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Autore: Mary P_Stark    02/02/2021    2 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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24.

 

 

 

Galleggiava senza peso in un universo indefinito, interamente bianco e privo di forma, finché non vide un’ombra, un’ombra che conosceva bene e che la portò a sorridere.

L’ombra si fece uomo e l’uomo divenne Mark che, stringendola in un abbraccio caloroso, la baciò delicatamente sulle labbra prima di scendere con le mani lungo le braccia nude.

Il bacio si approfondì, le mani di lei e di lui, spinte dai loro stessi desideri, sfiorarono, graffiarono e tastarono mentre le bocche si facevano più audaci e i corpi si sfregavano tra loro, in cerca di sollievo e di passione al tempo stesso.

Fu a quel punto, quando Mark le si sdraiò sopra, pronto a penetrarla, che Liza si svegliò, il respiro affannoso e il volto coperto di nevischio.

Ansimante, si guardò intorno con la sua prospettiva schiacciata e particolareggiata di lupo e, finalmente, tornò coi piedi per terra e con la mente nuovamente in sé.

Davvero si era messa a sognare…

“Eravamo in due” chiosò con un risolino Mark, scrutandola con i suoi profondi occhi verdi da quel musetto di lupo che, da ormai una settimana, era la sua forma predominante.

Da quando avevano raggiunto George Island, e sia lui che Liza si erano trasformati per difendere Litha dalle offese della madre adottiva, non avevano più ripreso forme umane per ovvie ragioni; non avevano portato con sé un cambio d’abiti.

La richiesta di Qiugyat li aveva in seguito incatenati al Circolo Polare Artico, per cui non era più stato possibile, per loro, mutare forma e recuperare le loro sembianze umane.

Litha li aveva temporaneamente lasciati per ricondurre la madre a George Island, così che potesse tornare a Mag Mell con Krilash, dopodiché aveva portato Rohnyn a Clearwater perché facesse da ponte tra lei e le famiglie dei ragazzi. Ciò fatto, era tornata immediatamente da loro per iniziare il suo addestramento.

Sempre senza cambi d’abito per loro.

Quel particolare era completamente passato in secondo piano, ma i due ragazzi si erano ben presto adeguati alla situazione, non trovando nulla di male nel mantenere quelle forme. Nel vederli soddisfatti della loro nuova condizione, Litha non si era quindi sentita obbligata a un nuovo viaggio al sud e, da quel momento, Liza e Mark avevano vissuto come lupi.

“Abbiamo condiviso un sogno?” domandò imbarazzata Liza, scrollandosi di dosso la neve caduta durante la notte prima di guardarsi intorno.

Naturalmente, il paesaggio non era cambiato, e loro si trovavano ancora all’imbocco di una piccola insenatura dove, solitamente, Chanel e Litha dormivano qualche ora prima di riprendere l’addestramento.

In quel momento, Chanel dormiva saporitamente. A loro sarebbe spettato addestrarsi con Qiugyat da lì a qualche ora, perciò potevano benissimo lasciarla riposare ancora un po’.

Ai genitori di Chanel, Iris e Dev comunicavano quasi giornalmente notizie false e rassicuranti sulla figlia, parlando loro di gite a Calgary, così come di passeggiate nei boschi e visite a musei. L’impossibilità della ragazza a parlare con la famiglia era stata mascherata come una necessità espressa da Chanel stessa, desiderosa di staccare da Clearwater e da ciò che le ricordava Fergus.

A questo, gli Howthorne si erano attenuti con rassegnazione ma, altresì, con la speranza che la figlia si riprendesse al più presto e, a ogni nuova telefonata, entrambi i genitori avevano ringraziato Iris per l’aiuto offerto dai suoi zii.

Zii che, stando alle menzogne propinate agli Howthorne, avevano accompagnato Liza, Chanel e Mark lontano da Clearwater perché staccassero un po’ dal chiacchiericcio nato in seguito all’incidente con il lupo.

