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Autore: Raven_Stark22_    28/01/2021    2 recensioni
[BOKUAKA]
"Senza qualcosa per cui vivere, che senso ha continuare?"
Questa era la domanda che da mesi tormentava Akaashi.
E più trascorevano le settimane, più quel pensiero si faceva vivido nella sua mente.
Una sera, stanco di un mondo portava solo a sofferenza, decise di mettere fine al suo dolore.
Su quel tetto, per caso, si trovava Bokuto.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akinori Konoha, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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[ℂ𝕒𝕦𝕤𝕖 𝕨𝕖 𝕞𝕒𝕕𝕖 𝕚𝕥, 𝕦𝕟𝕕𝕖𝕣𝕖𝕤𝕥𝕚𝕞𝕒𝕥𝕖𝕕 𝕒𝕟𝕕 𝕒𝕝𝕨𝕒𝕪𝕤 𝕦𝕟𝕕𝕖𝕣𝕣𝕒𝕥𝕖𝕕

ℕ𝕠𝕨, 𝕨𝕖'𝕣𝕖 𝕤𝕒𝕪𝕚𝕟𝕘 𝕘𝕠𝕠𝕕𝕓𝕪𝕖, 𝕨𝕒𝕧𝕚𝕟𝕘 𝕥𝕠 𝕥𝕙𝕖 𝕙𝕒𝕣𝕕 𝕥𝕚𝕞𝕖𝕤

𝕐𝕖𝕒𝕙, 𝕚𝕥'𝕤 𝕘𝕠𝕟𝕟𝕒 𝕓𝕖 𝕒𝕝𝕣𝕚𝕘𝕙𝕥]

-A-aspetta!- Borbottai, aumentando il passo per stare dietro a Bokuto -Dove stiamo andando?-

Ci eravamo lasciati il palazzo di Noburu alle spalle da più di dieci minuti, ormai.

Trattandosi di una struttura gratuita, il personale all'ingresso non si era fatto problemi a lasciarci passare.

Il grattacielo sorgeva abbastanza distante dal centro di Minato, in una zona frequentata principalmente dagli abitanti di Tokyo.

Ecco perché avevo scelto quel posto: si trovavano difficilmente turisti in cima all'edificio ed era semplice accedervi.

Dopo aver preso l'ascensore, Koutaro ed io avevamo attraversato tutto il negozio di alimentari al piano terra e, senza tanti indugi, ci eravamo affrettati a scomparire dalle vicinanze.

-Mhh?- Fece lui, fingendo di non avermi sentito.

Lo ammetto.

Più di una volta pensai che il ragazzo mi stesse trascinando alla centrale di polizia.

"Fiducia." Mi dissi "Devi avere fiducia."

Bokuto non sembrava affatto il tipo da rompere una promessa così seria.

E poi, quali sarebbero state le conseguenze?

Al massimo la polizia avrebbe telefonato ai miei genitori e raccomandato loro di tenermi sotto sorveglianza.

Tch.

Come se rinchiudermi in casa potesse in qualche modo diminuire il mio dolore.

Però non negai di sentirmi fortemente in colpa.

Nei loro confronti, più che nelle mie stesse azioni.

La mia morte avrebbe provocato sofferenza ai miei genitori? Ne ero quasi certo.
E non era mia intenzione farli soffrire.

Eppure avevo deciso di scartare quella possibilità, perché non mi avrebbe portato a nessuna conclusione; solo al rimandare l'inevitabile.

Il dolore non è passeggero.
Ma impara ad alleviarsi.

-Dove stiamo andando?- Ripetei a voce più alta, allungando la falcata del passo per cerare di avvicinarmi al ragazzo.

Bokuto si bloccó tutto d'un tratto e per poco non gli finii addosso.

Ci eravamo fermati in mezzo al marciapiede di una strada poco trafficata: alla nostra destra, gli autisti guidavano verso casa mentre dietro di noi i passanti ci superavano senza farsi problemi.

Mi scusai con una signora per averle pestato il piede e mi rivolsi a Bokuto: -Si può sapere che stai facendo?-

-Avevo fame.- Rispose semplicemente, aspettando una mia reazione.

