si sarebbe salvato. Invece Bahyan li ha comprati prima di tutti e ha deciso di ammazzare il ragazzo. Un vero peccato. Ma in fondo è servito più da morto che da vivo. Guardate che splendidi esperimenti Bahyan ha creato con il mio aiuto!
Kenzaki allargò le braccia per indicare Coyote, Fox, Buffalo, Jackal. Ma era tutto assurdo. Hiroto non riusciva a guardare Kenzaki in faccia; c’erano troppe informazioni in gioco e gli stava venendo da vomitare. Le parole di Kudou riaffiorarono nella sua memoria.
Nel caos che seguì, molti fascicoli furono trafugati e i segreti delle nostre ricerche furono venduti nell’ambito militare.
Garshield Bahyan aveva fatto la sua fortuna vendendo armi e attrezzature militari. Commerciando segreti. Cosa che Seijirou si era rifiutato di fare... Seijirou Kira era diventato Spy Eleven per i suoi meriti come capitano di polizia e si occupava principalmente di contatti con l’ambito militare... Erano tutte cose che Hiroto sapeva benissimo. Quante volte aveva letto i fascicoli sui vecchi lavori di suo padre? Quante volte aveva guardato con ammirazione i vecchi trofei, i distintivi, le targhe appese in casa e in ufficio? Ma, nonostante tutti gli anni trascorsi insieme, in quel momento Hiroto realizzò di non aver mai veramente conosciuto l’uomo chiamato Seijirou Kira. Non aveva mai avuto accesso alle sue motivazioni, ai suoi pensieri, alle sue paure. Ora che conosceva tutta la verità, dovette fare appello a tutte le sue energie per non andare in pezzi mentre tutte le certezze gli crollavano addosso. Non aveva intenzione di mostrarsi debole, ma non riusciva a trovare nulla a cui appigliarsi.
Poi la voce di Midorikawa ruppe il silenzio, dura, impietosa.
-Perché?
Una domanda che aveva il peso del mondo intero. Hiroto cercò Midorikawa con lo sguardo. Pensava che assistere al suo coraggio lo avrebbe rassicurato; invece, quando posò gli occhi su di lui, fu come ricevere una scossa violenta.
Midorikawa, tremante di rabbia, coi capelli sciolti e scarmigliati che gli circondavano il volto, era furia allo stato puro, come l’immagine stessa di Medusa, e guardava Kenzaki dritto negli occhi come se volesse tramutarlo in pietra.
-Perché?- ripeté Kenzaki, senza capire. Sbatté le palpebre, perplesso: la domanda sembrava averlo preso in contropiede. -Che vuoi dire, perché?
Midorikawa serrò la mascella.
-Qual è lo scopo della tua “grande” ricerca?- domandò aspramente.
-Ah- mormorò Kenzaki. -Non te lo avevo detto? Eppure pensavo che, proprio tu, tra tutti, avresti capito. Non ho forse detto che avrei sconfitto la morte?
Si passò una mano nei capelli con fare drammatico.
-Io voglio te, Ryuuji. Tutto quello che sei. Perché tu puoi sopravvivere alla morte? Perché non dare questo grande dono a tutti? Se potessimo avere l’immortalità... Ah, non sarebbe forse il più grande successo, per uno studioso? Io voglio il potere, la gloria, la massima conoscenza, voglio tutto, tutto- affermò Kenzaki. Adesso non appariva più calmo e controllato; al contrario, il suo viso era deformato dalla follia e la sua voce cresceva sempre più in volume man mano che si lasciava prendere dall’eccitazione.
-E ho votato tutta la mia vita a questo grande scopo! Anche se gli altri non capiscono... Anche se ho dovuto lottare per ogni briciolo di riconoscimento...! Quando scoprirò il tuo segreto, Ryuuji, diventerò l’uomo che ha scoperto l’immortalità. Il nuovo Prometeo!
-Beh, grazie a me Bahyan ha avuto i suoi soldati- Kenzaki si fermò e accennò a Coyote. -Grazie alle mie ricerche, ha potuto tirar fuori dei soldati eccellenti da comunissimi ragazzini di strada... che, lo ammetto, hanno del potenziale. Ma Bahyan si è sempre fermato a piccoli risultati... Si può pensare molto più in grande! Per questo ho stretto un accordo con questi ragazzi. Io so cosa bramano più di tutto... E gliel’ho offerto su un piatto d’argento.
