24.
Galleggiava
senza peso in un universo indefinito, interamente bianco e privo di
forma,
finché non vide un’ombra, un’ombra che
conosceva bene e che la portò a
sorridere.
L’ombra
si fece uomo e l’uomo divenne Mark che, stringendola in un
abbraccio caloroso,
la baciò delicatamente sulle labbra prima di scendere con le
mani lungo le
braccia nude.
Il
bacio si approfondì, le mani di lei e di lui, spinte dai
loro stessi desideri,
sfiorarono, graffiarono e tastarono mentre le bocche si facevano
più audaci e i
corpi si sfregavano tra loro, in cerca di sollievo e di passione al
tempo
stesso.
Fu
a quel punto, quando Mark le si sdraiò sopra, pronto a
penetrarla, che Liza si
svegliò, il respiro affannoso e il volto coperto di
nevischio.
Ansimante,
si guardò intorno con la sua prospettiva schiacciata e
particolareggiata di
lupo e, finalmente, tornò coi piedi per terra e con la mente
nuovamente in sé.
Davvero
si
era messa a
sognare…
“Eravamo
in due”
chiosò
con un risolino Mark, scrutandola con i suoi profondi occhi verdi da
quel
musetto di lupo che, da ormai una settimana, era la sua forma
predominante.
Da
quando avevano raggiunto George Island, e sia lui che Liza si erano
trasformati
per difendere Litha dalle offese della madre adottiva, non avevano
più ripreso
forme umane per ovvie ragioni; non avevano portato con sé un
cambio d’abiti.
La
richiesta di Qiugyat li aveva in
seguito incatenati al Circolo Polare Artico, per cui non era
più stato
possibile, per loro, mutare forma e recuperare le loro sembianze umane.
Litha
li aveva temporaneamente lasciati per ricondurre la madre a George
Island, così
che potesse tornare a Mag Mell con Krilash, dopodiché aveva
portato Rohnyn a
Clearwater perché facesse da ponte tra lei e le famiglie dei
ragazzi. Ciò
fatto, era tornata immediatamente da loro per iniziare il suo
addestramento.
Sempre
senza cambi d’abito per loro.
Quel
particolare era completamente passato in secondo piano, ma i due
ragazzi si
erano ben presto adeguati alla situazione, non trovando nulla di male
nel
mantenere quelle forme. Nel vederli soddisfatti della loro nuova
condizione,
Litha non si era quindi sentita obbligata a un nuovo viaggio al sud e,
da quel
momento, Liza e Mark avevano vissuto come lupi.
“Abbiamo
condiviso un sogno?”
domandò imbarazzata Liza, scrollandosi di dosso la neve
caduta durante la notte
prima di guardarsi intorno.
Naturalmente,
il paesaggio non era cambiato, e loro si trovavano ancora
all’imbocco di una
piccola insenatura dove, solitamente, Chanel e Litha dormivano qualche
ora
prima di riprendere l’addestramento.
In
quel momento, Chanel dormiva saporitamente. A loro sarebbe spettato
addestrarsi
con Qiugyat da lì a
qualche ora,
perciò potevano benissimo lasciarla riposare ancora un
po’.
Ai
genitori di Chanel, Iris e Dev comunicavano quasi giornalmente notizie
false e
rassicuranti sulla figlia, parlando loro di gite a Calgary,
così come di
passeggiate nei boschi e visite a musei.
L’impossibilità della ragazza a
parlare con la famiglia era stata mascherata come una
necessità espressa da
Chanel stessa, desiderosa di staccare da Clearwater e da ciò
che le ricordava
Fergus.
A
questo, gli Howthorne si erano attenuti con rassegnazione ma,
altresì, con la
speranza che la figlia si riprendesse al più presto e, a
ogni nuova telefonata,
entrambi i genitori avevano ringraziato Iris per l’aiuto
offerto dai suoi zii.
Zii
che, stando alle menzogne propinate agli Howthorne, avevano
accompagnato Liza,
Chanel e Mark lontano da Clearwater perché staccassero un
po’ dal
chiacchiericcio nato in seguito all’incidente con il lupo.