All'inizio non capii. Ma fu sufficiente girarmi di centottanta gradi per notare quello a cui stava puntando Bokuto.

-Pinku Miruku?- Lessi l'insegna del negozio, per poi guardare il ragazzo di traverso -Davvero?-

Lui non colse la nota sarcastica nella mia voce, perché si avvicinó senza ulteriore indugio alla gelateria.

Si trattava di una vetrina spoglia, con una ristretta scelta di giusti e un solo commesso dietro il bancone con la mia stessa voglia di vivere.

Ahem.

Oltre all'aria decadente del posto, il fatto che si trovasse in una zona poco frequentata non miglioró la mia opinione nei suoi confronti.

Perlomeno non trovammo alcuna coda a precederci.

Forse perché nessuna persona con un po' di buon senso avrebbe preso un gelato un'ora prima di cena.

-Umh, Bokuto-san, giusto?- Non attesi una conferma e proseguii imperterrito -Non credi sia un po' tardi per fare merenda?-

-Perché? Io ho fame adesso.- Specificó lui, accostandosi alla vetrina per scegliere cosa comprare.

Non che ci fossero chissà quali opzioni: oltre ai gusti classici, mi sembró di scorgerne solo un paio che potessero sembrare interessanti.

-Sei sicuro che-
-Akaaashi! Devi assolutamente provare questo!- Bokuto mi interruppe per puntare l'indice contro la vetrina.

Corrugai la fronte: -P-pancake?-
-Sì! Cioè no!- Agitó le braccia, più confuso di quanto non lo fossi io -Da solo fa abbastanza schifo, ma devi provarlo come milkshake.-

-Ah.- Fu tutto quello che riuscii a dire.
Frappè al pancake.

Alle sette di sera.

-Pensa che Pinku Miruku è l'unica gelateria di Minato ad avere questo gusto.-
-Mi domando come mai...-

-Vero?- Ancora una volta, Koutaro non colse la mia velata ironia -E' una specialità giapponese. E di solito non c'è molta gente, quindi spesso quando torno da allenamento mi fermo qui.-

Alzó una mano per salutare il gelataio il quale sembró riconoscerlo, dato che rispose con un cenno del capo.

-Un frappè al pancake- Ordinó Bokuto, per poi dirigere il suo sguardo verso di me -E tu, Akaashi?-

-Io... emh, io passo, grazie. Mi rovinerei l'appetito.- Mi giustificai, sperando che non insistesse.

E Bokuto non lo fece.

Pagó il suo devoto frullato al pancake in santa pace e, dopo aver ringraziato il commesso, si allontanó allegramente dalla gelateria.

Lo seguii a ruota senza farmi troppe domande.

Se c'era una cosa che avevo imparato in quasi un'ora di conoscenza era questa: se mi fossi soffermato troppo sugli strani comportamenti di Bokuto, probabilmente ne sarei uscito pazzo.

"Prima aveva fame e mi ha trascinato dal gelataio. Adesso dove vorrà portarmi?"

Sarebbe stato maleducato insistere? Dopotutto, Koutaro dava per scontato che non avessi altri impegni visto che, beh, non avevo programmato nemmeno di arrivare al giorno successivo.

Il ragazzo canticchiava allegramente davanti a me e sorseggiava la sua bevanda un po' fuori stagione.

Decisi che non avevo fretta e che tanto valeva vedere per quanto ancora avremmo camminato.

Avevamo distanziato di parecchio il centro cittadino e stavamo passeggiando per alcune stradine in periferia.

Dagli altri grattacieli di Minato eravamo passati a semplici palazzi alti la metà dei primi.

Le vie si erano fatte meno affollate e i monitor con i cartelloni pubblicitari erano scomparsi: al loro posto, si incontravano ogni venti metri fast-food scadenti e vecchi supermercati in rovina.

L'aria si era diventata più fredda e il cielo stava cambiando colore: dalla tonalità rosa pastello era passato ad un azzurrino tenue, quella tipica sfumatura che preannuncia l'arrivo della sera.

Sfregai le mie mani infreddolite tra di loro e un brivido mi percorse la schiena.