-Potere- soffiò Kenzaki. -Ho dato loro libertà e potere, e in cambio sono diventati cavie del mio esperimento. Dal momento che ho mescolato il loro sangue con quello dei drifter sacrificati, non hanno più bisogno di pietre o altri mezzucci per usare quei doni. Certo, è ancora un risultato imperfetto... Non sono certo come te, Ryuuji... Ma sono un passo più vicino a al mio sogno di sconfiggere la morte! E...
-Ci hai promesso anche di liberare nostro padre- lo interruppe Coyote, accigliandosi.
Kenzaki sbuffò, seccato di essere stato interrotto, e fece un segno di deferenza con la mano.
-Oh sì, sì, certo- lo liquidò. -Gashield Bahyan è stato un ottimo alleato, sapete. Le persone avide non mi dispiacciono; sono le più facili da capire, dopotutto.
Anche se il tono non era dei migliori, Coyote parve soddisfatto della risposta; lui, Fox, Jackal e Buffalo si scambiarono occhiate compiaciute. Per loro la liberazione di Garshield era una notizia da festeggiare, tanto quanto era una disgrazia per la giustizia. Hiroto rabbrividì pensando a quanto avevano perso in quella battaglia. Il solo pensiero che quell’incubo potesse ricominciare bastava a terrorizzarlo.
Poi lo sentì. Un debole bip, dal suo fianco destro. Hiroto s’irrigidì per un momento, perplesso, ma si riscosse quando si ricordò del cercapersone. Gettò una rapida al dispositivo e notò che sul lato superiore si era accesa una lucina verde, appena visibile. Qualcuno stava cercando di contattarlo: era un segnale.
Il sollievo lo travolse come un’onda, ma era ancora presto per cantare vittoria. Ora più che mai dovevano stringere i denti e resistere.
Hiroto strinse il braccio di Kazemaru per attirare la sua attenzione e, quando l’altro si girò, tamburellò piano un dito sul cercapersone. Lo sguardo di Kazemaru cadde quasi automaticamente su quel punto e un barlume di speranza accese il suo viso. Hiroto gli lasciò il braccio e, sempre tenendo lo sguardo fisso su Kenzaki e Coyote, si avvicinò di un mezzo passo a Suzuno. Suzuno aveva già visto il segno che Hiroto aveva fatto a Kazemaru; perciò intuì subito qual era il messaggio e lo passò a Nagumo e Gouenji. Intanto, Kazemaru aveva urtato casualmente Endou, così da potergli sussurrargli qualcosa. Hiroto vide mille emozioni passare sul volto dei compagni, e anche come si sforzarono di sopprimerle per non risultare sospettosi.
In quel momento, Kenzaki alzò una mano e guardò l’orologio da polso.
-Oh, ma è già così tardi! È stata una conversazione molto piacevole, ma credo che dovremo finirla qui. La mia ricerca mi aspetta!- esclamò in tono brioso, come se stesse annunciando di voler fare un picnic. Si girò verso il suo plotone di difesa e schioccò le dita.
-Su, prendeteli- ordinò serenamente.
A rispondere subito all’ordine furono gli uomini in nero, che cominciarono ad avanzare lentamente verso i ragazzi, stringendo il cerchio attorno a loro. Quando furono a pochi metri da loro, Hiroto guardò Kazemaru.
-Adesso!- gridò, e Kazemaru si mosse come un fulmine.
Balzò in avanti, agguantò Midorikawa e, tenendolo stretto tra le braccia, evocò il suo dono. In un istante attorno a loro si formò un ciclone d’aria tanto violento da costringere gli uomini a indietreggiare. Nella stanza si levarono grida di stupore e spavento. Kazemaru fece un altro sforzo e ingigantì il ciclone fino a fare il vuoto attorno a sé: era stanco, e non sarebbe riuscito a mantenere vivo il ciclone a lungo, ma l’importante era guadagnare quei pochi secondi. Approfittando di quel piccolo vantaggio, infatti, Hiroto e gli altri si raggrupparono rapidamente attorno a Kazemaru e Midorikawa. Resistere era la parola chiave.