A ogni nuovo ringraziamento da parte dei genitori di Chanel, Iris si era sentita rimordere la coscienza, ma aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco e mantenersi salda per non crollare.

Tra i licantropi, comunque, tutti speravano che quel teatrino avesse breve durata perché, altrimenti, reggere quelle bugie sarebbe diventato sempre più difficile, col passare del tempo.

“A quanto pare, il nostro legame emotivo peggiora le cose…” ammiccò Mark strappandola ai suoi pensieri prima di avvicinarsi a Liza per leccarle il musetto. “… ma, di sicuro, avrei preferito che tu non ti svegliassi.”

Liza sobbalzò sulle zampe, uggiolando sorpresa e indispettita e Mark, gracchiando una risata lupesca, le diede un colpetto col muso e aggiunse: “Scusa. Ma non è che non ci pensi mai.”

“Grazie… questo lo so… anch’io ci penso, però… però…” tentennò lei, e ringraziò il cielo di essere un lupo, così da non poter arrossire.

“Oh, credimi… anch’io mi diverto molto all’idea di non essere più così trasparente” celiò il giovane lupo, riferendosi all’imbarazzo della ragazza.

“Io apprezzo molto i tuoi rossori” sottolineò Liza. “Onestamente, mi mancano.”

“Arrossirò quando vuoi, Liza… ma non avercela con me per aver desiderato andare in fondo a quel sogno.

Lei si accucciò a terra, e lui con lei, e infine Liza mormorò: “Diciamo che, almeno per il momento, non voglio cacciarmi nei guai, in quel frangente. Credo che mia madre impazzirebbe, se sapesse che ho fatto sesso adesso. Su certe cose, tendo a essere piuttosto all’antica, mi spiace.”

“Nessun problema… basta saperlo. Ma i sogni non hanno mai fatto male a nessuno” replicò con candore Mark.

“Vero. Quindi… dovrei riaddormentarmi?” ipotizzò maliziosa Liza.

“Per quanto mi piacerebbe, potremmo sconvolgere Chanel. Si sta svegliando e, da sveglia, potrebbe avvertire ciò a cui stiamo pensando, anche se stiamo attenti” replicò Mark, levandosi nuovamente sulle zampe per stiracchiarsi.

Liza lo imitò e, con una leccata al muso di Mark, mormorò: “Sono contenta che il nostro legame sia rimasto, e che sia diventato così forte.”

“Anch’io.”

Qiugyat aveva sorriso felice, quando aveva scoperto del loro legame affettivo e, pur mettendoli in imbarazzo, aveva affermato che, se un domani avessero voluto dei figli, questi avrebbero raccolto sia la loro eredità che il legame con Litha.

Essendo Litha una dea vivente, nessuno avrebbe potuto spezzare una simile simbiosi, se non con la morte di quest’ultima, perciò sarebbero stati al sicuro anche da eventuali attacchi di altri akhlut ancora in vita.

Insieme a loro, la dea del Nord si era poi concentrata sulle sensazioni nate dal legame con la dea Tuatha, rafforzato dal fatto di aver bevuto il suo sangue, e di aver dato a loro volta sangue alla dea.

Giorno per giorno, Qiugyat aveva quindi mostrato ai ragazzi come bloccare i canali energetici che li legavano alla dea, così da convogliare quell’energia nei loro stessi corpi che, a quel modo, sarebbero diventati più potenti.

Allo stesso modo, Litha si era impegnata anima e corpo per imparare da Qiugyat il modo corretto di gestire le sue energie, e soprattutto, quelle derivate da Aengus. Contrariamente a Freyr e Freya, che erano sì degli dèi legati al sesso e alla passionalità, ma anche potenti guerrieri dal cipiglio militare incrollabile, Aengus era una creatura senza alcuna reticenza o inibizione.