"Che ore saranno? Le sette e mezza, forse? Ma soprattutto, quand'è che Bokuto deciderà di fermarsi?"

Proseguii per un'altra decina di minuti, finchè le mie gambe non implorarono pietà.

-Bokuto-san- Lo chiamai, fermandomi in mezzo al marciapiede. Non c'era nessuno per strada, oltre a noi due -Dove stiamo andando?-

Lui mi guardò intontito, come se lo avessi appena risvegliato da un coma durato dieci anni.

Poi si portò una mano sulla fronte, frustrato: -Cavolo! Mi sono dimenticato di chiederti dove abiti!-

Non poteva essere vero.

Sbattei più volte le palpebre.

Avevo avuo modo di constatare che Bokuto non avrebbe mai mentito così apertamente. E non sapevo se essere sconvolto, divertito o furioso.

Nel dubbio, mi limitai a tirare un lungo e provato sospiro.

-Sai almeno dove ci troviamo?-

Il ragazzo si guardò attorno, quasi non lo avesse fatto per tutto il tragitto: -Certo, per chi mi hai preso?- Ma i suoi occhi dicevano ben altro.

Non aveva la più pallida idea di come eravamo arrivati in quel posto.

"Vi prego. Riportatemi su quel terrazzo" , Pensai.

-Quanto ci vorrà per tornare a Shimbashi?- Gli chiesi con voce atona.

-E' lì che abiti?-

Annuii.

Bokuto evitò il mio sguardo, probabilmente perchè si sentiva in colpa: -Emh e...devi tornare per cena?-

Alzai le spalle: -In teoria sì. Ma anche se tardassi mio padre non se ne accorgerebbe nemmeno. Potrei restare fuori per giorni interi senza che lui ci faccia caso.-

Pensai che quest'informazione avrebbe rincuorato almeno un po' Bokuto, ma successe l'esatto opposto: il ragazzo si rabbuiò e, senza aggiungere altro, si incamminò nella direzione dalla quale eravamo arrivati.

Tentai di stare al suo passo ma sembrava che avesse messo il turbo: in meno di cinque minuti mi ritrovai a corrergli dietro con il fiatone.

-Bokuto-san! Aspetta!-

Il ragazzo diminuì la velocità senza però bloccarsi: -Dobbiamo riportarti da tuo padre il prima possibile, non vorrei che si preoccupasse.-

-Ma mi ascolti quando parlo?- Sbottai, mettendo le mani sui fianchi -Ti ho appena spiegato che a quell'uomo non interessa la mia vita privata!-

-Ma hai detto di dover tornare per cena...-

-Puoi fermarti così posso riprendere fiato, per favore?- Lo implorai, piegandomi in due.

Finalmente, Koutaro mi diede retta.

-I miei genitori mi rivolgono a malapena la parola quando rientro da scuola. Sono sempre impegnati con il loro lavoro e... non si arrabbieranno se per una volta salterò un pasto.-

Bokuto non parve convinto: -Però potrebbero essere in pensiero per te...-

-Ti prego.- Insistetti, per qualche motivo che non avrei saputo spiegare nemmeno io -Non voglio tornare a casa. Ti prego.-

Il ragazzo notò una luce diversa nei miei occhi, perchè perse tutta la sua determinazione.

-Beh, allora...- Guardò a destra e poi a sinistra, esitando alla vista di un fast-food dall'altro lato della strada -Magari potremmo fermarci lì.-

Quell'idea, per quanto poco allettante, mi sembrò una prospettiva migliore rispetto alla ricongiunzione con mio padre.

Attraversammo un parcheggio semi-deserto e ci dirigemmo verso la struttura con una segnaletica arancione ad evidenziarne il nome. Si trattava di un negozio grande quanto una classe da trenta alunni, con lo spazio sufficiente per cinque tavoli e un bancone. La cucina, che si sviluppava nel retro, si affacciava sulla strada per rifornire gli automobilisti tramite il servizio di autogrill.

Dopo essere entrati, ci sistemammo uno di fronte all'altro ad un tavolo di plastica situato accanto all'ingresso, così da tenere sott'occhio la via. Dietro di noi, invece, una cameriera stava parlando al telefono mentre la sua collega raccoglieva i vassoi vuoti dalla postazione accanto alla nostra.