Dal nulla, la lama infuocata di Fox tagliò una parete del ciclone e nel vento cominciarono a danzare delle lingue di fuoco. Gouenji cercò di cambiarne la direzione prima che si propagassero, ma, occupato com’era a sostenere Fubuki con un braccio solo, riuscì soltanto a spedirle verso il soffitto. Una fiammata colpì una delle luci al neon, che esplose in una doccia di scintille, e tutti urlarono. I ricercatori corsero a tuffarsi dietro il bancone, sperando così di proteggersi. Persino Kenzaki non si sforzava più di apparire calmo e urlava come un ossesso.
-Cosa state aspettando?! Ryuuji, catturate Ryuuji!
Ma, nonostante lui si agitasse e si sbracciasse, le altre guardie non si muovevano. Guardavano ora Kazemaru, ora Fox, con crescente preoccupazione, probabilmente perché non volevano trovarsi tra i due fuochi. Anche gli uomini in nero esitavano ad aprire il fuoco: si limitavano a osservare la situazione per capire che tipo di piega avrebbe preso.
Dopo aver dissolto l’attacco di Kazemaru, Fox si scagliò contro di lui con la spada infuocata, ma fu bloccato dalla Mano di luce di Endou, che si materializzò come un muro tra loro. Fox la colpì con violenza, ma non riuscì a smuoverla di un millimetro, perché la volontà di Endou era più forte della sua. A quel punto anche Jackal si gettò nella mischia. Anche se l’ordine di Kenzaki era di catturarli, aveva nello sguardo una furia omicida tale che Hiroto ebbe paura di aver innescato uno scontro all’ultimo sangue.
Jackal si lanciò su Endou come una furia e, con un fendente ben mirato, gli lacerò la spalla. Il sangue iniziò a sgorgare a fiotti dalla ferita. Endou perse la concentrazione per un istante, ma la ritrovò subito dopo e, nonostante il dolore, la Mano di luce non vacillò. Niente gli avrebbe impedito di proteggere Kazemaru. Jackal sollevò di nuovo la spada, deciso a piegare la sua volontà a costo di tagliargli un braccio; ma, quando fece per virare il colpo, si bloccò come se qualcosa lo stesse tirando da dietro.
Nagumo era alle sue spalle, con una mano stretta attorno all’elsa della sciabola. Rivolse a Jackal uno sguardo sprezzante.
-Ci rivediamo, stronzo- soffiò tra i denti, poi le sue dita si ricoprirono di fiamme. L’elsa si arroventò in un istante e Jackal cacciò uno strillo di sorpresa e dolore. Cominciò ad agitarsi per liberarsi di quel ferro ardente e salvarsi la mano, e Nagumo glielo lasciò fare. La sciabola cadde a terra e nessuno osò prenderla. Jackal si guardò incredulo la mano coperta di bolle rosse, poi alzò su Nagumo uno sguardo carico di odio. La stanza iniziò a tremare. Stava arrivando una nuova scossa. Kazemaru si strinse ancora di più a Midorikawa, mentre Hiroto spostava Nagumo e prendeva il suo posto. Aveva un solo pensiero in testa. Se solo fosse riuscito a toccare Jackal... Allungò la mano verso di lui e per un momento riuscì a sfiorarlo.
Le scosse si fermarono di colpo.
Nagumo sospirò, ma Hiroto non riusciva a condividere il suo sollievo. Sapeva di non essere stato lui a fermare Jackal. Fissò l’avversario negli occhi e capì di avere ragione quando vide la sua stessa incredulità nello sguardo dell’altro. Si girò di scatto verso Fox, che stava fissando la lama della sua spada, non più avvolta dalle fiamme, con lo stesso stupore. Anche Buffalo si era fermato, e l’espressione di Coyote era un misto di sorpresa e orrore. Hiroto trattenne il fiato e tornò a guardare Jackal, il cui volto era contratto in una smorfia, come se si stesse concentrando per immagazzinare una grande quantità di potere. Solo che quel potere non c’era più.
-Ah, dannazione- sbottò Kenzaki.
Sembrava molto infastidito dall’inconveniente. Ignorando tutti gli sguardi su di sé, si passò una mano tra i capelli e borbottò qualcosa sottovoce; poi sfilò dalla giacca una piccola agenda di pelle e cominciò a sfogliarla febbrilmente.
-Esperimenti imperfetti- mormorò con disgusto. -Pessimo, pessimo materiale di partenza...
-Cosa stai dicendo? Cosa succede?- lo interruppe Coyote con una nota isterica nella voce.
Kenzaki non gli rispose, se non con uno sguardo gelido e sprezzante.