Saper controllare gli impulsi derivati dal suo sangue divino, era la chiave giusta per comprendere, e questo stava imparando a fare Litha.

Per anni, si era glorificata della propria discendenza senza mai realmente conoscerla, e questo l’aveva portata a peccare di superficialità, a complicare una situazione che, di per sé, avrebbe potuto essere molto più facile di così.

Per quanto le critiche di Muath fossero state pesanti da digerire, nondimeno si erano dimostrate reali. Aveva agito male. Si era lasciata alle spalle un passato che, invece, avrebbe potuto servirle – quello delle senturion – e aveva volutamente chiuso la porta alla sua vita fomoriana, quando questa avrebbe potuto ricordarle la necessità di un ferreo autocontrollo e di una volontà insopprimibile.

Sì, si era davvero metaforicamente seduta sugli allori.

«Pensare alle parole di tua madre non ti aiuterà a velocizzare il processo» le rammentò Qiugyat.

Levando il volto a scrutare quello immateriale della dea, seduta dinanzi a lei su uno spuntone di roccia, Litha scrollò una spalla e ammise: «Sentirmi sciocca non mi fa male… anche perché è vero. Lo sono stata. Superficiale e sciocca.»

«Scusami se apprezzo la tua superficialità, allora» replicò la dea, scrutando con espressione mesta e piena di rimpianti le figure dei due lupi e della giovane che, giocando tra la neve, si stavano avvicinando a loro. «Questo mi ha permesso di passare del tempo con i miei cuccioli e ciò non ha prezzo, per me.»

Litha ne seguì lo sguardo, sorrise e ammise: «E’ proprio vero che bisogna guardare la medaglia da ambo le parti.»

Qiugyat assentì e, quando i giovani furono nelle vicinanze, sorrise loro e disse: «Siete in anticipo, stamani.»

«Volevamo sapere se potevamo mettere alla prova le nostre nuove conoscenze con Litha, per vedere a che punto siamo» le spiegò Chanel.

Quel breve soggiorno al Circolo Polare Artico sembrava averla rasserenata. Forse, l’idea di poter scorgere Fergus tra le luci del Nord la rincuorava – Madre aveva acconsentito a donare a Fergus uno spettro di colore visibile solo agli amarok – oppure, il fatto di aver finalmente scoperto come vivere al meglio la sua nuova natura, l’aveva resa più forte.

Quali che fossero i motivi, Chanel appariva più sicura di sé e meno vittima degli incubi che, i primi giorni, l’avevano vista soccombere durante la notte. I due lupi con lei, inoltre, erano pieni di premure nei confronti dell’amica. Di questo, Qiugyat era assai orgogliosa e, in parte, addolciva la mestizia al pensiero di doverli abbandonare entro breve.

Sapeva che i suoi cuccioli sarebbero stati finalmente in buone mani, e non avrebbero dovuto finire tra le fauci di nessuno degli akhlut rimasti.

Questi ultimi, deprivati di tutti gli amarok a causa del loro naturale deperimento, si sarebbero ben presto tramutati in orche o, nella peggiore delle ipotesi, sarebbero morti sulla terraferma piuttosto che tornare alla loro sorgente di vita.

L’egoistica sete di energia degli akhlut era stata, paradossalmente, anche la condanna degli amarok a loro legati. Guidati da quell’unico ordine – uccidere umani e depredarli della loro energia – non avevano pensato a riprodursi e così, nel corso dei millenni, si erano ridotti fin quasi a sparire.

A loro volta, gli akhlut si erano talmente concentrati sugli amarok in loro possesso, da non badare alla loro mortalità – così come alla loro esistenza – e questo aveva finito con il cospirare contro la razza.

Sapeva ormai ben poco degli amarok ancora in vita, ma la faceva ben sperare vedere quei tre giovani virgulti pronti a vivere una nuova esistenza come figli liberi e senza più catene legate agli akhlut.