Una coppietta, che aveva appena finito di pagare, ci passò davanti per imbucare l'uscita.

Eravamo rimasti gli unici clienti del fast-food.

-Conosco questa catena.- Dissi, riconoscendo il tipico arancione acceso che decorava anche gli spazi interni della struttura -E' la stessa che si trova nelle stazioni di Tokyo. Sono famosi per il loro gyudon.-

-Allora prenderò quello. Va bene anche a te, Akaahashi?-

-Akaashi.- Lo corressi per la terza volta nella stessa giornata -E sì, certamente.-

Bokuto si alzò dalla sedia e saltellò allegramente fino al bancone, facendo quasi fare un colpo alla commessa a causa della sua esuberanza.

Mi voltai verso la vetrata, in attesa che Koutaro finisse di ordinare.

Ne erano capitate di tutti i colori, quel giorno.

Se avessi dovuto mettere per iscritto un racconto, non avrei neanche saputo da dove iniziare.

A pensarci bene, sarei potuto partire con: "Oggi dovevo suicidarmi, ma sono finito per mangiare gyudon in un fast-food".

Controllai le notifiche del cellulare: nessuna chiamata persa.

Come immaginavo.

Almeno non mi sarei dovuto sforzare di inventare scuse per il mio ritardo.

Non che un messaggio da parte di mio padre mi avrebbe fatto sentire meglio: se avevo deciso di saltare da un palazzo, una ragione c'era.

Eppure, più passava il tempo, e più mi pentivo della mia scelta.

Non che il senso di vuoto o di non appartenenza fosse scomparso: semplicemente, trovavo ingiusto pensare il contrario nei confronti di Bokuto.

Non avevo deciso di dare una possibilità al suo piano, ma non ero neppure pronto a tornare sul grattacielo nel caso non avesse funzionato; volevo solamente che la vita facesse il suo corso. Mi bastava essere uno spettatore, a questo punto.

Prevedere le mie prossime mosse sarebbe stato l'ultimo dei miei pensieri.

In quegli attimi di solitudine, mi tornò alla mente la vista della terrazza panoramica. E, subito dopo, la strada trafficata duecento mentri più sotto.

Scossi la testa, cercando di scacciare almeno per qualche ora quell'orribile ricordo.

Ma sarebbe tornato. Eccome se lo avrebbe fatto.

Quella stessa sera. Quando mi sarei separato da Bokuto. La mattina segente. Nei giorni successivi.

"No, no, no , perfavore."

Non ci sarebbe stato alcun cambiamento?

Da lì a una settimana mi sarei ritrovato nella stessa situazione?

E se Koutaro avesse semplicemente rimandato l'inevitabile?

Sarei mai stato in grado di cavarmela da solo?

-Hey, hey, hey! Sono stati veloci!- Annunciò Bokuto, di ritorno con il vassoio in mano.

-Siamo gli unici clienti.- Gli feci notare, distogliendomi momentaneamente da quei pensieri.

Il ragazzo non si curò di quel particolare e si accomodò al suo posto, divorando con occhi famelici la ciotola che aveva davanti.

Con ogni probabilità, si era dimenticato del milkshake di mezz'ora prima.

-Buon appetito!- Disse, fiondandosi sul suo piatto di carne.

Mescolai il riso assieme al manzo e assaggiai il gyudon, scoprendo di avere molta più fame di quanto immaginassi.

Nessuno dei due proferì parola fino a quando entrambe le ciotole non furono vuote.

-Woh! Era buono!- Esclamò Bokuto, portandosi una mano sullo stomaco. -Vero?-

-Non era terribile.- Concordai, distaccato.

Koutaro la prese sul personale.

-Vedi? Questa è una delle cose su cui dobbiamo lavorare.-

Corrugai la fronte. -Il gyudon?-

-Cos-NO! Il tuo modo di vedere il mondo!- Bokuto si mise a giocherellare con la sua forchetta e me la puntò contro con tono accusatorio -Bisogna partire apprezzando le piccole cose.-

-Piccole...cose?- Non avevo idea di cosa Koutaro stesse parlando.