La sua reazione confermava ciò che Hiroto aveva già capito.
-I loro doni stanno sparendo- parlò prima di pensare, e subito si coprì la bocca con una mano. Coyote gli scoccò un’occhiata furiosa, poi si rivolse a Kenzaki.
-Cosa sta succedendo, Kenzaki?!- sbraitò.
Kenzaki fece schioccare la lingua contro il palato.
-È inutile che te la prendi con me. Il mio lavoro è stato impeccabile. Non è colpa mia se il materiale di partenza era scadente- ribatté seccamente, chiudendo l’agendina con un gesto di stizza e agitandola davanti al naso di Coyote. -È tutto scritto qui dentro! Un lavoro perfetto, non potevo fare di meglio! Potete incolpare solo voi stessi!- lo rimbeccò in tono infantile.
Grazie a quella farsa, però, Hiroto riuscì a dare una buona occhiata all’agenda. Avrebbe scommesso un occhio che era quello il contenuto del libro portaoggetti che lui e Fubuki avevano trovato vuoto. Non poteva essere altrimenti. Nella sua mente riaffiorò l’immagine della targa e delle iniziali incise sopra. Come aveva potuto essere così idiota da non arrivarci? Quello doveva essere proprio l’ufficio di Kenzaki, e loro dovevano assolutamente mettere le mani su quell’agenda.
Ma, prima ancora che Hiroto potesse pensare a come prenderla, Kenzaki se la infilò nuovamente nella parte interna della giacca, nascondendola alla loro vista.
-Beh, a questo punto direi che non se ne fa più niente- disse, arricciando le labbra sottili in un broncio. Coyote lo fissò sbigottito, poi la sorpresa si tramutò in sospetto. Fece un passo verso Kenzaki con i pugni stretti lungo i fianchi.
-Cosa sta dicendo?!- esclamò.
-Devo farti lo spelling?- Kenzaki alzò un sopracciglio. -Siete zavorra, un peso morto, una palla al piede, un’inutile e fastidiosa spina nel mio fianco. Potete tornare a casa vostra, per la strada, o emigrare dove vi pare, non mi importa più.
Coyote digrignò i denti e puntò i piedi.
-Abbiamo fatto tutto ciò che volevi. Vogliamo la nostra ricompensa.
Kenzaki lo guardò come se ne fosse ricordato solo in quel momento.
-Ah, sì. La vostra ricompensa- disse con aria solenne. Poi, dopo un attimo di silenzio, gli angoli della sua bocca si piegarono all’insù.
Quando non riuscì più a mantenere un’espressione seria, Kenzaki tirò indietro la testa in una fragorosa risata.
-La vostra ricompensa! La ricompensa!- ululò, mentre sghignazzava come se avesse appena fatto la battuta del secolo. Anche se tutti gli altri lo guardavano basiti, Kenzaki rise ancora un po’ e fece persino finta di asciugarsi delle lacrime.
-A dire la verità, non ci penso nemmeno!- esclamò. Coyote e i suoi compagni lo fissarono con un misto di shock e rabbia, ma Kenzaki li ignorò apertamente e si rivolse al resto della platea come se stesse eseguendo un monologo teatrale.
-Bahyan era un ottimo alleato. Era così facile da manipolare- proseguì imperterrito. -Ma non ha mai riconosciuto il mio valore! Il merito era tutto mio, ma lui non l’ha mai voluto riconoscere! E negli ultimi anni era diventato una piaga insopportabile. Nonostante gli avessi già dato tutto quel materiale, continuava a chiedermi di più, sempre di più! Avevo pensato di liberarmene io stesso, a un certo punto, ma mi avete anticipato. Poco male! Mi avete fatto un gran favore!
Scoppiò in un’altra risata ululante.
-I patti...- provò di nuovo Coyote, ma Kenzaki lo interruppe.
-Oh, ti prego- disse con enfasi. -Credete davvero che avrei fatto un patto con voi? Mi servivano solo delle pedine da utilizzare a mio piacimento. E ora siete solo... dei giocattoli rotti.
I ragazzi di Garshield cominciarono a tremare di rabbia.
-Tu ci hai usati per i tuoi scopi- sibilò Coyote, furioso.