A
ogni nuovo ringraziamento da parte dei genitori di Chanel, Iris si era
sentita
rimordere la coscienza, ma aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco
e
mantenersi salda per non crollare.
Tra
i licantropi, comunque, tutti speravano che quel teatrino avesse breve
durata
perché, altrimenti, reggere quelle bugie sarebbe diventato
sempre più
difficile, col passare del tempo.
“A
quanto pare,
il nostro legame emotivo peggiora le
cose…” ammiccò Mark
strappandola ai suoi pensieri prima di avvicinarsi a
Liza per leccarle il musetto. “…
ma, di
sicuro, avrei preferito che tu non ti svegliassi.”
Liza
sobbalzò sulle zampe, uggiolando sorpresa e indispettita e
Mark, gracchiando
una risata lupesca, le diede un colpetto col muso e aggiunse: “Scusa. Ma non è che non ci
pensi mai.”
“Grazie…
questo
lo so… anch’io ci penso,
però… però…” tentennò lei, e
ringraziò il cielo di
essere un lupo, così da non poter arrossire.
“Oh,
credimi…
anch’io mi diverto molto all’idea di non essere
più così trasparente” celiò il
giovane lupo, riferendosi all’imbarazzo della ragazza.
“Io
apprezzo
molto i tuoi rossori” sottolineò Liza. “Onestamente,
mi mancano.”
“Arrossirò
quando vuoi, Liza… ma non avercela con me per aver
desiderato andare in fondo a
quel sogno.”
Lei
si accucciò a terra, e lui con lei, e infine Liza
mormorò: “Diciamo che,
almeno per il momento, non voglio cacciarmi nei guai, in
quel frangente. Credo che mia madre
impazzirebbe, se sapesse che ho fatto sesso adesso. Su certe cose, tendo a essere piuttosto
all’antica, mi spiace.”
“Nessun
problema… basta saperlo. Ma i sogni non hanno mai fatto male
a nessuno” replicò con
candore Mark.
“Vero.
Quindi…
dovrei riaddormentarmi?” ipotizzò maliziosa Liza.
“Per
quanto mi
piacerebbe, potremmo sconvolgere Chanel. Si sta svegliando e, da
sveglia,
potrebbe avvertire ciò a cui stiamo pensando, anche se
stiamo attenti” replicò Mark,
levandosi nuovamente sulle zampe per stiracchiarsi.
Liza
lo imitò e, con una leccata al muso di Mark,
mormorò: “Sono contenta
che il nostro legame sia rimasto, e che sia diventato
così forte.”
“Anch’io.”
Qiugyat aveva sorriso
felice, quando aveva scoperto del loro legame affettivo e, pur
mettendoli in
imbarazzo, aveva affermato che, se un domani avessero voluto dei figli,
questi
avrebbero raccolto sia la loro eredità che il legame con
Litha.
Essendo
Litha una dea vivente, nessuno avrebbe potuto spezzare una simile
simbiosi, se
non con la morte di quest’ultima, perciò sarebbero
stati al sicuro anche da
eventuali attacchi di altri akhlut ancora
in vita.
Insieme
a loro, la dea del Nord si era poi concentrata sulle sensazioni nate
dal legame
con la dea Tuatha, rafforzato dal fatto di aver bevuto il suo sangue, e
di aver
dato a loro volta sangue alla dea.
Giorno
per giorno, Qiugyat aveva quindi
mostrato ai ragazzi come bloccare i canali energetici che li legavano
alla dea,
così da convogliare quell’energia nei loro stessi
corpi che, a quel modo,
sarebbero diventati più potenti.
Allo
stesso modo, Litha si era impegnata anima e corpo per imparare da Qiugyat il modo corretto di gestire le
sue energie, e soprattutto, quelle derivate da Aengus. Contrariamente a
Freyr e
Freya, che erano sì degli dèi legati al sesso e
alla passionalità, ma anche
potenti guerrieri dal cipiglio militare incrollabile, Aengus era una
creatura
senza alcuna reticenza o inibizione.
Saper
controllare gli impulsi derivati dal suo sangue divino, era la chiave
giusta
per comprendere, e questo stava imparando a fare Litha.