Bokuto annuì, continuando ad indicarmi con la sua forchetta: -Certo, siamo gli unici clienti di un fast-food andato in malora, ma il cibo non è affatto male. Si tratta di un risvolto positivo!-

Storsi la bocca, disorientato: -Ma è quello che ho detto.-

-No.- Rettificò il ragazzo -Hai detto che non era terribile. C'è una differenza.-

-E sarebbe?- Domandai, poco convinto che fosse la cosa giusta da fare.

-Beh, parti già con una visione negativa.- Spiegò lui, come se fosse la cosa più semplice del mondo -Impara a guardare le piccole cose senza usare per forza un punto di vista critico. Quando ci sarai riuscito, potremo tranquillamente slittare allo step successivo.-

-Umh...sì. Grazie, credo.- Borbottai.

-Devi giurarmi che ci proverai.-

-E allora tu la smetterai di brandire la forchetta contro di me?-

Bokuto lasciò immediatamente cadere l'arma sul tavolino. -Promesso.-

Ruotai gli occhi al cielo e mormorai un debole "Bene".

Il resto della serata trascorse in maniera così piacevole che, anche se per poco tempo, dimenticai i fatti accaduti solo un paio d'ore prima.

-Così sei di Shimbashi.- Iniziò Bokuto, riferendosi ad una piccola area del quartiere di Minato.

Annuii appena: -Mio padre vive lì da quando sono nato, mentre mia madre si è trasferita da poco a Tsukiji.-

-Non dovrebbe essere così distante da Shibanshi.-

-No, infatti.- Trangugiai un sorso di coca-cola per poi riprendere il discorso -Ha pensato che restare nelle vicinanze sarebbe stato meglio per entrambi. Non che si sia preoccupata troppo per me in questi anni, in ogni caso.-

Bokuto inclinò la testa e, per la seconda volta, pensai che fosse tale e quale ad un gufo: -Non vai molto d'accordo con i tuoi, o mi sbaglio?-

-Perspicace- Commentai -La situazione familiare in cui mi trovo non è delle migliori. Sì insomma...diciamo che ha contribuito a...beh, sai...- Feci un vago gesto con le mani, riferendomi alla scena della terrazza panoramica.

-Ma hai anche detto che i tuoi non ne sono stati la causa.- Ricordò Bokuto.

-No, loro...- Cercai con cura le parole più adatte -Loro semplicemente è come se non ci fossero mai stati, capisci?-

Koutaro sbattè ripetutamente le palpebre: -No.-

Beata sincerità.

-Litigavano spesso, quando ero piccolo. Non voglio addossarmi la colpa di essere stato la ragione della loro separazione, però non posso nemmeno dire che siano felici di avermi tra i piedi.-

Bokuto non se ne uscì un classico "mi dispiace" ma, piuttosto, preferì sorseggiare la sua bibita in silenzio, cosa che apprezzai parecchio.

-Come sei arrivato su quel tetto, Akaashi?- Chiese dopo qualche minuto.

Poteva apparire come una domanda priva di senso, ma non ero così stupido da non coglierne il vero significato.

Giocherellai con la cannuccia della coca-cola, esitando. -Tornato da scuola faccio sempre quella strada- Sentii formarsi un groppo alla gola -E avevo già addocchiato il palazzo da qualche settimana, ormai.-

L'aria era diventata così tesa che si sarebbe potuta tagliare con un coltello.

-E perchè proprio questa sera hai deciso di..- Finse un colpo di tosse per non terminare la frase.

Alzai le spalle: -Non è stata una vera e propria decisione. Ero rimasto altre volte davanti al grattacielo fino all'orario di chiusura. E poi, nel momento in cui realizzavo quali erano state le mie intenzioni, mi affrettavo a cambiare strada.-

Puntai lo sguardo sul tavolo di plastica: -Oggi...le mie gambe si sono mosse da sole e quando sono tornato alla realtà era già troppo tardi. Se non fossi intervenuto tu io...a quest'ora sarei...-

Calò nuovamente il silenzio.