-Esatto. E in modo brillante, aggiungerei! Non ho mai avuto intenzione di parlamentare con il vostro capo. Guardate, il lato positivo, però! Magari sta apprezzando il suo tempo in cella-. Le sue labbra si curvarono in un sorriso da brividi. -Anche se suppongo che a quest’ora sia già troppo tardi per chiederglielo- aggiunse in un sussurro.
Il volto di Coyote si fece violaceo.
-Cosa gli hai fatto?- disse. E poi ancora, gridando:- Che cosa gli hai fatto?!
Kenzaki scrollò le spalle e Coyote esplose.
-I patti non erano questi! Avevi detto che, se ti avessimo aiutato, tu lo avresti liberato! Lo avevi giurato!- Indicò Midorikawa. -Avevi detto che se fossimo diventati come lui...
-Ah, ma questo possiamo verificarlo subito- lo interruppe Kenzaki.
Poi, senza preavviso, estrasse dalla cintura una pistola e crivellò il busto del ragazzo di piombini. Dalle ferite sgorgò subito sangue rosso vivo e, per un momento, parve quasi che sul petto e sul torace gli fossero sbocciati dei fiori rossi.
-No!- Fubuki gridò, disperato. Cercò di gettarsi verso Coyote, ma Gouenji lo trattenne.
Coyote si guardò le ferite, incredulo, come se non credesse davvero di poter morire. Si girò a cercare i suoi compagni, i suoi fratelli, ma i suoi occhi si erano già offuscati e non potevano più vedere nessuno. Coyote cadde a terra e non si rialzò. Le sue labbra si schiusero mentre pronunciava per l’ultima volta il nome dell’uomo a cui era rimasto leale fino alla fine. La voce non uscì. Era immobile. Morto. E con lui se n’era andata anche l’unica speranza che avevano di riportare indietro il dono di Atsuya.
Nella hall calò un silenzio tombale. Kenzaki attese qualche minuto per vedere se Coyote si sarebbe rialzato, ma, visto che non succedeva nulla, fece un sospiro drammatico.
-Un vero peccato- mormorò. Si girò verso i suoi colleghi. -Come potete vedere, l’esperimento è ancora imperfetto- li informò in tono amareggiato, ma gli altri non parevano condividere il suo stato d’animo. Più che per i risultati della ricerca, sembravano preoccupati della propria incolumità, e fissavano la pistola tra le mani di Kenzaki con il terrore di essere i prossimi. Per loro fortuna, in realtà Kenzaki non cercava secondi pareri. Gettò via l’arma scarica e scrollò le spalle, poi si rivolse al manipolo di guardie e sicari che gli era rimasto.
-Prendete Ryuuji e ammazzate tutti gli altri.
A quelle parole Fox, Buffalo e Jackal si riscossero dallo shock e si lasciarono andare a grida di sdegno, rabbia e dolore per tutto quello che avevano perso. Buffalo reagì per primo: accecato dai propri sentimenti, si lanciò contro la schiera di guardie come un treno in corsa. Gli uomini aprirono il fuoco, ma Buffalo continuò a picchiare duro, incurante dei proiettili che lo colpivano e del sangue che schizzava dalle ferite. Incoraggiato dalla sua furia, anche Fox piombò sulla folla ferendo a colpi di spada chiunque capitasse a tiro. Jackal s’insinuò tra le fila delle guardie e scomparve alla vista in breve tempo.
I ricercatori non rimasero ad assistere alla disfatta, ma, usando le guardie come scudo, si mossero in gruppo verso l’uscita, strisciando sotto i muri come una fila di ratti. A quanto pareva, avevano deciso all’unanimità che la gloria o qualsiasi altro premio Kenzaki avesse promesso loro non valeva la candela, e che era molto meglio salvarsi la pelle finché potevano. Erano ormai quasi alla porta quando Kenzaki si accorse della diserzione di massa.
-Dove andate? Dove andate?! Traditori! Voltagabbana! Giuda! Io vi rovino!- starnazzò.
Purtroppo per lui, però, i suoi colleghi fecero finta di non aver sentito e proseguirono la fuga, forti del fatto che Kenzaki non avrebbe potuto raggiungerli senza rischiare di rimetterci a sua volta le penne. Anche Kenzaki dovette rendersene conto. Li guardò con odio, livido per l’indignazione, ma decise di lasciarli perdere: voltò loro le spalle e si diede alla fuga in direzione opposta, imboccando il corridoio.