«Penso che si possa provare» acconsentì Qiugyat, scostandosi da Litha perché Chanel si andasse a sedere proprio di fronte alla sua dea.

Chanel, a quel punto, afferrò le mani di Litha, sorrise divertita quando una ciocca di capelli le finì sul viso e, scostandola in fretta, chiosò: «Se penso che, fino a un mese fa, ero terrorizzata dall’inverno… ora, sono in jeans e maglioncino di flanella nel bel mezzo del Circolo Polare Artico, e non faccio una piega.»

Sia Litha che Qiugyat sorrisero di quell’accenno e quest’ultima, annuendo, le spiegò: «Nel vostro DNA c’è il freddo, oltre al sole, anche se può sembrarvi una contraddizione. Io sono entrambe le cose, e così voi. Non avrete mai problemi, a queste temperature, e il sole vi rigenererà ogni qualvolta ne avrete bisogno.»

«Buono a sapersi» mormorò Chanel prima di fissare il proprio sguardo azzurro cielo in quello d’ametista di Litha.

Subito, la connessione del loro sangue si fece sentire e, seppure con minore forza rispetto alle prime ore della sua nuova esistenza, Chanel avvertì prepotente il desiderio di rendere felice la sua dea.

Quando, però, cercò di contenere un simile entusiasmo, le riuscì piuttosto bene, relegando quel desiderio a una mera scintilla nel suo animo.

Allo stesso modo, Litha bloccò il suo istinto primario di abbracciare e proteggere Chanel e, pur desiderando per lei ogni bene possibile, non cercò di prelevare energia dalla giovane per ottenere un simile risultato.

Sì, la disciplina delle senturion le sarebbe davvero servita per non cadere in quel semplice tranello ma, per sua fortuna, la memoria cellulare serviva a qualcosa, e gli antichi insegnamenti pian piano stavano riemergendo.

“Stiamo riuscendo a contenere le energie, Rohnyn… cominciamo a vedere dei miglioramenti” disse mentalmente Litha, concentrandosi per annullare le distanze che la separavano dal fratello. “Di’ a Iris e gli altri che presto torneremo a casa.”

Naturalmente non ricevette risposta – Rohnyn non aveva il potere per farlo – ma, conscia di averne sfiorato la mente, non si preoccupò che lui potesse non aver udito le sue parole.

Sapeva. E, ben presto, ogni cosa avrebbe trovato il suo giusto termine.

***

Rohnyn stava lanciando degli straccetti di pollo a Huginn e Muninn, nei pressi della voliera, quando il messaggio di Litha giunse come un campanello tintinnato nel bel mezzo del suo cervello.

Bloccando temporaneamente i lanci, Rohnyn fece un cenno ai due corvi di atterrare sui trespoli e, dopo aver terminato di ascoltare le parole della sorella, sorrise, carezzò il capo a entrambi gli uccelli e disse: «La vostra padrona sarà presto di ritorno.»

Il loro allegro gracchiare fu assordante, tanto da spingere all’esterno dell’abitato sia Diana che Rachel – in quel momento a casa Saint Clair –, preoccupate da quel suono improvviso quanto stridente.

Quando, però, videro sul volto di Rohnyn un caldo sorriso pieno di speranza, le due donne si strinsero vicendevolmente le mani, in attesa di un riscontro favorevole da parte dell’uomo.

Lui le raggiunse con rapide falcate, assentì e disse: «Sono a buon punto. Litha dice che stanno migliorando a vista d’occhio, e che Qiugyat è molto disponibile e generosa con tutti loro.»

Diana si deterse una lacrima, abbracciò di slancio un sorpreso Rohnyn e, dopo averlo baciato sulle guance, esclamò: «Dio sia lodato! O Litha! Vedete un po’ voi a quale divinità votarvi!»

Sia Rachel che l’uomo risero di quella battuta atta a sdrammatizzare l’intera situazione, trovandola più che pertinente.