Per
anni, si era glorificata della propria discendenza senza mai realmente
conoscerla, e questo l’aveva portata a peccare di
superficialità, a complicare
una situazione che, di per sé, avrebbe potuto essere molto
più facile di così.
Per
quanto le critiche di Muath fossero state pesanti da digerire,
nondimeno si
erano dimostrate reali. Aveva agito male. Si era lasciata alle spalle
un
passato che, invece, avrebbe potuto servirle – quello delle senturion – e aveva volutamente
chiuso
la porta alla sua vita fomoriana, quando questa avrebbe potuto
ricordarle la
necessità di un ferreo autocontrollo e di una
volontà insopprimibile.
Sì,
si era davvero metaforicamente seduta sugli allori.
«Pensare
alle parole di tua madre non ti aiuterà a velocizzare il
processo» le rammentò Qiugyat.
Levando
il volto a scrutare quello immateriale della dea, seduta dinanzi a lei
su uno
spuntone di roccia, Litha scrollò una spalla e ammise:
«Sentirmi sciocca non mi
fa male… anche perché è
vero. Lo sono
stata. Superficiale e sciocca.»
«Scusami
se apprezzo la tua superficialità, allora»
replicò la dea, scrutando con
espressione mesta e piena di rimpianti le figure dei due lupi e della
giovane
che, giocando tra la neve, si stavano avvicinando a loro.
«Questo mi ha
permesso di passare del tempo con i miei cuccioli e ciò non
ha prezzo, per me.»
Litha
ne seguì lo sguardo, sorrise e ammise:
«E’ proprio vero che bisogna guardare la
medaglia da ambo le parti.»
Qiugyat assentì e,
quando i giovani furono nelle vicinanze, sorrise loro e disse:
«Siete in
anticipo, stamani.»
«Volevamo
sapere se potevamo mettere alla prova le nostre nuove conoscenze con
Litha, per
vedere a che punto siamo» le spiegò Chanel.
Quel
breve soggiorno al Circolo Polare Artico sembrava averla rasserenata.
Forse,
l’idea di poter scorgere Fergus tra le luci del Nord la
rincuorava – Madre
aveva acconsentito a donare a Fergus uno spettro di colore visibile
solo agli amarok –
oppure, il fatto di aver finalmente
scoperto come vivere al meglio la sua nuova natura, l’aveva
resa più forte.
Quali
che fossero i motivi, Chanel appariva più sicura di
sé e meno vittima degli
incubi che, i primi giorni, l’avevano vista soccombere
durante la notte. I due
lupi con lei, inoltre, erano pieni di premure nei confronti
dell’amica. Di
questo, Qiugyat era assai
orgogliosa
e, in parte, addolciva la mestizia al pensiero di doverli abbandonare
entro
breve.
Sapeva
che i suoi cuccioli sarebbero stati finalmente in buone mani, e non
avrebbero dovuto
finire tra le fauci di nessuno degli akhlut
rimasti.
Questi
ultimi, deprivati di tutti gli amarok
a causa del loro naturale deperimento, si sarebbero ben presto
tramutati in
orche o, nella peggiore delle ipotesi, sarebbero morti sulla terraferma
piuttosto che tornare alla loro sorgente di vita.
L’egoistica
sete di energia degli akhlut era
stata, paradossalmente, anche la condanna degli amarok
a loro legati. Guidati da quell’unico ordine –
uccidere
umani e depredarli della loro energia – non avevano pensato a
riprodursi e
così, nel corso dei millenni, si erano ridotti fin quasi a
sparire.
A
loro volta, gli akhlut si erano
talmente concentrati sugli amarok in
loro possesso, da non badare alla loro mortalità –
così come alla loro
esistenza – e questo aveva finito con il cospirare contro la
razza.
Sapeva
ormai ben poco degli amarok ancora
in
vita, ma la faceva ben sperare vedere quei tre giovani virgulti pronti
a vivere
una nuova esistenza come figli liberi e senza più catene
legate agli akhlut.