Non appena lo vide, Hiroto si lanciò all’inseguimento senza dare spiegazioni a nessuno, non ce n’era il tempo. I rinforzi sarebbero arrivati presto, ma intanto lui doveva mettere le mani su quell’agenda a qualsiasi costo. Non avrebbe lasciato che Kenzaki la facesse franca una seconda volta, non dopo tutto il male che aveva causato. Kenzaki doveva pagare per tutto.
Scivolando lungo il muro, Hiroto evitò il più possibile la battaglia. Perse di vista Kenzaki, lo ritrovò per un istante, poi lo perse di nuovo e non lo vide più. Quando Hiroto imboccò il corridoio a sua volta, Kenzaki sembrava essersi volatilizzato. Ma non poteva essere andato lontano. Non dava l’aria di essere molto atletico, e l’unica via di fuga erano le scale. Hiroto si gettò uno sguardo indietro, poi tirò fuori la pistola e proseguì senza esitare.
Prima di salire, decise di dare un’occhiata in giro per accertarsi che Kenzaki non si fosse nascosto. Passò davanti a una porta con un oblò chiuso da una graticola di ferro. Uno sgabuzzino, probabilmente. Sbirciando all’interno, Hiroto vide dei manici di scopa e un paio di secchi. Non c’era abbastanza spazio per nascondersi.
Più avanti c’era un’altra porta. Hiroto la aprì ed entrò. 
Su un lato c’era una fila di banconi, qualche caffettiera elettrica, e due macchinette automatiche piene di snack. Nello spazio rimanente erano stati messi quattro tavolini di plastica con il doppio delle sedie. A quanto pareva, si trattava di una specie di caffetteria dove sgranocchiare una barretta di cereali e fare due chiacchiere sugli esperimenti umani in corso. Hiroto adocchiò con disgusto il cestino, pieno di carte fino all’orlo, poi si guardò attorno cercando un’apertura qualsiasi da cui Kenzaki avrebbe potuto lasciare l’edificio.
All’improvviso delle braccia lo agguantarono alle spalle, bloccandogli le mani dietro la schiena per immobilizzarlo.
Hiroto non esitò un istante: pestò il piede dell’aggressore con forza, poi tirò la testa all’indietro e lo colpì al mento. La persona si lasciò sfuggire un gemito di dolore. Non appena la presa si allentò, Hiroto si voltò e fu sorpreso e irritato di trovarsi faccia a faccia con Jackal. Non sapeva perché Jackal avesse lasciato l’altra battaglia per inseguire lui, ma non era importante. Era chiaro che l’altro cercasse uno scontro. E la pazienza di Hiroto era ormai finita.
Si fissarono intensamente per qualche secondo, poi Jackal attaccò di nuovo. Con i capelli grigi scompigliati e i denti scoperti sembrava un lupo affamato, ma Hiroto non si lasciò intimidire. Si era allenato con persone molto più temibili di lui per parecchi anni. Si accucciò all’ultimo secondo e ruotò su se stesso, colpendolo alle gambe; poi, mentre Jackal incespicava, si tuffò a sinistra con una mezza capriola e si portò alle sue spalle. Guizzò in piedi e si slanciò contro l’avversario premendogli un gomito tra le scapole. Jackal emise un guaito di dolore e cadde a quattro zampe a terra. Hiroto non perse tempo: si rialzò in piedi e osservò attentamente l’avversario di spalle per trovare punti deboli da sfruttare.
Una volta ripresosi, Jackal scattò in piedi, si girò e gli andò addosso. I suoi movimenti erano più lenti di prima, per cui Hiroto lo evitò con facilità; tuttavia non si rese conto di essere molto vicino ai banconi e per poco non ci sbatté dentro. Jackal approfittò della sua esitazione per aggredirlo di nuovo: stavolta, riuscì a prendergli una spalla e, tenendolo bloccato sul posto, lo colpì al volto due volte consecutive. Hiroto non poté far altro che incassare i colpi e subito sentì in bocca il sapore del sangue.
D’istinto gli afferrò il collo della maglia e, tirandolo verso di sé, gli assestò una testata in faccia. Alle sue orecchie arrivò un raccapricciante scricchiolio. Jackal scattò all’indietro con un grugnito di dolore, mentre si premeva una mano sul naso, da cui grondava un fiumiciattolo di sangue.