-Ti sei pentito? Di non aver saltato, intendo.-

Nonostante mi fossi quasi abituato alle richieste di Bokuto, rimasi comunque spiazzato.

Questa volta non potevano esserci di mezzo le istruzioni di wikihow.

Mi ero pentito di non essere morto? E io come facevo a saperlo?

Inespicai in cerca di parole, ma nessun suono uscì dalla mia bocca.

Koutaro si affrettò a cambiare velocemente discorso: -Che ne dici di fare due passi? Sento il profumo del gyudon proveniente dalla cucina. E potrebbero esserci delle brutte conseguenze.-

Afferrai il cappotto e iniziai ad arrotolarmi la scarpa sul collo: -Ti dà la nausea?-

Bokuto scostò la sua sedia e si avvicinò alla cassa per pagare: -Cosa? No! E' che rischierei di ordinarne un'altra porzione.-

Fui costretto a girarmi verso la vetrata per nascondere il sorriso formatosi sulle mie labbra.

Koutaro pagò la cena per entrambi, ignorando le mie insistenze per dividere il conto almeno a metà.

-Non dovevi, davvero.- Mi impuntai, ma Bokuto tagliò corto con un gesto della mano: -Oh, ti prego, non ho fatto nulla di che.-

Ci eravamo lasciati il fast-food alle spalle e stavamo passeggiando tranquillamete sotto la luce dei lampioni: se, quella notte, avevo sperato di intravedere delle stelle, l'inquinamento luminoso di Tokyo aveva distrutto ogni mia aspettativa.

-Sono serio- Insistetti -Perchè stai facendo tutto questo per me, Bokuto-san?-

Lui si bloccò qualche istante, per poi riprendere a camminare: -Che vuoi dire?-

-Nemmeno mi conosci- Spiegai -Eppure mi hai già salvato la vita, fatto da terapista e offerto la cena.-

Bokuto ridacchiò: -Se quello lo chiami fare da terapista..-

-E' perchè ti senti in dovere di aiutarmi? Hai paura che torni di nuovo su quel tetto?-

Koutaro mi fissò pensieroso, come se avesse contemplato solo in quel momento una simile ipotesi: -Che cosa? Hai intenzione di tornarci?-

-Non ho detto questo. Però non è una possibilità che qualcun altro avrebbe escluso.-

-Oh- Bokuto si rattristò -Beh, non ho una ragione precisa. Credo che tu sia un ragazzo in gamba e non vorrei...-

-Avermi sulla coscienza?- Indovinai.

Bokuto sgranò gli occhi: -Neanche per idea! Che ti salta in mente? Mi riferivo alla tua vita. Non vorrei che andasse sprecata in questa maniera.-

-Cosa ti fa credere che non lo sia già? Sprecata, intendo.-

Koutaro si fermò e mi guardò con quei suoi occhi dorati che, anche al buio, parevano brillare di luce propria: -Nessuna vita lo è.-

La serietà della sua voce mi mise un certo timore.

Deglutii a fatica e cercai di sostenere il suo sguardo. Fu l'altro ragazzo a distoglierlo per primo.

-Comunque- Improvvisò una finta tosse -Sarebbe il caso che la smettessi con queste domande, Akaahshi.-

-Akaashi- Ribadii -A cosa ti riferisci?-

-Alle tue richieste.-

-Cos'hanno che non va?-

-Sono intelligenti, cavolo.-

Arricciai il naso. -Intelligenti?-

-Sì, dannazione! Io sono uno stupido, non puoi pretendere che usi i tuoi stessi paroloni.-

Una risata sorse spontanea dalle mie labbra e Bokuto se ne accorse, perchè sorrise a sua volta: -Diamine, mi è parso quasi di aver avuto una conversazione con un vocabolario.-

Cercai invano di reprimere un'altra risatina.

Era da tanto tempo che non sorridevo in quel modo.

-Mi pare di capire che la scuola non è il tuo punto forte.-

Bokuto fece una smorfia: -Me la cavo meglio in altri ambiti.-

-Ad esempio?- Mi accorsi che era stata la mia curiosità a parlare e non un vago tentativo di proseguire il dialogo.