«Penso
che si possa provare» acconsentì Qiugyat,
scostandosi da Litha perché Chanel si andasse a sedere
proprio di fronte alla
sua dea.
Chanel,
a quel punto, afferrò le mani di Litha, sorrise divertita
quando una ciocca di
capelli le finì sul viso e, scostandola in fretta,
chiosò: «Se penso che, fino
a un mese fa, ero terrorizzata dall’inverno… ora,
sono in jeans e maglioncino
di flanella nel bel mezzo del Circolo Polare Artico, e non faccio una
piega.»
Sia
Litha che Qiugyat sorrisero di
quell’accenno e quest’ultima, annuendo, le
spiegò: «Nel vostro DNA c’è
il
freddo, oltre al sole, anche se può sembrarvi una
contraddizione. Io sono
entrambe le cose, e così voi. Non avrete mai problemi, a
queste temperature, e
il sole vi rigenererà ogni qualvolta ne avrete
bisogno.»
«Buono
a sapersi» mormorò Chanel prima di fissare il
proprio sguardo azzurro cielo in
quello d’ametista di Litha.
Subito,
la connessione del loro sangue si fece sentire e, seppure con minore
forza
rispetto alle prime ore della sua nuova esistenza, Chanel
avvertì prepotente il
desiderio di rendere felice la sua dea.
Quando,
però, cercò di contenere un simile entusiasmo, le
riuscì piuttosto bene,
relegando quel desiderio a una mera scintilla nel suo animo.
Allo
stesso modo, Litha bloccò il suo istinto primario di
abbracciare e proteggere
Chanel e, pur desiderando per lei ogni bene possibile, non
cercò di prelevare
energia dalla giovane per ottenere un simile risultato.
Sì,
la disciplina delle senturion le
sarebbe davvero servita per non cadere in quel semplice tranello ma,
per sua
fortuna, la memoria cellulare serviva a qualcosa, e gli antichi
insegnamenti
pian piano stavano riemergendo.
“Stiamo
riuscendo a contenere le energie, Rohnyn… cominciamo a
vedere dei miglioramenti” disse
mentalmente Litha, concentrandosi per annullare le distanze che la
separavano
dal fratello. “Di’ a Iris
e gli altri che
presto torneremo a casa.”
Naturalmente
non ricevette risposta – Rohnyn non aveva il potere per farlo
– ma, conscia di
averne sfiorato la mente, non si preoccupò che lui potesse
non aver udito le
sue parole.
Sapeva.
E, ben presto, ogni cosa avrebbe trovato il suo giusto termine.
***
Rohnyn
stava lanciando degli straccetti di pollo a Huginn e Muninn, nei pressi
della
voliera, quando il messaggio di Litha giunse come un campanello
tintinnato nel
bel mezzo del suo cervello.
Bloccando
temporaneamente i lanci, Rohnyn fece un cenno ai due corvi di atterrare
sui
trespoli e, dopo aver terminato di ascoltare le parole della sorella,
sorrise,
carezzò il capo a entrambi gli uccelli e disse:
«La vostra padrona sarà presto
di ritorno.»
Il
loro allegro gracchiare fu assordante, tanto da spingere
all’esterno
dell’abitato sia Diana che Rachel – in quel momento
a casa Saint Clair –,
preoccupate da quel suono improvviso quanto stridente.
Quando,
però, videro sul volto di Rohnyn un caldo sorriso pieno di
speranza, le due
donne si strinsero vicendevolmente le mani, in attesa di un riscontro
favorevole
da parte dell’uomo.
Lui
le raggiunse con rapide falcate, assentì e disse:
«Sono a buon punto. Litha
dice che stanno migliorando a vista d’occhio, e che Qiugyat è molto disponibile e
generosa con tutti loro.»
Diana
si deterse una lacrima, abbracciò di slancio un sorpreso
Rohnyn e, dopo averlo
baciato sulle guance, esclamò: «Dio sia lodato! O
Litha! Vedete un po’ voi a
quale divinità votarvi!»
Sia
Rachel che l’uomo risero di quella battuta atta a
sdrammatizzare l’intera
situazione, trovandola più che pertinente.