In quei lunghi giorni di forzata separazione, i Sullivan si erano avvicendati a casa Saint Clair per avere notizie fresche in merito a quanto stava accadendo al nord. Quanto ai Wallace, si erano temporaneamente insediati a casa della nipote poiché, ufficialmente, erano in viaggio e perciò non potevano farsi vedere in giro per la cittadina.

Sapere che ben presto i loro ragazzi sarebbero tornati, non poteva che essere un’ottima notizia, un buon viatico per tornare alla normalità.

Immediatamente, quindi, Rachel chiamò i genitori di Chanel per dare loro buone notizie e, quando la donna sentì la voce speranzosa di Martha, sorrise spontanea e disse con allegria: «Martha, buonasera, sono Rachel. Volevo dirle che Chanel sta molto meglio e, anche se non se la sente ancora di chiamare di persona, l’ho vista più serena. Ora è fuori con Liza, e stanno facendo arrampicata sportiva in palestra.»

«Buonasera, Rachel. Sono felice di sentirla» mormorò Martha con tono stanco ma anche carico di fiducia. «Non sa che gioia mi sta dando, nel sentirle dire che la nostra bambina sta reagendo a ciò che le è capitato. Io e Troy non sapevamo davvero come affrontare la situazione… e dire che nostra figlia è viva! Se penso a ciò che stanno passando i genitori di Fergus, ancora non riesco a capacitarmi che una semplice passeggiata possa essere finita così male.»

«Liza mi ha spiegato che i ragazzi erano soliti fare orienteering, e perciò erano più che abituati a girare per i boschi» assentì Rachel, lasciandole corda perché parlasse.

«Assolutamente. I nostri ragazzi, in pratica, crescono tra queste foreste, e loro amavano quello sport. Inoltre, prima di… beh, di ciò che è successo, non abbiamo mai avuto problemi con gli animali selvatici. Chi avrebbe mai pensato che un lupo solitario potesse fare tanti e tali danni?» sospirò Martha prima di aggiungere: «Ma io sto diventando pedante. E’ ovvio che nessuno poteva aspettarselo. Le cose orribili capitano ogni giorno. Mi spiace soltanto che tanti ragazzi abbiano dovuto veder rovinata la propria giovinezza con simili ricordi.»

E questo è niente, pensò tra sé Rachel prima di dire a voce alta: «Sì, è stata una cosa terribile e, se lei pensa che possa servire, quando torneremo, andrò a far visita anche ai genitori di Fergus.»

«Megan e Ryan lo gradiranno di sicuro» la rassicurò con sicurezza Martha. «Anche noi siamo soliti andare da loro, al pari di altri nostri amici, e mi sembra che entrambi apprezzino il fatto che la cittadinanza non voglia lasciarli soli.»

Sorridendo più tranquilla, Rachel allora aggiunse: «Se c’è una cosa che ho imparato dalle mie figlie, è che sanno saltare fuori praticamente da ogni dramma. Sono più brave di me. E sono sicura che la sua Chanel è fatta della stessa pasta. La vedo riprendersi ogni giorno di più, e sono certa che entro breve avrà il coraggio di affrontare ciò che ha vissuto anche con voi.»

«Mi basta che sia serena al fianco dei suoi amici. Noi possiamo aspettare» asserì Martha con tono abbastanza sereno. Non rassegnato, soltanto solidale con la figlia.

Rachel annuì e chiuse la chiamata con la raccomandazione di non abbattersi, dopodiché scrutò in volto Rohnyn e domandò: «Sbaglio a tentare di darle speranza?»

«Non credo. Io sono sicuro che faccia bene a tutti. Noi compresi» dichiarò l’uomo prima di guardare anche Diana e aggiungere: «Siete in piedi da ore. Sarà il caso che vi riposiate un po’. Di sicuro, per qualche tempo, non riceverò altre notizie, per cui non angustiatevi troppo e permettete a voi stesse di staccare un poco.»