Il ragazzo alzò le braccia, fiero: -La pallavolo!-

Mi ricordai che, sul tetto, il ragazzo aveva detto di essere di ritorno da un allenamento. -In quale squadra giochi?-

-La Fukurodani.- Rispose prontamente.

Questa volta fui io ad immobilizzarmi.

-Che c'è? La conosci?- Fece lui.

-E' la mia stessa scuola.- Constatai, stupito. -Sono al secondo anno della Fukurodani.-

Se possibile, gli occhi di Bokuto si illuminarono ancora di più: -Ma è fantastico!-

-Lo è?-

-Certo! Io sono al terzo anno. Così potremo passare più tempo assieme.-

-Perchè mai vorresti trascorrere del tempo con me?- Gli chiesi, forse in troppa sincerità.

Infatti, il ragazzo rispose sbuffando: -Ma la vuoi smettere di sottovalutarti in questo modo? Mi stai facendo venire il mal di testa.-

Io mi stavo...sottovalutando?

-Non lo faccio di proposito.- Mi scusai.

-Me ne sono accorto.- Bofonchiò lui. -Quanto manca per arrivare a casa di tuo padre?-

-Una mezzoretta.- Stimai -Come mai? Vuoi accompagnarmi?-

-Mi sembra il minimo.- Borbottò Bokuto, evidentemente ancora offeso per la mia mancanza di autostima -Metti che ti salti in mente la brillante idea di buttarti sotto una macchina.-

-Sei pessimo.- Commentai, notando con piacere di essere riuscito a farlo sorridere.

Stranamente, mi sentii meglio anche io.

Cos'era quella sensazione di benessere che si stava impossessando del mio corpo?

Mi era totalmente nuova.

Negli anni passati mi ero divertito pareecchie volte, eppure si trattava di una felicità diversa.

Avanzammo in silenzio per il resto del tragitto, ognuno immerso nei propri pensieri.

E, i miei, non erano affatto pochi.

In prossimità del centro, le automobili si moltiplicarono a vista d'occhio e lo stesso fecero i negozi ancora aperti.

Superammo tutta l'area di Shidome per addentrarci nella zona meno affollata di Shimbashi, dove tutti i pedoni che incrociammo si stavano incamminando nella direzione opposta.

-Siamo arrivati.- Annunciai, fermandomi d'innanzi una serie di condomini l'uno di fianco all'altro.

Bokuto sollevò la testa e passò in rassegna la zona: -Oh, figo.-

Aveva decisamente bisogno di ampliare il suo vocabolario.

-Grazie per tutto quello che hai fatto. Sono in debito con te.-

Il ragazzo si dondolò sul posto: -Magari potresti venire a vedere una delle nostre partite, ogni tanto.-

Non seppi cosa dire, quindi mi limitai ad abbbassare il capo.

Quella sensazione. Era...disagio?

-E mantenere la tua promessa.- Aggiunse poi.

Aggrottai le sporracciglia: -Non ci siamo fatti alcuna promessa.-

-Ah no?- Bokuto scrollò le spalle con nonchalance -Beh, la facciamo ora. Non farai nulla di incosciente fino a quando non saremo riusciti a dare un senso alla tua vita "grigia e vuota", o come preferisci chiamarla.-

-Ti basta un semplice giuramento per fidarti?-

-Ovvio! Insomma, se non ci potessimo fidare più neanche delle promesse, non saprei a quali metodi ricorrere. Le promesse sono sacre.-

-Se lo dici tu.-

-Bene.- Bokuto parve soddisfatto -E ora vedi di rispettarla, Aghaashi. A domani.- E, senza aggiungere altro, il ragazzo si allontanò canticchiando per la sua strada.

Rimasi a fissarlo sbigottito fino a quando non scomparve dietro una curva.

Potevo aver appena conosciuto la mia salvezza o la causa di tutti mi miei problemi futuri.

Alzai gli occhi verso il cielo e , finalmente, riuscii a scorgere qualche puntino luminoso nella sfera blu.

-E' Akaashi.- Sussurrai, prima di valicare l'ingresso del mio appartamento.

   
 
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