In
quei lunghi giorni di forzata separazione, i Sullivan si erano
avvicendati a
casa Saint Clair per avere notizie fresche in merito a quanto stava
accadendo
al nord. Quanto ai Wallace, si erano temporaneamente insediati a casa
della
nipote poiché, ufficialmente, erano in viaggio e
perciò non potevano farsi
vedere in giro per la cittadina.
Sapere
che ben presto i loro ragazzi sarebbero tornati, non poteva che essere
un’ottima notizia, un buon viatico per tornare alla
normalità.
Immediatamente,
quindi, Rachel chiamò i genitori di Chanel per dare loro
buone notizie e,
quando la donna sentì la voce speranzosa di Martha, sorrise
spontanea e disse
con allegria: «Martha, buonasera, sono Rachel. Volevo dirle
che Chanel sta
molto meglio e, anche se non se la sente ancora di chiamare di persona,
l’ho
vista più serena. Ora è fuori con Liza, e stanno
facendo arrampicata sportiva
in palestra.»
«Buonasera,
Rachel. Sono felice di sentirla» mormorò Martha
con tono stanco ma anche carico
di fiducia. «Non sa che gioia mi sta dando, nel sentirle dire
che la nostra
bambina sta reagendo a ciò che le è capitato. Io
e Troy non sapevamo davvero
come affrontare la situazione… e dire che nostra figlia
è viva! Se penso a ciò
che stanno passando i genitori di Fergus, ancora non riesco a
capacitarmi che
una semplice passeggiata possa essere finita così
male.»
«Liza
mi ha spiegato che i ragazzi erano soliti fare orienteering, e
perciò erano più
che abituati a girare per i boschi» assentì
Rachel, lasciandole corda perché
parlasse.
«Assolutamente.
I nostri ragazzi, in pratica, crescono tra queste foreste, e loro
amavano
quello sport. Inoltre, prima di… beh, di ciò che
è successo, non abbiamo mai
avuto problemi con gli animali selvatici. Chi avrebbe mai pensato che
un lupo
solitario potesse fare tanti e tali danni?»
sospirò Martha prima di aggiungere:
«Ma io sto diventando pedante. E’ ovvio che nessuno
poteva aspettarselo. Le
cose orribili capitano ogni giorno. Mi spiace soltanto che tanti
ragazzi
abbiano dovuto veder rovinata la propria giovinezza con simili
ricordi.»
E
questo è
niente, pensò
tra sé Rachel prima di dire a voce alta:
«Sì, è stata una cosa terribile e, se
lei pensa che possa servire, quando torneremo, andrò a far
visita anche ai
genitori di Fergus.»
«Megan
e Ryan lo gradiranno di sicuro» la rassicurò con
sicurezza Martha. «Anche noi
siamo soliti andare da loro, al pari di altri nostri amici, e mi sembra
che
entrambi apprezzino il fatto che la cittadinanza non voglia lasciarli
soli.»
Sorridendo
più tranquilla, Rachel allora aggiunse: «Se
c’è una cosa che ho imparato dalle
mie figlie, è che sanno saltare fuori praticamente da ogni
dramma. Sono più
brave di me. E sono sicura che la sua Chanel è fatta della
stessa pasta. La
vedo riprendersi ogni giorno di più, e sono certa che entro
breve avrà il
coraggio di affrontare ciò che ha vissuto anche con
voi.»
«Mi
basta che sia serena al fianco dei suoi amici. Noi possiamo
aspettare» asserì
Martha con tono abbastanza sereno. Non rassegnato, soltanto solidale
con la
figlia.
Rachel
annuì e chiuse la chiamata con la raccomandazione di non
abbattersi, dopodiché
scrutò in volto Rohnyn e domandò:
«Sbaglio a tentare di darle speranza?»
«Non
credo. Io sono sicuro che faccia bene a tutti. Noi compresi»
dichiarò l’uomo
prima di guardare anche Diana e aggiungere: «Siete in piedi
da ore. Sarà il
caso che vi riposiate un po’. Di sicuro, per qualche tempo,
non riceverò altre
notizie, per cui non angustiatevi troppo e permettete a voi stesse di
staccare
un poco.»