Le due donne assentirono, trovandosi d’accordo con lui e, nel rientrare in casa, si concessero di assopirsi sul divano del salotto.

Più tranquillo, Rohnyn prese il suo cellulare per chiamare casa e, quando la voce trillante di Sheridan lo avvolse, un sorriso sorse spontaneo sul suo volto.

Sì, sua madre poteva anche aver ragione, e il suo cuore aveva avuto il sopravvento su molte delle sue scelte, ma lui era contento che tutto ciò fosse avvenuto, e lo stesso – a suo parere – valeva per i fratelli e la sorella.

L’amore non poteva mai essere un errore. Dovevano solo imparare a gestirlo al meglio.

«Come procedono le cose, lì?» esordì Sherry con il suo solito tono di voce pimpante.

Rohnyn, allora, le raccontò dei progressi fatti dalla sorella e dai ragazzi, le spiegò quel che aveva saputo in merito a Qiugyat e, con un sorriso ai due corvi nella voliera, espresse il suo desiderio di voler diventare un falconiere.

Scoppiando in una risatina allegra, Sheridan assentì senza problemi e replicò: «Ho idea che i corvi della Geri di Clearwater ti siano davvero piaciuti. Per me non c’è problema, se ai cani non darà fastidio la presenza di una poiana, o di un gufetto. E i ragazzi ne saranno di sicuro entusiasti.»

«Non ne dubito, ma avremo tempo di riparlarne quando sarò di nuovo da voi» ammise Rohnyn prima di chiudere la chiamata con un bacio e un ti amo.

L’attimo successivo sorrise alla licantropa che, in quei giorni, era stata designata alla protezione della casa e, con un cenno della mano, disse: «Charlotte. Tutto bene?»

«Le premure di Lucas mi sembrano un po’ esagerate ma, visto che è il mio Fenrir, io faccio quel che mi dice» ammiccò divertita la donna prima indicare con un cenno il fitto del bosco e aggiungere solo per Rohnyn: «Ho idea, però, che la maggiore preoccupazione di Lucas sia tenere impegnato Donovan, altrimenti non mi avrebbe caldamente invitato a tirarmelo dietro durante le mie perlustrazioni.»

Immaginando che, nel bosco limitrofo a casa Saint Clair, vi fosse proprio il professore, l’uomo sorrise indulgente e domandò: «Si sta abituando alla nuova natura di suo figlio?»

Tornando seria, Charlotte assentì grave e mormorò: «Mi ha raccontato ciò che lui e il ragazzo videro dieci anni addietro e non mi stupisce che, dopo anni e anni di ricerche, abbia sbarellato a quel modo. Ora, però, sembra essere pronto a questo nuovo capitolo della sua vita, e fa domande a raffica su tutto ciò che concerne il nostro essere delle creature a doppia natura. Si vede che è un professore.»

Le ultime parole le uscirono con tono leggermente esasperato e Rohnyn, nel ridere sommessamente, le diede una pacca sulla spalla prima di augurarle buon proseguimento di ronda.

Lei lo ringraziò con un cenno della mano prima di tornarsene a passo lesto nel bosco e Rohnyn, avendo ancora a disposizione alcune manciate di carne da lanciare ai corvi, tornò alla sua precedente occupazione.

Sì, avrebbe imparato ad addestrare gli uccelli. Magari un falchetto, oppure una poiana europea. Chissà.

***

Qiugyat raggiunse Chanel sulla cresta di un crepaccio, la giovane intenta a fissarne le sinistre oscurità ormai da molto tempo.

In quei giorni passati assieme, la dea aveva colto in lei non soltanto un profondo desiderio di vita e di riscatto, ma anche una radicata vena di dolore che, con tutta probabilità, le veniva dalla morte dell’amico.