Hiroto lo afferrò per un braccio e, con un forte strattone, lo spinse contro la macchinetta automatica più vicina. Jackal rimase per un attimo stordito dall’impatto, dando a Hiroto il tempo di allontanarsi il più possibile dai banconi. Stavolta non avrebbe fallito.
Quando riuscì a rimettersi in piedi, Jackal era furioso per l’umiliazione subita. Senza più pensare a nulla, accecato dalla disperazione, lanciò un grido di guerra e gli corse addosso.
Hiroto ebbe giusto il tempo di prepararsi all’impatto prima che Jackal lo investisse in pieno e lo gettasse a terra. Gli si mozzò il fiato. Jackal si sedette a cavalcioni sul suo stomaco e gli serrò le mani attorno alla gola. Il suo viso era una maschera di rabbia, con le narici dilatate, i denti scoperti, gli occhi ridotti a fessura. Ma Hiroto non aveva più paura di lui. Tenne gli occhi fissi nei suoi mentre gli prendeva le mani. La stretta cominciò ad allentarsi.
Jackal spalancò gli occhi e fissò Hiroto con sorpresa, come se l’avesse messo a fuoco solo in quel momento. Forse stava iniziando a capire, ma poco importava. Ormai era questione di attimi. Jackal provò a dire qualcosa, a insultarlo o maledirlo, ma le forze gli vennero meno: le labbra si mossero a malapena, e non ne uscì neanche un suono. Le palpebre si chiusero pesantemente e Jackal cadde in avanti, afflosciandosi come un fuscello.
Tossendo, Hiroto se lo scrollò di dosso e si trascinò fino a una parete. Si appoggiò con la schiena al muro e, mentre riprendeva fiato, considerò i danni subiti. Avvertiva un forte dolore alla spalla, dove di sicuro stava affiorando un livido; aveva anche delle fitte al fianco destro, un labbro spaccato e il respiro corto per essere stato quasi strangolato. Nulla di irreparabile. Attaccato al suo fianco, il cercapersone faceva ormai un rumore sempre più insistente. Hiroto si passò il dorso della mano sul viso per asciugare il sangue e si costrinse a pensare.
Doveva pianificare la prossima mossa. Coyote era morto, Jackal fuori combattimento. Fox e Buffalo erano ancora nell’ingresso, da dove provenivano grida e altri rumori. Malgrado i muscoli indolenziti, Hiroto tentò di rimettersi in piedi usando la parete come sostegno. 
In quell’istante, una violenta scossa fece tremare il pavimento sotto i suoi piedi e lo fece desistere. Hiroto scivolò di nuovo contro il muro e sollevò lo sguardo verso il soffitto di cartongesso, che andava a incrinarsi sempre di più man mano che la scossa si intensificava. Il palazzo intero stava tremando, minato alle fondamenta. Hiroto aveva già assistito a una cosa del genere una volta, una volta sola, che pensava gli sarebbe bastata per tutta la vita. E invece si trovava sul punto di affrontare di nuovo il volto della distruzione: era un volto che conosceva molto bene. Tutti i tasselli nella sua mente stavano finalmente tornando al loro posto.
Se non capisci neppure questo, non riuscirai a proteggerlo.
Midorikawa non aveva affatto perso i poteri, li stava solo nascondendo.
Faceva tutto parte dei suoi piani.
 
 
 

 

**Angolo dell'autrice**
Ehilà, lettori! Incredibile ma vero, sono risorta dagli abissi.
Purtroppo il 2020 per me è stato un anno disastroso, non solo per la pandemia (che ovviamente ha peggiorato tutto, inutile dire altro); una circostanza che pensavo sarebbe stata felice si è rivelata invece tossica, e mi sono ritrovata in un ambiente ostile dove non avevo alcuno stimolo a scrivere o creare qualsiasi cosa. Fortunatamente il NaNoWriMo invece è stato molto produttivo e sono riuscita a portare a termine una oneshot, questo capitolo e parte del prossimo. L'editing di questo capitolo è stato massacrante e perciò voglio ringraziare la mia ohana che ci ha dato un ultimo sguardo ;u;
Infine voglio dire che Shiro è diventato tipo il mio preferito (lol) e mi pento di non aver scritto molto di più su di lui, perché è così rancoroso e ferale, e per questo... catartico, in qualche modo? Comunque ho riscoperto anche un vecchio ma nuovo amore per Hiroto ♥
Alla prossima, 
      Roby
   
 
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