Le
due donne assentirono, trovandosi d’accordo con lui e, nel
rientrare in casa,
si concessero di assopirsi sul divano del salotto.
Più
tranquillo, Rohnyn prese il suo cellulare per chiamare casa e, quando
la voce
trillante di Sheridan lo avvolse, un sorriso sorse spontaneo sul suo
volto.
Sì,
sua madre poteva anche aver ragione, e il suo cuore aveva avuto il
sopravvento
su molte delle sue scelte, ma lui era contento che tutto ciò
fosse avvenuto, e
lo stesso – a suo parere – valeva per i fratelli e
la sorella.
L’amore
non poteva mai essere un errore. Dovevano solo imparare a gestirlo al
meglio.
«Come
procedono le cose, lì?» esordì Sherry
con il suo solito tono di voce pimpante.
Rohnyn,
allora, le raccontò dei progressi fatti dalla sorella e dai
ragazzi, le spiegò
quel che aveva saputo in merito a Qiugyat
e, con un sorriso ai due corvi nella voliera, espresse il suo desiderio
di
voler diventare un falconiere.
Scoppiando
in una risatina allegra, Sheridan assentì senza problemi e
replicò: «Ho idea
che i corvi della Geri di Clearwater ti siano davvero piaciuti. Per me
non c’è
problema, se ai cani non darà fastidio la presenza di una
poiana, o di un
gufetto. E i ragazzi ne saranno di sicuro entusiasti.»
«Non
ne dubito, ma avremo tempo di riparlarne quando sarò di
nuovo da voi» ammise
Rohnyn prima di chiudere la chiamata con un bacio e un ti
amo.
L’attimo
successivo sorrise alla licantropa che, in quei giorni, era stata
designata
alla protezione della casa e, con un cenno della mano, disse:
«Charlotte. Tutto
bene?»
«Le
premure di Lucas mi sembrano un po’ esagerate ma, visto che
è il mio Fenrir, io
faccio quel che mi dice» ammiccò divertita la
donna prima indicare con un cenno
il fitto del bosco e aggiungere solo per Rohnyn: «Ho idea,
però, che la
maggiore preoccupazione di Lucas sia tenere impegnato Donovan,
altrimenti non
mi avrebbe caldamente invitato a
tirarmelo dietro durante le mie perlustrazioni.»
Immaginando
che, nel bosco limitrofo a casa Saint Clair, vi fosse proprio
il professore, l’uomo sorrise indulgente e
domandò: «Si sta
abituando alla nuova natura di suo figlio?»
Tornando
seria, Charlotte assentì grave e mormorò:
«Mi ha raccontato ciò che lui e il
ragazzo videro dieci anni addietro e non mi stupisce che, dopo anni e
anni di
ricerche, abbia sbarellato a quel modo. Ora, però, sembra
essere pronto a
questo nuovo capitolo della sua vita, e fa domande a raffica su tutto
ciò che
concerne il nostro essere delle creature a doppia natura. Si vede che
è un
professore.»
Le
ultime parole le uscirono con tono leggermente esasperato e Rohnyn, nel
ridere
sommessamente, le diede una pacca sulla spalla prima di augurarle buon
proseguimento di ronda.
Lei
lo ringraziò con un cenno della mano prima di tornarsene a
passo lesto nel
bosco e Rohnyn, avendo ancora a disposizione alcune manciate di carne
da lanciare
ai corvi, tornò alla sua precedente occupazione.
Sì,
avrebbe imparato ad addestrare gli uccelli. Magari un falchetto, oppure
una
poiana europea. Chissà.
***
Qiugyat raggiunse
Chanel sulla cresta di un crepaccio, la giovane intenta a fissarne le
sinistre
oscurità ormai da molto tempo.
In
quei giorni passati assieme, la dea aveva colto in lei non soltanto un
profondo
desiderio di vita e di riscatto, ma anche una radicata vena di dolore
che, con
tutta probabilità, le veniva dalla morte
dell’amico.