Durante i loro allenamenti, però, aveva preferito non farne menzione ma, trattandosi di un momento in cui nessun altro poteva udirle, la dea decise di sviscerare l’argomento prima che potesse crearle dei problemi in futuro.

Affiancatala, Qiugyat le sorrise brevemente prima di imitarla e domandarle: «Ti chiedi se abbia una fine? O cosa potrebbe succedere se vi cadessi dentro?»

Chanel ammiccò nella sua direzione con un leggero sorriso e replicò: «Non ho istinti suicidi, davvero. Mi incuriosiva per un altro motivo, però.»

«E quale?» desiderò sapere la dea.

La giovane scrutò quel viso perfetto e niveo, i suoi splendidi capelli fulvi che, immoti, rendevano più che chiaro quanto lei, in quei luoghi, fosse solo mera apparizione spettrale e, seria, disse: «Mi domandavo se, scendendo abbastanza in profondità, avrei potuto rivedere Fergus per chiedergli perdono.»

Qiugyat sospirò nel sentirla parlare a quel modo e, lanciato uno sguardo al cielo sgombro di nubi e che, ben presto, si sarebbe illuminato di mille colori diversi, asserì: «Lui non vuole il tuo perdono. Non sei stata tu a ucciderlo.»

Sgranando leggermente gli occhi, Chanel esalò: «Puoi… puoi davvero sapere cosa pensa?!»

Lei allora le sorrise e annuì, mormorando: «Fergus è una mia Luce, ora, perciò sì. E desidera solo che tu sia felice e che, con il tempo, tu possa aprire di nuovo il tuo cuore a una nuova vita. E’ lieto che tu lo pensi e lo ricordi con affetto, ma non desidera che tu deperisca nel suo ricordo.»

Annuendo nel tergersi una lacrima ribelle, Chanel levò il capo verso il cielo quando le prime Luci del Nord comparvero all’orizzonte e, flebile, disse: «Non lo avrei fatto. Deperire. Forse. Insomma, ci avrei provato in ogni caso, a crearmi una nuova esistenza. Ma mi fa piacere sapere ciò che pensa.»

La dea sorrise nel poggiarle una inconsistente mano sulla spalla mentre, assieme, osservavano il cielo farsi multicolore.

Sai che dire le bugie non va bene, vero, figlia mia?

Qiugyat sorrise debolmente nell’udire la voce di Madre dentro di sé e, divertita, replicò: “Neppure le bugie a fin di bene?”

Te lo concedo… ma solo per stavolta. La ragazza ce la farà?

“E’ forte. Le serviva solo credere che anche Fergus la voglia forte e pronta ad affrontare il suo futuro. Potrà anche subodorare un mio inganno ma, al momento, è più importante credere a una bugia, che alla verità, e cioè che Fergus non può più dire nulla perché è divenuto pura Luce del Nord.”

Lei può vederlo, e tu non sarai più sola, figlia mia, perciò credo che entrambe saprete trovare il modo per chiudere le ferite dei vostri cuori.

“Ora chi è che fa la sentimentale?” ironizzò la dea del Nord.

Madre, ovviamente, non rispose, ma a Qiugyat non importò.

Se il Fato aveva voluto che lei incontrasse l’anima del giovane che Chanel aveva perduto, Qiugyat non poteva che accettare quell’evento, anche se ciò aveva comportato la morte di un giovane.

Da parte sua, era stata lieta di aver intercesso per la sua anima, e di aver permesso a coloro che lo avevano amato di poterlo vedere nelle Luci del Nord. Così, non sarebbe mai stato dimenticato.




N.d.A.:  cominciamo a farci un'idea di come i ragazzi si stiano abituando alla loro doppia natura, e di come Qiugyat cerchi di essere loro d'aiuto in questo processo di cambiamento. Inoltre, possiamo scoprire come procedano le cose a Clearwater, mentre i ragazzi mancano da casa. Che dite? Chanel avrà la forza di affrontare i suoi genitori, una volta tornata a casa?


  
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