Durante
i loro allenamenti, però, aveva preferito non farne menzione
ma, trattandosi di
un momento in cui nessun altro poteva udirle, la dea decise di
sviscerare
l’argomento prima che potesse crearle dei problemi in futuro.
Affiancatala,
Qiugyat le sorrise brevemente prima
di imitarla e domandarle: «Ti chiedi se abbia una fine? O
cosa potrebbe
succedere se vi cadessi dentro?»
Chanel
ammiccò nella sua direzione con un leggero sorriso e
replicò: «Non ho istinti
suicidi, davvero. Mi incuriosiva per un altro motivo,
però.»
«E
quale?» desiderò sapere la dea.
La
giovane scrutò quel viso perfetto e niveo, i suoi splendidi
capelli fulvi che,
immoti, rendevano più che chiaro quanto lei, in quei luoghi,
fosse solo mera
apparizione spettrale e, seria, disse: «Mi domandavo se,
scendendo abbastanza
in profondità, avrei potuto rivedere Fergus per chiedergli
perdono.»
Qiugyat sospirò nel
sentirla parlare a quel modo e, lanciato uno sguardo al cielo sgombro
di nubi e
che, ben presto, si sarebbe illuminato di mille colori diversi,
asserì: «Lui
non vuole il tuo perdono. Non sei stata tu a ucciderlo.»
Sgranando
leggermente gli occhi, Chanel esalò:
«Puoi… puoi davvero sapere cosa pensa?!»
Lei
allora le sorrise e annuì, mormorando: «Fergus
è una mia Luce, ora, perciò sì.
E desidera solo che tu sia felice e che, con il tempo, tu possa aprire
di nuovo
il tuo cuore a una nuova vita. E’ lieto che tu lo pensi e lo
ricordi con
affetto, ma non desidera che tu deperisca nel suo ricordo.»
Annuendo
nel tergersi una lacrima ribelle, Chanel levò il capo verso
il cielo quando le
prime Luci del Nord comparvero all’orizzonte e, flebile,
disse: «Non lo avrei
fatto. Deperire. Forse. Insomma, ci avrei provato in ogni caso, a
crearmi una
nuova esistenza. Ma mi fa piacere sapere ciò che
pensa.»
La
dea sorrise nel poggiarle una inconsistente mano sulla spalla mentre,
assieme,
osservavano il cielo farsi multicolore.
Sai che
dire le
bugie non va bene, vero, figlia mia?
Qiugyat sorrise
debolmente nell’udire la voce di Madre dentro di
sé e, divertita, replicò: “Neppure
le bugie a fin di bene?”
Te lo
concedo…
ma solo per stavolta. La ragazza ce la farà?
“E’
forte. Le
serviva solo credere che anche Fergus la voglia forte e pronta ad
affrontare il
suo futuro. Potrà anche subodorare un mio inganno ma, al
momento, è più
importante credere a una bugia, che alla verità, e
cioè che Fergus non può più
dire nulla perché è divenuto pura Luce del
Nord.”
Lei
può vederlo,
e tu non sarai più sola, figlia mia, perciò credo
che entrambe saprete trovare
il modo per chiudere le ferite dei vostri cuori.
“Ora
chi è che
fa la sentimentale?”
ironizzò la dea del Nord.
Madre,
ovviamente, non rispose, ma a Qiugyat
non importò.
Se
il Fato aveva voluto che lei incontrasse l’anima del giovane
che Chanel aveva
perduto, Qiugyat non poteva che
accettare quell’evento, anche se ciò aveva
comportato la morte di un giovane.
Da parte sua, era stata lieta di aver intercesso per la sua anima, e di aver permesso a coloro che lo avevano amato di poterlo vedere nelle Luci del Nord. Così, non sarebbe mai stato dimenticato.
N.d.A.: cominciamo a farci un'idea di come i ragazzi si stiano abituando alla loro doppia natura, e di come Qiugyat cerchi di essere loro d'aiuto in questo processo di cambiamento. Inoltre, possiamo scoprire come procedano le cose a Clearwater, mentre i ragazzi mancano da casa. Che dite? Chanel avrà la forza di affrontare i suoi genitori, una volta tornata a casa?